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Antimafia Duemila sugli spettacoli “A casa loro” e “falcone, borsellino e le teste di minchia”

(fonte)

Ieri, al teatro comunale di porto San Giorgio è andato in scena il monologo ‘A Casa Loro’ interpretato dall’artista antimafia e giornalista Giulio Cavalli. Un monologo teatrale che nasce dai reportage di Nello Scavo (giornalista di Avvenire) e racconta il dramma di chi prova a fuggire dall’Africa per arrivare in Italia, restando spesso imprigionato in Libia.

Questa sera, invece, venerdì 24 febbraio (ore 21.15) l’Isola di Chiaravalle in via G. Bruno 3 ospiterà lo spettacolo “Falcone, Borsellino e le teste di minchia – Il ridicolo onore” scritto e interpretato sempre da Giulio Cavalli.

Recuperando i canoni dei giullari del ‘500 ma conservando il rigore del giornalismo d’inchiesta, il monologo ripercorre la storia delle mafie, smontando il presunto onore dei boss con la risata. Ridere di mafia diventa così una sorta di antiracket culturale: la parola come arma bianca con cui prendere parte ad una battaglia che non può e non deve passare di moda.

Castigat ridendo mores direbbero i latini: correggere i costumi con la risata.

I due monologhi, ha detto Cavalli, “sono i due temi su cui stiamo lavorando quest’anno e sono temi su cui io lavoro da sempre quindi quello dell’immigrazione, anzi più dell’immigrazione direi sullo sconcio accordo che c’è tra Italia e Libia e per cui l’Italia è capofila nell’Europa per pagare miliziani libici di questo stato che in realtà non è uno stato“.

L’altro ieri Giorgia Meloni diceva a Kiev ‘bisogna vedere con i propri occhi’, e io penso che il teatro e il giornalismo sia un ottimo modo per portare le persone lì senza che si debbano spostare”.

‘Falcone, Borsellino e le teste di minchia’ “invece riprende il mio teatro più classico, quindi la giullarata, e racconta di questi trent’anni di mafia, di antimafia, di tutto ciò che non va nella narrazione che c’è stata e del fatto che abbiamo dato molto credito ai boss mafiosi – ce ne siamo innamorati non per ultimo Matteo Messina Denaro – e che ancora trent’anni dopo continuiamo a raccontare le mafie come un sistema criminale e non come un sistema di potere. L’anno scorso era il trentennale di Falcone e Borsellino e uno dei più grandi insegnamenti che ci hanno lasciato era stato proprio questo”.

“Nel primo caso lo spettacolo sulla Libia è uno spettacolo classico mentre nel secondo si ride perché sono convinto che la risata contro la mafia funzioni. Ce lo insegnano i giullari del ‘500 che i potenti ma soprattutto i prepotenti non sopportano la risata”.

E poi ancora, in merito al dibattito che si è accesso intorno al 41 bis: uno degli scopi di una “precisa parte politica del governo, mi sembra evidente, lo raccontano gli ultimi vent’anni della storia di questo Paese” sia “abolire mezzi di indagine o comunque mezzi giudiziari che servono per sconfiggere la mafia” in “nome di un garantismo che non ha niente a che vedere con il garantismo”.

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