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I Mangiafemmine: intervista al Corriere Torino

Anatomia di un Mangiafemmine: «Chiunque tenga in tasca il proprio privilegio come un’arma da sfoderare per riempirsi lo stomaco di una turpe voglia qualsiasi. I mangiafemmine si nutrono di donne per definire la propria identità e per mostrarsi al branco come capaci alla caccia». È veramente distopico (non usiamo altri aggettivi in sostituzione di uno che si ripropone come la cipolla a colazione) e speriamo non preveggente, il romanzo che Giulio Cavalli presenta oggi alle 18.30 al Bistrò di Off Topic. «Quando il governo di DF smette di tollerare il bollettino quotidiano dei femminicidi emesso dall’Istituto Superiore della Naturalità resta una soluzione: la legalizzazione… Il rispetto della donna — dice la presidente di DF, scelta in quanto donna poco prima dell’importante riforma — si esercita dicendo la verità. La verità è che le donne soppresse dai loro mariti sono un argine al populismo di genere che ha intossicato il vivere civile».

Sul serio ha scritto il libro in 18 giorni?
«Sedimentava da molto. Ogni volta che da giornalista mi ritrovavo di fronte a una notizia utile alla costruzione di un mondo fallocratico mi si aggiungeva uno strato di consapevolezza».

Quanti mangiafemmine vede intorno a sé?
«Ne vedo e ne ho visti moltissimi. Ci sono quelli conclamati, quelli in incubazione, i sieropositivi al mangiafemminismo asintomatici, quelli ormai colti da demenza mangiafemminica, i consapevoli, gli inconsapevoli, i fascinorosi da non confondere con gli affascinanti. Io mi ritengo un mangiafemmine culturale. Sono nato in quei tempi lì, cresciuto in un mondo che aspirava alla piccola borghesia specializzandosi nel benpensantesimo. Riconosco i genomi di quelli che mostrifichiamo per dichiararci assolti».

Qual è la riflessione che possono e devono fare gli uomini?
«Serenamente coltivare la consapevolezza che il patriarcato è una componente millenaria della storia che ci ha portato fin qui. Avere la dignità di riconoscere una responsabilità culturale che è collettiva e che richiede di collettivizzare una riforma sociale che non può che partire dai maschi. In questi mesi abbiamo assistito a moti dovuti da eccesso di difesa che avevano l’aria di essere un mezza confessione. Quando gli oppressori si dichiarano oppressi non c’è nulla di buono all’orizzonte».

C’è un fatto che l’ha ispirata?
«Durante una riunione di redazione ho proposto un pezzo su un femminicidio avvenuto in un coppia anziana. Mi hanno spiegato che quel delitto non aveva nessuna caratteristica particolarmente notiziabile perché era “scontato”. Mi sono detto: l’abbiamo normalizzato».

C’è un filo sottile tra distopia e realtà, già scavallato in molti casi. Accadrà ancora?
«Qualcuno leggendo il libro ha parlato di iperrealismo. Un aggettivo molto più responsabilizzante».

Lei dice che ha fiducia nella lotta. In quale?
«Giro per le scuole e tocco un progresso fulminante. Sono stato usato come molla di assemblee in cui le donne rivendicano il diritto e il dovere di non stare al loro posto. Nei piccoli abusi quotidiani travestiti da innocenti scherzi mi capita di vedere maschi che non sorridono ed esprimono il loro fastidio. Credo che il mondo sia pieno di persone che ogni mattina provano a essere migliori e smettere di mangiare femmine è una materia obbligatoria».

E la sua, di lotta, qual è?
«Riconoscere i fallimenti. Se ti dichiari fallibile ti scrolli di dosso il paternalismo, uno degli elementi inquinanti del patriarcato. Da giornalista insisto per trovare spazio a ogni femminicidio e alle testimonianze delle donne sopravviventi. Mi illudo che le ripetitività degli abusi possa dare le dimensioni del dirupo».

https://torino.corriere.it/notizie/cultura/24_febbraio_01/giulio-cavalli-e-il-suo-ultimo-libro-siamo-tutti-mangiafemmine-e-la-responsabilita-e-collettiva-190ca4d5-f39d-4128-a014-b3c9ade55xlk.shtml