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vita sociale

Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente?

L’argomento è terribilmente scivoloso e si gioca su un filo poiché la tossica presenza di no vax e di strillatori che vedono “dittatura sanitaria” dappertutto rende difficile avventurarsi in questa selva però ci provo, perché appiattirsi in nome della paura è uno stato sociale che dovremmo comunque cercare di evitare, perché se per cautela e protezione ci sono limitati i movimenti non si vede perché dovrebbero essere smussate anche le opinioni.

Da un anno abbiamo imparato a nostre spese che il virus che sta condizionando il mondo si combatte modificando i nostri comportamenti, usando dispositivi e cautele e adottando distanze fisiche (perché “distanziamento sociale” era e continua a essere una pessima definizione) che aiutano nella prevenzione del contagio.

Un anno fa abbiamo scelto che la nostra vita sociale e professionale venisse messa in pausa confidando che venissero prese tutte le iniziative utili per predisporre il contrasto: tamponi, tracciamento, trattamento sanitario, potenziamento del trasporto pubblico, rafforzamento della medicina di base, approntamento della campagna vaccinale, messa in sicurezza di scuole e di uffici, controllo serrato dei protocolli negli ambienti di svago e di lavoro.

Alcuni di questi punti sono stati disattesi o affrontati con forze inadeguate. Ma non è questo il punto, ora non si discute delle responsabilità. Un anno dopo ci ritroviamo in una situazione non molto dissimile dal primo lockdown: ospedali in sofferenza, i vaccini mancano, i contagi crescono e le nuove varianti colpiscono nuove fasce di popolazione.

La strategia del governo però appare sempre la stessa: libertà di movimento per quel movimento che serve appena per spostarsi nei luoghi di lavoro e per gli approvvigionamenti che servono per sopravvivere. Le ultime voci parlano di un lockdown “morbido” durante la settimana e di un pugno più duro durante il week-end. Per semplificare: lavorate, consumate e poi, solo poi, proteggetevi. Il modello è “produci, consuma, crepa”.

Decidere cosa chiudere e cosa tenere aperto significa comunque proporre un modello di priorità. Siamo sicuri che queste priorità non possano essere messe in discussione? C’è qualcuno che abbia l’autorità politica di aprire una riflessione sul disegno di Paese in piena pandemia? È possibile contestarne il modello? Davvero vogliamo lasciare tutto lo spazio delle critiche ai populisti destrorsi e ai complottisti? Perché forse ci farebbe bene a tutti pensare alle priorità di un Paese, anche in piena pandemia.

Leggi anche: Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Avanzi di Gallera

La Lombardia in zona rossa sulla base di dati sbagliati inviati all’Istituto superiore di sanità dalla Regione stessa. Fontana e Moratti scaricano le colpe sul governo. Dopo l’addio dell’ex assessore al Welfare, bisogna fare i conti con ciò che ha lasciato: il suo presidente, la sua sostituta e un Ente ormai completamente allo sbando

In Lombardia non bisogna mai correre il rischio di pensare che peggio di così non potrebbe andare perché ci si imbatte sempre in una delusione cocente, in quella terribile sensazione per cui gli uomini al governo della Lombardia (quelli che Salvini e compagnia cantante ci porgono tutti i giorni come alti esempi di ottima amministrazione) riescono sempre a toccare il fondo, poi scavare, poi scavare e poi scavare ancora.

Facciamo un salto indietro: il 17 gennaio la Lombardia è una delle poche regioni che viene indicata come “zona rossa”, ovvero una regione ad alto rischio di contagio dove devono essere prese misure molto stringenti che impattano enormemente sulla vita dei suoi cittadini e delle sue attività economiche. Badate bene: la decisione del governo viene presa sulla base dei dati che Fontana, Letizia Moratti e i tecnici regionali mandano regolarmente al ministero. I dati dalla regione sono stati consegnati il 13 gennaio e infatti non è un caso che se sfogliate i giornali di quei giorni potrete incrociare un Fontana contritissimo che avvisa tutti che si finirà in zona rossa e che bisogna stare attenti. Poi, per il solito gioco della propaganda e del rimpiattino con il governo, accade che Fontana si dica costernato e stupito della decisione del governo. In sostanza si è stupito di quello che egli stesso pensava fino a poche ore prima. E già fin qui la vicenda rasenta una tragica irresponsabilità. Fontana fa ricorso al Tar. Letizia Moratti si lancia a dire: «La Lombardia non merita la zona rossa. Indubbiamente il rischio per la regione è di fermarsi, di fermare il lavoro, le attività e la vita sociale. Per questo con il presidente Fontana abbiamo ritenuto di voler presentare un ricorso, per uscire dalla zona rossa».

Attenzione al capolavoro. Il 20 gennaio la Regione Lombardia invia nuovi dati e sono molto diversi rispetto ai dati precedenti. In sostanza si smentiscono. E si scopre che la Lombardia sulla base dei nuovi numeri avrebbe dovuto essere zona arancione. Il ministero della Salute spiega molto chiaramente che a falsare il calcolo dell’Rt sono stati numeri parziali inviati dalla Regione. In base all’aggiornamento del 20 gennaio, i casi sintomatici che hanno sviluppato dei sintomi – cioè un dato fondamentale per calcolare l’Rt – fra il 15 e  il 30 dicembre non erano più 14.180 come segnalato il 13 gennaio, bensì 4.918, quasi tre volte di meno. In Lombardia, dopo avere fatto la figura di quelli che non sanno nemmeno fare da conto, si scatenano. Fontana dice: «A Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze», Moratti rincalza dicendo: «Nessuna rettifica, a seguito di un approfondimento relativo all’algoritmo dell’Iss, abbiamo inviato la rivalorizzazione dei dati». Rivalorizzare un numero significa averlo sbagliato, l’elegante Moratti però lo dice con una perifrasi che vorrebbe nascondere l’errore.

All’Istituto Superiore della Sanità rispondono chiaramente: «L’algoritmo è corretto, da aprile non è mai cambiato ed è uguale per tutte le Regioni che lo hanno utilizzato finora senza alcun problema – scrive l’Iss -. Questo algoritmo e le modalità di calcolo dell’Rt sono state spiegate in dettaglio a tutti i referenti regionali perché lo potessero calcolare e potessero verificare da soli le stime che noi produciamo, ed è perciò accessibile a tutti». In sostanza: siete voi che non sapete fare i calcoli. È anzi l’Iss a sottolineare come l’anomalia sia stata fatta notare più volte a Regione Lombardia.

Salvini chiede le dimissioni dei responsabili. In sostanza sta chiedendo le dimissioni del suo presidente Fontana, quindi. Roba da teatro dell’assurdo. Secondo alcune stime il danno per i circa 10mila negozianti costretti a chiudere domenica 17 gennaio sono stati di circa 485 milioni di euro solo a Milano tra abbigliamento e pubblici esercizi secondo Confcommercio. Immaginate i totali di tutta la regione. E in più ci sono le scuole, le persone. Roba gravissima.

Ecco, se pensavate che l’addio di Gallera fosse una buona notizia non avete fatto i conti con gli avanzi che Gallera ha lasciato: il suo presidente, la sua sostituta e una Regione ormai completamente allo sbando. In sostanza questi hanno ricorso al Tar contro se stessi. E ora fanno i pesci in barile scaricando le colpe sul governo. Ah, a proposito: come ultima dichiarazione ieri Fontana ha detto che «forse non è colpa di nessuno».

Bravi, bene, bis.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Tutto il resto, da questo momento e per sempre, io lo spengo.

motivi-spegnere-la-televisione-effetti-negativiE spesso mi capita di sentirmi urtata da ciò che leggo.
Politici concentrati sulle liste e nemmeno lì sanno dare un segnale di cambiamento.
Politici che parlano a vanvera di cose che non conoscono.
Politici che non hanno la minima idea di cosa significhi andare a dormire con la spada di Damocle , che pende inesorabile sulla testa, di un mutuo o di un affitto che non si riuscirà a pagare.
Politici che non sanno niente della vita che si svolge fuori dai Palazzi perché altrimenti parlerebbero di lavoro, andrebbero nelle ditte con gli operai, penserebbero a ridurre tutte le spese inutili e non lascerebbero morire un paese sotto il peso delle spese militari o di altri sprechi di cui sentiamo parlare ogni giorno.
Quella che vedo non è politica come non reputo giornalismo quello che ancora gli da spazio.
Per questo anche stasera il mio televisore rimarrà spento, perché la mia vita non ruota intorno a quella di un megalomane, non ruota intorno a chi lo vede ancora come avversario e si concentra su questo piuttosto che mettere in atto proposte concrete.
La mia vita ruota intorno a bollette da pagare, un lavoro da salvare.
La mia vita ruota intorno alle persone, quelle che conducono un’ esistenza reale.

Tutto il resto, da questo momento e per sempre, io lo spengo.

Il post su lamartocchia mi è stato segnalato via twitter da Marta ed è il sentire comune che si ascolta per strada e tra gli amici. Ma soprattutto è l’orlo che sarebbe il caso di cominciare a riconoscere (e rispettare) il prima possibile.

Perché abbiamo chiesto la partecipazione dei civilissimi elettori per le primarie nazionali, per le liste locali e per le decisioni politiche in questi ultimi mesi. Abbiamo chiesto di entrare nella vita politica attivamente e ora ci si chiede quando la politica attivamente possa ascoltare la richiesta di entrare nella vita sociale. Perché una nuova composizione delle liste funziona se cambiano (e si evolvono) i processi di ascolto i ruoli attivi dei partiti. Perché ora è il caso di mollare le segreterie e la modulistica e provare a chiedere in piazza o sui piazzali delle fabbriche cosa è mancato in questi ultimi anni e cosa serve nella prossima Italia e nella prossima Lombardia. Perché sarebbe ora di iniziare la campagna elettorale comune (e la politica comune soltanto può occuparsi dei beni comuni) smettendo di coltivare diffuse campagne elettorali personali. Perché il privilegio peggiore che la politica si è concessa (e abbiamo concesso alla politica) è quello di essere scollegata, fuori, altro e quindi inevitabilmente spenta.

Magari questa sera dedicarla a qualche riunione di quartiere piuttosto che guardare la preistoria in prima serata.

Glocali per superare la Lega

A differenza del localismo di stampo leghista questa attenzione alle identità locali è aperta allo scambio, anzi vuole mettersi in relazione con tutte le altre: della città, del Paese, dell’Europa, del mondo. Si definisce non solo attraverso la storia e la memoria (il “come eravamo”) ma attraverso le trasformazioni sociali di cui è il risultato, perché in ogni momento l’identità di un luogo, di una comunità, di un popolo è provvisoria e dinamica. Ed è inclusiva: pretende riconoscimento reciproco, rispetto e dignità per ogni membro della comunità, e considera gli immigrati nuovi cittadini che concorrono alla nostra vita sociale e alla nostra ricchezza materiale e culturale. Fa piacere leggere cose così.