Nel confuso dibattito sulla verità (tra l’altro innescato dal potere, pensa te) vale la pena ascoltare il parere giuridico di Carlo Plengino che ne scrive su Il Post:
Si potrebbero fare altri esempi, ma il concetto che mi preme sottolineare mi pare sia chiaro:
il diritto, negli ordinamenti democratici, si tiene ben alla larga dalla verità quale bene giuridico oggetto di tutela.
La ragione è intuitiva: più una comunità si avventura nella impervia strada verso la tutela della verità più decresce il suo tasso di libertà e si dirige inevitabilmente verso il baratro di un totalitarismo ideologico più o meno gentile.
Il dibattito sulle fakenews ha un suo valore sociologico e forse antropologico, e nella società dell’informazione saper distinguere tra un fatto e un’opinione e avere la capacità critica di cogliere l’autorevolezza di una fonte qualificata rispetto al chiacchiericcio, alla propaganda o alla rassicurante disinformazione sono fondamentali.
Sentire però politici, ministri e presidenti d’Authority che pensano di tutelare la verità espungendo la menzogna dai media (o solo da internet?) grazie a formule giuridiche, provvedimenti di legge, o peggio deleghe alle piattaforme della Silicon Valley mi pare inaccettabile e sconcertante.
Nel dibattito sulla disinformazione non si cerchino soluzioni in diritto, ché non si legifera sulla verità.
Quando Pilato chiede a Gesù cos’è la verità, capisce immediatamente di aver fatto una domanda stupida e inutile e se ne va senza aspettare risposta. Risposta che Gesù ovviamente non dà: era in corso un processo, mica stavano chiacchierando al bar o chattando sul web, lui e Pilato.
(l’articolo è qui)