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Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi

Roberta scrive una lettera. E vale la pena lasciare perdere i vecchi contro i giovani e leggerla con attenzione perché dentro ci sono le domande a cui dovremo rispondere. Con chiarezza. Prima delle elezioni.

Il mio nome è Roberta, ma potrebbe essere Lucia, Francesca, Samanta, Teresa, Michela o qualunque altro nome di donna. Ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è non lo so.  Il mio sogno è sempre stato uno: fare la scrittrice.
Avrei voluto studiare in una grande città, laurearmi, conoscere qualcuno che mi desse la possibilità di crescere e diventare brava, poi lavorare e rendere fieri di me prima i miei genitori, poi me stessa. Chiudo il libro delle favole e torno sulla terraferma, dove i sogni restano sogni e più che vivere bisogna sopravvivere. 

Qualche anno fa mi sono iscritta alla facoltà di lettere di Bari, non la migliore, ma la più accessibile almeno per le mie tasche. Ho frequentato il primo anno e non è andata male. Avevo una media alta, studiava, studiavo. Lo facevo per me.

L’anno successivo ho interrotto gli studi. Mio padre è un operaio, mia madre una casalinga. Una casa in affitto, tre figli sulle spalle. Mio padre ha perso il lavoro e allora ‘Arrivederci Università’. Facevamo la spesa con 15 euro al giorno, dove avrei potuto trovare 500 euro per la nuova iscrizione? Per il libri? Per fare la pendolare? I sogni restano nel cassetto e io sopravvivo.

Ho passato un anno in bilico su un filo pronto a farmi cadere. Non sapere cosa fare da grande a 20 anni era il problema più stupido, io volevo sapere se ce l’avremmo fatta. Volevo sapere se avrei mai più visto mio padre sorridere piuttosto che in depressione piangere senza un lavoro, avrei voluto vedere mia madre smettere di contare gli ultimi spiccioli per arrivare alla fine del mese.

Ho passato un anno ad osservare il mondo e capire che tanto non sarà mai come vorremmo, che la fatica è sempre per chi non se la merita e che l’ingiustizia sarà sempre sovrana. Ho capito che il futuro è il mio e la fortuna non è per tutti, allora se io non sono nata ”fortunata” come tutti i figli di papà del mondo, la fortuna me la creo da sola.

Ho fatto tre lavori al giorno: ho dato ripetizioni private, ho fatto la babysitter, ho lavorato in un bar, in un ristorante, ho distribuito volantini per le strade sotto la neve e con le mani prive di sensibilità a causa del freddo. 5 euro al giorno, a volte 8, al massimo 20.
Non mi interessavano i vestiti nuovi, le serate nei bar, la vita mondana e le cene. Io volevo il secondo anno di facoltà, io volevo la laurea.
”Roberta, qual è stata la tua più grande soddisfazione sino ad ora?” Se dovessero farmi questa domanda io risponderei: Aver lavorato, sacrificato me stessa, il mio sudore e la mia fatica.

Mi sono iscritta al secondo anno e l’ho anche terminato. Ho pagato la mia iscrizione, tutta da sola. Compro libri fotocopiati, per pagarli meno, a volta riesco anche a farmeli prestare. Vado a Bari solo quando è necessario, solo per dare gli esami. Anche il treno costa. Lavoro 12 ore al giorno per 35 euro, faccio la cameriera ed ho i calli alla mano destra perché spesso i piatti sono bollenti e una cicatrice sulla sinistra perché un bicchiere di vetro mi si è rotto tra le mani. Spesso studio di notte e lavoro di giorno. All’università ho chiesto una borsa di studio, ma non credo possa mai essere accettata a causa del mio anno di stop. Per l’università, quindi, sono una comunissima fuoricorso. Una fuoricorso come tante, ma con una vita che nessuno prova a considerare. Ho pagato quasi 400 euro per una Terza Rata ingiusta. Glielo spiegate voi ai Dottori che anche frequentare ha un prezzo, e la media del 30 ce l’ha chi nella vita riesce solo a studiare?
Troppe inutili domande che non avranno mai una risposta o una considerazione. La verità è soltanto una: la vita è ciò che ne facciamo, è il sudore e il sacrificio. I regali, le raccomandazioni, i soldi caduti dal cielo.. li lascio a voi.

Il mio nome è Roberta, ho quasi 22 anni e se dovessero chiedermi cosa farò da grande, la mia risposta è ancora non lo so. Non so se avrò una casa, uno stipendio, una pensione, una famiglia e una carriera. Lavoro 12 ore al giorno e sono felice. Felice di essermi sacrificata per la mia vita e per la mia famiglia. Felice perché io conto più di ogni politico, più di ogni avvocato figlio di avvocati, più di uno qualunque laureato in una università privata. Io valgo perché avevo un sogno e continuo a scottarmi, a tagliarmi le mani e sudare affinché possa avverarsi.

Roberta

Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.


Spesso giro il mondo, per fare discorsi, e la gente mi fa domande sulle sfide, sui miei momenti, sui miei rimpianti. 1998: Mamma single, di 4 bambini, tre mesi dopo la nascita del mio quarto figlio andai a lavorare, come assistente ricercatrice, nella Liberia del nord. Come parte del contratto, il villaggio ci forniva un alloggio. Mi diedero un alloggio con una madre single e sua figlia.

La ragazza era l’unica ragazza di tutto il villaggio che era arrivata alla prima superiore. Era lo zimbello della comunità. Altre donne dicevano a sua madre: “Tu e tua figlia morirete povere”. Dopo due settimane di lavoro in quel villaggio, fu tempo di rientrare. La madre venne da me, in ginocchio, e mi disse: “Leymah, prendi mia figlia. Voglio che diventiun’infermiera”. Poverissima, vivevo a casa con i miei genitori, non potevo permettermelo.Con le lacrime agli occhi, dissi “No”.

Due mesi dopo, visitai un altro villaggio per lo stesso incarico e mi chiesero di vivere con il capo del villaggio. Il capo delle donne del villaggio aveva una bambina, come me, la pelle chiara, sporca da capo a piedi. Se ne andava in giro tutto il giorno in mutande. Quando chiesi: “Chi è quella?” mi disse: “Quella è Wei. Il suo nome significa maiale. Sua madre è morta dandola alla luce, e nessuno sa chi sia il padre”. Per due settimane, diventò la mia compagna, dormiva con me. Le comprai vestiti usati e le comprai la sua prima bambola. La sera prima di partire, venne in camera da me e disse: “Leymah non lasciarmi qui. Voglio venire con te. Voglio andare a scuola.” Poverissima, senza soldi, in casa con i miei genitori, ancora una volta dissi: “No”. Due mesi dopo, entrambi i villaggi furono coinvolti in un’altra guerra. Ad oggi, non ho idea di dove siano quelle due ragazze.

Avanti veloce, 2004: al culmine del nostro attivismo, il ministro per la parità della Liberia mi chiamò e disse: “Leymah, ho una bimba di nove anni per te. Voglio che la porti a casaperché non abbiamo case sicure”. La storia di questa ragazzina: Era stata violentata dal nonno paterno, tutti i giorni, per sei mesi. Venne da me tutta gonfia, molto pallida. Tutte le sere tornavo dal lavoro e mi sdraiavo sul pavimento freddo. Lei si sdraiava accanto a me e diceva: “Zia, voglio stare bene. Voglio andare a scuola.”

2010: Una giovane donna, di fronte al Presidente Sirleaf, testimonia di come lei e i suoi fratelli vivessero insieme, il loro padre e la loro madre morti durante la guerra. Lei ha 19 anni; il suo sogno è andare all’università per poterli aiutare. È molto atletica. E succede chesi candida per una borsa di studio. Una borsa di studio completa. La ottiene. Il suo sogno di andare a scuola, il suo desidero di ricevere un’istruzione, alla fine si avvera. Va a scuola il primo giorno. Il direttore degli sport, responsabile per averla inserita nel programma le chiede di uscire dall’aula. E nei 3 anni successivi, il suo destino sarà avere relazioni sessuali con lui ogni giorno, come favore per averla fatta entrare a scuola.

Globalmente, abbiamo delle regole, strumenti internazionali, dirigenti che lavorano. Grandi persone hanno preso impegni — proteggeremo i nostri figli dal bisogno e dalla paura. Le Nazioni Unite hanno la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Paesi come gli Stati Uniti hanno la legge No Child Left Behind [Nessun bambino lasciato indietro]. Altri paesi fanno cose diverse. Uno degli obiettivi di sviluppo del millennio chiamato Three si focalizza sulle bambine. Tutti questi grandi lavori di grandi persone con lo scopo di portare i giovani dove vogliamo che vadano globalmente, credo abbiano fallito.

In Liberia, per esempio, il tasso di gravidanza tra le adolescenti è di 3 ogni 10 ragazze. La prostituzione tra le adolescenti è al suo massimo. In una comunità, ci dicono, ti alzi la mattina e vedi preservativi usati come se fossero carte di caramelle. Le ragazze di appena 12 anni si prostituiscono per meno di un dollaro a notte. È scoraggiante, è triste. E poi qualcuno mi ha chiesto, poco prima che parlassi a TED, qualche giorno fa: “Dov’è la speranza?”

Diversi anni fa, alcuni amici decisero che era arrivato il momento di colmare il vuoto tra la nostra generazione e la generazione delle giovani donne. Non è sufficiente dire di avere due premi Nobel nella Repubblica di Liberia, se le vostre ragazzine sono del tutto abbandonate,senza speranza, o sembrano senza speranza. Abbiamo creato uno spazio chiamato Young Girls Transformative Project [Progetto di Trasformazione per le Ragazze]. Andiamo nelle comunità rurali e tutto quello che facciamo, come è stato fatto in questa sala, è creare lo spazio. Quando queste ragazze si siedono, si dà spazio alla loro intelligenza, alla loro passione, al loro impegno, alla loro determinazione, si dà spazio a delle grandi leader.Finora abbiamo lavorato con più di 300 di loro. E alcune di queste ragazze che sono entrate nella stanza molto timide hanno fatto passi da gigante, da giovani madri, per tornare nel mondo e promuovere i diritti di altre giovani donne.

Una giovane donna che ho incontrato, madre adolescente di 4 bambini, che non aveva mai pensato di finire le superiori, si è diplomata con successo; non aveva mai pensato di andare all’università, si è iscritta all’università. Un giorno mi ha detto: “Il mio desiderio è finire l’università ed essere in grado di crescere i miei figli”. Al momento non riesce a trovare il denaro per andare a scuola. Vende acqua, vende bibite e vende ricariche del telefono. Potreste pensare che, quei soldi, li investe nella propria istruzione. Si chiama Juanita. Prende quei soldi e cerca madri single, nella sua comunità da rimandare a scuola.Dice: “Leymah, il mio desiderio è avere un’istruzione. E se non posso avere un’istruzionequando vedo le mie sorelle con un’istruzione, il mio desiderio si è avverato. Desidero una vita migliore. Desidero cibo per i miei bambini. Desidero che si metta fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento nelle scuole.” Questo è il sogno della Ragazza Africana.

Diversi anni fa, c’era una ragazza africana il cui figlio desiderava un pezzo di ciambellaperché aveva molta fame. Furiosa, frustrata, molto preoccupata per le condizioni della sua società e dei suoi figli, questa ragazza ha dato il via a un movimento, un movimento di donne comuni che si sono riunite per la pace. Io esaudirò il desiderio. Questo è il desiderio di un’altra Ragazza Africana. Ho fallito nell’esaudire il desiderio di quelle due ragazze. Ho fallito. Questi erano i pensieri che passavano per la mente di questa giovane donna — ho fallito, ho fallito, ho fallito. Quindi farò questo. Le donne si sono esposte, per protestare contro un feroce dittatore, parlando con coraggio. Non solo il desiderio di un pezzo di ciambella è diventato realtà, il desiderio di pace è diventato realtà. Questa giovane donnadesiderava anche andare a scuola. È andata a scuola. Questa giovane donna desiderava altre cose, che si sono avverate.

Oggi, questa giovane donna sono io, sono un premio Nobel. Ora sto intraprendendo un percorso per esaudire il desiderio, delle bambine africane con le mie limitate capacità — il desiderio di ricevere un’istruzione. Abbiamo creato una fondazione. Diamo borse di studio complete di 4 anni a ragazze di villaggi che mostrano un potenziale.

Non ho molto da chiedervi. Sono stata anche in zone degli Stati Uniti, e so che anche le ragazze di questo paese hanno dei sogni, il sogno di una vita migliore, da qualche parte nel Bronx, sogni di una vita migliore da qualche parte nel centro di Los Angeles, sogni di una vita migliore da qualche parte nel Texas, sogni di una vita migliore da qualche parte a New York, sogni di una vita migliore da qualche parte nel New Jersey.

Volete accompagnarmi nell’aiutare quella ragazza, che sia una ragazza africana o una ragazza americana o una ragazza giapponese, a esaudire il suo desiderio, a esaudire il suo sogno, a realizzare il suo sogno? Perché tutti questi grandi innovatori, questi inventori con cui abbiamo parlato e che abbiamo visto in questi ultimi giorni sono anche loro seduti in un angolo in diverse parti del mondo, e tutto quello che ci chiedono di fare è creare quello spazio per liberare l’intelligenza, liberare la passione, liberare tutte quelle belle cose che loro trattengono dentro di sé. Facciamo la strada insieme. Facciamola insieme.

Grazie.

(Applausi)

Chris Anderson: Grazie infinite. Oggi in Liberia, qual è il problema che più la preoccupa?

LG: Mi è stato chiesto di guidare l’Iniziativa di Riconciliazione Liberiana. In quanto parte del mio lavoro, faccio queste visite in diversi villaggi, nelle città — 13, 15 ore su strade sconnesse — e in nessuna delle comunità in cui sono stata mancavano le ragazze intelligenti. Purtroppo, la visione di un grande futuro, il sogno di un grande futuro, è solo un sogno, perché abbiamo tutti questi problemi. La gravidanza in età adolescenziale, è diffusissima.

Quello che mi preoccupa è che io stessa ero una di loro e in qualche modo ora sono qui, e vorrei non essere l’unica ad essere qui. Cerco di fare in modo che altre ragazze siano con me. Tra 20 anni voglio guardarmi indietro e vedere un’altra ragazza liberiana, una ragazza del Ghana, una ragazza nigeriana, una ragazza etiope sul palco di TED. E forse, dico forse, dirà: “Grazie a quel premio Nobel oggi sono qui.” Sono preoccupata quando vedo che in loro non c’è speranza. Tuttavia non sono pessimista, perché so che non ci vuole molto per dare loro la carica.

CA: E in quest’ultimo anno, ci dica una cosa incoraggiante che ha visto accadere.

LG: Le posso parlare di molte cose incoraggianti che ho visto accadere. Ma nell’ultimo anno, siamo andate nel villaggio da cui proviene il presidente Sirleaf per lavorare per quelle ragazzine. E non c’erano neanche 25 ragazze alle scuole superiori. Tutte le ragazze andavano alle miniere d’oro, ed erano in prevalenza prostitute, che facevano altre cose.Abbiamo preso 50 di queste ragazze e abbiamo lavorato con loro. Eravamo all’inizio delle elezioni. Questo è un luogo dove le donne — anche le più anziane a malapena si siedono accanto agli uomini. Queste ragazze si sono riunite, hanno formato un gruppo e hanno lanciato una campagna per registrare gli elettori. È un villaggio molto rurale. Il tema che hanno usato è stato: “Anche le ragazze carine votano.” Sono riuscite a mobilitare le giovani donne.

Ma non hanno fatto solo questo, sono andate dai candidati a chiedere: “Cosa farete alle ragazze di questa comunità se vincerete?” E uno di loro che aveva già un incarico — perché la Liberia ha una delle più forti leggi contro lo stupro, e lui era uno di quelli che in parlamento si batteva per far revocare quella legge perché diceva che era barbara. Lo strupro non è una barbarie, la legge lo è, diceva. Quando le ragazze hanno iniziato a coinvolgerlo, lui era molto ostile nei loro confronti. Queste ragazzine si sono rivolte a lui e gli hanno detto: “Voteremo per toglierle l’incarico.” Oggi non ha più l’incarico.

(Applausi)

CA: Leymah, grazie. Grazie di essere venuta a TED.

LG: È stato un piacere. (CA: Grazie.)

(Applausi)

La migliore risposta a Martone

È di un ventottenne sfigato non laureato. Ed è anche un bel suggerimento di politica. Io non sono nessuno, non rappresento nessuno, non faccio parte di nessuna associazione studentesca, sindacale, di protesta, nessun movimento, nessuna avanguardia. Eppure nelle vene dell’Italia pulsa un sangue fatto di un esercito di ragazzi e ragazze come me, senza genitori ai ministeri o ai comuni o alle province. Ragazzi che non faranno i notai perché i genitori sono notai, non faranno i medici perché i genitori sono medici, non faranno come i figli di avvocati che nonostante abbiano la facoltà di giurisprudenza nella loro città vanno a studiare fuori, in una Università più “facile” perché tanto poi hanno lo studio di famiglia con la scrivania e la targhetta già pronta. Nei treni regionali lavati da cima a fondo con UN secchio e UNO straccio con me ci sono migliaia, MIGLIAIA di persone che partono da casa col buio e tornano a casa con lo stesso buio, che fanno del treno il loro ufficio, la loro sala da pranzo, il loro luogo di studio. Persone che, come me, restano “intrappolati” in un treno nuovo di zecca in mezzo alla campagna senza che il personale dia loro una spiegazione e, dopo tre quarti d’ora vengono fatti scendere nella stazione di Cerignola Campagna al saluto di: “Prendente i prossimi treni che passeranno, non sappiamo quali”.
Il prete anti camorra Don Aniello Manganiello qualche giorno fa è venuto nella mia città per parlarci della sua esperienza a Scampia dicendo che il senso della politica è chiedersi “Cosa si può fare per risolvere questo?” , “Come usciamo da questo problema?” e non dire “Se a 28 non sei laureato sei uno sfigato”. Puntare il dito verso chi è rimasto indietro non è un comportamento da tenere in una società civile e democratica, è un comportamento da giungla. Berlusconi poco prima di farsi da parte ebbe il tempo di dire, a proposito della crisi: “In Italia i ristoranti sono pieni”. Sì, sono pieni da laureati e laureandi che fanno i camerieri.
La lettera completa su Repubblica.