Vai al contenuto

Forti con i deboli e deboli con i forti: il caso Gucci

A settembre dell’anno scorso grazie al giornalista investigativo Stefano Vergine abbiamo saputo che Gucci, il famoso marchio della moda, aveva ottenuto uno sconto fiscale di 748 milioni di euro. Diceva così l’accordo, nero su bianco, tra il fisco italiano e Kering, multinazionale controllata da François-Henri Pinault e proprietaria di marchi della moda come Gucci, Yves Saint Laurent e Bottega Veneta. «Sette pagine top secret», scrive Stefano Vergine, «che hanno messo la parola fine al contenzioso fiscale iniziato nel 2017, con il colosso del fashion accusato dalle autorità italiane di aver evaso le imposte attraverso un trucco: la Lgi Sa, una società di diritto svizzero ma in realtà operante in Italia, utilizzata per incassare i profitti realizzati nel mondo grazie alle vendite di borse e cinture marchiate Gucci».

Ne parlarono in pochi. Feci un calcolo veloce, al tempo, scrivendone: «La cifra è tre volte la somma delle truffe dei “furbetti” del Reddito di cittadinanza, quei singoli casi di truffa allo Stato (l’1 per cento del totale) che negli ultimi mesi sono state quotidianamente sventolate nell’agone politico. Restando sempre nel gioco delle proporzioni si potrebbe dire che lo sconto quasi miliardario al marchio del lusso costa come 124.666 redditi di cittadinanza per un anno».

Ora c’è una novità, sempre scovata da Stefano Vergine per Il Fatto Quotidiano con Yann Philippin di Mediapart: François-Henri Pinault (amministratore delegato e azionista di maggioranza di Kering che controlla marchi come Gucci, Yves-Saint Laurent, Balenciaga, Bottega Veneta e tanti altri) era consapevole dei “trucchi” usati dal gruppo. Anzi, era perfino stupito dell’accondiscendenza sello Stato italiano: «Quando guardiamo alle statistiche italiane abbiamo la sensazione, per essere molto chiari, che Gucci sia protetta da anni. Non sappiamo come, ma abbiamo meno problemi degli altri, molti meno problemi, e non ne vediamo il motivo. Ci chiediamo: siamo protetti perché compriamo la protezione?», disse il 4 febbraio 2016 in una riunione con il vice amministratore delegato Jean-François Palus, con il direttore finanziario, Jean-Marc Duplaix e il responsabile del settore immobiliare e fiscale, Carmine Rotondaro.

Questi audio, ottenuti dal Fatto e dalla testata francese Mediapart, dimostrerebbero che il numero uno di Kering, mai indagato dalla Procura di Milano per il regime fiscale utilizzato dal gruppo, fosse consapevole almeno dal febbraio 2016 che la svizzera Lgi venisse utilizzata per pagare meno imposte. Secondo i calcoli di Mediapart, a partire dal 1999 il gigante del lusso ha infatti registrato artificialmente i suoi profitti nella società svizzera Lgi. Così facendo ha evitato di pagare 2,5 miliardi di euro di imposte, a scapito di Francia (per i marchi Yves Saint Laurent e Balenciaga) e soprattutto Italia (per Gucci e Bottega Veneta).

La notizia è di ieri. Ne avete sentito parlare? No. Funziona di più l’articolo sdegnato contro un poveraccio che incassa 500 euro al mese che quello su un marchio del made in Italy che risparmia 748 milioni di euro con il fisco. Anche pagare meno tasse da noi è diventato un lusso.

Buon giovedì.

L’articolo proviene da Left.it qui