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Del Pd di Letta si sono perse le tracce

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Ma dov’è finito il Pd? Dopo i giorni successivi alla batosta elettorale, con voci che discutevano addirittura di scioglimento, il partito di Enrico Letta sembra essersi assopito in un silenzio esterno e interno. Si sono levate ovviamente le voci di opposizione per il governo che Giorgia Meloni ha confezionato ma il futuro del partito, tema urgente per gettare le basi di una ricostruzione, è scomparso dalle pagine dei giornali.

Aspettando il Congresso, nel Pd è stallo totale. E il dibattito sul futuro del partito è sparito dall’agenda.

Dal punto di vista istituzionale sono state confermate le due capogruppo in Parlamento ma la fase congressuale, che Letta aveva annunciato come imminente, sembra ancora essere in pieno stallo. In questo momento ci sono in campo solo due nomi: Paola De Micheli e Stefano Bonaccini. La prima promette opposizione “dura e radicale” al governo Meloni ma continua a ripetere che “non basterà”:

“Dobbiamo decidere chi siamo, chi rappresentiamo e dove vogliamo portare il Paese”, spiega. L’ex ministra alle Infrastrutture lamenta un “silenziosamente” della sua candidatura “dalla componente maschilista del partito”. Di certo sono in molti all’intento del Pd a ritenere la sua candidatura poco più di una semplice testimonianza: “Ha scelto di candidarsi per prima per ritagliarsi un po’ di visibilità”, taglia corto un deputato.

Il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini invece sa bene di avere le carte in regola per aspirare alla segreteria e per questo chiede un’accelerazione: “Spero non andiamo oltre perché secondo me – dice Bonaccini intervistato ad Agorà, su Rai Tre – a proposito di chi ha detto che si potrebbe andare persino a mesi successivi, forse c’è chi ha più interesse e a tenere lo status quo di adesso. E forse non si comprende quali sono le aspettative anche di una parte del Paese”.

I sondaggi lo danno come favorito e la sua unica sfidante che a oggi avrebbe qualche possibilità di insidiarlo, Elly Schlein, è sempre rimasta in silenzio sull’ipotesi di una sua candidatura. Anche perché Bonaccini sa bene che ogni giorno perso rischia di essere un regalo al Movimento 5 Stelle: “Dobbiamo essere noi del Pd a organizzare una proposta di opposizione. Poi ragioniamo sui temi. Il congresso non deve essere una disputa tra chi pensa ci si debba alleare con gli uni o con gli altri che sono con noi in Parlamento”, spiega, chiarendo comunque di non vedere nessuna possibilità che i renziani del cosiddetto terzo polo “rientrino nel Partito democratico”: “hanno fatto un altro partito e mi pare che la loro strada sia legittimamente quella di dar vita a un’altra forza politica, che io mi auguro non abbia tentazioni di guardare a destra”, ha detto alla festa romana de Il Foglio.

Ci sarebbe, a dire il vero, anche il sindaco di Firenze Dario Nardella che ripete di “candidarsi a portare delle idee forti e dirompenti» lasciando socchiusa la porta. Nardella ha parlato anche di «una grande generazione che dovrebbe unirsi, dal sud al nord, dalla destra alla sinistra del mio partito, senza farsi condizionare dai gruppi di potere, dal tatticismo o dalle convenienze”.

Solo che intanto il Pd (secondo l’ultimo sondaggio Emg) ha perso ancora un 1,1%, scivolando al 18%, a solo 1,5% dal Movimento 5 Stelle. Intanto in vista ci sono le elezioni regionali di Lombardia e Lazio e ancora una volta il Pd dovrà decidere se guardare ai 5S o al cosiddetto terzo polo. Oppure, ancora una volta, lasciare decidere gli altri. “Questo immobilismo non lo capisce nessuno”, dice un ex senatore non rieletto. La destra nel frattempo vince e governa.

 

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