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Opposizione fai da te. La destra piange ma la sinistra non ride

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“Da oggi siamo ancora più convintamente all’opposizione”. Si potrebbe partire dalla dichiarazione del segretario del Partito democratico Enrico Letta, pronunciata qualche minuto dopo l’elezione alla presidenza della Camera di Lorenzo Fontana, per avere contezza della situazione.

Dal Pd a Calenda non c’è dialogo. E così la maggioranza può stare serena

A Letta evidentemente non è bastata la piattaforma politica di Giorgia Meloni in campagna elettorale, non erano bastate le promesse di Matteo Salvini e non bastava la storia politica e giudiziaria di Silvio Berlusconi per rendersi conto della gravità della situazione. L’opposizione dura e pura e compatta era da fare prima del 25 settembre per non regalare il Paese a questa destra (la peggiore e la più estremista di sempre).

Dolersi ora è fuori tempo massimo, quasi fastidioso. Il difetto di sempre: istituzionalizzare anche le forze politiche più indigeribili quando si tratta di raggiungere il potere e poi demonizzarle (con pochissima credibilità) quando quelle il potere te l’hanno strappato. Il centrodestra non sta benissimo con Ignazio La Russa eletto con la stampella di un pezzo dell’opposizione e con una trattativa di governo che si arena decine di volte al giorno, ma il campo del centrosinistra (chiamarla opposizione, per ora, sembrerebbe un regalo sulla fiducia che non si meritano) non è messo meglio.

Troppo comodo e semplicistico usare Matteo Renzi come capro espiatorio per l’elezione del presidente del Senato (mancano almeno una decina di nomi che si annidano nel Pd e nel M5S, molto probabilmente) e troppo facile dire ora di avere fatto tutto il possibile.

Al Senato, ad esempio, sarebbe bastata un po’ di furbizia politica per scegliere di convergere su un nome condiviso per imbrigliare i franchi tiratori. Non è una finezza politeista, è l’abc della grammatica parlamentare. “Peggio di così nemmeno con L’immaginazione più sfrenata.

L’Italia, non merita questo sfregio”, scrive Enrico Letta Facebook, “da responsabile esteri della Lega, ha promosso la Lega come ‘cerniera’ tra Donald Trump e Vladimir Putin e ha guidato l’avvicinamento a Marine Le Pen e al gruppo di destra omofoba e oltranzista al Parlamento europeo”, scrive la deputata Lia Quartapelle. Tutto vero, certo, ma Fontana è il responsabile esteri del partito con cui questo centrosinistra ha governato sotto la guida di Mario Draghi.

Fontana era addirittura ministro del primo governo Conte (che infatti tiene per ruttala giornata un profilo basso). Mentre a destra litigano ma vincono le elezioni e fanno eleggere i loro uomini alla Camera e al Senato ieri la convergenza tra Pd e M5S (cercata fino all’ultimo) non è stata resa possibile. Il centrosinistra va in ordine sparso da un bel pezzo, da quando Enrico Letta ha deciso che i putinisti erano i suoi ex alleati del Movimento 5 Stelle fingendo di non vedere e di non sapere quale fosse la trama dall’altra parte.

Mentre Pd, Sinistra Italiana, Verdi e +Europa convergono su Cecilia Guerra come anti-Fontana il M5S va per conto suo con Cafiero De Raho e i calendiani e renziani scelgono Luigi Marattin. Questo è il punto di partenza. L’opposizione non è unita, non esiste. E non servirà fingere di non sentire Roberto Calderoli mentre spiega che “non c’è solo centrodestra, c’è una maggioranza più ampia” riferendosi a Renzi e Calenda.

Non servirà assistere alle recriminazioni tra Letta e Conte mentre si accordano nei territori per le regionali. Tra qualche giorno Giorgia Meloni presenterà la sua squadra di governo e gli elettori non avranno ancora idea di quale squadra sia possibile dall’altra parte. Così ancora una volta la forza della destra sarà soprattutto la debolezza di quegli altri.

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