Vorrebbero sembrare degli statisti e invece sono solo dei cortilai. I cortilai sono dei miniaturizzatori che riescono a fare entrare nello spazio di un cortile questioni di enorme complessità come se fossero beghe tra vicini su un calzino steso che gocciola dal balcone di sopra. Hanno la fenomenale capacità di rendere tutto basso, gretto, infeltrito, campanilistico, provinciale, ottuso e nel tempo stesso di volerlo rivendere come un’apicale intuizione per costruire una chiave di lettura globale del mondo e della contemporaneità. Li riconosci, i cortilai, perché strepitano e si spruzzano scambiando la polvere per dibattito, banalizzano tutto convinti che qualsiasi loro unghia incarnita sia una questione mondiale e poi tra amici si vantano di avere «asfaltato» (dicono così, con la boria di una schiacciasassi arrugginita) l’avversario come se tutto intorno gli altri fossero barzotti per qualsiasi loro tweet.
I partiti sono una roncola da agitare contro le gang avversarie
I cortilai proliferano nel mondo e qui in Italia sono capi di partito, prìncipi ombelicali di partiti che sono ginecei completamente scollegati dal mondo in cui accadono le cose. I partiti, a proposito: anche i partiti nell’era del cortilianesimo si sono trasformati in una roncola da agitare contro le gang avversarie. I cortilai passano tutto il giorno abbarbicati sul loro ramo secco aspettando che il nemico possa compiere un errore, basta un errore qualsiasi, un termine sguincio, uno starnuto troppo slabbrato oppure una frase infelice e poi si buttano in picchiata per screenshottare la presunta vergogna e aizzare tutto il loro pollaio. Da lì in poi è tutta una guerriglia che accade solo sul web, l’esondazione di ciccine87 e fragolini52365 ingoiati come se fosse scoppiata una quarta guerra mondiale e anche se intorno poi le guerre scoppiano davvero entrambe le fazioni rimangono inchiodate lì, recintate nella loro disputa personalissima che più si accende e più si ingoffisce.
Se Conte diventa colpevole di concorso esterno in talebanismo
Accade che il tribolato leader dei grillini Giuseppe Conte, riferendosi alla situazione in Afghanistan inviti la comunità internazionale a «coltivare un serrato dialogo con il nuovo regime che appare, almeno a parole, su un atteggiamento abbastanza distensivo». Il fatto che l’ex Presidente del Consiglio usi l’aggettivo “distensivo” (buono per reclamizzare una tisana) in riferimento ai tutt’altro che distensivi talebani che poco prima avevano messo in scena una bruttina recita di fine anno con cui avrebbero voluto rasserenare il mondo, una conferenza stampa che sembrava una letterina a Babbo Natale recitata da Freddy Krueger. Apriti cielo. I primi a fiutare l’odore del sangue sono gli scherani di Italia viva, gente che subisce Conte come se fosse criptonite, che aizzano le tastiere vomitando una serie di improperi e di accuse come se Conte fosse il capo dei talebani appena entrato a Kabul mitragliando in aria.
Lo spettacolo da fuori è indecente ma soprattuto è immorale: mentre la gente muore e rischia di morire per molto tempo questi si tirano i capelli
L’equazione cortilaia è semplice: non si discute nel merito di proposte di azioni diplomatiche ma si fa sanguinare l’aggettivo per dimostrare che Conte è colpevole di concorso esterno in talebanismo e quindi loro che hanno contribuito alla sua caduta sono in sostanza la Primavera araba di cui avevamo assoluto bisogno. Nessun cenno alle madri che sono disposte a lacerarsi pur di lasciare in salvo i propri figli, nessun cenno alle centinaia di migliaia di afghani in un pericoloso limbo burocratico parcheggiati in Europa, nessun cenno a come fare uscire i disperati da lì e come poterli accogliere qui, niente di niente. Il dibattito diventa una sfida tra barzotti i cui toni farebbero impallidire il guerrigliero più smodato e i cui volumi potrebbero a far apparire il tutto come il prologo di una crisi planetaria. E invece è una rissa, una di quelle risse lente e storte dopo l’orario di chiusura del pub. Quegli altri, manco a dirlo, rispondono allineandosi subito alla modalità bassissima. Lo spettacolo, da fuori, è indecente ma soprattuto è immorale: mentre la gente muore e rischia di morire a lungo questi si tirano i capelli. Mica per niente arriva Draghi a dire semplicemente «basta» e risulta un gigante: basta poco, in mezzo ai nani.
Gli appelli alla diplomazia e alla comunicazione con i talebani
Fuori ci sono i fatti e i fatti oltre che tragici sembrano tragicamente irraggiungibili per questa classe dirigente: l’aeroporto di Kabul è diventato l’unico buco per sperare in un po’ di ossigeno ma è presidiato dai talebani che fungono di filtro otturato. C’è gente disposta a morire sulla banchina (o aggrappata ai motori di un aereo che decolla) piuttosto che imbarcarsi con Caronte. L’Afghanistan è diventato uno Stato in cui l’unica legge che vale è quella di un certo dio: legge pericolosissima perché non c’è niente di più pericoloso di uomini che declinano presunte divinità in regolamenti. Volendo vedere ci sarebbero anche le parole di Lakhdar Brahimi, veterano delle Nazioni Unite, che qualche giorno fa ha detto ad Al Jazeera che l’Onu dovrebbe intensificare gli sforzi diplomatici in Afghanistan: «È tempo di diplomazia». Ci sarebbe anche Lucia Castellina (una che viene trattata con riverenza perfino dai cortilai) che prova a ricordare che «politica significa anche dialogare con il nemico». C’è Josep Borell, il rappresentante della diplomazia Ue, che invita ad aprire un canale di comunicazione con chi ha vinto la guerra in Afghanistan senza che questo significhi riconoscere il nuovo Emirato, anche per non lasciare che Cina e Russia prendano il controllo. Il giornalista Nico Piro, uno che di Afghanistan ne sa parecchio, che ricorda che gli Usa in questi giorni stanno dialogando proprio con i talebani per provare a gestire le evacuazioni dall’aeroporto. Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, in un’intervista al Corriere della Sera dice: «Non abbiamo altra scelta. Noi umanitari siamo abituati a essere molto realisti: non tutti i nostri interlocutori ci piacciono, ma sono quelli che abbiamo e dobbiamo lavorare con loro. In questo momento ci si appiglia, con un po’ di opportunismo, alle evacuazioni, ripeto dovute e sacrosante, ma fra poco finiranno. Dopodiché occorrerà costruire questa relazione e usarla per far pressione sulle cose a cui teniamo».
La vergogna di non provare nemmeno a essere coerenti
Insomma, c’è la complessità, quella che ai cortilai non interessa perché escono dal proprio pianerottolo solo per comprare le sigarette e leggersi nella rassegna stampa. Poi, volendo, ci sarebbero anche i tiranni con cui qualche cortilaio intrattiene fruttuosi rapporti amicali per convegni e conferenze e ci sarebbe la Libia che è l’amante ben pagata per talebanizzare il Mediterraneo e ci sarebbe perfino il dittatore «di cui non possiamo fare a meno» (come disse Draghi) Erdogan. Ci sarebbe anche la vergogna di non provare nemmeno a essere coerenti. Ma i cortilai non vedono al di là della staccionata, figurarsi se hanno la sensibilità di riconoscere la vergogna.
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