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Revanscismo di governo

Il coro è sempre lo stesso, una simulata meraviglia per l’inclinazione alla democrazia della potente di turno. Sfogliando questa mattina la rassegna stampa si possono riconoscere le stesse voci di intellettuali e giornalisti che sculettano da progressisti ma non riescono a trattenere la loro passione per il potere, qualsiasi potere. Rosso, nero, uomo, donna, borgataro o esimio professore il potere va bene in tutte le salse. L’adorazione per lo scranno più alto del Consiglio dei ministri è un’inclinazione che ha le fattezze del servilismo. Capita così che la realtà venga piegata ai propri desiderata senza un briciolo di vergogna: «Sembra un PdC di centro sinistra riformista», twittava ieri una giornalista. Basta prendere questa frase come fotografia dell’imbarazzo che ci assale.

La destra che torna al governo dopo il 1946 invece fa la destra, ne indossa tutte le caratteristiche (anche le peggiori) e basta una giornata consumata alla Camera per scalfire il fondotinta che ha indossato durante la passerella dell’investitura. Giorgia Meloni fa un comiziaccio di partito con poca patina istituzionale e celebra la retorica più destrorsa che si sia mai ascoltata da una presidenza del Consiglio sfoderando promesse di non tradire e non indietreggiare, come in una brutta puntata di Sturmtruppen. Racconta la storia d’Italia scivolando dal Risorgimento dimenticando la Liberazione italiana (sarà per non “tradire” i suoi Fratelli d’Italia) riducendo il fascismo alle leggi razziali (da cui prende le distanze per confermare la sua aderenza a tutto il resto?) e l’antifascismo a ragazzetti con il gusto di pestare con la chiave inglese.

Chiama per nome le donne che le sono di esempio ma non riesce a non ridicolizzare il femminismo tirando fuori dal cilindro la battuta della “capatrena” che non farebbe ridere nemmeno detta al bar della Garbatella. Snocciola un filotto di riferimenti culturali che sembra confezionato dalla home page di un sito di aforismi (Roger Scruton e Montesquieu, Cormac McCarthy e Steve Jobs) e consegna come scena madre la sua abiura ai regimi antidemocratici («tutti i regimi antidemocratici», puntualizza Meloni, tanto per annacquarne qualcuno) applauditissima dai commentatori del potere. “Avete visto? Ha preso le distanze dal fascismo!”, scrivono in coro quelli che dimenticano di parlare dell’erede del partito di Almirante. «Avete visto? Che credibilità!”, scrivono della presidente del Consiglio che votò Ruby come nipote di Mubarak.

Quando le capita di rivolgersi al deputato Aboubakar Soumahoro ne sbaglia il cognome (ci può stare) e poi non riesce a non dargli del tu. Sarà un caso che Soumahoro sia nero. Sarà un caso che Meloni si scusi dopo le proteste dai banchi dell’opposizione. Funziona, comunque: i villi intestinali dei suoi elettori sono ugualmente soddisfatti per quello scivolone che a loro dice più di tutto il resto del discorso.

La destra fa la destra e coccola gli evasori, sventola “l’ordine” in nome della sicurezza (una retorica che ormai fa presa solo qui, vecchia come il mondo), promette contemporaneamente deregolamentazione e protezionismo, propone un europeismo che è solo postura (partendo da San Benedetto!), usa Montesquieu per fingersi liberale (ma è semplicemente liberista), accarezza gli imprenditori con la narrazione dello «Stato tiranno», si rimangia la promessa delle riforme costituzionali solo se condivise («sia chiaro che non rinunceremo a riformare l’Italia di fronte ad opposizioni pregiudiziali»), lascia intendere una tolleranza dell’evasione come nuovo patto fiscale, srotola solo bolsa retorica sulla battaglia alle mafie (proponendo il riuso dei beni confiscati che già c’è ma non se n’è mai accorta), sfodera «l’ambientalismo ideologico» rivendicando (applaudita!) la priorità dei benefici dell’uomo sui danni dell’ambiente (un passo indietro di quarant’anni almeno), incasella l’immigrazione in un contesto solo economico e militare. La destra fa la destra.

Per Giorgia Meloni è tutto revanscismo. La voglia di urlare la rivincita ci presenta una presidente del Consiglio che chiede la fiducia attaccando l’opposizione. Il vittimismo, vedrete, sarà il segno distintivo di un governo che grazie al vittimismo è riuscito a ingrassare il proprio bacino elettorale stando all’opposizione. Intanto fuori i manganelli spaccano le teste agli studenti «per impedire l’assalto alla cerimonia», ci spiega il ministro all’Interno Piantedosi. Piantedosi che ha già trovato il tempo di mettere sotto i riflettori le Ong nel Mediterraneo mentre il Mediterraneo ci restituiva altri corpi di bambini di pochi mesi.

La luna di miele di Giorgia Meloni è appena iniziata ma durerà poco come per tutti gli altri. Quelli che prima la disprezzavano e ora la adorano – più o meno velatamente – sono pronti a lasciarla appena finiranno le briciole di pane di cui si cibano.

Buon mercoledì.

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