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Il Paese disabitato

Che poi se ci pensate è l’indicatore che racconta tutto, racconta la politica, il tessuto economico, il tessuto sociale e di colpo cancella tutte le fandonie di quelli ossessionati dal non ci stanno tutti qui: l’Italia si disabita di anno in anno, i dati Istat di ieri parlano chiaro: secondo il rapporto sugli indicatori demografici, nell’ultimo anno la popolazione è scesa di 116mila unità, un calo che continua da cinque anni consecutivi. La riduzione si deve al rilevante bilancio negativo della dinamica di nascite e morti, risultata nel 2019 pari a -212mila unità. È il livello più basso degli ultimi 102 anni. Per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini (dieci anni fa erano 96). Dati attenuati solo parzialmente da un saldo migratorio con l’estero ampiamente positivo (+143mila). Le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi comportano, inoltre, un saldo negativo per 48mila unità.

Un Paese che fa pochi figli è un Paese incapace di dare ai suoi cittadini la cassetta degli attrezzi per costruire speranza. Mentre molti soloni ci spiegano che il problema sarebbe l’immigrazione ci si dimentica che l’emigrazione dal nostro Paese è un dissanguamento di talenti e di lavoratori che non riescono a trovare futuro se non andandosene. L’Italia, in Europa, ormai è tutta meridione per le occasioni che mancano.

Mentre i soloni del lavoro ci dicono che la flessibilità è una figata pazzesca non ci si rende conto che progettare una famiglia (e un mutuo e quindi dei figli) diventa piuttosto difficile con la precarietà che penzola sopra alla destra.

Siamo un Paese che non riesce ad avere futuro. Questo è il dato più allarmante di questi ultimi anni eppure la politica non sembra nemmeno in grado di proferire un concetto, un cambiamento di visione, niente. Stiamo qui a parlare di inezie senza riuscire a vedere l’allarmante quadro generale.

E se è vero che “il futuro influenza il presente tanto quanto il passato”, come diceva Nietzsche, allora anche il presente non è molto luminoso. Riusciamo a pretendere che la classe dirigente abbia uno sguardo lungo o costa troppa fatica?

La speranza dovrebbe essere il primo punto del programma elettorale, no?

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.