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Luglio 2012

Mi date troppa importanza

Il vicepresidente della Regione Lombardia con la solita eleganza che lo contraddistingue dice che «mi date troppa importanza».

E invece bisogna credere (in modo importante e serio) alla manfrina di una Lega che pubblicamente continua a parlare di 2013 in Lombardia e invece è già stata stoppata da Formigoni mettendo sul piatto la caduta di Piemonte e Veneto. Giocano a fare la Lega 2.0 ma c’è ancora l’odore della Lega 1.0 che salva i mafiosi in Parlamento, intasca i rimborsi elettorali ed è patriarcale come nelle peggiori famiglie. O forse, pensavo, 2 (punto zero) è l’attuale percentuale nei sondaggi. Quella che li terrà inchiodati alla sedia ancora per un bel po’.

G8: dietro al sangue e dietro alla sentenza

Sono definitive tutte le condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione della polizia alla scuola Diaz al termine del G8 di Genova la notte dei 21 luglio 2001. Lo hanno deciso i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione. Confermata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che dunque colpisce alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani: Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Tutti condannati per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni, in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate. ”La sentenza della Corte di Cassazione – ha dichiarato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri – va rispettata come tutte le decisioni della Magistratura. Il ministero dell’Interno ottempererà a quanto disposto dalla Suprema Corte”.

E fin qui tutto bene. Almeno rimane la sensazione di una giustizia che abbia avuto voglia di andare in fondo. Ma intanto rimane il sangue. Il sangue, la politica e forse il punto vero.

Il sangue della Diaz è la sindone della sospensione della democrazia in Italia. Lo pensavo ieri e lo penso ancora di più questa mattina. In Italia non ci siamo accorti che la comunità internazionale aveva già condannato ciò che era avvenuto. La verità storica da noi viene certificata solo dalle sentenze (quando abbiamo la fortuna di averne una). Prima è troppo difficile.

Poi la politica: il Parlamento non ha voluto l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Ricordiamocelo, per favore. Perché oggi chi attacca smodatamente Napolitano per le telefonate di Mancino (e, nel punto, hanno ragione ma i modi lasciano perplesso) è lo stesso che ha affossato la commissione su Genova.

Poi c’è la politica che forse proprio oggi potrebbe riflettere sull’eventualità di introdurre il reato di tortura. Ma ve lo vedete questo governo e questa maggioranza? Niente, si spegnerà anche il dibattito.

E poi c’è forse quello ce è il punto vero. E lo coglie benissimo Matteo Bordone sul suo blog:

Perché quando a Bolzaneto e alla scuola Diaz quei pubblici ufficiali mi facevano vergognare di avere la cittadinanza italiana, non lo stavano facendo nel senso della vergogna, del moto d’orgoglio, ma nella sostanza. Un italiano che pesta a sangue una persona inerme è prima una persona, e poi un italiano. Un agente di polizia che pesta a sangue una persona inerme, e lo fa in servizio, è prima un pezzo dello Stato, e poi una persona. E allora la sua colpa è tre volte più grave. Perché mi rappresenta, e quello che fa lo fa per mio conto; perché a lui sono stati delegati dei poteri legati alla forza e alla violenza che i comuni cittadini non possono giustamente esercitare; perché cercando di prendersi gioco delle indagini e dello Stato dall’interno lo ferisce, lo indebolisce nelle sue fondamenta.

Ma quella di oggi è una buona notizia. Per prima cosa perché la giustizia ha dimostrato di saper essere più moderna e democratica di quella di venti anni fa, e lo Stato è venuto prima della Ragione di Stato. E poi perché così i disfattisti che dicevano che non sarebbe mai successo nulla hanno avuto torto. E quando hanno torto i disfattisti, quelli che tanto non cambia mai niente, ad avere ragione quell’idea di progresso che in questo paese fatica così tanto ad attecchire.

La responsabilità è individuale. Dei poliziotti criminali sono feccia, e forse i primi a volerli fuori dalla polizia dovrebbero essere i poliziotti onesti.

 

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

[Eugenio Montale, da Satura]

Magari con le figure funziona

Vediamo se si riesce con le figure. Perché a parole lo ripetiamo da anni nelle scuole, nei libri, nelle piazze e negli spettacoli che i centri commerciali (e, soprattutto qui in Lombardia) stanno così tanti e così vicini da non avere abbastanza clienti. Mentre la politica e le associazioni di categoria non sanno mai trovarci una giustificazione credibile. Che l’ipermercato vicino a casa spesso è il monumento di pezzi di imprenditoria che hanno bisogno di spendere piuttosto di guadagnare. Soldi che devono assumere una forma qualsiasi l’importante è che non puzzino più di soldi, che non abbiano la forma riconoscibile dei soldi: come le case costruite nei nostri paesi che non vengono vendute, le zone industriali nuove di fianco a quelle vecchie tutte disabitate. Legambiente ne parla, con le figure. Magari così è più chiaro.

Le mafie fanno shopping

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Grazie a Paolo Pinzuti per la segnalazione. Qui la sua riflessione su ipermercati e mobilità.

Monti e l’umiliazione della scuola pubblica, come avrebbe detto Calamandrei

Scrive Nadia Urbinati su Repubblica che “il piano di tagli agli sprechi messo in cantiere dal governo Monti prevede alla voce scuola una ingiustificata partita di giro che toglie 200 milioni di euro alle istituzioni pubbliche per darli a quelle private. Con una motivazione che ha dell’ironico se non fosse per una logica rovesciata che fa rizzare i capelli in testa anche ai calvi. Leggiamo che si tolgono risorse pubbliche alle università statali al fine di “ottimizzare l’allocazione delle risorse” e “migliorare la qualità” dell’offerta educativa. Stornare risorse dal pubblico renderà la scuola più virtuosa. Ma perché la virtù del dimagrimento non dovrebbe valere anche per il settore privato? Perché solo nella già martoriata scuola pubblica i tagli dovrebbero tradursi in efficienza?”.

Ne parlavo ieri citando Mila Spicola che l’insegnante la fa di professione, tra l’altro. Nel senso più alto del termine, professando i propri valori nel proprio lavoro. Ma l’opinione migliore, che suona come uno schiaffo al progetto di Monti, è molto più datata. Del 1950. E sembra valere oggi ancora di più. E se le critiche di sessant’anni fa valgono nel nostro tempo forse significa che abbiamo imparato poco, ricordato meno e accettato l’indifendibile.

«L’operazione si fa in tre modi: (1) rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico… Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione… Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito». (Piero Calamandrei, 1950)

A due passi dal Duomo, Samarani Cafè, il ristorante con la mafia tutto intorno

La Gdf di Milano, nell’ambito dell’inchiesta della Dda sulla presunta cosca mafiosa dei D’Agosta con al centro l’intestazione fraudolenta di beni per 5 milioni di euro, ha sequestrato lo ‘storico’ bar-ristorante milanese ‘Samarani Cafe”, in piazza Diaz, a due passi dal Duomo. Nell’ambito delle indagini sul reimpiego di capitali illeciti, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno messo i sigilli anche all’hotel ‘Il Faro Molarotto’ in Costa Smeralda e ad un altro bar in provincia di Olbia.

Gli accertamenti dei militari della Gdf hanno riguardato, in particolare, due presunti appartenenti a una cosca mafiosa di Vittoria (Ragusa), Carmelo e Gianfranco D’Agosta, gia’ condannati a vario titolo per associazione mafiosa e traffico di droga.  Stando alle indagini, coordinate dal pm Claudio Gittardi, sarebbero emerse una serie di ”discrasie” tra i redditi dichiarati dai due e i beni intestati a loro o a presunti prestanome. Ipotesi che ha fatto scattare il sequestro preventivo, deciso dal gip di Milano Anna Maria Zamagni, in base alle norme sull’intestazione fittizia di beni relative a soggetti gia’ condannati per associazione mafiosa.Il ‘Samarani cafe” era gia’ stato coinvolto, negli anni ’90, in indagini simili che riguardavano presunti esponenti mafiosi siciliani e investimenti illeciti in locali e attivita’ a Milano. Ieri poi nel capoluogo lombardo era stato sequestrato anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, sempre in centro, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli sulla camorra ‘cutoliana’ del clan Belforte. Nel blitz di oggi, invece, sono stati sequestrati anche l’hotel a quattro stelle ‘Il Faro Molarotto’, a una quarantina di minuti da Porto Cervo, e un altro bar in Sardegna, oltre ad un’auto di grossa cilindrata.

Quello che la politica non riesce a fare

Oggi su Repubblica uno scambio epistolare tra un lettore e Colaprico che è un punto di programma per la Lombardia che deve accadere. Perché a volte la politica sta tra le parole e le opinioni che non stanno per forza nei grandi editoriali di statisti à la page:

CA­RO Co­la­pri­co, mal­gra­do il pa­re­re con­tra­rio di tut­ti (co­mu­ni in­te­res­sa­ti, pro­prie­ta­ri dei ter­re­ni sot­to espro­prio, eco­lo­gi­sti, geo­lo­gi, eco­no­mi­sti, ec­ce­te­ra) gli in­sa­ni e cer­vel­lot­ti­ci «pia­ni per il traf­fi­co» del­la giun­ta re­gio­na­le lom­bar­da so­no sta­ti av­via­ti.
Mi ri­fe­ri­sco al­la rea­liz­za­zio­ne del­le «fa­mo­se» Pe­de­mon­ta­na, nuo­va au­to­stra­da Mi­la­no/Bre­scia e al­la Tan­gen­zia­le est ester­na. Al­tri mi­lio­ni di et­ta­ri di ter­re­no fer­ti­le sa­ran­no co­per­ti dal­l’a­sfal­to, ben­ché sia a tut­ti evi­den­te che il traf­fi­co su gom­ma sta di­mi­nuen­do, sia per il co­sto dei car­bu­ran­ti che per la cri­si eco­no­mi­ca, ed è de­sti­na­to ine­so­ra­bil­men­te in fu­tu­ro a di­mi­nui­re an­co­ra.
Que­ste ope­re inu­ti­li di­ven­te­ran­no al­tre «cat­te­dra­li nel de­ser­to», con un as­sur­do e mai tan­to in­sen­sa­to spre­co di de­na­ro pub­bli­co, a mag­gior ra­gio­ne in un mo­men­to co­me que­sto. Na­tu­ral­men­te «i so­li­ti no­ti» (fra i qua­li do­vre­mo an­no­ve­ra­re le va­rie ma­fie?) rin­gra­zia­no. La pia­nu­ra Pa­da­na è sto­ri­ca­men­te la par­te più fer­ti­le del no­stro pae­se, quel­la na­tu­ral­men­te de­sti­na­ta al­lo svi­lup­po agri­co­lo. È di­ven­ta­ta un’im­men­sa me­ga­lo­po­li, nel­la qua­le la teo­ria con­ti­nua di ca­se e ca­pan­no­ni è in­ter­rot­ta, di tan­to in tan­to, da qual­che di­ste­sa di cam­pi. Te­mo che fra non mol­ti an­ni si do­vran­no ara­re le stra­de (qual­cu­no­s’in­ge­gni a stu­dia­re vo­me­ri ade­gua­ti!).
Sil­va­no Fas­set­ta

Vor­rei av­vi­sar­la che la ri­vo­lu­zio­ne in­du­stria­le ri­sa­le al­l’800, che il boom eco­no­mi­co ita­lia­no è av­ve­nu­to al­la me­tà del se­co­lo scor­so e che Mi­la­no e Bre­scia so­no cit­tà do­ve le ci­mi­nie­re so­no spun­ta­te un bel po’ di tem­po fa. Lei cre­de­va di es­se­re in Ar­ca­dia, tra pe­co­re e pa­sto­rel­le e flau­ti? Ba­sta per­cor­re­re la Mi­la­no-Bre­scia per ren­der­si con­to del mon­do in cui sia­mo. Mol­ti an­ni fa Gior­gio Boc­ca rac­con­ta­va ai let­to­ri che usan­do il Po co­me una via d’ac­qua per le mer­ci, si sa­reb­be ot­te­nu­to il du­pli­ce sco­po di far di­mi­nui­re la con­ge­stio­ne del traf­fi­co su stra­da e tra­sfe­ri­re i con­tai­ner pre­sto e me­glio. Mol­ti an­ni fa… Me­no an­ni fa, quan­do co­min­cia­vo an­ch’io a fa­re il cro­ni­sta, ve­de­vo da vi­ci­no mol­te co­se e pur­trop­po og­gi, con tut­ta la mia espe­rien­za, do­po Tan­gen­to­po­li, le ma­fie, gli scan­da­li, i di­scor­si a pe­ra sul Nord, an­co­ra mi chie­do che co­sa mai ci re­sta da fa­re di le­ga­le. Per­ché noi po­ve­rac­ci sap­pia­mo ve­de­re spes­so le co­se giu­ste e le co­se sba­glia­te e ci chie­dia­mo: co­me mai, in po­li­ti­ca, pas­sa­no spes­so le co­se sba­glia­te? In qua­le la­bi­rin­to oscu­ro s’im­pri­gio­na chi fa po­li­ti­ca?
Piero Colaprico

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Cambiano le cose. Cambiano.

Con il lavoro, l’impegno, la serietà poi alla fine la storia non si inventa ma succede davvero: Monsignor Francesco Montenegro vieta le esequie di Giuseppe Lo Mascolo, arrestato pochi giorni prima di morire con l’accusa di essere il boss di Cosa nostra a Siculiana: “L’unico modo per imbavagliare la mafia è rifiutare i compromessi”. La notizia è qui.

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Non ho nemmeno le parole

Per immaginare le ore di Giulio Tamburini, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, impegnato anche come distaccato per la DDA di Brescia.
Per la bomba scoppiata vicino alla sua abitazione. Lo spavento. La notte. Il dolore. La famiglia da proteggere oltre all’ordinarietà non facile della vita.
A Mantova. Dove già parlarne è già troppo disturbo.
Solo un abbraccio solidale. A tutta la sua famiglia.

Scuole private non con le mie tasche

Mila Spicola su l’Unità, oggi ne scrive. Ed è un’altro di quei punti su cui la coalizione che ha in testa Bersani difficilmente ha un senso. La nostra posizione (per specificare, eh) è quella di Mila. Anche (e soprattutto) in Lombardia. Sono curioso di sapere quella dei cattolici del PD e dell’UDC. Anche qui in Lombardia.

Questa storia dei fondi alle parificate private è chiarissima. Parte di quei fondi vanno ad asili e materne parificate. E vabbè, amen. Sappiamo com’è la questione: non ce ne sono..e dunque chiudiamolo st’occhio, anche se ci dobbiamo mettere sottosopra per far aprire asili statali e comunali. Ma dall’altro ci sono le scuole degli altri gradi e sono diplomifici (o sbaglio?) o scuole delle “pie opere di carità” con rette mensili allucinanti che, in parte, contribuiscono a pagare anche i papà e le mamme dei miei alunni disgraziati, con le loro tasse. Possono girarmi le scatole, di grazia?

I governi, di qualunque colore fossero nulla è cambiato, finanziando le prime, i diplomifici, producono a nostre spese generazioni di ragazzi ignoranti, a danno loro e della collettività, e finanziando le cattoliche (che non abbiano tutto sto gran livello qualitativo) comprano voti di elettorato cattolico dalla Chiesa. Cioè omaggiano il Vaticano. Già sento il coro levarsi dal lato della platea cattolica, se non qualche lancio di oggetti. Attenzione: ciascuno può e deve andare nella scuola che più gli aggrada. Libera è la cultura e libero l’insegnamento. Ma per favore senza oneri per lo Stato. Quante volte lo dobbiamo ripetere? Senza oneri per lo Stato. Lontani dalle mie tasche. Figuriamoci adesso. Possono anche maledirmi. Ma io non sono nè cattolica, nè religiosa, le maledizioni mi bagnano e si asciugano: con le mie tasse pagatemi il riscaldamento, non la divisa delle orsoline.