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Novembre 2009

Ascolta si fa serio

Dopo il modello di teatro civile “alla Paolini”, oggi il concetto comprende esperienze e modalità espressive diverse. Roberto Saviano, Giulio Cavalli, Belarus Free Theatre, tre esperienze accomunate dal fatto di rinunciare in vario modo alla raffinatezza dello stile per puntare all’evidenza dei contenuti

Della definizione di “teatro civile” si è a tal punto abusato da farla diventare vagamente stucchevole: ed è un vero peccato, perché questa categoria espressiva, che ha di per sé delle risonanze intellettualmente nobili – un’idea antica di polis, di collettività che si raccoglie attorno ai propri riti comunicativi – contiene al suo interno una varietà di forme e di stili diversi, una vasta gamma di possibili e spesso affascinanti declinazioni. C’è un teatro civile praticato da un solo attore monologante e c’è un teatro civile proposto da interi gruppi, c’è un teatro civile incentrato sul puro racconto e c’è un teatro civile che rappresenta delle vicende di senso compiuto costruite su dialoghi, azioni, personaggi.

Anni fa, dopo il successo del Vajont, si era imposta diffusamente – grazie anche alla bravura e al carisma del suo principale interprete – la tipologia preponderante della narrazione “alla Paolini”, che in qualche modo aveva finito per imporre uno schema, un modello costante che aveva dei ritmi, delle intonazioni, degli argomenti quasi fissi a cui ispirarsi: ed è stato quel modello che a un certo punto, applicato da troppi volonterosi epigoni, ha finito col diventare fatalmente ripetitivo, saturando il mercato. Oggi il concetto, per fortuna, si è esteso, comprende esperienze e modalità espressive diverse, unicamente accomunate dal fatto di rinunciare in vario modo alla raffinatezza dello stile per puntare soprattutto all’immediatezza, all’evidenza dei contenuti.

Così, in virtù di questa ritrovata energia creativa, il cosiddetto teatro civile – nelle sue molteplici articolazioni – sta vivendo un momento di grande vitalità, con un gran numero di proposte che lasciano il segno. Ed è un bene che sia così: non perché l’altro teatro, quello dotato di una più ambiziosa costruzione registica e drammaturgica, abbia in sé qualcosa di sbagliato, anzi anch’esso sta sempre più eliminando gli orpelli, riducendosi all’essenziale, ma perché il confronto, la dialettica tra questi due poli opposti del linguaggio scenico li stimola e li arricchisce entrambi. E il pubblico, in questo momento, ha bisogno tanto di suggestioni artistiche quanto di momenti di più ampia riflessione.

Lo si è colto, ad esempio, dalla prolungata standing ovation che ha accolto, al Teatro Studio di Milano, La bellezza e l’inferno, lo spettacolo scritto e interpretato da Roberto Saviano, e prodotto dal Piccolo Teatro. In senso stretto, si tratta di un teatro civile sui generis, perché l’autore di Gomorra, con una scelta che fa altamente onore al suo bisogno di non irrigidirsi in un cliché ormai scontato – di camorra e malavita organizzata parla di fatto pochissimo, e preferisce illustrare il destino di una serie di personaggi che hanno superato e vinto l’inferno di estreme difficoltà fisiche, psicologiche o ambientali in virtù della loro fede nella bellezza della vita, nella pienezza della creazione artistica, nella necessità di testimoniare una condizione di sofferenza e di disagio dei propri simili o del proprio popolo.

Sfiorando il tema delle cosche soltanto a proposito della comunità nigeriana di Castelvolturno, che ha osato sfidare la violenza dei boss con molta più determinazione di quanto non abbia fatto la cittadinanza locale, lo spettacolo – costruito su articoli e interventi vari dello stesso Saviano – si sofferma dunque soprattutto sui casi esemplari di due ragazze iraniane – Neda Soltani e Tarameh Moussavi – che hanno subito una fine atroce in nome della possibilità di esprimere le proprie idee, dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa, ucciso in quanto oppositore del governo e delle multinazionali del petrolio, di un altro scrittore, l’amatissimo Varlam Salamov, sopravvissuto ai gulag staliniani, del calciatore Leo Messi, divenuto un campione a dispetto di una grave forma di nanismo, del pianista jazz Michel Petrucciani, che non ha lesinato il proprio talento malgrado una malformazione che rendeva le sue ossa fragili come vetro.

Saviano, diretto con mano leggera da Serena Sinigaglia, dimostra davvero un’insolita misura: non fa il divo, non si atteggia a tribuno, non cerca a tutti i costi di commuovere, di indignare, di suscitare la reazione più viscerale dello spettatore. Si limita a raccontare delle toccanti storie umane, ragionando su di esse pacatamente, lucidamente, sentitamente, senza inseguire l’attualità più sfacciata, senza sfoggiare proteste o recriminazioni. Persino quando, a titolo dimostrativo, fa girare in platea un autentico Kalashnikov, l’arma preferita da killer e terroristi, invitando gli astanti a passarselo di mano in mano, non compie un gesto retorico, non sembra cercare il facile effetto emotivo, come altri farebbero, ma punta semplicemente sulla scarna, oggettiva eloquenza di quella spietata macchina di morte.

Il suo modo di porsi, ovviamente, non è quello di un attore professionista, e si vede da certe piccole incertezze, da certi impercettibili espedienti per riprendere fiato e ritrovare di volta in volta il filo del discorso. Ma l’intensità dello sguardo che egli posa sulle persone e sulle cose non richiede una tecnica particolare: anzi, la naturalezza, l’assoluta assenza di artificio recitativo conferiscono alle sue parole un’ulteriore carica di autenticità, uno spessore di verità che diventa a tratti abbacinante. A garantire la profondità di questa esigenza di interloquire, ove mai ce ne fosse bisogno, c’è la presenza della scorta che deve accompagnarlo fino in palcoscenico. Si torna a casa, dopo averlo visto, con un inusitato senso di commozione e arricchimento (al Teatro Grassi di Milano dal 16 al 20 febbraio).

Un altro attore costretto a esibirsi sotto scorta è Giulio Cavalli, che però ha uno stile e delle finalità completamente diversi. Poco più che trentenne, dotato di una formazione tradizionale e di un’iniziale inclinazione “giullaresca”, forse mediata dal modello di Dario Fo, da un paio d’anni Cavalli persegue un teatro di informazione e di denuncia, che è passato attraverso lo svelamento dei retroscena del disastro di Linate del 2001 e il tema spinoso della pedofilia e del turismo sessuale per approdare, da qualche tempo a questa parte, a un impegno costante ed esclusivo nell’analisi del fenomeno mafioso e della sua penetrazione nel tessuto economico nazionale.

In un certo senso Cavalli, che dirige il Teatro Nebiolo di Tavazzano – una sala del territorio lodigiano trasformata in un centro dello spettacolo di narrazione e documentazione, dove sta anche nascendo un archivio di testi e di copioni – incarna l’evoluzione più recente e più radicale di questo genere di esperienze: il suo lavoro, più vicino alle inchieste della stampa che agli slanci dell’invenzione artistica, avviene a stretto contatto con giornalisti e magistrati, del cui operato è in qualche modo un sostegno e una prosecuzione. Non a caso il suo ultimo spettacolo, A cento passi dal Duomo, ricavato da un saggio di Gianni Barbacetto e presentato poche settimane fa al Teatro della Cooperativa di Milano, è interamente dedicato alle infiltrazioni dei padrini nei progetti per l’Expo del 2015, e in altre mille attività del capoluogo lombardo e dintorni.

Quello di Giulio Cavalli è un teatro dal severo taglio militante, senza mediazioni o concessioni all’intrattenimento. Esso si basa unicamente sulla nuda cronaca, su un’incalzante concatenazione di avvenimenti loschi e sanguinosi che attraversano la nostra storia da una trentina d’anni a questa parte, dall’assassinio di Giorgio Ambrosoli in poi, e non lascia certo spazio a quel tanto di sentimenti personali – come il tifo adolescenziale per le prodezze di Maradona – che comunque Saviano porta in luce. Il suo scopo non è di suscitare un atteggiamento dialettico, ma di togliere il fiato all’ascoltatore. Se ne esce sgomenti, profondamente impressionati. L’attore manipola con sapienza la sua materia, fa collegamenti, trae conclusioni, lascia in sospeso qualche ipotesi più o meno arbitraria: ma poco importa, fosse vera anche solo la metà di ciò che dice, ci sarebbe veramente da aver paura (il 7 novembre a Bolzano, il 12 novembre a Como, il 19 novembre a Varese).

Ancora diversa è l’idea di teatro civile messa in mostra dal Belarus Free Theatre, un gruppo di attivisti bielorussi che vanno in scena unicamente per far conoscere la drammatica mancanza di libertà e democrazia che affligge il loro Paese: in Discover love, lo spettacolo che ho visto al festival “Vie” di Modena, ad esempio, si occupa della piaga degli omicidi politici e dei sequestri di persona misteriosamente orchestrati dal regime. Non c’è traccia di finezze o abbellimenti in questo impianto narrativo che va dritto al cuore del problema: la vicenda, ispirata a un episodio realmente accaduto, procede lungo il filo del racconto con cui la moglie di una vittima eccellente, l’ex capo del comitato elettorale, Anatoly Krasovski, sequestrato e barbaramente ucciso nel 2000, ricostruisce la sorte del marito.

Lo spettacolo, realizzato con mezzi davvero poveri, ha l’andamento di una romantica storia d’amore: si parte dall’infanzia della donna, un’infanzia simile a tante altre, sul cui sfondo si avvertono però, come attutiti, i segni di un potere cupo, autoritario, si prosegue con l’incontro che segna la sua esistenza, preludio a un matrimonio felice e appassionato. Poi, all’improvviso, il brutale epilogo: una notte l’uomo – insieme con l’amico che lo stava accompagnando – viene inghiottito dal nulla, e su di loro calerà un’invalicabile cortina di silenzio. Diventeranno due nomi in più da aggiungere a una lunga lista di cittadini rapiti e scomparsi, per i quali è in corso una campagna dell’Unione Europea, cui il Belarus contribuisce con le proprie rappresentazioni.
Raramente, credo, mi era capitato di vedere un apparato teatrale così ingenuo e dimesso, così assolutamente ridotto ai minimi termini: la scenografia è di una semplicità disarmante, la recitazione un po’ sommaria, e non c’è margine per una qualsiasi sottigliezza d’invenzione: tutto è spoglio, tutto è focalizzato esclusivamente sull’urgenza di comunicare. Ma è chiaro dall’inizio che questo prevalere del contenuto sulla forma non toglie niente all’efficacia del messaggio, anzi lo rende ancora più vibrante.

La rinuncia alla pura dimensione estetica è compensata dallo struggente bisogno di far sentire la propria voce, l’elementarità dello stile si traduce in un’emozionante continuità fra il teatro e la vita: il vero nucleo dello spettacolo non è l’azione in sé, sono le immagini video delle proteste in una qualche città bielorussa, sono i ceri accesi che accompagnano gli spettatori all’uscita, come in un mesto cerimoniale funebre.

Renato Palazzi

DA LINUS L’ARTICOLO QUI

17 novembre Giulio Cavalli a Palermo per la tavola rotonda “Disinformazione il seme dell'odio?”

martedì 17 novembre 2009
Tavola rotonda “Disinformazione il seme dell’odio?”
– dalle ore 18.00 presso “I Candelai”
Esperti, artisti, giornalisti impegnati sul fronte della giusta e libera informazione, si confronteranno col
pubblico sulle strozzature che fanno del sistema mediatico italiano un esempio di involuzione sociale,
con i suoi evidenti focolai in questa Italia sospesa. L’incontro si pone l’obiettivo di avviare una
riflessione sui temi dell’informazione, della disinformazione e l’implicazione che essa ha avuto e ha nel
nostro tessuto sociale e politico, che appare sempre più ovattato, in cui la cattiva informazione non si
profila solo come sintomo, ma come mezzo. Minimizzazione del fenomeno, controllo delle notizie (più
o meno enfatizzate; e viceversa nascoste), promozione di “sentimenti contro” e della paura dell’altro,
generalizzazione delle ostilità stanno creando una società cieca che si orienta verso un posticcio nulla?
Tavola Rotonda
Giulio Cavalli – attore, regista teatrale (www.giuliocavalli.net)
Valentina Gebbia – scrittrice, giornalista (www.valentinagebbia.com)
Rossella Puccio – giornalista, direttrice di Zero91 Magazine (www.zero91magazine.it)
Anna Bucca – presidente Arci Sicilia (www.arcisicilia.it)
Cirrus Rinaldi – ricercatore di Sociologia giuridica, della devianze e del mutamento sociale
Fulvio Vassallo Paleologo – Università di Palermo, esperto di tematiche sull’immigrazione, membro
Asgi – in collegamento skype da Agrigento
Daniele Papa – avvocato, membro Asgi
Francesco Viviano – giornalista la Repubblica

Momento artistico
– Performance di Giulio Cavalli
– Letture tratte da “Metà bianchi, metà neri” a cura dell’autrice Valentina Gebbia, con
l’accompagnamento musicale di Valeria Cimò
– Intervento musicale dei Ma’aria con Valeria Cimò & group
– Lettura del racconto “Di vita, di morte” a cura dell’autrice Maria Teresa de Sanctis
– Proiezione dell’estratto video di “La porta della vita”- adattamento teatrale di Maria Elena Vittorietti sui
reportage di Francesco Viviano, legati alla vicenda della nave Pinar. Diretto e interpretato da Filippo Luna
– Chiude Paolo Maselli con la presentazione in anteprima nazionale di “Storie di resistenza
quotidiana”. Documentario che oltre a testimoniare il lavoro di gruppi e associazioni, come Addiopizzo e
Libera Terra, racconta una resistenza fatta da gesti quotidiani, impegno e condivisione di ideali, da professionisti
e semplici cittadini, che si oppongono, pacificamente e concretamente, a un sistema mafioso che produce
sfruttamento e incertezze. – 40 min. Diretto da Paolo Maselli, scritto da Daniela Gambino –
http://srq.altervista.org

 

IL PROGRAMMA QUI

Indagini come copioni teatrali: Cavalli recita contro le mafie

Recitare «contro» la mafia. Salire sul palco per denunciare i malviventi. Cultura ma anche denuncia sociale. Un dovere che diventa anche un pericolo per chi decide di rompere il muro del silenzio. L’ omertà che tanto «non cambia niente lo stesso». È dal 2006 che Giulio Cavalli, attore milanese, riceve minacce. La sua colpa? Lavorare con giornalisti e magistrati e trasformare le loro indagini in copioni teatrali. «A cento passi dal Duomo» scritto a quattro mani con Gianni Barbacetto, è in scena stasera al Teatro Litta (ore 21, ingresso libero, prenotazione 338.24.07.189), uno degli appuntamenti di «Milano dice no», la tre giorni milanese promossa dalla Carovana antimafia. Uno spettacolo «sotto tutela», come l’ attore che lo interpreta. Al suo fianco come sempre il pianoforte combattente di Gaetano Liguori. Che cosa ha fatto per scatenare la reazione delle organizzazioni criminali? «Ho usato la parola per raccontare storie, ma soprattutto per specificare fatti e per puntualizzare nomi e cognomi» risponde Cavalli. Il teatro torna a essere un luogo di denuncia o è l’ ultima spiaggia di una società dove la libertà di informazione è minacciata? «Io sono un ottimista per natura. Credo che in un momento in cui la comunicazione globale sia così facilmente controllabile, il teatro diventi un’ occasione per esercitare il diritto alla libertà e l’ indipendenza. Paolo Borsellino diceva “parlate della mafia, alla radio, in tv, sui giornali. Ma parlatene!”. I prossimi impegni? «Sto preparando un nuovo lavoro sulla memoria andata in prescrizione di un senatore a vita». Ma cosa spinge un uomo di 32 anni, sposato e padre di un bimbo, a compiere queste scelte? «Pretendere la bellezza… non dovrebbe essere obiettivo comune di tutti gli uomini di arte e cultura?»

Livia Grossi

DA CORRIERE DELLA SERA

L’ARTICOLO QUI

Un appello per non essere barbari in mezzo ai Barbaro partendo dal palco di Buccinasco

GERMANY SHOOTINGSDomenica 15 novembre sarò in scena a Buccinasco alle 21,15 presso l’auditorium Fagnana (Via Tiziano 7) a mettere in scena A 100 PASSI DAL DUOMO. Per un teatrante dovrebbe essere una buona notizia. Normale. Ma quella domenica non è una data normale. Anche se è una buona notizia.

Normalmente un Arlecchino arriva in piazza, sbuffa la polvere dai costumi e soffia sulla maschera; non conta le uscite della sala mentre si matematica in testa le proiezioni delle facce dei presenti.

Normalmente un Arlecchino tende sgraziato con il sorriso, si curva e urla, gioca a sversare le pance e gli occhi, prima dell’inchino piegato in due e il giro tra il pubblico con il berretto; non tiene in mano le sentenze stropicciate per uno spettacolo di legittima difesa in una regione in cui le analisi sono masticati come beceri allarmi.

Normalmente un Arlecchino divide il suo pubblico (con la chiarezza banale di un colino) tra divertiti, indignati e sdegnati; non sogna nemmeno negli incubi peggiori che ci siano armi.

Normalmente un Arlecchino recita, sorride e inquadra il certo semplicemente in modo diverso; non svela.

Normalmente un Arlecchino non suda per preservare la dignità; dovrebbe ruzzolarsi superficiale nello sterco.

E invece lo sterco ce lo siamo ritrovati nella tazza ogni mattina. Per una normalità della dignità che per demeriti di altri diventa addirittura eroica ed eccezionale. Per un gioco continuo a delegare a pochi la responsabilità della solidarietà che dovrebbe essere di tutti.

Perchè per un gioco malato di responsabilità che crescono come gli arbusti delle favole, sei tu che devi vomitare lo sterco cercando di restituirlo.

Per questo domenica non è una data normale. Perchè domenica è la “riunione condominiale” degli affezionati alla giustezza prima ancora di questa giustizia dagli emendamenti illegali. Quelle serate in cui lo spettacolo è solo un pretesto per contarci e guardarci negli occhi con la bellezza di essere “noi” e “insieme”.

Perchè il negazionismo e la superficialità nell’osservazione hanno garantito la carsicità di un fenomeno peloso e pavido come quelle manciate di ‘Ndrine che si spompinano con Cosa Nostra. E in un gioco di saliva e sugo hanno partorito le uova delle generazioni successive molto più professionali nell’apparire degne o almeno civilizzate.

Ma con la parola non vi salveremo. Osserveremo i barbari dei Barbaro, Sergi e Papalia e tutti gli altri in giro per la Lombardia. Perchè la nostra parola è l’uncino per alzare la coperta e mostrarvi ridicoli e nudi. Confiscando la vostra banalità per una parola ostinata. E degna.

Per urlarvi in faccia che siete “sotto osservazione” da parte di una società civile che non vi offre più il caffè.

Giulio Cavalli

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Come ci racconta puntualmente Arianna Cascione su blogosfere sull’ultima operazione PARCO SUD la ‘ndrina Barbaro-Papalia è radicata nell’hinterland sud di Milano da 30 anni. L’operazione è il risultato di un’indagine durata due anni. Sotto accusa anche il traffico di stupefacenti e di armi e numerosi episodi estorsivi e intimidatori ai danni di imprenditori che non accettavano di piegarsi alle richieste del clan.

Il procuratore capo di Milano Manlio Minale ha parlato di un’operazione “che ha accertato per la prima volta come alcuni imprenditori lombardi si siano sottomessi all’associazione mafiosa, l’abbiano fiancheggiata, approfittando per propri fini”.

Come segnala Repubblica infatti tra i soggetti arrestati ci sono imprenditori edili e immobiliari che hanno accettato le logiche mafiose e un perito arrestato di corruzione dopo aver accettato una mazzetta per agevolare un’operazione economica della cosca. Risultano indagati alcuni dipendenti di amministrazioni comunali addetti al rilascio di pratiche edilizie e un cancelliere del tribunale.

Gli arrestati appartengono alla cosiddetta ‘terza generazione’. L’organizzazione aveva il monopolio del movimento terra e dello smaltimento rifiuti. Era infiltrata anche in cantieri come il raddoppio della Milano-Mortara e la Tav.

L’imprenditore Andrea Madaffari diceva in una intercettazione:

“Tu sai meglio di me, nell’edilizia bisogna spesso rispettare degli equilibri. A volte devi dare la possibilità di fare delle demolizioni a qualcuno, altre volte la costruzione all’altro… è un discorso di reciproche soddisfazioni…La comunità calabrese è assolutamente ben radicata e quindi siamo circondati, a parte che siamo noi tutti calabresi.. quelli che fanno gli scavi è gente di Platì”

Il Madaffari e il socio Alfredo Iorio (presidente del Cusago calcio) puntavano all’acquisto e alla ristrutturazione del castello di Cusago, dove riciclare milioni di euro. Ne parla anche GiornaleLibero.com.

Per convincere gli imprenditori a stare dalla loro parte, come riporta il Corriere, la cosca utilizzava metodi ben precisi:

“auto­mezzi fatti saltare in aria, agen­zie immobiliari bruciate, gente dubbiosa persuasa da colpi di pistola sparati alle finestre del­la camera da letto, un perito del Tribunale corrotto per comprare a prezzo straccia­to un prezioso terreno alle aste giudiziarie. E imprenditori mezzo terrorizzati e mezzo col­lusi con chi tra l’altro dava asi­lo a un latitante in fuga dal­l’Aspromonte; seppelliva detri­ti non nelle apposite discariche ma in un cantiere sulla linea ferroviaria Milano-Mortara; e in una Lancia Lybra nascosta in un box di Assago custodiva un arsenale di mitragliatori, pisto­le semiautomatiche, fucili, bombe a mano di fabbricazio­ne jugoslava”

Ilda Boccassini lancia un appello ben preciso:

“Gli imprenditori devono capire che devono stare con lo Stato o contro lo Stato”

«Mafia al Nord, la politica si deve schierare»

L’attore teatrale ha parlato al Verri, affiancato dal giornalista Colonnello, che ha avvertito: «Criminalità vicina» . L’appello di Cavalli, che cita il “caso Sant’Angelo” e l’estorsione di Lodi.
«Basta negare che le mafie esistono in Lombardia. La politica dichiari apertamente da che parte sta». La denuncia è arrivata da Giulio Cavalli, attore e regista lodigiano sotto scorta, che martedì nel corso di un intervento pubblico ha descritto intrecci e interessi delle cosche al nord Italia, con le mani del racket che sono arrivate fin nel cuore del capoluogo del Lodigiano. Di fronte alla platea, riunita nell’aula magna del liceo Verri a Lodi, l’attore ha sostenuto: «Ora che siete informati stare fermi è complice, è anticostituzionale. Occorre un segnale forte dal mondo della politica». Cavalli ha parlato durante un incontro organizzato nell’ambito della tappa lodigiana della carovana antimafie, un ciclo di iniziative che si è chiuso in città ieri mattina con un confronto con gli studenti all’Itis Volta, alla presenza di Francesco Galante del Consorzio Libera Terra Mediterranea. Intitolata “Le mani sul nord. Quarant’anni di storie di mafie”, la serata del Verri è stata aperta da Cavalli che, senza risparmiare nomi e cognomi, ha ricostruito nei dettagli le infiltrazioni della criminalità organizzata tra nord Milano, Varese e la provincia di Lodi. Partendo da inchieste della magistratura, procedimenti giudiziari e cronache giornalistiche, l’attore ha tracciato una mappa dettagliata dei traffici illeciti delle cosche e dei legami con le famiglie di ‘ndrangheta e mafia. Una commistione di affari e imprese che, nel resoconto dell’attore, non lascia fuori nemmeno uomini delle istituzioni del territorio regionale. Nella descrizione delle situazioni che devono destare maggiore allarme, Cavalli ha citato la bufera giudiziaria che ha colpito Sant’Angelo, con le pesanti accuse al vaglio della magistratura che hanno colpito l’azienda che era stata incaricata della raccolta rifiuti. Poi il caso di Lodi, con un tentativo di estorsione ai danni di un titolare di bar di piazza della Vittoria. «Voglio sperare che ci sia una società civile che prenda posizione su questi temi», ha detto Cavalli. Al Verri è poi intervenuto Paolo Colonnello, giornalista del quotidiano “La Stampa”, che, documenti giudiziari alla mano, ha riferito delle attività dei clan in Lombardia. In particolare ha citato il tentativo di entrare nella proprietà di aziende in crisi, la volontà (in diversi casi riuscita) di controllare il settore della movimentazione terra nei cantieri e la gestione dello spaccio di droga. «Spesso queste realtà criminali sono più vicine a noi di quanto davvero si pensi, solo che quando queste cose vengono scoperte a volte è troppo tardi», ha detto Colonnello. Per questo il giornalista ha invitato la politica ad occuparsi maggiormente di tali aspetti. Infine ha preso anche la parola l’assessore del comune di Lodi, Andrea Ferrari, che ha ricordato l’importanza per gli enti locali di aderire all’associazione Avviso pubblico, gruppo che si occupa della promozione della legalità. Mat. Bru.

DA IL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

La mafia a Milano e la battaglia del teatro civile di Giulio Cavalli

Lecco (bge) «La mafia a Milano non esiste. Non è mai esistita. E` tutta una montatura per screditare il ricco, produttivo, avanzato, civile, Nord Italia».

Di mafia, all’ombra della Madonnina, se ne è sempre parlato poco e male. Ma è stato proprio a Milano, a 100 passi dal Duomo, che si sono consumati, in meno di dieci anni, dal 1974 al 1983, oltre 100 sequestri a scopo di estorsione. Senza contare che negli anni la cintura di Comuni intorno alla metropoli lombarda è diventata la patria ufficiale del confino delle mafie, la coltre di silenzio ideale per coprire «l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, Sindona, i retroscena di Raul Gardini, di Calvi e dell’Expo 2015».

A raccontarlo senza troppi peli sulla lingua è un giovane attore lodigiano, Giulio Cavalli, direttore artistico del teatro Nebiolo di Tavazzano, che si è sempre occupato di temi scomodi, al punto da essere minacciato dalla mafia e da vivere da tempo sotto scorta: sin da «Linate 8 ottobre 2001», racconto che svela molti punti oscuri dell’incidente aereo che causò 118 morti, «Bambini a dondolo», sul turismo sessuale infantile, e «Do ut Des», show che ridicolizza i boss prodotto con il Comune di Gela.

Il suo ultimo spettacolo, dal titolo «A 100 passi dal Duomo», che va in scena venerdì 13, alle ore 21, allo Spazio Musica «Achille Gajo» di Lecco, in via Plava 5 (rione Pescarenico), scritto in collaborazione con il giornalista Gianni Barbacetto, si concentra invece sulla presenza delle famiglie mafiose al Nord, capoluogo manzoniano compreso.

Insofferente alle etichette, soprattutto a quella di «teatro civile», Cavalli ha intrapreso una lotta contro «la presunzione ebete di Milano che fa la bella addormentata. A livello di antimafia qui siamo ancora all’anno zero ?spiega-. La Lombardia non vuole ammettere a se stessa di essere stata vittima di una cosa così barbara e vile come la mafia, che è siciliana».

La capitale, morale, secondo l’attore, reagisce «con un’omertà più fine. L’indifferenza educata dei suoi abitanti equivale alle finestre chiuse di Cinisi, in provincia di Palermo. Sono convinti che il pizzo sia un taglieggiamento per questioni siciliane e rifiutano ogni discorso sulle possibili complicità».

Da quanto vive sotto scorta e qual’è stata la rappresentazione che ha cominciato a far paura a qualcuno?

«La vicenda ? spiega Cavalli – è cominciata in una climax ascendente dal 2006. In quel periodo insieme a Rosario Crocetta, Antonio Ingroia, Giovanni Impastato e molti altri avevamo deciso che era il momento di riprendere in mano la lezione di Peppino Impastato e ?disonorare? Cosa Nostra mettendone a nudo le bassezze morali e la comicità dei limiti medievali di riti e boss. Disonorarli, per noi, era una questione di onore. Un modo per ribellarsi ad un racket culturale di eroicità negativa di individui che una certa televisione ci proietta come ?astuti geni del male? e invece si rivelano infimi nella loro bassezza. Ridere di mafia significava urlare forte che ?il re è nudo? e, di conseguenza, che difficilmente questi personaggi avrebbero potuto tenere sotto scacco una nazione senza l’aiuto dei colletti bianchi e di alcuni pezzi della politica.»

Cosa differenzia la mafia del sud da quella del nord?

«Al nord hanno l’abito buono delle organizzazioni economiche. Profumano di partite iva e eleganza, stanno nel riciclaggio in cravatta e nella cocaina del dopo aperitivo di certa borghesia. Ma l’odore è lo stesso; quello peloso della prevaricazione e della bava dell’illegalità.»

Il biglietto di ingresso costa 5 euro. Per informazioni e prevendite riguardanti lo spettacolo: lecco@arci.it.

DA LA PROVINCIA DI LECCO L’ARTICOLO QUI

«Non è un merito essere sotto scorta»

La carovana contro le mafie ha fatto tappa in città ieri: hanno parlato l’attore minacciato dai boss e il regista Figazzola
Cavalli: «Il contrasto alle cosche deve essere un’attività condivisa»

La lotta alla criminalità organizzata non deve essere un atto eroico e solo di alcuni, ma un costume ordinario che riguarda tutti. Un sussulto di «dignità» che si muove nel pieno rispetto della Costituzione, che invita i cittadini a contribuire «al progresso morale» della società. È questo l’appello che l’attore e regista Giulio Cavalli ha rivolto agli studenti dell’Itis ieri mattina. Un intervento pubblico all’interno della tappa lodigiana della carovana antimafie, che ha in programma due giorni di dibattiti e incontri sulla legalità. «Il contrasto alle cosche dovrebbe essere un’attività del tutto ordinaria e condivisa. Per questo se sono sotto scorta non è da ritenersi un merito, ma un demerito di tutti gli altri – spiega l’uomo di spettacolo, colpito da minacce mafiose e protetto da alcuni agenti – è come se mi fossi chinato un attimo per raccogliere un accendino e improvvisamente mi sono accorto che gli altri avevano fatto un passo indietro». L’appuntamento per riflettere su giustizia e diritti, oltre che sul contrasto alle mafie, è cominciato dalle scuole. Dal mattino molti degli alunni del liceo Gandini e istituto Itis del capoluogo si sono confrontati con alcuni personaggi impegnati nella società e nel mondo della cultura. Dopo un’introduzione del dirigente scolastico Itis, Luciana Tonarelli («é un orgoglio per noi ospitare questa iniziativa, che invita tutti ad essere testimoni della legalità»), e la presentazione da parte di un’insegnante e rappresentante dell’associazione Adelante, ha preso la parola all’istituto tecnico l’attore sotto scorta Giulio Cavalli. E ha ricostruito la genesi della sua opera, nata dalla volontà di sbeffeggiare il falso onore degli uomini mafiosi. Capi molto rispettati, che guardati con attenzione si rivelano «davvero comici»: «Basti pensare a Provenzano con i suoi celebri pizzini, oppure a Totò Riina, una persona che in vita sua non deve aver mai preso un congiuntivo», dice l’attore lodigiano. E ancora ha puntato il dito sulle diverse ramificazioni dei clan che arrivano fino a noi, con i sospetti di infiltrazioni che raggiungono anche il Lodigiano. Poi ha preso la parola anche il regista Roberto Figazzolo, coordinatore di un cortometraggio dal titolo “Librino? Una favola”, racconto-testimonianza di un’esperienza svolta in una località alle porte di Catania, grazie all’apporto di alcuni bambini del posto. Infine al Gandini di Lodi le classi sono state divise in gruppi e sono stati realizzati dei laboratori tematici con gli alunni, guidati da personaggi come la direttrice del carcere, Stefania Mussio e Adriana Cippelletti del comune di Casale, che ha introdotto al tema dei beni confiscati alla mafia, oltre ad altri ospiti illustri. Sempre al mattino si è tenuto anche un incontro alla casa circondariale di via Cagnola con l’autore Carlo Barbieri, autore di “Le mani in pasta”.Matteo Brunello

DAL CITTADINO L’ARTICOLO QUI

La legalità bussa alla porta dei giovani

«UN’INIZIATIVA molto importante che spinge noi giovani ad avere una visione più ampia di cosa rappresenta la legalità: dallo sport, all’informazione alla mafia». Questo il commento a caldo di Matteo Pifferi, studente del liceo scientifico Gandini, che ieri mattina ha seguito uno dei tanti laboratori organizzati in occasione della visita al liceo Gandini e all’Itis Volta della “Carovana Antimafie”. Un’iniziativa che è stata accolta con interesse e entusiasmo da tutti i ragazzi, anche grazie alla varietà dei temi trattati sotto forma di incontri, testimonianze e interviste. «Penso sia fondamentale parlare di legalità e avere una presa di coscienza reale del fenomeno — continua Matteo —. Non si possono ignorare situazioni drammatiche e le parole possono essere di grande aiuto per sconfiggere o almeno limitare il fenomeno. La mafia esiste anche al nord; certo la realtà di Lodi non è paragonabile a quella siciliana, campana o calabrese, ma bisogna comunque essere informati e non disinteressarsi del problema». La soluzione alla diffusione delle cosche mafiose sembra averla Andrea Corsi, di 3a del liceo classico Verri, che dopo aver partecipato ad un incontro con Peppe Castelvecchio, responsabile della comunità “Il Pellicano”, commenta: «Il problema delle droghe s’incastra in un contesto molto vasto che va dall’illegalità al traffico di cartelli mafiosi. Credo che un passo avanti possa essere la legalizzazione della cannabis, da considerare una droga tale e quale all’alcol. La legalità è un’arma contro la mafia e così si taglierebbero le gambe alle diverse cosche che gestiscono il traffico di marijuana e derivati».

DELLO STESSO parere anche Simone Vezzoli, di 5TB: «I rapporti tra giovani e mafia si esplicitano soprattutto nell’acquisto di stupefacenti. Un problema diffuso che si potrebbe sconfiggere legalizzando le droghe leggere. Sarebbe un duro colpo per le mafie». Molti gli aspetti toccati dagli esperti durante questa giornata dedicata alla legalità; l’avvocato Caterina Malvenda ha messo in campo la sua esperienza in tema d’informazione e i ragazzi hanno colto l’opportunità per riflettere su temi d’attualità. «Legalità e informazione sono aspetti che si guardano da vicino — commmenta Roberto Berlucchi di 1A —. L’informazione deve essere a tutto tondo, ma deve in ogni caso tutelare l’individuo. Bisogna tenere a mente che la diffamazione e l’ingiuria non sono strumenti d’informazione. L’incontro di oggi è stato molto utile perché ha affrontato un tema di cui negli ultimi tempi s’è sentito molto parlare». Ma non è stato dimenticato il legame con il territorio e così all’incontro a cui ha partecipato Lucrezia Salvatori della 2B del liceo Verri si è parlato di carcere: «In questo caso il laboratorio ha parlato della realtà carceraria di Lodi. Un incontro che ci ha fatto riflettere. Il carcere rappresenta sì un luogo di detenzione, ma non credo debba essere considerato una punizione, ma semplicemente un luogo rieducativo».

I “COLLEGHI” dell’istituto Itis Volta, invece hanno accolto l’attore Giulio Cavalli, sotto scorta pure in aula magna, che ha parlato dell’ importanza di prendere coscienza di una situazione problematica: «La mafia è un fenomeno che non è soltanto riconducibile a Totò Rina o Tano Badalamenti, la mafia è presente anche nei modi di pensare comuni. È importante che i ragazzi ascoltino per creare così un futuro esercito di grandi pensatori». Non nasconde l’ammirazione per l’attore Luca Boffi: «È stato un incontro speciale che ha aperto gli occhi su una realtà a cui spesso noi giovani non riusciamo a dar attenzione». Gli fa eco Paolo Iovacchini, 5TC: «Giulio è stato molto esaustivo e ci ha messo al corrente di un problema presente al nord come al sud, diverso solo nel modus operandi. Mi ha colpito molto quando Cavalli ha parlato dei ragazzi meridionali che a suo parere non sono più sfortunati di noi. Anzi, vivendo in una realtà dove il problema è più manifesto, sono più preparati».

DA IL GIORNO

http://ilgiorno.ilsole24ore.com/lodi/cronaca/locale/2009/11/11/259193-legalita_bussa_alla_porta_giovani.shtml

«Lei ha tanto coraggio»: Napolitano benedice l’attore “anti cosche”

«Lei ha tanto coraggio»: Napolitano benedice l’attore “anti cosche”

n L’ha accolto nel salone delle Feste, davanti al gotha dello spettacolo. Gli ha stretto la mano calorosamente e ha ascoltato con attenzione la sua storia. Elogi per Giulio Cavalli dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. L’attore e autore lodigiano è salito al Quirinale ieri mattina, per la “Giornata dello Spettacolo”. Dopo la consegna dei premi Eti per il teatro e De Sica per il cinema, il presidente della Repubblica ha ricevuto personalmente Cavalli nel salone delle Feste.È qui che l’attore ha raccontato al Capo dello Stato la sua storia, la genesi del suo primo spettacolo in cui ridicolizza i boss, Do ut des, riti e conviti mafiosi, e l’escalation di intimidazioni dopo la messa in scena. Dalla bara con il suo nome disegnata sulle pareti del Nebiolo alle minacce di morte fino alla tutela fissa ottenuta dal Ministero dell’Interno dopo un anno di paura, lo 27 aprile scorso. Passo dopo passo, l’attore lodigiano ha spiegato a Napolitano la sua condanna a morte da parte delle cosche, arrivata qui, nel Lodigiano. Intimidazioni che sono proseguite anche per il crescente impegno di Cavalli sul tema dell’antimafia, prima con una rubrica radiofonica sul web sulla scorta dell’esperienza di Radio Aut di Peppino Impastato, poi con un secondo spettacolo sull’intreccio mafia-politica in Lombardia, «contro le infiltrazioni locali della ‘ndrangheta negli appalti per la Tav e l’Expo», “A cento passi dal Duomo”, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto. Una storia ascoltata con attenzione dal presidente della Repubblica, che si è preoccupato di sapere se l’autore lodigiano «goda di una sufficiente protezione», pregandolo di rivolgersi direttamente al Quirinale per segnalare «eventuali problemi» di tutela. E a Cavalli sono arrivati anche gli elogi del Capo dello Stato «per il coraggio di denunciare» e l’esortazione «a proseguire con il suo lavoro». Nella conversazione con il presidente, Cavalli non si è limitato a parlare del suo lavoro e della vita sotto scorta. È andato oltre toccando il silenzio e l’abbandono della politica e del mondo del teatro e dello spettacolo in genere. «Sia le istituzioni che il mondo teatrale hanno taciuto, a parte la solidarietà personale ricevuta da Paolo Rossi e Dario Fo – ha spiegato Cavalli – . Inoltre, sono praticamente stato escluso dalle circuitazioni teatrali». Non ha taciuto la stampa, secondo l’attore lodigiano, «soprattutto quella locale e “Il Cittadino” in particolare, che ha sempre seguito con attenzione la mia vicenda assumendosi responsabilità e fastidi». «Questo caso resta nell’oscurità alla pari dei tanti episodi di giornalisti che ricevono minacce perché si ostinano a fare il loro dovere e dei quali non ci si fa carico in termini di garanzia per la loro sicurezza – ha detto in merito Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno, l’osservatorio della Federazione Nazionale della stampa italiana sui cronisti minacciati -. Siamo davvero lieti dell’interessamento del presidente Napolitano».Tra le accuse di Giovanna Mezzogiorno alla vanità e al nepotismo, i premi alla carriera alla moglie di Mike Bongiorno, l’annuncio della pace ritrovata tra Massimo Boldi e Christian De Sica, il mondo dello spettacolo si è fermato per un momento per il personalissimo incontro tra il presidente della Repubblica e l’attore lodigiano. «Sapere che la più alta carica dello Stato si è interessata alla mia vicenda è confortante – ha commentato Giulio Cavalli, raggiunto telefonicamente durante il viaggio di ritorno -: sono molto contento perché l’incontro di questa mattina apre un canale diretto, inaugura un rapporto. Durante la nostra conversazione ho notato una sensibilità particolare su questi temi di denuncia civile e gli scriverò come mi ha chiesto». E sul futuro, nonostante l’incontro al Quirinale, assicura: «Continuerò a non prendermi troppo sul serio».

Rossella Mungiello

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L’attore Cavalli sale al Quirinale
Lunedì sarà ricevuto dal capo dello Stato Napolitano

Tavazzano Udienza dal capo dello Stato per Giulio Cavalli. L’attore lodigiano, anima del teatro Nebiolo di Tavazzano, salirà al Quirinale alle 11 di lunedì, ufficialmente per partecipare alla Giornata dello spettacolo, evento creato per celebrare i vincitori di due importanti premi legati al palcoscenico: il Premio Eti, Gli Olimpionici del teatro 2009 promosso dall’Ente teatrale italiano e dal Teatro stabile del Veneto e il premio De Sica. A festeggiare gli artisti premiati, ci sarà una delegazione in rappresentanza del mondo del teatro, a cui prenderà parte anche l’autore e attore lodigiano. Ma non è escluso che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, voglia affrontare direttamente la vicenda personale che coinvolge Giulio Cavalli, primo attore italiano a vivere sotto scorta in seguito alle ripetute minacce delle cosche per l’attività di denuncia portata avanti con i suoi spettacoli. Il primo a destare l’attenzione della criminalità organizzata era stato “Do ut des, riti e conviti mafiosi”, prodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, dissacrante pièce sulla vita dell’aspirante picciotto Totò Nessuno. L’intreccio mafia-politica è invece al centro del suo secondo testo, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto, in cui l’attore traccia una mappa della criminalità organizzata del profondo Nord, ma lui è stesso a raccontare che i temi scomodi faticano a trovare spazi. «Ovviamente sono molto felice di questa convocazione, l’attenzione della più alta carico dello Stato è un privilegio e potrebbe segnare un’inversione di tendenza rispetto all’anormalità degli ultimi mesi in cui dai palchi più importanti del teatro sono finito in periferia – spiega Cavalli -: il comune di Milano, che mi ha conferito la benemerenza civica davanti a 800 persone per il mio lavoro sulla strage di Linate sul palco del Piccolo, è sparito davanti ai nomi e cognomi di “A cento passi dal Duomo”. Ci sono molti meno teatri a disposizione se dal racconto si passa alla denuncia, a volte anche per nostra scelta». E se quest’attenzione da parte della più importante istituzione dello Stato rifletta anche un sostegno nell’ambiente lodigiano, Cavalli ha le idee chiare. «Se per istituzioni locali intendiamo prefettura, forze dell’ordine e, in fugaci incontri, anche la provincia di Lodi confermo l’attenzione e il sostegno – spiega l’autore – per tutti gli altri non vale lo stesso discorso. Spesso vince il giochetto infame di ritenere che Cavalli abbia avuto benefici economici dalla sua condizione di vita sotto scorta. Non è così. Il mio lavoro è recitare su un palco, ora passo la maggior parte del mio tempo nelle scuole e ai convegni quale portatore di una testimonianza». Rossella Mungiello

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Napolitano: «Difendiamo la libertà di stampa»

ROMA – «La libertà di espressione sancita dall’articolo 21 della Costituzione è uno dei principi da tener sempre cari, da preservare e far vivere in Italia e ovunque», dice Giorgio Napolitano ricordando il senso più profondo della celebrazione del ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, «spartiacque» della storia europea di importanza analoga a quello tracciato il 9 maggio 1945 dalla caduta della Germania nazista: nell’Est europeo si aprì la strada alle libertà democratiche, come era avvenuto a Roma e a Bonn alla fine della seconda guerra mondiale. Napolitano parla al Quirinale nel Salone dei Corazzieri affollato di gente di cinema e teatro: si celebra la Giornata dello Spettacolo, coronata dall’assegnazione ai vincitori dei Premi Eti-Olimpionici del Teatro e Vittorio De Sica, gente che vive proprio di libertà di espressione. Una libertà che oggi non è minacciata, come una volta, da un regime autoritario, ma da incertezze e discontinuità di finanziamenti e di regolazioni di legge, e a volte dalle minacce della criminalità organizzata. Non a caso, Napolitano ha invitato al Quirinale e ha incontrato dopo la cerimonia Giulio Cavalli, un attore lombardo che da oltre un anno vive sotto corta perché ha osato sbeffeggiare i mafiosi sul palcoscenico e i boss lo hanno minacciato di morte. Napolitano si è fatto raccontare la storia, gli ha stretto la mano e gli ha manifestato solidarietà. Napolitano ha ascoltato, ha raccomandato la difesa della libertà di espressione e ha elogiato il cinema, il teatro, la musica, l’arte italiana.

 

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