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Anche la crisi è in crisi

Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora è solo una leggera foschia che però vedrete che si risolverà con qualche “mediazione” e quando la politica si fa magheggio le mediazioni di solito sono qualche posto al sole per qualcuno dei malpancisti che così si ristora un po’ e si mette calmo per il prossimo periodo.

La crisi di governo del governo italiano è una notizia che sbiadisce negli organi d’informazione, che vagheggia blanda tra gli addetti del settore e che irretisce quelli che si ritrovano ad affrontare malattia e incertezza. E siccome nel pieno di una pandemia l’incertezza è un elemento purtroppo popolarissimo questa crisi di governo, qua fuori, un po’ fa cadere le braccia per l’impopolare momento in cui si è voluta fare cadere, come se servisse altro per rimarcare la distanza tra i cittadini e i palazzi romani, come se non bastasse già questo senso di straniamento che percorre un Paese appeso al vaccino e al ritorno di una normalità che ci siamo già dimenticati che non fosse un granché.

Le voci dai corridoi del Parlamento dicono che nelle ultime ore stiano crescendo di molto le possibilità che tutto si risolva con un rimpasto. In sostanza si sarebbero passati giorni e giorni a dire “non ci interessano le poltrone” e invece cambiano le poltrone. Poi, beh, ci sarà qualche aggiustamento di tiro nel programma perché non è che si possa fare proprio sporca sporca. Sono in calo le quotazioni di una crisi pilotata, con Conte che chiede la fiducia alle Camere con un nuovo esecutivo. Bassissime le possibilità di un ritorno alle urne: l’attaccamento alla poltrona (e daje con le poltrone) di partiti che si vedrebbero le truppe dimezzate e che addirittura rischierebbero di sparire dal Parlamento sono un collante micidiale. Si sposteranno i ministri, qualcuno saluterà mesto e ovviamente un ministero importante si sta scaldando per la truppa di Italia Viva. Sì, sì, loro, quelli che non volevano poltrone (e tre).

Conte vorrebbe evitare di dover ritornare in Parlamento a chiedere la fiducia per la paura di qualche sgambetto. Fallito anche il tentativo di trovare “responsabili” in giro che gli permettessero di scrollarsi di dosso Renzi. Sulle percentuali di una sua possibile lista tra l’altro le sensazioni sono molto eterogenee, meglio non rischiare. Renzi, in caso di elezioni, sparirebbe con i numeri di oggi. E quindi figurati. Il M5S ne uscirebbe più che dimezzato, quindi niente. Perfino Giorgia Meloni preferisce aspettare il giusto tempo per continuare a erodere Salvini.

E così si sta, come d’autunno le foglie. Pronti anche ad affidarsi a un “governo di unità nazionale” (ovvero un “dentro quasi tutti”) pur di non andare al voto. Poi ci sarebbe da riflettere sul pericoloso can can sollevato nel bel mezzo della pandemia e nella fase cruciale dell’organizzazione della campagna vaccinale. Ci sarebbe da discutere del senso di responsabilità di chi ventila lo sfascio perché incapace di trattare su un tavolo squisitamente politico. Ma qui torniamo sempre ai soliti comportamenti dei soliti personaggi.

E guardando qui fuori, quello che accade nel Paese, potrebbe sembrare uno spreco di energie. Ma a qualcuno lì al governo no, a qualcuno è parsa un’ottima idea. Finché anche la crisi di governo non è entrata in crisi.

Buon mercoledì.

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“Vaccino? Un lombardo vale più di un laziale”: l’eurodeputato Ciocca e l’infinito odio della Lega

Centinaia di magliette, migliaia di manifesti, quintali di retorica: la Lega di Salvini che vorrebbe diventare “nazionale” ha usato tutti gli strumenti possibili in questi ultimi anni per convincerci che la sua matrice padana fosse solo un lontano ricordo, che fosse diventato un movimento interessato alle esigenze di tutti, che davvero fosse distante il ricordo di Bossi (e Salvini stesso) che se la prendevano con i terroni scansafatiche e con i romani ladroni.

Poi basta lasciarli parlare un po’, aspettare solo che mollino la frizione e alla fine il loro pensiero viene fuori e ritorna, mostruoso, disuguale e razzista come sempre, senza che sia cambiata una virgola. A cadere nella trappola questa volta ci pensa Angelo Ciocca, uno di quelli che più di una volta ha faticato nel tenersi a freno e uno di quelli che sa bene come funzioni nella Lega: dire una boiata, spararla grossa, è il modo migliore per farsi notare dai propri seguaci e mal che vada si finge di porgere delle tiepide scuse oppure si dichiara di essere fraintesi.

Dice Ciocca, eurodeputato della Lega, che “se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia” e quindi che bisogna vaccinare in base all’importanza economica del territorio. Niente vaccino quindi per chi non fattura, non produce e non torna utile alla produttività. La dichiarazione del resto non è molto distante da ciò che ha detto Guzzini di Confindustria Macerata qualche giorno fa, poi fortunatamente dimessosi per la pessima figuraccia per la frase sugli “affari che devono andare avanti e se muore qualcuno, pazienza”.

Ciocca, vale la pena ricordarlo, è lo stesso che a ottobre disse che il Covid era più diffuso in Francia e in Spagna “perché noi italiani siamo più puliti” e perché “abbiamo il bidet”. Il punto è che la Lega continua a contenere nella pancia quel germe del razzismo che quando non riesce a puntare verso gli stranieri devia inevitabilmente nella suddivisione fra gli italiani. È sempre così: a forza di odiare diventano tutti potenzialmente odiabili, è solo questione di tempo.

Ma la sensazione peggiore, quella che intossica questo tempo, è che in fondo Ciocca sia solo stato talmente ingenuo da avere detto ciò che in molti pensano. Sarebbe curioso sapere quanto quel suo ragionamento sia popolare tra pezzi di classe dirigente che al contrario di Ciocca hanno semplicemente la furbizia di non dire ma forse condizionano il proprio fare.

Leggi anche: 1. Matteo Salvini al Senato evoca il complotto sul Covid: “Tutto è cominciato in un laboratorio cinese” | VIDEO / 2. Vaccino Covid in Italia entro la Befana: l’Ema anticipa la data di approvazione al 21 dicembre / 3. Covid, lo sfogo di Ricciardi: “Siamo in guerra, più morti oggi che nel 1944. Cos’altro serve per il lockdown?” | VIDEO

4. Conte: “A Natale serve una stretta. Ma l’Italia non può reggere un nuovo lockdown” / 5. I vaccini no-profit di Cuba che salveranno i Paesi in via di sviluppo / 6. Milano anti-Covid, scatta il numero chiuso in Galleria Vittorio Emanuele

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In piena crisi da Covid, Toti aumenta di 883mila euro i fondi per gli staff degli assessori

Tempo di pandemia, tempo di difficoltà economiche, tempo di feste che molti non hanno voglia di festeggiare per il cupo futuro che si ritrovano davanti. È normale che in tempi come questi la gestione dei soldi pubblici diventi ancora più responsabilizzante, del resto è la stessa discussione che continua dalle parti del Governo. Per il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, invece, evidentemente questo è il tempo di elargire denaro alla politica. E la sua scelta, legittima, non può non porre domande e dubbi.

Lo scorso 13 novembre la giunta ligure ha approvato all’unanimità una delibera che triplica i finanziamenti erogati ai membri della giunta (presidente e assessori) per stipendiare il proprio staff. Si passa da 523mila euro all’anno per il personale a 1.356.181,20 euro, con un incremento di 883mila euro.

Sia chiaro, sono soldi che ogni assessore potrà utilizzare su base fiduciaria, nominando funzionari che dagli 8 che erano ora diventano addirittura 22, per un esborso complessivo nel corso di una legislatura di quasi 7 milioni di euro.

“I fondi non ci sono mai quando servono per realizzare opere importanti come i parchi naturali, la pulizia dei torrenti e la messa in sicurezza dei fiumi”, fa notare Ferruccio Sansa, che ha sfidato alle ultime elezioni regionali proprio Toti. “Non ci sono per comprare tamponi, mascherine e per pagare il personale sanitario. Ma poi i soldi si trovano sempre quando fa comodo a chi governa”.

Toti si difende parlando di “competenze dell’Amministrazione regionale che sono state ulteriormente ampliate nella legislatura appena conclusa, e quindi ciascun componente della Giunta regionale ha maggiori materie di pertinenza rispetto ai componenti delle Giunte regionali delle legislature precedenti, in particolare derivanti dal trasferimento di funzioni dalle Amministrazioni provinciali”. Peccato che quel trasferimento di competenze di cui Toti parla risalga addirittura al 2015.

Non si capisce quindi l’urgenza, peraltro in piena pandemia. Rimane anche il dubbio sul riversare quei soldi agli staff degli assessori piuttosto che ai funzionari della macchina regionale. Tutto questo mentre il presidente Toti spinge per riaprire tutto, riaprire il prima possibile, per dare il via libera a tutti fingendo di non sapere che una macchina per la radioterapia (di cui la Liguria avrebbe bisogno) costa esattamente la cifra annuale assorbita dallo staff del presidente.

Ora il gruppo consiliare della maggioranza ci tiene a precisare che si tratta di “capitoli di spesa diversi” e di cifre che “non tolgono finanziamenti a altre voci”. È il gioco delle tre carte, il solito vecchio gioco. Ma in un tempo nerissimo.

Leggi anche:
1. Caro Toti, è veramente così difficile dire: “Ho sbagliato”? (di Giulio Cavalli)
2. Vaticano, il successore di Becciu? Si fa l’abito da cardinale da 6mila euro pagato coi soldi pubblici

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Azzolina ha ragione: riaprire tutto ma tenere chiuse solo le scuole è semplicemente assurdo

Si parla di tutto. Regali, negozi, centri commerciali, cenoni, spostamenti, virgole per descrivere chi siano i congiunti abbastanza congiunti e quando ci si può spostare e dove: la discussione che si infiamma sul Natale finge di volere essere parareligiosa e invece si fionda sui modi per permettere di spendere soldi, di incassare soldi, di spostare soldi. Per carità, va bene anche così: i soldi sono lavoro e sopravvivenza di alcune attività (ma siamo sicuri che poi non finiscano nelle tasche dei soliti noti che da questa pandemia ci hanno pure guadagnato?) ma ciò che stupisce, o forse non stupisce più nemmeno, è che dal dibattito sia scomparsa ancora una volta la scuola. Ancora.

Qualcuno timidamente prova a ricordarlo (il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo lo ripete da giorni) e la ministra Azzolina prova a insistere, ma niente. Badate bene: l’apertura delle scuole non è un vezzo italiano, no: le maggiori organizzazioni delle Nazioni Unite come Who, Unesco e Unicef, oltre che le decisioni di Paesi come Francia, Regno Unito e Germania concordano sul fatto che l’apertura delle scuole sia un obbligo da perseguire con cura e attenzione, un bisogno primario per tenere in piedi la salute e lo sviluppo delle generazioni di ragazzi, un dovere di Stato per evitare gravi ripercussioni psicofisiche, sociali e culturali su intere generazioni che in questa pandemia sono retrocesse nella lista delle priorità.

Andare a scuola non significa semplicemente prendere parte a una lezione, andare a scuola significa spesso vivere il momento più importante di formazione e di socialità per crescere nella propria identità. Eppure le scuole continuano a essere trattate come un disturbo burocratico a cui tendere poco la mano, qualcosa di sacrificabile in nome dell’economia che si deve muovere e deve crescere. Se davvero la preoccupazione è la salute dei cittadini (nel senso più ampio del temine) allora viene difficile giustificare un lockdown generalizzato in cui tutti si spostano, per lavoro, mentre i ragazzi rimangono confinati in un limbo.

Si parla delle riaperture prossime per fare cassa e la scuola scivola forse all’11 gennaio. Quando forse poi ci diranno che gli acquisti compulsivi natalizi hanno riacceso la terza ondata e si tornerà al punto di partenza. E in tutto questo fluire di previsioni continua a mancare il danno, grave e difficilmente reversibile, di chi, insieme agli anziani, vive tutto questo come una forzata clausura: i giovani. “I dati ci dicono che i contagi in età scolastica non sono significativamente diversi da quelli di altre classi di età e non abbiamo evidenze per capire se siano avvenuti a scuola o fuori”, dice Miozzo. Ma sembra non interessare a nessuno.

Leggi anche: 1. “In Puglia rischiamo una nuova Bergamo, dovremo scegliere chi intubare”: parla il presidente dei rianimatori / 2. Crisanti a TPI: “A mettere in dubbio il vaccino è il Ceo di Pfizer che vende le sue azioni, non io”/ 3. Esclusivo TPI. Tutti chiusi in casa, ma non l’ordine dei medici di Roma. La denuncia: “Ci sono le elezioni e il presidente vuole far votare 43mila colleghi in presenza”

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Fermate Fontana che vuole revocare la zona rossa alla Lombardia

Niente, non ce la fa il presidente della Lombardia Attilio Fontana a occuparsi dell’amministrazione della sua regione e alla risoluzione dei moltissimi problemi che affliggono la Lombardia. Non riesce ad occuparsi dei tamponi che continuano a essere pochi, non riesce a garantire sicurezza alla popolazione degli ospedali e delle RSA, non riesce a snellire i trasporti pubblici ma continua imperterrito nella sua personale guerra contro il governo in nome della propaganda per fare felice il suo padrone Salvini.

Così ora Fontana preme sull’uscita dalla zona rossa, come primo atto politico, lì dove ieri sono stati accertati 8.448 casi con solo 38.283 tamponi, con i decessi arrivati a 202 in un solo giorno. Con dei numeri così, la preoccupazione di Fontana è solo quella di fare sapere ai suoi cittadini che se fosse per lui aprirebbe un po’, diventerebbe almeno arancione, tanto per potere dare contro al governo nazionale.

“Diciamo che siamo arrivati in cima al plateau, a questa sorta di montagna, adesso siamo in una fase in cui camminiamo in pianura e presto inizierà la discesa”, ha dichiarato Fontana ospite di Mattino 5, ostentando un felicità un po’ fuori luogo di fronte ai numeri che continuano a salire. Ma lui ha insistito: “Il nostro Rt è sceso in maniera sostanziale, tanto che in base ai numeri noi rientreremmo oggi in una zona arancione”, ha detto con la sua faccia da sorniona.

Fa niente che da molte provincie lombarde continuino ad arrivare numeri spaventosi e che il tracciamento ormai sia completamente saltato. No, per Fontana, che sa bene che proprio anche a causa del tracciamento la sua regione si ritrova in zona rossa, “nel momento in cui si superano certi numeri è praticamente impossibile”. Capito? Se qualcosa è impossibile perché non sono stati assunti i tracciatori e perché i numeri ormai sono esplosi secondo il presidente di Regione Lombardia allora di quel dato non bisogna tenere conto.

Sembra di riascoltare le parole di Salvini quando urlava in diretta Facebook “aprite, riaprite tutto!”, solo che questa volta Attilio Fontana ha sulle spalle (e politicamente ha tutta la responsabilità) delle migliaia di contagiati e di morti. Ma la chicca è un’altra: “l’altro aspetto che noi riteniamo fondamentale – ha aggiunto Fontana – è che non si debba guardare ai dati di 15 giorni fa ma si deve fare una previsione di quelli che verranno in futuro”. In sostanza il presidente di Regione Lombardia ci dice che tutto in futuro potrebbe migliorare e quindi sarebbe il caso, ovviamente adesso subito, di aprire. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Leggi anche: 1. Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato (di G. Cavalli) /2. La vergogna del San Raffaele di Milano: con centinaia di morti al giorno sminuisce la pandemia /3. Sanità in Lombardia, minacce di morte all’ex dg Luigi Cajazzo. Pizzul (Pd) esprime solidarietà

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Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

In un Paese normale almeno avrebbe la dignità di rimanere defilato. Alberto Zangrillo, il primario di rianimazione e anestesia del San Raffaele di Milano, continua a imperversare nelle trasmissioni televisive (in cui va per dire che troppi suoi colleghi sono in televisione) e sui giornali: non è bastata la catena di brutte figure che ha inanellato in questi ultimi mesi per consigliargli un po’ di pudore. Non è bastata la sua affermazione mostruosa su un virus “clinicamente morto” e che invece è tornato a imperversare e non è bastata la figuraccia rimediata con Silvio Berlusconi che lui descriveva in “ottima salute” mentre il Cavaliere poco dopo avrebbe raccontato a tutto il Paese le sue “enormi difficoltà”.

Niente, niente di tutto questo. Anzi Zangrillo ora addirittura si supera e esce in prima pagina su Libero (e dove, sennò?) per dare voti agli altri medici. Lui, Zangrillo, che giudica l’operato degli altri. Roba da fantascienza. “Il Sars-Cov2 ha messo in linea di produzione una serie di scienziati privi dei necessari parametri per essere definiti e riconosciuti come tali”, risponde Zangrillo alla domanda di Pietro Senaldi sull’esposizione pubblica di medici in questo ultimo periodo. Zangrillo, che probabilmente pensa di essere un tuttologo, si lancia anche a dare consigli alla stampa, ci dice che “non tornerà l’emergenza di marzo”, ritiene “pericolosi” i tamponi fatti per prevenzione (sarà per questo che il suo ospedale li vende privatamente e dietro un lauto compenso come servizio privato) e ci tiene a precisare che molti dei volti che ascoltiamo non sono virologi: “Guardi che Remuzzi, Gattinoni, Richeldi, Bassetti, Lorini, Ippolito e il sottoscritto non sono virologi”, dice al giornalista. Ce ne eravamo accorti, Zangrillo, ce ne eravamo accorti.

Poi difende i membri del Comitato Tecnico-Scientifico: “Mantengo un rapporto di stima e amicizia con molti membri del CTS. Conosco il valore del lavoro silenzioso a supporto del legislatore. Certe inopportune grida di allarmismo estremo non provengono da lì”. Insomma, Zangrillo ci dice che ci sono troppi medici poco affidabili sui media e sparge giudizi senza nemmeno un briciolo di autocritica e lo fa al suo solito: schiacciando l’occhio ai minimizzatori e pronunciando proprio le parole che servono e che tornano utili a una certa politica. È il solito Zangrillo, quello che ha sempre la frase giusta per sovraesporsi e per esprimere giudizi che spesso hanno poco a che vedere con la sua professione. E Libero, ovviamente ce lo propone in prima pagina. Avanti così.

Leggi anche: 1. “Il Covid era in Italia già a settembre 2019”: la scoperta dell’istituto tumori di Milano / 2. Sanità Calabria, Gino Strada: “Contatti con il Governo. Disponibile, ma chiedo garanzie” / 3. Esclusivo TPI – Calabria, la denuncia dell’ex primario: “Abbiamo un laboratorio per processare i tamponi, ma nessuno ci risponde”

4. Come sarà distribuito il vaccino anti-Covid in Italia? La bozza del piano del Ministero / 5. Sapevate che chi gioca a golf può muoversi liberamente in Italia nonostante il lockdown? / 6. Sassoli: “L’Europa deve cancellare i debiti contratti per il Covid. Il Mes? Così non lo prenderà nessuno”

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Aveva 6 mesi, avete dormito?

Aveva sei mesi. A sei mesi hai una vita davanti, dopo il mare e a sei mesi sei anche ghiotto per farci un articolo di giornale. Ma il naufragio avvenuto l’altro ieri a circa 30 miglia a nord delle coste libiche di Sabratha ha fatto “poca” notizia. Sono subito diventati numeri. Accade così: se non ci sono corpi da fotografare e cadaveri tra i bagnanti la notizia scuote poco poco, interessa agli addetti del settore, dicono così. A proposito che sanno “gli addetti del settore” di 6 persone morte tra cui un bambino di sei mesi? Chi sono gli “addetti del settore”? Le persone, mica solo quelle di buone volontà, la morte di un bambino annegato è un peso anche per le persone di cattiva volontà, gli auguro di sentirlo, gli auguro di non riuscire a disfarsene appena farà capolino.

Si chiamava Joseph e veniva dalla Guinea. Una volta scriverne il nome almeno faceva un certo effetto. Ora nemmeno quello. Scivolano anche i nomi, scivolano le storie, scivola tutto in fondo al mare. Joseph era con più di 100 persone su un gommone stracarico, talmente stracarico, che ha ceduto il pianale. Un abisso che si apre sotto il pavimento. Visto da un aereo di Frontex sono stati salvati dalla nave di Open Arms, le Ong cattive, quelle che l’altro ieri ne hanno salvati 111 che stavano aggrappati ai galleggianti come ci si aggrappa al ciglio di un burrone, con quella paura che è talmente densa da diventare puzza. Voi le avete mai sentite le persone quando puzzano per la paura? È un odore rancido che non si riesce a staccare di dosso.

Articoli su articoli, editoriali su editoriali sui processi (giusti) a un ex ministro che ha lasciato persone a bordo di una nave militare italiana e chi processa chi per un bambino di 6 mesi rinsecchito dal mare? Chi è il colpevole? Chi sono i colpevoli? Dov’è la giusta indignazione? Perché si continua a morire ma non si continua più a raccontare con la stessa virulenza di prima? È una cosa che non mi fa dormire la notte.

A proposito: voi che avete responsabilità sul Mediterraneo e che lasciate intoccabile l’inferno libico avete dormito in queste ultime due notti? Vi siete riposati tra i guanciali del virus che ammorba anche tutto il resto rendendo soffici le tragedie? Siete soddisfatti che sia passato il cattivismo solo perché è cambiata l’aria? Perché il mare continua a uccidere. Annega e se li mangia. E uccide.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

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Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Ma esattamente cosa vuole Attilio Fontana? Qualcuno dovrebbe spiegarcelo. L’ideale sarebbe che ce lo spiegasse lui, ma forse è chiedere troppo a qualcuno che ancora ci deve spiegazioni sulle mancate chiusure in Val Seriana, sull’accordo tra Fondazione San Matteo e Diasorin per i test sierologici e il conseguente divieto imposto a tutti i sindaci del territorio, sui vaccini antinfluenzali ordinati poco e male, sui camici acquistati e poi regalati, sulle cose non fatte finora e su tutto il resto.

Eppure Fontana che si schianta contro il governo nazionale perché la sua Regione è infilata fino al collo nella seconda ondata e si lamenta per un lockdown che viene richiesto praticamente da tutta la comunità scientifica è qualcosa che sfocia nell’insondabile, nel magico. Si tratta del presidente di quella stessa Regione che ha ormai perso qualsiasi possibilità di tracciamento, qui dove – come già a marzo – accade che si aspetti un tampone che non arriva mai, qui dove ormai sono saltati anche i tamponi a rapporti stretti di chi è risultato positivo al virus, qui dove anche gli ospedali ormai sono in situazione critiche e lavorano in situazioni critiche, qui dove le RSA sono ancora sotto assedio anche alla seconda ondata.

Esattamente Fontana che vuole? Vorrebbe tenere aperto? No, pare di no, oppure non ha il coraggio di dirlo chiaramente. Vorrebbe, questo l’ha detto bene, che chiudessero anche gli altri. E perché? Anche questo non si capisce, è di difficile comprensione. E perché Fontana non risponde a tutti gli errori commessi fin qui? Perché non ci spiega come abbia potuto accadere che siano state pubblicate solo da pochi giorni le gare per assumere medici e infermieri che mancano? Perché non ci spiega come mai sia saltata la medicina di base che avrebbe dovuto essere il primo argine contro il virus? Perché non ci dice e non ci risponde sulla disastrosa situazione dei mezzi pubblici?

“È un dato di fatto. Ma ciò non toglie che per la Lombardia, dati alla mano, il lockdown deciso ieri dal premier Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza sia necessario. Il problema semmai è che è in ritardo di due settimane”, dice oggi il dirigente dell’Ats Milano Vittorio Demicheli. Fontana era lo stesso che si lamentava con Conte perché non chiudeva. E ora? Cosa è cambiato? Scorrete le sue dichiarazioni e vi accorgerete che il presidente della Lombardia ha un solo interesse: andare contro il governo nazionale. Solo quello. Solo propaganda.

Leggi anche: 1. Il Covid e lo spaventoso aumento dei casi di usura: quel dramma nascosto di cui nessuno parla / 2. Dpcm, ecco la suddivisione delle Regioni in zona rossa, arancione e gialla / 3. Nuovo Dpcm, Conte: “Il virus corre forte, dobbiamo intervenire. Italia divisa in tre aree di rischio, regole in vigore da venerdì”

4. Covid, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Sono positiva ma non ho sintomi” / 5. Covid, zone rosse, arancioni e gialle: cosa si può fare dopo il nuovo Dpcm / 6. Covid, una nuova variante del virus è responsabile della seconda ondata europea: “Partita dalla Spagna in estate”

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Dopo carabiniere e vigile del fuoco, Salvini fa il virologo e invoca un farmaco anti-Covid. Ma Burioni lo zittisce

Salvini invoca rimedi al Covid, Burioni lo zittisce

Una delle cose che ci ricorderemo di questa pandemia quando (speriamo il prima possibile) sarà finita saranno i politici che non conoscendo nemmeno il principio attivo della Tachipirina hanno dispensato all’AIFA e alla comunità scientifica consigli medici su come affrontare la pandemia. E, badate bene, lo fanno senza avere nemmeno il minimo dubbio, con la sicumera dell’ignorante che ha il dono della superficialità senza fare i conti con la complessità. E così mentre la scienza si nutre dei suoi dubbi (che sono, come in tutti i campi, le condizioni per evolversi) i politici del mondo insistono nello sventolare questo o quel farmaco come soluzione definitiva.

Curioso poi che le soluzioni mediche siano riferibili a una parte politica specifica: solo questo dà l’idea della povertà culturale. Da Bolsonaro a Trump è tutto un fioccare di soluzione fai da te che dovrebbero essere miracolose e che conoscono solo loro, come se salvare le vite non fosse un obbiettivo generale (e in effetti i negazionisti si nutrono proprio di questo) e così oggi si sveglia Salvini che in calo di consensi prova a fotocopiare in modo sbiadito i suoi miti internazionali (a partire dal presidente USA) e sui suoi profili social, come se fosse un gioco per bambini propone la soluzione: “l’Agenzia italiana del farmaco deve riattivare il protocollo di cura domiciliare con l’utilizzo di idrossiclorochina o antinfiammatori idonei sospeso il 26 maggio scorso. Si tratta di farmaci che possono agire efficacemente contro il Covid, evitando il ricovero nella stragrande maggioranza dei casi. Il governo non può perdere più tempo. Inoltre, che fine ha fatto la cura al plasma iperimmune? La burocrazia sta rallentando tutto e umiliando il lavoro di medici come il professor De Donno”, scrive Salvini.

Tra i primi a riprenderlo interviene il virologo Roberto Burioni: “Segnalo all’On. Salvini che le evidenze scientifiche sono concordi nel dimostrare la NON EFFICACIA della idrossiclorochina nella cura di COVID-19 e che non esistono prove solide (nonostante studi internazionali su decine di migliaia di pazienti) riguardo all’efficacia del plasma iperimmune”. Siamo ancora qui: ai virologi e i farmaci usati come strumento di battaglia politica mentre un Paese intero si ritrova destabilizzato da ciò che accade e da quello che potrebbe accadere. Senza rendersi conto della pericolosità e dell’irresponsabilità di tutto questo.

Leggi anche:1. La mega-truffa dei finti tamponi in Campania. L’audio shock: “Che me ne fotte se i test sono falsati”; // 2. In Italia servono medici specialisti, ma la graduatoria è bloccata: “Ritardo grava su ospedali”; // 3. La videolettera di Riccardo Bocca: “Caro Conte, le non decisioni fanno calare il consenso”; // 4. Reportage TPI – Roma, Pronto Soccorso bloccati dal virus: “Qui la situazione è già esplosa. Chiuderemo gli ospedali, sarà tutto Covid”

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Coprifuoco, Conte scarica la responsabilità sui sindaci, poi ci ripensa: chi decide la chiusura delle piazze?

Partiamo da un punto fermo: la situazione è difficile, mancano spesso i mezzi e gli uomini e ha fallito un po’ dappertutto la programmazione. Il gioco delle responsabilità è piuttosto complesso: le Regioni spesso non hanno mantenuto le promesse e si sono sottrate alle loro responsabilità, una certa leggerezza è stata pericolosamente sventolata da illustri medici e da opinionisti oltre che da leader dell’opposizione e la mediazione per qualsiasi provvedimento è sempre più difficile, ognuno con le sue priorità e tutto è in bilico tra il salvare i redditi e l’economia e preservare la salute.

Il governo Conte non si ritrova sicuramente in una situazione facile e i cittadini non sono più disposti, come accadeva a marzo, ad ascoltare buoni buoni le raccomandazioni del presidente del Consiglio come si ascolta un buon padre di famiglia. Pretendono risposte, chiarimenti, dati, numeri, analisi. Se si decide di bloccare un’attività rispetto a un’altra forse sarebbe il caso di sapere (e spiegare) il reale impatto che ha nella diffusione del virus, altrimenti resta la sensazione che tutto sia affidato a un esperimento continuo, come se questi mesi non ci avessero insegnato niente.

Però ieri Conte nella sua conferenza stampa ha compiuto un errore che è sintomatico del clima di incertezza, parlando chiaramente di “responsabilità dei sindaci” nel chiudere vie o piazze che potrebbero essere occasione di assembramento. Il proposito in sé ha le sue ragioni, sentiamo da anni ripetere che gli amministratori locali sono tutti bravi, efficienti, conoscono il territorio e chi meglio di loro potrebbe avere contezza di ciò che accade nelle loro città. Ma se decidi di responsabilizzare i sindaci e gli chiedi di farlo senza dare i mezzi diventa tutto molto complicato.

Solo per fare un esempio: per chiudere una piazza con cinque vie d’accesso (lo faceva notare ieri anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori) servono almeno dieci agenti. 10 agenti per una piazza. Chi li ha? Dice Conte che bisogna concedere l’accesso ai residenti e ai clienti degli esercizi commerciali: chi controlla? A Palazzo Chigi si sono accorti dell’errore e il riferimento ai sindaci sparisce dal Dpcm. Bene, sorge quindi subito l’altra domanda? Chi se ne deve occupare? Il Prefetto? Le Regioni? Chi? E poi si torna al punto di partenza: chiunque sia a doversene occupare con quali uomini e con quali mezzi? Il “federalismo delle responsabilità” che apre questo Decreto rischia di aumentare la confusione, ancora di più. E “decidere di lasciare decidere” alimenta ancora di più il caos.

Leggi anche: 1. Nuovo Dpcm, tutte le misure: cosa si può fare e cosa no da oggi / 2. La svolta del premier Conte: “Non voglio sentir parlare di lockdown” / 3. Crisanti: “Lockdown prima di Natale. Ero stato troppo ottimista”

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