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Roma caput pacis, in marcia per dire basta all’orrore del conflitto in Ucraina. La classe politica ha fallito, ora ascolti il popolo della pace

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

La pace non c’è mai stata per davvero. Di guerre ne abbiamo viste e ne vediamo tante ma questa guerra in Ucraina ha alimentato una virulenza contro i pacifisti che difficilmente si era vista in giro dopo le guerre mondiali. Pacifisti traditori della patria, pacifisti che sono i migliori alleati del nemico, pacifisti dipinti come irresponsabili naïf da trattare con superficialità e da ricoprire di paternalismo. È una storia vecchia, è vero.

Fate… strada

Siamo il Paese che ha avuto uno dei già grandi testimoni contro le guerre come Gino Strada e l’abbiamo infangato da vivo tutti i giorni della sua vita, pronti a piangere lacrime di polistirolo solo dopo la sua morte. I pacifisti in questo Paese funzionano e piacciono solo quando stanno dentro qualche libro di storia o vengono commemorati in qualche celebrazione.

Così il furore bellico che in Ucraina stupra le donne, uccide i bambini, bombarda i civili, e ha strappato la libertà a un’intera nazione dalle nostre parti si è trasformato in una clava per sistemare i conti aperti con gli avversari politici, con i giornalisti ritenuti ostili. Usare una strage alle porte dell’Europa per farne polemica politica interna: anche questo non stupisce in un Paese con una classe dirigente che non ha visioni più larghe del proprio orto e del recinto dei suoi interessi personali.

C’è Calenda che usa la guerra per svilire Conte, c’è Renzi che usa la guerra per prendere a schiaffi Letta, c’è Giorgia Meloni che la guerra la usa per fiaccare le polemiche del suo alleato Berlusconi, c’è la guerra che Salvini usa come fondotinta per rivendersi come “mai stato amico di Putin”.

Basterebbe solo questo per dare un senso a una marcia per la pace che tra le altre cose chiede alla classe politica di provare a essere un po’ più alta di così. Parlare di pace in Ucraina oggi, come accade per tutte le guerre, significa anche rivendicare il diritto di una politica che faccia il suo dovere, che sappia accordare gli equilibri internazionali senza bisogno di accedere alla violenza come ultimo rifugio degli incapaci.

Perché odiano così tanto i pacifisti? Semplice: perché sono lo specchio del loro fallimento. I pacifisti, è sempre stato così, stanno in piazza a ricordare che la pace richiede una maturità diplomatica e politica che non ha niente a che fare con le prove muscolari, niente a che vedere con l’indegna compagine dei signorotti delle armi. La politica non ha niente a che vedere con la fame insaziabile dei signori della guerra che in questi anni hanno lasciato in giro per il mondo macerie che vorrebbero farci credere siano mattoni per la ricostruzione.

Partito unico bellicista

Fanno il deserto e lo chiamano pace, accade sempre così. C’è da credere che scotti ancora al cosiddetto Occidente – quello che recita altisonante i suoi principi giuridici ma poi fatica tantissimo a metterli in pratica – quell’Afghanistan abbandonato a se stesso che ci osserva dopo essere ripiombato nell’incubo di com’era prima dell’ennesima guerra inutile.

L’Afghanistan sta lì a dirci che in guerra ci perdono tutti tranne i signori della guerra, in guerra ci muoiono i figli dei poveri mentre i ricchi si fanno ancora più ricchi. Fare la guerra a chi non vuole la guerra oggi è il comandamento del Partito Unico Bellicista. Vorrebbero apparire come i più strenui difensori dell’Ucraina e invece sulla pelle degli ucraini giocano una partita che ai pacifista non interessa, anzi fa schifo.

Che tacciano le armi, in primis, e che la politica svolga il suo ruolo. La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, diceva Asimov. Essere capaci: ecco quello che serve per far smettere la guerra. Più capaci di quel violento di Putin.

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