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Addio al bonus psicologo, Sales a TPI: “Chiedere aiuto in Italia è difficile, perché domina ancora il patriarcato”

Il “bonus psicologo” è stato escluso dalla legge di bilancio scatenando un acceso dibattito. Sono in molti a lamentare la scarsa attenzione verso la salute mentale, soprattutto in questa lunga e sfiancante pandemia. Ne abbiamo parlato con Andrea Sales, psicologo, psicoterapeuta, formatore e docente che dirige il Centro Paradoxa di Carbonera (TV).

Il governo fa marcia indietro sul bonus salute mentale, mentre rimane in essere il bonus terme e il bonus rubinetti. Perché non si riesce a considerare la salute mentale una priorità?

Mi sono interrogato molto su questo. Credo che esista una difficoltà di misurabilità e di efficacia. Mi spiego: se io vado dal dentista riesco a prevedere un numero di incontri, se vado dal fisioterapista so che c’è un ciclo. Nel supporto psicologico non è così prevedibile. Ci sono approcci terapeutici che possono richiedere 5 incontri e ci sono approcci che ne possono chiedere 30. Credo che questo possa essere un problema di misurabilità. Certo dal punto di vista dell’attenzione al cittadino quello che emerge è che sembra che ci sia più attenzione per i rubinetti che per la salute mentale. Secondo me c’è anche un serio problema di comunicazione: chi sta là dovrebbe comunicare perché è stata presa questa decisione.

Si parla molto di impatto economico della pandemia. Ma quali sono i risvolti sociali e l’impatto psicologico di una situazione così prolungata?

Quando parliamo di impatto economico della pandemia si deve includere anche tutto quello che la salute mentale va a generare da un punto di vista economico. La pandemia è stata un amplificatore delle situazioni: le persone che erano in difficoltà o con un equilibrio precario hanno visto cadere le proprie certezze e amplificare le proprie incertezze e insicurezza. Le persone con maggiore solidità sono riuscite a trovare una misura diversa per stare in questa situazione. È sempre questione di atteggiamento mentale. Chi è abituato a vivere le situazioni come opportunità spesso ci è riuscito anche in questo caso, altri stanno soffrendo molto e hanno sicuramente bisogno di supporto. È lo stesso meccanismo delle aziende: le più fragili, soprattutto in alcuni settori, hanno avuto enormi difficoltà mentre le aziende più solide e con una visione più ampia sono riuscite a sopportare la situazione addirittura migliorandosi. L’impatto economico apre ancora di più la forbice tra chi è forte e strutturato e chi lo è meno. E dico questo senza voler squalificare chi è più debole: ricordiamoci sempre che l’essere umano è vulnerabile e fallibile per natura.

In Italia è ancora difficile riconoscere di avere bisogno di aiuto per la propria salute mentale?

In Italia facciamo ancora molta fatica, a differenza di alcuni Paesi europei, penso al Nord Europa. Negli Usa è più normale chiedere supporto, anche se si tratta di un supporto diverso perché il sistema è diverso. Perché si fa fatica a chiedere aiuto? Perché la cultura del macho e del “forte” è ancora imperante. Il patriarcato ne è una matrice importante e la reazione di alcuni maschi che non sanno gestire la frustrazione è un’evidente indicatore di questa fragilità. Manca l’abitudine a stare nell’incerto. Non siamo abituati a chiedere aiuto quando abbiamo dei dubbi. Uno dei passaggi più importanti sarebbe crescere giovani adulti che si interroghino sugli strumenti che servono per stare nelle relazioni. Ci alleniamo in palestra, ci alleniamo per essere migliori nel nostro lavoro ma non ci alleniamo per avere pensieri migliori. Per farlo servono figure che offrano supporto. Poi c’è il tema della psicologia che è vista come uno spazio che tutti possono maneggiare: il marketing è intriso di psicologia, lo sono i social. Ci siamo convinti tutti di poter essere psicologi di noi stessi.

Quali sono gli effetti più evidenti che ha riscontrato?

Parlare dei miei pazienti conta relativamente perché non sarebbe rappresentativo. Mi interessa più quello che accade in Italia e la cosa interessante è che i miei pazienti rispecchiano quello che sta accadendo nel Paese: vulnerabilità più forti legate all’incertezza (che è uno degli spazi che abitiamo con più difficoltà), la confusione e la paura che attanaglia tutti (no vax, pro vax, incerti). Tutti abbiamo paura di essere contaminati, anche gli estremismi sono guidati dalla paura. La grande famiglia Stato non è riuscita a dare informazioni rassicuranti. Che non vuole dire che le informazioni debbano essere “giuste”: si può rassicurare anche della poca certezza. Abbiamo sentito troppe volte “certezze scientifiche” quando la scienza invece è composta da variabili su ogni singola persona. Le statistiche ci servono ma ci devono mettere nella condizione di avere consapevolezza che non esiste nulla di certo.

Come ci si può preparare a questa nuova ondata che sembra allontanare ancora una volta la fine?

Bisognava dare continuità agli accorgimenti e alle precauzioni. Prepararsi significa sapere che l’atteggiamento è sempre quello della tutela di sé, che diventa anche tutela dell’altro. L’atteggiamento di salvaguardia personale deve diventare salvaguardia della collettività. Serve anche rispetto per le posizioni contrastanti consapevoli che la paura è il denominatore comune.

Cosa può fare la politica per valorizzare la cura della salute mentale? Quali sono i provvedimenti che servirebbero?

La politica dovrebbe aiutare i cittadini a sapere che alcune figure sono utili all’equilibrio del proprio sviluppo e della propria consapevolezza. Servono strumenti di maggior consapevolezza offerti da professionisti formati e informati, al di là della pandemia. Purtroppo le strutture pubbliche non sono all’altezza delle richieste per l’esiguo numero di professionisti. Tra l’altro in questo momento la politica sta strumentalizzando tutto e ne consegue una poca credibilità. La politica amplifica l’incertezza e quindi la precarietà mentale.

Come possono essere utili i media?

Essere meno faziosi, meno orientati politicamente. Mi piacerebbe che i media spiegassero le procedure che adottano per raccogliere le informazioni e per ritenere una fonte attendibile. Servono divulgatori preparati. Molto spesso invece ascoltiamo invece persone non competenti.

L’articolo originale scritto per TPI è qui