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Riparte la gara a scaricare Draghi salvatore Ue. Almeno fino alle elezioni

La bolla Draghi, per ora, si è sgonfiata. Il discorso di La Hulpe, pronunciato dall’ex presidente della Bce martedì scorso, aveva intensificato i rumors che lo vorrebbero alla testa dell’Europa, alla Commissione o come successore di Charles Michel. Il solluchero dei giornali e degli opinionisti è eruttato dopo mesi in cui ha dovuto rimanere dormiente. Solo che l’ipotesi Draghi in Ue, come qualsiasi fatto politico che non si riduca a bastonare i bastonabili, sconquassa la maggioranza di governo e la presidente del Consiglio Meloni annuncia la ritirata fino alle prossime elezioni per il Parlamento di Bruxelles. 

Così alla premier non resta che allontanare il fantasma di Draghi e puntare sul “cambiamento”. “Spero che quando ci incontreremo saremo di fronte ad un’Europa diversa”, ha detto la leader di governo, aggiungendo che “quello che mi interessa è che sia Draghi che Enrico Letta, che sono considerati due europeisti, ci dicano che l’Europa va cambiata”. La strategia è quella di continuare ad appoggiare la commissaria uscente Ursula von der Leyen (ma a ben vedere anche su di lei Meloni e Salvini sono spaccati) picchiando sui temi che uniscono il governo italiano e quello europeo: l’immigrazione, i rimpatri, il fantomatico Piano Mattei che entrambe sventolano come sviluppo tacendo la voglia di fortificazione dei confini. Se von der Leyen si schianterà all’interno del suo partito (non improbabile) o sullo scacchiere internazionale la presidente del Consiglio italiana potrà giustificarsi dicendo di avere semplicemente operato per l’autorevolezza internazionale dell’Italia. Tempo per virare su Draghi ce ne sarà, anche dopo le elezioni. Meloni ha già ampiamente dimostrato abilità nel ricoprire posizioni che smentiscono ciò che dichiarava fino a poco tempo prima. Sarebbe un’ennesima prova. 

Giorgia Meloni batte in ritirata. Appoggiare Draghi prima delle elezioni per Bruxelles non conviene quasi a nessuno

La preoccupazione maggiore è che gli affezionati di Draghi non stanno nel campo destro dei partiti. Al centro – anzi, nei centri – Calenda e Renzi lo hanno trasformato in un feticcio politico, pronto da stampare sulle magliette. Nel Partito democratico piace molto solo alla minoranza del partito e non coincide con la svolta che vorrebbe imprimere la segretaria Elly Schlein. Nel Movimento 5 stelle Draghi è l’incarnazione della caduta del secondo governo Conte, il risultato delle manovre di palazzo che hanno aperto la strada alla destra. Per Alleanza verdi e sinistra l’ex presidente della Bce è un avversario politico sui temi economici e viene considerato inaccettabile. 

A Bruxelles si discute anche se siano più importanti i leader o gli aspetti decisionali che l’Ue ha voluto darsi. Come scrive Roberto Castaldi su Euractiv “se Draghi venisse proposto come Presidente della Commissione sarebbe un colpo forse mortale al sistema degli Spitzenkandidat, cioè la proposta di un candidato alla Presidenza della Commissione da parte dei vari partiti europei in vista delle elezioni europee”. La riflessione tra i gruppi europei è la candidatura di un uomo lontano dai partiti e con ruoli dirigenziali di punta nell’economia possa aumentare ancora di più l’idea delle istituzioni europee come lontane e autoreferenziali nei meccanismi di scelta della classe dirigente. 

Intanto il principale guastatore italiano di Draghi, quel Salvini che pure con Draghi ha governato, in un’anticipazione del suo libro lancia un’accusa pesante: nel luglio 2022, scrive il leader della Lega, ci furono pressioni da parte di Emmanuel Macron e Angela Merkel su di lui e su  Berlusconi per tenere Draghi a Palazzo Chigi. A proposito di trasparenza democratica Ue. 

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