Vai al contenuto

La chiamano guerra ma è anche una cancellazione culturale

Lo scrittore Shady Amadi li mette in fila, uno dopo l’altro. Sono gli artisti palestinesi (scrittori, poeti, pittori) che hanno perso la vita sotto le bombe a Gaza e sono la sindone del tentativo di cancellare una cultura chiamandola terrorismo.

C’è Refaat al Areer, poeta, professore all’Università Islamica di Gaza, che poche settimane prima di morire il 6 dicembre scorso aveva scritto “se io dovessi morire, tu devi vivere, per raccontare la mia storia”. Il 7 ottobre muore il poeta Omar Faris Abu Shaweesh a causa del bombardamento del campo profughi di Nuseirat a Gaza. Passano due giorni e il 13 ottobre nella sua casa a Gaza viene uccisa la pittrice Heba Zaqout insieme ai suoi due figli. Come racconta nel suo articolo Amadi “nel 2020, Zaqout aveva finito una serie di dipinti di donne con in mano una colomba, una chiave e un liuto a simboleggiare rispettivamente: la pace, il ritorno e la cultura”. Il 16 ottobre viene ucciso lo scrittore Abdullah Al-Aqad, il giorno successivo muore storico Jihad Al-Masri per una bomba. 

Il 20 ottobre a 32 anni viene ammazzata durante un raid israeliano la scrittrice e poetessa Heba Kamal Saleh Abu Nada nel 2017 aveva pubblicato il romanzo L’ossigeno non è per i morti. Su X l’8 ottobre aveva scritto “La notte di Gaza è buia se non per i bagliori dei missili; tranquilla se non per il rumore delle bombe; terrificante se non per la tranquillità delle preghiere; nera se non per la luce dei martiri. Buona notte, Gaza”. Il 23 ottobre muore lo scrittore Abdul Karim Hashash. Il 20 ottobre la pittrice Halima Al-Kahlout. Poi la regista  Inas al-Saq, il poeta Shahadah Al-Buhbahan, lo scrittore e giornalista Mustafa Al-Sawwaf, il poeta Nour al-Din Hajjaj, il musicista Yousef Dawas, il poeta Saleem Al-Naffar. 

Rientra nella definizione di genocidio l’annullamento dei valori e dei riferimenti culturali. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: un’opera di Heba Zaqout

L’articolo proviene da Left.it qui