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A Roma chiudere l’ufficio rom, intanto.

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A proposito degli arresti di oggi a Roma vale la pena leggere l’intervento di Claudio Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio:

«La prima volta che ho incontrato Virginia Raggi è stato in una giornata di fine estate del 2013 quando, come consigliera comunale, mi chiese di organizzare una visita presso alcune baraccopoli della Capitale. Da alcuni giorni donne e bambini rom vagavano lungo le strade di Tor Sapienza dopo il primo sgombero organizzato dalla Giunta Marino, che aveva messo per strada 35 famiglie in precedenza scappate da Castel Romano. Andammo da loro e per strada, sotto un telone di nylon, ascoltammo le loro storie di persone alle quali le ruspe comunali, oltre alla abitazioni, avevano abbattuto i diritti fondamentali. Virginia pianse.

Poi, sulla strada del ritorno, passammo a visitare una famiglia nella baraccopoli di Salone. Ad accoglierci fu Maria che ci parlò dei suoi quattro figli, del marito incensurato che non ce la faceva più a raccogliere ferro, della dermatite dovuta all’ansia che le aveva macchiato il volto e le braccia. Fu una visita breve ma intensa. Al ritorno in macchina le solite frasi di rito, dettate dalla rabbia e dalla frustrazione: «Questi campi non devono più esistere. Dobbiamo fare qualcosa!»

Oggi Virginia Raggi – che da quel giorno ho incontrato più volte nel tentativo di trovare insieme risposte al superamento delle baraccopoli – è diventata sindaco e quel «Dobbiamo fare qualcosa!» assume un valore diverso perché entra nella sfera della possibilità concreta. Ma per farlo occorre seguire un ordine di priorità chiaro e definito anche se, dopo gli arresti delle ultime ore, una cosa è urgente realizzare: chiudere l’Ufficio Rom del Comune di Roma, da vent’anni chiamato a gestire la vita all’interno dei cosiddetti “campi nomadi” della Capitale.

Non sarà una cosa facile! Si tratta di rimuovere dirigenti, funzionari delle forze dell’ordine, assistenti sociali, sedicenti “rappresentanti rom” direttamente o indirettamente collusi con un sistema dove scorrono mazzette, dove si parla il linguaggio del sopruso, dove la corruzione è sempre presente dietro l’angolo. Lo denunciamo senza mezzi termini da anni: c’è una massa cancerogena all’interno dell’amministrazione capitolina, che va estirpata alla radice perché con la sua presenza sarebbe garantito il fallimento di ogni intervento di discontinuità. La prima volta che lanciai questa raccomandazione fu nel corso di un convegno in Campidoglio, alla presenza dell’assessore di turno. Seguì un lungo brusio che tagliava un’aria pesante. Due mesi dopo la Guardia di finanza perquisì gli uffici dell’assessorato ed eseguì un arresto.

Quando scrivo di “massa cancerogena” mi riferisco a persone in carne ed ossa che da Veltroni ad oggi, passando per Alemanno, Marino e due commissari straordinari, sono sempre rimasti al loro posto, tra sgomberi, trasferimenti forzati, aperture e chiusure di nuove baraccopoli, incontri istituzionali, convegni,… Le stesse che in questi anni, la mattina operano sgomberi forzati a braccetto con i “capi rom” consenzienti, all’ora di pranzo li ritrovi dietro una scrivania degli uffici comunali, alla sera li incontri in un aperitivo a conversare con rappresentanti istituzionali o di organizzazioni che operano nel sociale. Tutto intorno a loro è cambiato ma loro sono sempre rimasti al loro posto, come pedine di una partita dove chi vince sono i furbi e i perdenti sono i cittadini rimasti indietro. Perché anche a questo servono i “campi rom” della Capitale: ad acquisire potere e ad accumulare fortune. E da questi Virginia Raggi dovrà ripartire da subito per dare un segnale di legalità e di rispetto dei diritti perché è davvero giunto il momento nel quale «Dobbiamo fare qualcosa!».

Tomaso Montanari: «Perché ho detto no a Virginia Raggi (e perché la voterei)»

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di Tomaso Montanari

Seppur a malincuore ho deciso di non accettare la proposta di Virginia Raggi di diventare (in caso di una sua vittoria al ballottaggio di domenica prossima) assessore alla Cultura di Roma. Ci ho pensato a lungo: per me, che mi occupo della storia dell’arte di Roma e che sono profondamente convinto della centralità della cultura nella vita democratica, sarebbe stata una straordinaria sfida professionale.

Ma governare una città non è solo una questione professionale. Per farlo davvero bene – specialmente nella cultura – non si può essere capitani di ventura, o tecnici vaganti: bisogna essere un membro stabile di quella comunità. È necessario essere parte di quel popolo, sentirsi esistenzialmente radicato a quelle pietre. Io non sono romano e non vivo a Roma: e in Italia come in pochi altri paesi il legame con la nostra città è viscerale, carnale. È un’appartenenza biunivoca: la nostra città ci appartiene, ma anche noi le apparteniamo.

Dunque, questa non è la mia partita. Ma vorrei sottolineare il valore politico della proposta di Virginia Raggi. Mi riconosco nei valori della Sinistra. Non ho mai votato Cinque Stelle, e se avessi votato a Roma, al primo turno avrei votato per Stefano Fassina.

Ma è un dato di fatto che in questi anni, nelle tante battaglie per la difesa dell’ambiente, del territorio e del patrimonio culturale, ho sempre trovato dall’altra parte della barricata un sindaco o un presidente di regione del Pd o di Forza Italia (purtroppo spesso indistinguibili). E, invece, dalla mia parte e senza che li cercassi, c’erano immancabilmente i cittadini che si riconoscono nel Movimento Cinque Stelle. È da questa oggettiva convergenza su alcuni valori, è da ciò che ho scritto nei miei libri, che è nata l’idea di rivolgersi a me. Ed è per lo stesso motivo che la Raggi ha scelto come assessore all’urbanistica Paolo Berdini: uno degli eredi diretti di Antonio Cederna, inflessibile avversario degli eterni palazzinari romani, editorialista del Manifesto e indiscutibilmente di sinistra.

Ora, io credo che questa apertura del Movimento Cinque Stelle verso alcuni dei valori costituzionali cari alla storia della Sinistra italiana sia da salutare come un fatto assai positivo.

Quando più di un romano su tre vota per i Cinque Stelle – con percentuali assai alte tra i più giovani e altissime nelle periferie – diventa evidente che non si tratta più di un voto di protesta, ma di una richiesta (quasi di un’implorazione) di governo.

Mi pare indispensabile che ora i Cinque Stelle accelerino la loro evoluzione: vanno superati al più presto il ruolo incongruo di Beppe Grillo, l’inquietante dinastia proprietaria dei Casaleggio, le inaccettabili posizioni sui migranti, sul cammino dell’Unione Europea e su altre questioni cruciali. Se questo processo continuerà sarà un bene per l’intera democrazia italiana: che rischia di bloccarsi sul mantra dell’assenza di alternative al Pd di Matteo Renzi.

Sono tra i molti che credono che Renzi stia spostando la politica del Pd ben più a destra dell’imperante moderatismo liberista europeo: ne sono segni inequivocabili una politica insostenibile per l’ambiente e il territorio, una inaccettabile mercatizzazione della scuola e della cultura, la contrazione dei diritti dei lavoratori e soprattutto una caotica quanto pericolosa manomissione della Costituzione, accompagnata da una legge elettorale programmaticamente non rappresentativa, e sostanzialmente antidemocratica.

Se la sinistra radicale non riesce, con ogni evidenza, a rispondere a tutto questo, è impossibile non riconoscere che i Cinque Stelle (occupando di fatto lo spazio che in Spagna è stato conquistato da Podemos) stanno invece aprendo nuovi spazi di cittadinanza: suscitando partecipazione almeno quanto questo Pd sembra invece puntare, irresponsabilmente, sull’astensione.

Se votassi a Roma, al secondo turno sceglierei dunque la Raggi, anche perché (nonostante l’evidente probità di Roberto Giachetti) è vitale – dopo l’impressionante disastro consociativo – che sul Campidoglio tiri un’aria radicalmente nuova.

Se poi quest’aria riuscirà a costruire una alternativa nazionale ispirata ad un riformismo radicale, e se lo farà aprendosi a valori e personalità della sinistra, il Paese non avrà che da guadagnarci.