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Perché in Italia l’antimafia è sempre più debole

Breve riassunto dello stato dell’arte della cultura antimafiosa – e quindi dello stato della lotta alla mafia – nel Paese a cui sta passando finanche la voglia di celebrare stancamente Falcone e Borsellino. Nell’anniversario della morte di Giovanni Falcone a Palermo la sorella Maria è stata al centro delle polemiche per avere posato sorridente in foto con il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, sostenuto
pubblicamente da Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro in campagna elettorale. Lagalla, dicono i critici, non ha mai preso le distanze da due condannati di mafia, Maria Falcone ha accorciato le distanze con il sindaco. Qualcuno sbologna la polemiche riferendo una fastidiosa “cultura del sospetto” ma senza l’intelligenza del dubbio (che con lo studio può evolversi in sospetto) l’antimafia in questo Paese non sarebbe mai esistita.

Giovanni Falcone (secondo da sinistra), circondato dagli uomini della scorta (Getty Images)

Morvillo: “Spesso segnali che invitano a convivere con ambienti in odore di mafia”

Sicuramente questo 31esimo anniversario è passato sotto tono. Il sindaco Lagalla ha potuto pomposamente annunciare la donazione di un palazzo comunale alla fondazione Falcone dove nascerà un museo intitolato a Falcone e Borsellino. Tenere i miti sotto teca è da sempre il modo migliore per renderli inoffensivi. Nel trentunesimo anniversario della strage di Capaci ha preso carta e penna Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, la moglie morta con il giudice e tre uomini della scorta. “Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia”, dice Morvillo, ex procuratore di Trapani, riferendosi chiaramente a Maria Falcone. “Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, – scrive Morvillo in una lettera uscita su Repubblica – dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”.

Il monumento a Capaci, nel luogo dell’attentato in cui morirono Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta (GettyImages)

Ricercare la verità sulla stragi di mafia è passato di moda

Nell’anniversario della morte di Giovanni Falcone la ricerca della verità è una moda appassita, spazzata via dal frastuono delle fanfare. Sembra già dimenticato il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana, non è più un’urgenza conoscere le catene di comando dei servizi che
acconsentirono alla manipolazione delle indagini, né gli affidavit politici che ricevettero dal governo dell’epoca. Le bugie su via d’Amelio sarebbero opera di qualche poliziotto e un funzionario. Riuscire a commemorare una storia senza pretendere che venga raccontata per intero definisce la debolezza di un’antimafia diventata rito, sfilata di scorte e baci sulla guancia. Il 23 maggio di quest’anno si sono separati anche i cortei. Il corteo di CGIL e dei coordinamenti cittadini hanno deciso di andare da soli perché stanchi «delle passerelle» e di «una narrazione deviata della lotta mafia che non ci rappresenta». Leggendo i giornali si potrebbe credere che ci fosse il corteo ufficiale dei ben vestiti e che quell’altro fosse un accrocco di esagitati. Così è stato più facile raccontare le bastonate della Polizia come una normale azione di ordine pubblico contro disturbatori scapigliati. I manganelli nel giorno di Falcone contro un corteo antimafioso sono un evento gravissimo mai accaduto a Palermo nel giorno di Capaci ma il nervo dello sdegno e la pupilla per l’analisti sono stanchi per questi tre decenni di retorica.

Una protesta contro la mafia (Getty Images)

L’arresto “morbido” di Matteo Messina Denaro

Nel trentunesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre uomini della sua scorta, Matteo Messina Denaro è diventato un orpello al pari delle sue calamite di Masha e Orso che teneva sul frigorifero. Abbiamo saputo tutto quello che c’era da sapere sui suoi intrecci amorosi, abbiamo ascoltato i suoi goffi corteggiamenti via WhatsApp e ci siamo appassionati alle gesta dei suoi vivandieri. La sua rete di protezione è stata descritta come un reticolo di fruttivendoli e formaggiai. Al massimo si è accennato ai favori di qualche politico locale. Un arresto così morbido Messina Denaro non l’avrebbe potuto desiderare nemmeno nei suoi auspici migliori.

I resti della Fiat Croma su cui viaggiavano Giovanni Falcone, la moglie e la scorta al momento dell’attentato (Getty Images)

Le polemiche su Colosimo presidente dell’antimafa

Nel trentunesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone “simbolicamente” il governo ha voluto insediare la Commissione parlamentare antimafia “per dare un segnale”. C’è da ringraziarli perché leggendo gli editoriali di alcuni “intellettuali” di destra abbiamo creduto che questo fosse l’anno buono per dichiarare la mafia sconfitta e la Commissione antimafia esaurita. Hanno pensato che fosse meglio svuotarla, probabilmente, e hanno scelto come presidente Chiara Colosimo che ha il merito di essere molto “vicina” alla presidente del Consiglio. Le nomine per vicinanza e appartenenza sono – lo sanno tutti quelli che studiano le mafie – una componente importante dell’antropologia mafiosa. Colosimo è stata criticata per una foto con il terrorista pregiudicato di estrema destra Luigi Ciavardini. «Solo una foto di un incontro a cui abbiamo partecipato insieme», spiega Colosimo. La nuova presidente della Commissione antimafia è stata contestata dai familiari
delle vittime di mafia. Esagitati, anche loro. Per concludere a Catania, in occasione dei comizi per il ballottaggio delle elezioni amministrative,
la presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla delle tasse ai piccoli commercianti come «pizzo di Stato». Il “pizzo” è il contributo estorto dalla mafia agli imprenditori. Quindi per Giorgia Meloni lo Stato è un estorsore al pari della mafia. E lo dice a Catania.

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