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Pessima politica pessima comunicazione

Siamo nell’epoca della politica debole, qui dove la politica è diventata ordinaria amministrazione dell’emergenza nazionale: Covid-19 e i numeri della Protezione Civile sono il timone delle decisioni del governo ed è tutto un inseguire i numeri, i picchi, il plateau (ogni giorno ci regala una parola nuova per descrivere di nuovo una situazione che appare immobile), l’attesa della discesa, l’attesa delle mascherine, l’attesa dei tamponi, i pochi tamponi, i troppi tamponi, i giri del cane, la distanza sociale (che poi sarebbe una distanza fisica e forse occuparsi dell’ecologia delle parole farebbe meglio a tutti) e tutto il resto. È un a politica che si fa politica dopo la conferenza stampa della Protezione Civile, una politica in attesa dei numeri che ci dicano se andiamo meglio di ieri, se andremo peggio di domani. Inevitabilmente è l’emergenza a guidarci e governare l’emergenza è l’unica qualità richiesta a un governo (e ai governi regionali e comunali) e la tenuta dei cittadini in un’effettiva situazione di cattività (ed è una cattività economica, più che sociale, anche questo sarebbe il caso di cominciare a capirlo, qualcosa di simile al limite minimo della sussistenza per molti) è qualcosa da maneggiare con cura e con dedizione. Come si conforta un Paese che si ritrova in una situazione sospesa e dal futuro incerto? Con una buona e giusta comunicazione. Sì, lo so, sembra banale, ma mentre abbiamo passato tutti gli anni a ripeterci, sbagliando, che la politica è comunicazione e che la comunicazione è politica (e invece era tutto uno sbrodolamento di propaganda) ci accorgiamo oggi, in un contesto che sfiora il panico, che pesare gli atteggiamenti e pesare le parole è una qualità che serve, eccome se serve. 

Il particolarismo regionale e comunale, ad esempio, con la comparsa di sceriffi che fanno capolino per pescare a strascico un po’ di consenso sui social e confidando di portarselo alle prossime urne è lo spettacolo indecente che affolla queste giornate a aggiunge disagio al disorientamento generale: presidenti di regione che stringono e allargano le maglie dei decreti nazionali rivendicandone le differenze, sindaci che trasmettono dirette Facebook aizzando i cecchini contro i passeggiatori di turno, deputati e senatori che coltivano tra i propri fan dubbi che poi non esprimono in Parlamento e addirittura compagni di governo che hanno dimenticato il telefono e si scrivono via social per aizzare il tifo. Se davvero questo dovrebbe essere il tempo della responsabilità allora i cittadini italiani, ancora una volta, sono molto più attenti e responsabili dei propri governanti e tutto questo non è confortante, proprio no. La sensazione qui fuori è che il Coronavirus sia semplicemente un nuovo campo di battaglia partitica (l’aggettivo politica sarebbe fin troppo nobile per l’indecente spettacolo) che ha le stesse regole di ingaggio del pre-quarantena. I toni sono un po’ più sopiti e i modi apparentemente più educati ma le divergenze esibite senza nessuno sforzo di conciliazione sono infantili e fragorose esattamente come prima. Ai cittadini si chiede immobilismo, silenzio e trattenuta di respiro e dalle parti del Palazzo e nelle sue diverse sedi regionali c’è quest’aria da liberi tutti che avvilisce. Avanti così.

Poi ci sono quelli che tutti i giorni ci ripetono di stare a casa e stare distanti e poi si affollano e si abbuffano per presentare la fanfaronata dell’inaugurazione del nuovo ospedale: in Lombardia il presidente Fontana (che in questo momento è l’ariete della Lega poiché l’ex ministro Salvini si trova relegato a gestire solo un po’ di rabbia sui social) ha puntato tutto su Bertolaso e sul nuovo ospedale in Fiera a Milano. Il Covid Ospedale Fiera di Milano (anche il nome è un gioiello di marketing) è stato aperto con qualche centinaio di posti che ancora mancano, per ora sono operative qualche decina di posti letto, ma la fretta di mostrarsi fingendo di mostrarlo ci ha regalato l’immagine dello stesso assembramento che ci hanno detto di evitare. La fame di partecipare festosi alla festa e comparire in qualche inquadratura di qualche telegiornale nazionale hanno fatto apparire quei terribili censori dei governanti lombardi come giovinastri impegnati in un aperitivo pirata. Fulminante la risposta dell’assessore Gallera: «se protetti non è necessario restare a distanza» ha detto ai giornali per provare a giustificarsi. La protezione dei presenti (le immagini parlano chiarissimo) consisteva nel semplice uso della mascherina: e quindi? Pessima comunicazione, pessima politica.

Poi abbiamo assistito al prevedibile ingolfamento del sito dell’INPS. Ora, al di là del dato tecnico (il sovraffollamento era prevedibile ma la situazione disastrosa dell’Italia dal punto di vista digitale è qualcosa che meriterebbe un saggio di diversi tomi) sembra che nessuno abbia voluto dare risposta al dato più inquietante: proprio sul sito dell’INPS era comparsa l’informazione che l’ordine cronologico delle domande avrebbe contato per la loro accettazione. Poi, senza nessuna spiegazione, l’avviso sparisce. Badate bene: nessuno smentisce e nessuno riferisce sul perché di quell’avviso. Niente. Sparizione e le solite rassicurazioni sul fatto che “i soldi ci sono per tutti” e che al massimo ci sarebbe stato “un nuovo decreto”, puntando evidentemente sul fatto che la gente in un tempo sospeso sia rassicurata dalle promesse della politica. Anzi, non solo: il presidente dell’INPS Pasquale Tridico ieri addirittura se l’è quasi presa con i troppi accessi troppo contemporaneamente. Che screanzati questi cittadini che corrono per pretendere i soldi, in effetti.

E poi c’è tutto il resto: un presidente del consiglio che convoca una conferenza stampa per chiarire una polemica politica che nasce su presunte passeggiate con i figli (come se non esistano dall’inizio della quarantena genitori soli che non possono certo permettersi di lasciare incustoditi bambini) come se fosse una questione di Stato. Ore e ore, tonnellate di dichiarazione sull’età, sulla circonferenza e sul peso di un bambino che si può considerare un bambino. E per concludere il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, spalleggiato dal professore Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria, in conferenza stampa ci tiene a dirci che il tampone è stato eseguito a tutti quelli che ne avevano bisogno. E lo dicono così, impunemente, in faccia a decine di migliaia di persone che in Italia non hanno avuto accesso al tampone nonostante la presenza dei sintomi. Una dichiarazione così convinta come se non esistessero i morti senza tampone che si piangono in Lombardia. Pessima comunicazione, pessima politica.

(il mio pezzo per Il Riformista di oggi)