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Altro che culla della democrazia: Londra abbandona in carcere in Iran una sua cittadina

Il ministro degli Esteri britannico, intervenendo sul caso di Nazanin Zaghari-Ratcliffe, ha affermato di non essere “legalmente obbligato a fornire assistenza” alla donna britannica-iraniana detenuta in Iran. Il Regno Unito, in sostanza, decide di abbandonare una propria cittadina all’estero, disinteressandosi di giustizia e di diritti. Proprio loro che del diritto e della democrazia si ergono a cultori in Occidente.

Era il 3 aprile del 2016 quando Nazanin Zaghari-Ratcliffe fu arrestata mentre stava lasciando l’Iran con sua figlia Gabriella, che aveva 22 mesi, per tornare nel Regno Unito dopo avere visitato la sua famiglia a Teheran.

Dopo essere stata detenuta per oltre cinque mesi, di cui i primi 45 giorni in isolamento e senza avere nessuna possibilità di mettersi in contatto nemmeno con il suo legale, la donna ha subito un processo che molti osservatori internazionali hanno definito profondamente iniquo ed è stata condannata a 5 anni di carcere per “appartenenza di un gruppo illegale”, riconosciuta colpevole di voler rovesciare il governo del Paese.

Nel 2016 l’Iran, vale la pena ricordarlo, ha detenuto arbitrariamente almeno 200 difensori dei diritti umani condannandoli a carcerazione e fustigazione.

Fino al momento del suo arresto Nazanin lavorava come project manager della Thomson Reuters Foundation, un ente non-profit che promuove il progresso socio-economico, il giornalismo indipendente e lo stato di diritto.

Nel corso di questi anni di detenzione le condizioni fisiche e psichiche della donna sono continuamente peggiorate, fino a rendere necessario il suo trasferimento dalla prigione di Evin al reparto psichiatrico dell’ospedale Imam Khomeini, nella capitale Teheran.

Nazanin ha intrapreso scioperi della fame e ha anche mostrato preoccupanti segnali di suicidio. La sua è una storia come quella di tanti attivisti dei diritti umani che si ritrovano ingiustamente oppressi in Iran, ma è anche una vicenda di pressioni diplomatiche dell’Iran nei confronti del Regno Unito.

A marzo di quest’anno Nazanin Zaghari-Ratcliffe è stata rilasciata con un permesso temporaneo, ospite in casa della madre con un braccialetto elettronico che non le permette di allontanarsi oltre i 300 metri e il governo iraniano aveva lasciato intendere una sua possibile liberazione.

Tutto invece precipita quando la donna è accusata di essere una spia: ora rischia un nuovo processo e una condanna fino a 16 anni. Il Regno Unito, dal canto suo, lascia intendere di volerla abbandonare al proprio destino.

Leggi anche: 1. La Regina delle capre felici. Storia di un’etiope in Italia e del suo sogno infranto / 2. Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni

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In piena crisi da Covid, Toti aumenta di 883mila euro i fondi per gli staff degli assessori

Tempo di pandemia, tempo di difficoltà economiche, tempo di feste che molti non hanno voglia di festeggiare per il cupo futuro che si ritrovano davanti. È normale che in tempi come questi la gestione dei soldi pubblici diventi ancora più responsabilizzante, del resto è la stessa discussione che continua dalle parti del Governo. Per il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, invece, evidentemente questo è il tempo di elargire denaro alla politica. E la sua scelta, legittima, non può non porre domande e dubbi.

Lo scorso 13 novembre la giunta ligure ha approvato all’unanimità una delibera che triplica i finanziamenti erogati ai membri della giunta (presidente e assessori) per stipendiare il proprio staff. Si passa da 523mila euro all’anno per il personale a 1.356.181,20 euro, con un incremento di 883mila euro.

Sia chiaro, sono soldi che ogni assessore potrà utilizzare su base fiduciaria, nominando funzionari che dagli 8 che erano ora diventano addirittura 22, per un esborso complessivo nel corso di una legislatura di quasi 7 milioni di euro.

“I fondi non ci sono mai quando servono per realizzare opere importanti come i parchi naturali, la pulizia dei torrenti e la messa in sicurezza dei fiumi”, fa notare Ferruccio Sansa, che ha sfidato alle ultime elezioni regionali proprio Toti. “Non ci sono per comprare tamponi, mascherine e per pagare il personale sanitario. Ma poi i soldi si trovano sempre quando fa comodo a chi governa”.

Toti si difende parlando di “competenze dell’Amministrazione regionale che sono state ulteriormente ampliate nella legislatura appena conclusa, e quindi ciascun componente della Giunta regionale ha maggiori materie di pertinenza rispetto ai componenti delle Giunte regionali delle legislature precedenti, in particolare derivanti dal trasferimento di funzioni dalle Amministrazioni provinciali”. Peccato che quel trasferimento di competenze di cui Toti parla risalga addirittura al 2015.

Non si capisce quindi l’urgenza, peraltro in piena pandemia. Rimane anche il dubbio sul riversare quei soldi agli staff degli assessori piuttosto che ai funzionari della macchina regionale. Tutto questo mentre il presidente Toti spinge per riaprire tutto, riaprire il prima possibile, per dare il via libera a tutti fingendo di non sapere che una macchina per la radioterapia (di cui la Liguria avrebbe bisogno) costa esattamente la cifra annuale assorbita dallo staff del presidente.

Ora il gruppo consiliare della maggioranza ci tiene a precisare che si tratta di “capitoli di spesa diversi” e di cifre che “non tolgono finanziamenti a altre voci”. È il gioco delle tre carte, il solito vecchio gioco. Ma in un tempo nerissimo.

Leggi anche:
1. Caro Toti, è veramente così difficile dire: “Ho sbagliato”? (di Giulio Cavalli)
2. Vaticano, il successore di Becciu? Si fa l’abito da cardinale da 6mila euro pagato coi soldi pubblici

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Ne usciremo privati

Nel bel mezzo della seconda ondata della pandemia, nella discussione sul Natale,  di chi come il presidente della Liguria Toti ci dice di «chiudere le scuole e aprire le piste da sci», sempre schiacciati tra profitto e salute, tra incassi e malattie, avvicinandosi a queste feste che servono per le ore giuste per riempire i carrelli, in mezzo a tutto questo c’è la prossima legge di bilancio.

Ed è qualcosa che quest’anno conta ancora di più perché dentro la legge di bilancio c’è l’idea di Paese che si vuole disegnare, c’è la lista delle priorità e la visione del mondo. E allora mettiamoci le mani dentro questa legge di bilancio che si prepara ad arrivare in Parlamento. Ecco l’articolo 89 comma 3 e l’articolo 93:

ART. 89.3. Per l’anno 2021, i contributi di cui all’articolo 2 della legge 29 luglio 1991, n. 243, sono incrementati di 30 milioni di euro.

ART. 93. (Trattamento di previdenza dei docenti di Università private) 1. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 4 della legge 29 luglio 1991, n. 243, per i professori e ricercatori delle Università non statali legalmente riconosciute, a decorrere dall’1 gennaio 2021, l’aliquota contributiva di finanziamento del trattamento di quiescenza è pari a quella in vigore, e con i medesimi criteri di ripartizione, per le stesse categorie di personale in servizio presso le Università statali. Restano acquisite alla gestione di riferimento e conservano la loro efficacia le contribuzioni versate per i periodi anteriori alla data di entrata in vigore della presente legge. Ai maggiori oneri derivanti dal differenziale tra l’aliquota contributiva e l’aliquota di computo relativa ai trattamenti di quiescenza con riferimento al periodo 2016-2020 pari a euro 53.926.054 per l’anno 2021, si provvede mediante apposito trasferimento dal bilancio dello Stato all’ente previdenziale.

I contributi alle università private (private!) vengono aumentati di 30 milioni di euro arrivando quindi a 98 milioni di euro. A livello percentuale si tratta di un incremento del 44%. Non male se si pensa a come sono ridotte le università pubbliche (e la pandemia ce lo sta raccontando). Uno potrebbe immaginare che lo stesso incremento percentuale arrivi alle università pubbliche e invece no, niente. Anche perché sarebbe un aumento di 3,4 miliardi per il prossimo anno. Quindi niente da fare. Nell’articolo 93 invece si dice che la maggioranza vuole dare il suo contributo per pagare i trattamenti di previdenza dei professori delle università private con un trasferimento all’Inps di 54 milioni di euro.

Ne dovevamo uscire migliori. Vediamo di non uscirne privati.

Buon lunedì.

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Lo Ius Soldi

C’è chi deve aspettare anni per ottenere la cittadinanza italiana, e chi 10 minuti

Il calciatore del Barcellona Luis Suarez, l’avrete sentito ieri sicuramente, aveva bisogno della cittadinanza italiana per brigare il suo trasferimento a un’altra squadra e per facilitare la propria carriera. Aveva la parentela giusta ma avrebbe dovuto sostenere l’esame di italiano. Si presenta all’Università per Stranieri di Perugia e ovviamente è un trionfo.

Peccato che secondo la Procura di Perugia l’esame sia stato concordato e addirittura il voto finale fosse stato stabilito prima ancora di sostenere l’esame. Dalle carte dell’inchiesta si legge che «quello non spiaccica ‘na parola, coniuga i verbi all’infinito, ma te pare che lo bocciamo», si dicono i professori, anche perché dicono sempre loro «con 10 milioni a stagione di stipendio, non glieli puoi far saltare perché non ha il B1». Sui social i professori si sono fotografati tutti sorridenti con il celebre studente.

E dov’è lo scandalo?, direte voi. Semplice. In Italia per prendere la cittadinanza ci vogliono fino a quattro anni, normalmente. Merito, neanche a dirlo, anche del decreto sicurezza del fu Salvini che ha allungato da due a quattro anni i tempi del procedimento. Suarez in 15 giorni ha fatto quello che una persona normale riesce, se riesce, a fare in quattro anni con pratiche molto macchinose che spesso richiedono l’ausilio perfino di un avvocato.

Scrive una professoressa: «In qualità di docente di italiano L2 conosco le lungaggini burocratiche, legate alla richiesta della cittadinanza, le quali inducono spesso molti stranieri a evitare di farne richiesta; fatto salvo il caso di taluni che pare godano di corsie preferenziali».

Poi c’è l’esame: quello di Suarez è durato qualche decina di minuti. Un mostro, in pratica. Scrive Gavin Jones, corrispondente Reuters in Italia che l’ha sostenuto: «Leggo che #Suarez ha ottenuto il certificato B1 di conoscenza dell’italiano ieri in mezz’ora. Per caso anch’io ho dato lo stesso esame ieri (per ottenere la cittadinanza). Dura 2 ore e 45’. Farlo in mezz’ora è impossibile – anche per Dante, ma sicuramente per Suarez».

E quindi cosa è successo con Suarez? Semplice: l’attaccante del Barcellona ha ottenuto lo Ius Soldi, ovvero un diritto che, come troppo spesso accade, non viene attribuito per merito ma per interesse economico. E non capita solo agli stranieri, e non capita solo nelle questioni di cittadinanza. E sarebbe interessante aprire un dibattito sulla ricchezza (e la notorietà) che unge i gangli della burocrazia. Siamo sempre lì. Siamo sempre qui.

Buon mercoledì.

(la geniale definizione di Ius Soldi è di Matteo Grandi)

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Abbas intanto è recluso, per niente

Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno, è finito per errore nel Cara di Isola Capo Rizzuto insieme a migranti trovati positivi al Covid. Lui è sieropositivo, malato di epatite, immunodepresso e in quel luogo la sua salute è fortemente a rischio

È una storia che inizia con una pesca a strascico solo che si pescano uomini, mica pesci. L’hanno raccontata Alessia Candito e Floriana Bulfon per Repubblica e inizia a Amantea, in Calabria, dove i giorni scorsi molti cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il trasferimento di alcuni migranti trovati positivi al Covid. Immaginate la scena: arrivano i mezzi per trasferire 11 persone da Amantea al Cara di Isola Capo Rizzuto. La struttura di Amantea è presidiata dai militari e molta gente esulta per essere riuscita a liberarsi dal peso di questi negri, sporchi e forse malati. Ma fin qui la storia non stupisce, è una storia che abbiamo già sentito in questi anni.

I militari arrivano a raccogliere le persone e a un certo punto una donna da una finestra si mette a urlare «Anche lui! Anche lui! Prendete anche lui!» e indica un altro ragazzo, lì nei pressi della struttura, anche lui nero per cui nella pesca a strascico il nero va con il nero. Prendono anche lui.

Lui è Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno che vive da qualche anno a Amantea, si arrangia con qualche lavoretto e si trovava in quel momento in quel posto perché sa bene cosa significhi attraversare il mare e quindi aveva deciso di portare supporto e qualcosa di utile ai suoi compagni di sventura. Una persona legittimamente sul suolo italiano e legittimamente impegnata a portare solidarietà. Nel dubbio l’hanno caricato ed è finito anche lui al Cara di Isola Capo Rizzuto, una struttura in condizioni vergognose dove qualche materasso dovrebbe sembrare un letto. Il Cara di Isola Capo Rizzuto, tanto per capirsi, è lo stesso che stava nelle mani del clan di ‘ndrangheta Arena con un prete come prestanome.

All’arrivo al Cara qualcuno si accorge che le persone sono 12 rispetto alle 11 programmate, si prova a fare notare l’errore, Mian Nadeem prova a spiegarsi non accade niente. Niente. Il ragazzo, illegalmente recluso, contatta giornalisti e associazioni ma non si riesce a sbrogliare questa kafkiana situazione. Ma c’è di più: Mian Nadeem è sieropositivo e malato di epatite quindi immunodepresso e in questo momento sta con persone in quarantena per rischio coronavirus. Immaginate l’odore della paura.

Lui ha girato anche un video per mostrare le terribili condizioni in cui si ritrova ma ieri hanno tolto l’elettricità e non riesce nemmeno a caricare il suo telefono per comunicare con l’esterno. L’associazione La Guarimba Film Festival si è mossa per chiedere un intervento della Croce Rossa e della Questura. Per ora tutto tace. Abbas intanto è recluso, per niente.

Il Paese che siamo.

Buon martedì.

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Di Matteo e la risposta politica

Sul rifiuto di Nino Di Matteo alla proposta avanzata dal CSM di essere trasferito alla Procura Nazionale Antimafia per garantire una maggiore sicurezza pendono due questioni: una umana (ne ho scritto stamattina qui nel mio editoriale per Left) e una strettamente politica.

La scelta di Di Matteo è un segnale alla politica. L’ennesimo di un magistrato che da troppi anni si ritrova nel limbo in cui in Italia si è soliti mettere coloro che non accettano di piegarsi alla cortesia istituzionale che pretenderebbero in molti.

«Non sono disponibile al trasferimento d’ufficio – ha detto il magistrato -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare».

Un trasferimento d’ufficio come extrema ratio per garantire sicurezza a un magistrato è una sconfitta di Stato. Su questo, una volta per tutte, forse vale la pena essere chiari: è l’identico discorso che si applica ai testimoni di giustizia che pretendono, a buon ragione, di rimanere nella propria città pretendendo che sia la mafia a dover scappare e scomparire. Per questo sono inutili, patetiche e strumentali le polemiche di chi in queste ore sta sottolineando che lo stesso Di Matteo aveva già chiesto di essere trasferito alla DNA: un riconoscimento del proprio spessore professionale è cosa ben diversa da una fuga di Stato.

Anzi, rinunciare a una posizione gradita per amore della forma, non so voi, io lo trovo rassicurante da parte di qualcuno che si occupa del rispetto della legge. No? Del resto non era difficile prevedere le insidie del caso: il nostro comunicato del 12 ottobre è la prova dei nostri timori fin da tempi non sospetti.

Ne ho scritto sui quaderni di Possibile qui.

Di Matteo che resta

Nino Di Matteo ha rifiutato l’offerta del Consiglio superiore della magistratura di un trasferimento lontano da Palermo per motivi di sicurezza. Non andrà alla Direziona Nazionale Antimafia che gli è stata proposta per facilitare (secondo la discutibile decisione del Csm) la sua protezione.

«Non sono disponibile al trasferimento d’ufficio – ha detto il magistrato -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare».

Eppure Di Matteo aveva dalla sua parte parecchi buoni (e utili) motivi per accettare: la Direzione Nazionale Antimafia è il ruolo che ha cercato a lungo (una volta è stato bocciato e poi la sua domanda è stata respinta per un vizio di forma), il processo sulla trattativa continua a essere l’obiettivo degli strali di una parte politica folta e trasversale, i mascariatori professionisti lo accusano sottovoce di rischiare poco poiché non è ancora morto e la mafia si gode l’isolamento del magistrato che la rincorre.

Qui da noi funzioni solo se fai antimafia con le figurine dei boss da dare in pasto ai giornali e alla gente. Se solo provi a toccare la complessità di un fenomeno che (citando Gratteri) riesce a entrare nella politica con la stessa facilità di una lama nel burro allora diventi subito troppo intraprendente, antipatico, visionario o fissato. Chissà che ne dicono Falcone e Borsellino guardando un Paese che commemora senza memoria.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Solidarietà a Roberto Scarpinato

L’infaticabile Jole Garuti mi invia un appello che sottoscrivo e rilancio:

Cari soci e amici,
più di 320 magistrati (le adesioni continuano a pervenire) hanno firmato la seguente lettera da inviare al CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) come solidarietà al magistrato Roberto Scarpinato che il 19 luglio a Palermo ha letto una lettera indirizzata a Paolo Borsellino, in cui c’è una analisi molto chiara della situazione ion cui ci troviamo a proposito della cosiddetta e già in parte provata trattativa fra lo Stato e la mafia. Per questa sua ‘colpa’ è stato chiesto il trasferimento di Scarpinato ad altra sede.
E’ ora possibile anche ai cittadini sottoscrivere tale lettera.

Va inviata a marco.imperato@giustizia.it e info@centrostudisao.org

Sul sito www.centrostudisao.org trovate la lettera di Scarpinato a Borsellino.
Di seguito invece copio il documento dei magistrati.

Cari saluti
Jole Garuti

***********************
SOTTOSCRIVO LA PRESENTE LETTERA

Chi ha memoria storica e consapevolezza culturale sa che la storia del nostro Paese è anche la storia di poteri criminali che ne hanno condizionato lo sviluppo sociale, politico ed economico.

Chi ha una coscienza morale e professionale e il coraggio di non rassegnarsi a quello che è accaduto ed accade nel nostro Paese, ha il dovere civico di associare il proprio impegno professionale e culturale alla difesa intransigente dei valori Costituzionali e di opporsi al rischio di un progressivo svuotamento dello Statuto della Cittadinanza che, lasciando spazio al crescere di una rassegnata cultura della sudditanza, determina il degrado del vivere comune a causa del proliferare di furberie, sopraffazioni, arroganze, servilismi e cortigianerie interessate.

Chi, oltre a possedere quella coscienza e quel coraggio, può spendere la credibilità di una vita passata a combattere i poteri criminali, ha il dovere e il diritto di marcare la differenza tra l’agire autenticamente democratico e quello di chi si adatta alle situazioni e preferisce il vivere mediocre che supporta e stabilizza le ingiustizie e le mistificazioni. E’ il dovere della Verità e della conoscenza ciò che qualifica la statura etica della persona, qualunque sia la sede o il contesto in cui si concretizza la sua esistenza.

La Verità e la Giustizia insite nella coscienza, nel coraggio, nell’impegno di ogni cittadino non possono essere fonte di equivoci o divenire espressione di un sapere egoistico in quanto socialmente limitato. Esse devono, invece, manifestare il pregio della chiarezza, della trasparenza, del riconoscimento, anche ricordando quanto la fatica giurisdizionale ha accertato nell’interesse primario del sapere collettivo.

Il 19 Luglio 2012 Roberto Scarpinato ci ha ricordato la coscienza, il coraggio, l’impegno per la Giustizia e la Verità di Paolo Borsellino, il quale, esponendosi in prima persona, denunziò pubblicamente più volte come per mobilitare tutte le migliori risorse della Società Civile nel contrasto alla mafia, fosse indispensabile ripristinare la credibilità dello Stato minata da quanti, pur ricoprendo cariche pubbliche, conducevano tuttavia vite improntate a quello che egli definì il “puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della Libertà”.

A vent’anni dalla strage di Via D’Amelio restano, purtroppo, attuali le sofferte parole che Paolo Borsellino, esempio illuminante di uomo di Stato, dedicò a questo tema e ricordate da Roberto Scarpinato: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita … Che cosa si è fatto per dare allo Stato … una immagine credibile ? … La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinchè lo Stato diventi più credibile, perchè noi ci dobbiamo identificare di più in queste Istituzioni”. “No, io non mi sento protetto dallo Stato perchè quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla Magistratura e alle Forze dell’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”.

Lo scritto di Roberto Scarpinato, nella forma di una lettera ideale, così come gli era stato richiesto dai familiari di Borsellino, è stato un omaggio alla Verità ed alla Giustizia, un ringraziamento a Paolo Borsellino, un corrispondere a un debito di riconoscenza che mai salderemo del tutto. E’ stato l’espressione concreta del dover essere al servizio della comunità attraverso una partecipazione “alta” alla vita della “polis”, finalizzata alla consapevolezza e alla responsabilizzazione critica di ogni cittadino.

Le parole di Roberto Scarpinato, nell’esaltare la cultura delle Istituzioni, sono state anche esempio di adeguatezza comunicativa: hanno assolto al dovere di comprensibilità verso chi ha meno presìdi culturali, senza abbassare il sentimento di autentica Giustizia, che troppe volte viene eluso preferendo la comodità del linguaggio autoreferenziale dei pochi, insensibile al desiderio di conoscere e di crescere culturalmente dei molti. Il suo discorso non ha seguito la celebrazione del “mito” di Paolo Borsellino, tranquillizzante nella sua fissità sterile, ma ha voluto indicare l’Uomo e il Magistrato come suscitatore di coscienze profonde che avvertono l’ineludibile necessità di pensare e di agire nella prospettiva di un positivo cambiamento comune.

Abbiamo appreso dalla stampa che, a seguito della lettera dedicata da Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino, è stata aperta presso la Prima Commissione del C.S.M. una pratica per il suo trasferimento di ufficio e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di Presidenza del C.S.M. alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione per eventuali iniziative disciplinari.

L’Associazione Nazionale Magistrati, il 26 Luglio 2012, ha espresso sorpresa e preoccupazione per tale iniziativa ritenendo che quel discorso non possa essere inteso che come “manifestazione di libero pensiero, quale giusto richiamo, senza riferimenti specifici, nel ricordo delle idee e delle stesse parole di Paolo Borsellino, alla coerenza di comportamenti ed al rifiuto di ogni compromesso, soprattutto da parte di chi ricopre cariche istituzionali”.

Il discorso di Roberto Scarpinato, a nostro parere, merita di essere diffuso, nelle Istituzioni e nelle scuole, tra i concittadini onesti ed impegnati. A titolo di merito per chi ha ricordato un pezzo della nostra storia con la credibilità del proprio passato. Come monito alle tante persone che si stanno formando una coscienza civile o a quelle che possono cedere alla tentazione della disillusione, e come esortazione a tener sempre un comportamento esemplare e onesto nell’interesse dello Stato democratico e costituzionale. Non si tratta di discutere solo della possibilità di un Magistrato (dell’autorevolezza di Roberto Scarpinato) di esprimere le proprie opinioni con la ponderazione e lo scrupolo che derivano dalla delicata funzione svolta, ma anche di assicurare alla collettività italiana il congruo bagaglio cognitivo ed etico.

C’è necessità di parlare con quella che i greci chiamarono “parresia”, ovvero con la libertà e il dovere morale di chi non teme di urtare la suscettibilità di alcuno perchè non prevede di aver benefici o debiti nei confronti del Potere.

Per questi motivi facciamo nostre le nobilissime parole della lettera di Roberto Scarpinato

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