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Pd calenda est

Dopo giorni di sportellate quindi Carlo Calenda ha trovato l’accordo con Enrico Letta. Il partito Azione (insieme a +Europa) farà parte del “campo largo” pensato dal Pd che ora (e molto probabilmente sarà l’assetto definitivo con cui si presenterà alle elezioni) va da Sinistra italiana e Verdi di Fratoianni e Bonelli fino alla parte più destrorsa di Calenda, facilmente riconoscibile dal marchio di Forza Italia slavato da poco sulle divise di Gelmini e Carfagna (in attesa che arrivi anche Brunetta).

L’accordo, come si legge oggi su tutti i giornali, pretende una quota del 30% dei seggi (rispetto al totale di quelli di Pd e Azione/+Europa), l’imposizione di non candidare “leader divisivi” nei collegi uninominali (ovvero Fratoianni, Bonelli, Di Maio e i fuoriusciti berlusconiani). Calenda è riuscito, al solito, a capitalizzare i suoi penultimatum, per farsi ipervalutare negli accordi elettorali. Piaccia o no (a me non piace per niente) il machismo politico rende. Anche se poi accade, come sta succedendo a Matteo Renzi, che ci si ritrovi irrimediabilmente soli.

L’accordo tra Letta e Calenda però non è solo sugli equilibri elettorali. L’accordo con Calenda contiene punti strettamente politici (sì all’agenda Draghi e ai rigassificatori, impegno a modificare reddito di cittadinanza e bonus 110%) che indicano una precisa scelta di campo. Enrico Letta, consapevole o no, ha dato l’occasione al segretario di +Europa Benedetto Della Vedova di affermare «questo non è un centrosinistra, è un centro (liberale, riformatore) e sinistra». Non ha tutti i torti, anche se definire “sinistra” il Partito democratico è un atto coraggioso o miope (e di miopia nelle valutazioni politiche ce n’è parecchie nel campo dei cosiddetti liberali.

Ora il compito più difficile sarà convincere gli elettori che con i loro voti non contribuiranno a fare eleggere Gelmini e Carfagna da una parte e Di Maio e Fratoianni dall’altra. Questa legge elettorale, è vero, fa schifo: costringe i partiti a creare alleanze elettorali che non sono coalizioni politiche – non esiste infatti un programma di coalizione – e contemporaneamente gli consente di simulare un “liberi tutti”. Calenda e Fratoianni insistono su questo punto: “Stiamo insieme ma non non c’entriamo niente”, ripetono e ripeteranno fino alle elezioni. Enrico Letta, per ora, azzarda di più ipotizzando un fronte che potrebbe addirittura governare. Comunque sia da fuori è un pasticcio piuttosto confuso.

Intanto si sono persi giorni buoni per parlare di programmi a limare alleanze elettorali intorno ai caminetti di partito (e oggi si continuerà ancora) e questa campagna elettorale in questa prima fase sembra un calciomercato estivo. Tra l’altro nelle prossime ore si capirà che la promessa di Letta sul Pd che “offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza” significa che Di Maio (che non avrebbe mai preso il 3% con la sua lista per farsi eleggere nel proporzionale) sarà candidato nelle liste del Pd. Un bel premio, non c’è che dire. Sarebbe curioso capire per cosa sia premiato, tra l’altro.

Mentre i soliti noti giocano con le figurine chi cerca di proporsi come reale alternativa (Unione popolare sta apparecchiando una campagna elettorale improvvisa e difficile) deve provare a raccogliere le firme grazie a una tagliola ben studiata dal potere che mira a mantenere sé stesso. Forse che partiti senza simboli in omaggio (come quelli di Bonino o Tabacci) rischino di non potersi misurare alle elezioni è un problema di democrazia che meriterebbe attenzione trasversale di tutti i partiti. Ma qui siamo ai coltelli, mica alla politica.

Buon mercoledì.

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