Dice Matteo Salvini che quello di ieri è stato «uno sciopero farsa». Ci sta, bisogna avere lavorato per sapere riconoscere uno sciopero. Niente di male. Antonio Tajani dice che crede che «lo sciopero non abbia alcun senso: sia dannoso per la ripresa economica. Abbiamo prorogato lo stato di emergenza. Non è questo il modo per andare incontro ai lavoratori. È negativo per i lavori e il nostro Paese». Tajani fa il Tajani, ci sta, è pagato per quello: la ripresa economica per Tajani consiste nell’accontentare il suo elettorato e la disuguaglianza delle misure sicuramente non pende da quella parte.
Di certo lo sciopero di ieri è il primo atto di lesa maestà nei confronti del governo Draghi e molto chiaramente si sono potute vedere le parti in campo. Nessun leader di partito tranne Bersani e Fratoianni ha appoggiato esplicitamente lo sciopero. Pd e M5s da equilibristi auspicano “il dialogo”, peccato che le domande dei lavoratori (una distribuzione Irpef più equa, un maggiore contributo per le famiglie più povere per il rialzo dei consumi, una seria posizione sulle delocalizzazioni, maggiori stanziamenti per la sanità) siano chiarissime e a mancare siano le risposte. Ed è curioso che chi non risponde a una domanda si lamenti della mancanza di dialogo.
Inarrivabili quelli che dicono che non è il momento di scioperare: in Italia cinque milioni di lavoratori percepiscono un salario inferiore ai 10 mila euro lordi l’anno. Tra disoccupati e inattivi si contano quattro milioni di persone. Tre milioni sono i precari, 2,7 milioni i part time involontari. Il Censis ha elaborato dati Ocse da cui si deduce che siamo l’unico Paese industrializzato in cui, negli ultimi 30 anni, le retribuzioni sono calate (del 2,9%). Un arretramento che neanche in Grecia e in Spagna si è verificato. Francia e Germania hanno visto crescere i redditi da lavoro di oltre il 30%. In tutto questo stanno arrivando miliardi dall’Europa. Se non ora, quando?
Pessima, seppur prevedibile, la reazione dei giornali: Repubblica ieri non citava nemmeno lo sciopero, il Corriere della Sera ieri ne parlava a pagina 16 in poche righe, Il Messaggero un trafiletto sotto il titolo “disagi”. Se serviva uno sciopero per tastare il polso della stampa italiana eccovi serviti. Dario Di Vico ieri sul Corriere scriveva di una «gauche italiana pervicacemente affezionata a una centralità del conflitto capitale-lavoro». Magari Di Vico, magari.
Una cosa è certa, questo Paese si è completamente disabituato alla cultura del conflitto (essenziale in democrazia). Il fatto che ora ci sia Draghi ha aggiunto l’aggravante della lesa maestà. Il presidente di Confindustria Bonomi ci ha fatto sapere di essere stato “triste” per lo sciopero. Sapesse come sono tristi i lavoratori sottopagati o disoccupati. Il punto è che di Paesi reali ce ne sono veramente due: gli sfruttati e gli sfruttatori. Una volta l’avrebbero chiamata “lotta di classe” ma se oggi ci si permette di scriverlo questi chissà come si intristiscono ancora.
Buon venerdì.
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