Vai al contenuto

Blog

Un recinto di fili spinati. Così l’Ue rinnega se stessa

L’Europa che verrà sarà un recinto di fili spinati e deportati. Alla faccia del diritto internazionale, dello stato di diritto e del continente che avrebbe voluto essere la patria della pace e dell’accoglienza, un gruppo di stati membri dell’Unione europea insiste per replicare il modello Italia-Albania. Tutta propaganda, ovviamente, visto che i centri italiani per migranti in Albania non apriranno prima di novembre, ospiteranno un massimo di 1.024 persone per volta (e non le 3 mila promesse) e al massimo in un anno arriveranno a gestire 6 mila persone nonostante il governo parli di 36 mila.

Così l’Ue rinnega se stessa. Altro che patria della pace e dell’accoglienza

Sfugge a molti anche che la stragrande maggioranza di quelle persone dovrà comunque essere portata in Italia. Un gruppo di Stati membri dell’Ue, guidati dalla Repubblica Ceca e dalla Danimarca, sta preparando una lettera alla Commissione europea che chiede che i migranti che cercano di raggiungere l’Ue vengano trasferiti in paesi terzi selezionati prima di raggiungere le coste del blocco, una procedura in netto contrasto con le attuali leggi europee. Tra i paesi favorevoli c’è ovviamente l’Italia a guida Meloni, e c’è ovviamente l’Ungheria di Orbán.

Un curioso particolare: i firmatari non vogliono aggiungere la firma ungherese perché ritengono che comprometta la credibilità della lettera. Come dire: noi siamo come Orbán ma fingiamo molto meglio. Già nel 2018 l’Ue aveva cercato un accordo simile con l’Egitto, ottenendo un secco no da al Sisi. L’esperto di migrazione Vít Novotný osserva che questa volta la scempio si sta ripetendo con molta più diplomazia. E a sostenere il tutto c’è anche quell’Ursula von der Leyen che pur di tenere la poltrona è pronta a legalizzare l’orrore.

L’articolo Un recinto di fili spinati. Così l’Ue rinnega se stessa sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Il Pd voterà sì al sostegno all’Ucraina ma l’approccio sta cambiando

Lentamente il Partito democratico potrebbe aggiustare la rotta sulle prossime votazioni per le prossime votazioni sulle missioni internazionali. Questa mattina si è tenuta un’assemblea congiunta dei gruppi del della Camera e del Senato per discutere anche del rifinanziamento delle missioni militari e – raccontano fonti dem – si sarebbe deciso di votare la prosecuzione delle missioni di peacekeeping già previste aggiungendo la richiesta di votare per parti separate e dunque dire no (come già accaduto lo scorso anno) a quella riguardante l’assistenza alla guardia costiera libica. 

Con le candidature alle europee Schlein vuole una politica estera che cerchi la pace attraverso la diplomazia più che la deterrenza militare

La segretaria Elly Schlein ha sempre condannato le azioni della cosiddetta Guardia costiera libica e i respingimenti illegali che in accordo con il governo italiano avvengono nel Mediterraneo. Anche su questo punto la minoranza del Pd mostra insofferenza per non dovere rinnegare gli accordi con il governo libico che iniziarono ai tempi di Marco Minniti ministro all’Interno quando firmò il primo scellerato memorandum con la Libia. 

I Dem stanno inoltre mettendo a punto una propria risoluzione con l’obiettivo di “evidenziare le carenze del governo sulla complessità internazionale”. Il capogruppo a Bruxelles oggi ha preso le distanze dalla proposta del presidente francese Macron di inviare truppe in Ucraina e le candidature di Cecilia Strada e Marco Tarquinio indicano un’evidente volontà di improntare la politica estera italiana e europea alla ricerca della pace attraverso la diplomazia più che alla deterrenza militare. 

L’articolo Il Pd voterà sì al sostegno all’Ucraina ma l’approccio sta cambiando sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Schlein firma il referendum contro il Jobs act e va alla guerra con la minoranza Pd

“Il Pd fa i congressi e li fa davvero: discute e definisce una linea”. Per l’ennesima volta alla segretaria Elly Schlein tocca ribadire un concetto naturale in qualsiasi consesso ma non nel Pd, dove i “dissennatori” interni e i loro alleati esterni ambiscono a un partito del tempo che fu.

L’ultimo casus belli è la segretaria che decide di firmare i referendum proposti dalla Cgil che prevedono anche l’abolizione del Jobs act, la riforma del fu presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha accelerato la liberalizzazione e la precarizzazione del lavoro. Dalle parti degli ex renziani (e dei renziani stessi che parlano di Pd più di quanto facessero quando erano iscritti) si grida allo scandalo.

Una segretaria che decide di fare politica per di più con quei cattivoni dei sindacati per loro è uno scempio. I gueriniani di Base riformista e i bonacciniani ci spiegano che Schlein dovrebbe convocare la direzione del partito per ottenere il via libera anche sul menù della cena.

I riformisti sono comprensibilmente agitati, da Lorenzo Guerini a Marianna Madia, da Alessandro Alfieri a Simona Malpezzi. i quotidiani liberal insistono nella favola che il Jobs act avrebbe contribuito alla crescita dell’Italia. C’è da capirli: per loro il Paese è una combutta di imprenditori liberali sui diritti e statalissimi quando si tratta di incassare i contributi pubblici o le leggi a favore. 

Renziani e ex renziani si sono scordati di leggere il programma con cui Schlein ha vinto le primarie e con cui il Pd si è presentato nel 2022

I sabotatori di Schlein fingono di non sapere che la loro segretaria, piaccia o meno, è la stessa che abbandonò il Pd nel 2015 proprio per la riforma sul lavoro licenziata da Matteo Renzi. “Me ne vado anch’io, insieme a Civati. È troppo tempo che non mi riconosco più in nulla di quello che fa questo governo”, disse l’allora eurodeputata Schlein nel maggio 2015: “Vale la pena di lottare dentro al partito finché c’è il partito, ma io temo che il partito non esista più e si sia trasformato in un’altra cosa, molto diversa da quella cui avevamo entusiasticamente aderito e da ciò che era nato per essere, perno della sinistra che vogliamo”.

L’abolizione del Jobs act era scritto chiaro e tondo nel programma elettorale di Schlein per le primarie che l’hanno portata alla segreteria. Sarebbe bastato trovare un minuto per leggerlo piuttosto che investire tempo a progettare improbabili sabotaggi che si sono rivelati fallimentari.

Non solo, il ”superamento del Jobs act” era scritto nel programma elettorale con cui il Partito democratico ha corso alle ultime elezioni politiche del 2022. Chissà se leggono il programma elettorale che si candidano per rappresentare, da quelle parti. L’ha ricordato oggi anche il del Arturo Scotto che è capogruppo del Pd in commissione Lavoro. 

Hanno poco da strillare quindi dalle parti di Italia viva, da cui giunge la voce indignata di Renzi che dice “votare il Pd è come votare la Cgil” (ma magari, sospirano gli elettori delusi da decenni) e s’ode l’ex ministra Bellanova stupita perché “firmare il referendum sul Jobs act significa annullare una stagione del Pd”, che è esattamente il motivo per cui è stata votata Schlein.

Su un’osservazione dei renziani però non si può non essere d’accordo: “come fanno i riformisti a stare nel Pd?”, dice l’ex presidente del Consiglio. Già, perché non raggiungono il loro ispiratore politico? La giornata politica è anche un indizio sulle alleanze: quanto ci si può stupire che il Pd di Schlein sia più vicino al M5s di Conte che a Renzi o a Calenda? La demonizzazione dei sindacati e la loro delegittimazione è un crinale limpido. Con buona pace di tutti. 

L’articolo Schlein firma il referendum contro il Jobs act e va alla guerra con la minoranza Pd sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Appalti e subappalti, da dove tutto è cominciato

Parte tutto dal secondo governo Berlusconi e il suo decreto legislativo 276 del 10 settembre del 2003. Lì è stato abrogato l’obbligo di parità di trattamento tra i dipendenti del committente e quelli dell’appaltatore previsto da una legge del 1960. “L’eliminazione di questa tutela, la depenalizzazione dell’appalto illecito e la cancellazione del limite per cui l’azienda non poteva esternalizzare attività che normalmente dovrebbe dare in casa, hanno funzionato da detonatore”, spiega Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil. Siamo arrivati fin qui, dove gli appalti e i subappalti sono il pane quotidiano che alimenta lo sfruttamento e i morti di lavoro. Ogni volta che cambia l’appalto e cambia l’azienda si mette in discussione il posto di lavoro, il salario o una parte del salario, l’anzianità. Nel settore privato ancora di più. 

Nel settore pubblico i numeri sono importanti. 290 miliardi di euro di affidamenti nel 2022, più 39 per cento rispetto all’anno precedente, più 56 per cento sul 2020. Le procedure di gara sono state 233 mila. Numeri che coprono gli appalti di servizi e gli appalti di lavori, comprese le grandi opere connesse al Pnrr. La gara tra chi propone di fornire il servizio si gioca nella quasi totalità dei casi sull’offerta più bassa o più vantaggiosa. Come spiega la Cgil l’appalto è stato usato come strumento di contenimento della spesa, espellendo tutta una serie di attività come per esempio la mensa, le pulizie, la lavanderia, la manutenzione negli ospedali. Ora siamo addirittura di fronte all’esternalizzazione di funzioni primarie, come ci dimostra il fenomeno dei medici a gettone”. Ma l’impresa che si aggiudica l’appalto su cosa risparmia Sui tempi di esecuzione e sui costi necessari a svolgere l’attività, quindi sui materiali, sulla sicurezza, sul lavoro. Le vittime collaterali sono i lavoratori. 

L’articolo Appalti e subappalti, da dove tutto è cominciato sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

I padroni della ferriera

Il brutto spettacolo è andato in onda sulle reti Rai che crollano in ascolti e credibilità per la gioia degli eredi di Silvio Berlusconi che nel mentre capitalizzano la crisi dell’azienda pubblica. “Domani i giornalisti e le giornaliste della Rai, per la prima volta dopo molti anni, si asterranno totalmente dal lavoro per protestare contro le scelte del vertice aziendale che accorpa testate senza discuterne col sindacato, non sostituisce coloro che vanno in pensione e in maternità facendo ricadere i carichi di lavoro su chi resta, senza una selezione pubblica e senza stabilizzare i precari, taglia la retribuzione cancellando unilateralmente il premio di risultato”, spiega un video del sindacato. “In questi giorni è diventato di dominio pubblico il tentativo della Rai di censurare un monologo sul 25 Aprile, salvo poi, in evidente difficoltà, cercare di trasformarla in una questione economica. Preferiamo perdere uno o più giorni di paga, che perdere la nostra libertà, convinti che la libertà e l’autonomia del servizio pubblico siano un valore di tutti. E la Rai è di tutti”, conclude il comunicato.

Dall’azienda hanno il coraggio di rispondere che mai “alcuna censura o bavaglio è stato messo sull’informazione” intimando all’Usigrai di “cessare di promuovere fake news che generano danno all’immagine dell’azienda”. Così al sindacato tocca sottolineare i “toni da padroni delle ferriere” e “l’accusa stantia di fare politica e di far circolare fake news” quando “non si hanno contenuti”. Un litigio bell’e buono, sotto gli occhi di telespettatori esterrefatti un governo che bolla come ideologiche le rivendicazioni sindacali, peggio di un film di Peppone e don Camillo, come sottolinea giustamente la Fnsi. 

Non sono bisticci tra giornalisti e non si tratta nemmeno di una polemica interna all’azienda Rai. Si tratta di una deriva che ogni giorno esonda di qualche metro e che riguarda tutti. Chissà quando ce ne accorgeremo. 

Buon lunedì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Costa in… Azione: ecco i dieci comandamenti del garantismo per i candidati alle Europee

Il senso del garantismo dalle parti di Azione diventa un manifesto. A firmarlo Enrico Costa, il figlio del gran capo del Partito liberale italiano che a forza di garantismo sforna continui emendamenti che piacciono moltissimo alla maggioranza di governo, l’ultimo della serie al ddl Cybersicurezza per punire con il carcere i giornalisti che pubblicano notizie frutto di reato. Per non parlare del bavaglio alla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare finito nel mirino di Reporters sans Frontières.

Il deputato calendiano ieri ha deciso di sottoporre ai candidati delle prossime elezioni europee un “manifesto garantista” convinto che “saranno in pochi a sottoscriverlo”. 

Il garantismo dalle parti delle macerie del Terzo polo del resto è come la competenza: una qualità che si attribuiscono da soli certificandosela in casa.

Del resto per Costa è garantismo il bavaglio sulle ordinanze di custodia cautelare, è garantista abolire l’abuso d’ufficio, è garantista la stretta sulle intercettazioni che garantisce maggiore impunità ed è garantista perfino la separazione delle carriere sognata da Silvio Berlusconi su ispirazione di Licio Gelli. Ovviamente per Costa chiunque metta in dubbio il suo garantismo è un “forcaiolo”. 

Dopo gli assist al governo per imbavagliare la stampa ora Costa propone un decalogo ai candidati delle prossime europee

Nel suo decalogo Costa pone l’accento sulle “norme a tutela del giusto processo, della parità tra accusa e difesa, delle garanzie dell’indagato e dell’imputato, vigilando per la piena attuazione delle garanzie procedurali” per  respingere “ogni forma di indebolimento del diritto di difesa e del diritto all’assistenza legale”.

Tra le proposte anche impegno “perché l’Unione europea consideri la restrizione della libertà personale prima della sentenza definitiva come extrema ratio e ne sanzioni l’abuso”.

Ci sono poi le intercettazioni. Per Costa ogni candidato dovrebbe battersi “per la piena affermazione del principio di riservatezza delle comunicazioni come diritto essenziale della persona, sacrificabile esclusivamente in caso di gravi reati e con procedure rigorose”.

Per il deputato le intercettazioni dovrebbero essere uno strumento di indagine riservato solo ai reati gravissimi, praticamente già accertati. Con buona pace dei magistrati che sono arrivati a pericolose organizzazioni criminali proprio grazie a questo strumento di indagine.

Tra i punti anche la garanzia “agli assolti e ai prosciolti” dell’oblio “delle notizie relative alle indagini che li hanno interessati”. Fosse per Costa non avremmo saputo ad esempio dei politici che hanno amichevolmente conversato con boss mafiosi: fatto che non è un reato ma che forse gli elettori e i lettori gradirebbero sapere. 

L’articolo Costa in… Azione: ecco i dieci comandamenti del garantismo per i candidati alle Europee sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Saviano sparito dalla Rai. E parte la protesta

Ora i familiari delle vittime di mafia hanno perso la pazienza. La trasmissione Insider di Roberto Saviano in cui il giornalista racconta storie di Cosa nostra, di ‘Ndrangheta e di Camorra è già pronta e già pagata. A novembre dell’anno scorso la messa in onda era stata sospesa ma i dirigenti Rai avevano giurato che si trattasse solo di una posticipazione. Arrivati a maggio i parenti delle vittime di mafia hanno deciso di scrivere una lettera di piani alti di Viale Mazzini per chiedere spiegazioni. 

“Signor Amministratore Delegato – scrivono in una lettera pubblicata da La Stampa – l’incontro in Rai del 10 ottobre scorso, aveva suscitato in noi delle legittime aspettative. Dopo aver esposto a noi i motivi che l’avevano indotta a sospendere la messa in onda delle quattro puntate di Insider (già realizzate e pagate), aveva ascoltato con attenzione le nostre ragioni. Ne era scaturito un confronto che ci era sembrato schietto e, soprattutto, costruttivo. Tant’è che ci siamo lasciati con l’impegno, da parte sua, che avrebbe inserito le puntate di Insider nel palinsesto Rai del 2024. Diversamente, avrebbe comunicato e motivato la cancellazione del programma”. 

Al presidente Rai e all’amministratore delegato i famigliari delle vittime chiedono “notizie del programma di Roberto Saviano” e “spazi qualificati da dedicare all’informazione sulle tragiche vicende che hanno attraversato il nostro Paese e che ancora attendono una verità” ricordando “che il servizio pubblico ha il dovere di occuparsi della storia d’Italia, e Lei ne sentiva l’esigenza e il dovere”. 

“Ci siamo lasciati – si legge – con l’impegno, da parte sua, che avrebbe inserito le puntate di Insider nel palinsesto Rai del 2024. Diversamente, avrebbe comunicato e motivato la cancellazione del programma”. Per ora c’è solo il silenzio. 

L’articolo Saviano sparito dalla Rai. E parte la protesta sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa – Lettera43

Dai comunicati stampa sembra che il governo Meloni stia per lanciarsi nella più importante campagna per l’Africa da decenni. Peccato sia propaganda. Perché “gara d’appalto per i respingimenti illegittimi nei confronti dei disperati che cercano ristoro” suonava male. La verità è che i dati del nostro contributo sono nettamente in calo.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa

Leggi le dichiarazioni e i comunicati stampa del cosiddetto Piano Mattei e d’istinto pensi che il governo abbia intenzione di lanciarsi nella più importante campagna per l’Africa da decenni. Certo, le organizzazioni internazionali fanno notare come sotto la coperta della propaganda covino le ceneri dell’ennesima esternalizzazione delle frontiere. L’hanno chiamato Piano Mattei perché “gara d’appalto per i respingimenti illegittimi nei confronti dei disperati che cercano ristoro” non avrebbe lo stesso effetto.

L’Africa dipinta come un ambiente accogliente da cui non fuggire più

A livello di percezione sui giornali è comunque passata l’idea che Giorgia Meloni sia stata promotrice di un’improvvisa beneficenza e anche i suoi non-sostenitori sono convinti che al di là dei fini i mezzi comunque non siano in discussione. Quindi ci si mette a spulciare tra i dati del contributo italiano alla cooperazione per lo sviluppo. Sviluppo, del resto, è la parola magica che restituisce l’idea che l’Africa tra poco possa essere un ambiente talmente accogliente e laborioso da non invogliare più nessuno a partire. Anzi, l’Africa dipinta nelle conferenze stampa del Piano Mattei (rigorosamente senza africani poiché l’ultima volta Moussa Faki Mahamat, il presidente della Commissione dell’Unione africana, ha gelato tutti) sembra un posto meraviglioso: bella e ci vivrei, verrebbe da dire.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa
Riunione della cabina di regia a Palazzo Chigi per il Piano Mattei (Imagoeconomica).

I dati Ocse e di Openpolis inchiodano l’Italia: il nostro aiuto è diminuito

Invece i dati preliminari Ocse relativi al 2023 restituiscono un’immagine poco promettente del contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo. Dopo due anni di relativo miglioramento, l’andamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) del nostro Paese ha subito un notevole calo: -15,5 per cento. Una inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Come sottolineano i dati elaborati da Openpolis il rapporto con il reddito nazionale lordo (Rnl) si è ridotto, scendendo sotto lo 0,30 per cento e segnando quindi un ulteriore allontanamento dall’obiettivo fissato in sede internazionale di raggiungere un rapporto Aps/Rnl pari allo 0,70 per cento entro il 2030, nonostante nel nuovo Def tale obiettivo sia stato riaffermato. Anche in termini assoluti si è verificato un calo, ancora più marcato se consideriamo esclusivamente la componente genuina dell’aiuto. Infatti, la spesa per rifugiati nel Paese donatore (la principale voce dell’aiuto cosiddetto gonfiato) è aumentata del 5,8 per cento circa, mentre l’aiuto bilaterale al netto di tale voce, la parte più importante della cooperazione italiana, è diminuito del 45 per cento.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa
La premier Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Nelle spese per i rifugiati non c’è un effettivo spostamento di risorse

Non è solo questione di africani, così terribilmente neri per piacere al governo. Anche i bianchissimi ucraini secondo i dati preliminari nel 2023 hanno ricevuto 266,5 milioni di dollari, in netta diminuzione rispetto all’anno precedente quando la cifra superava i 360 milioni. A questo si aggiunge che una parte dei soldi dell’Aps fa riferimento al cosiddetto aiuto gonfiato, ossia a un aiuto che viene rendicontato come tale, ma che non comporta un effettivo spostamento di risorse dal Paese donatore, o che non viene alla fine investito in progetti di sviluppo. Rientrano in questa voce per esempio le spese per i rifugiati, che rappresentano più di un quarto della spesa totale. Si tratta delle spese legate all’accoglienza dei rifugiati prima dell’esito della loro domanda di asilo. Soldi che non escono mai dai confini italiani e che molte organizzazioni contestano nella contabilità relativa alla cooperazione allo sviluppo. Come sottolinea Openpolis, in Italia nel 2023 non soltanto è diminuito l’Aps complessivo, in termini assoluti e in rapporto al reddito nazionale lordo, ma al suo interno è diminuito in modo molto più marcato l’aiuto genuino. Mentre l’aiuto gonfiato (qui identificato con la sua principale componente, la spesa per rifugiati nel Paese donatore) è aumentato. Si può concludere quindi che la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa negli obiettivi ed è falsa perfino nella percezione. Alla faccia di Enrico Mattei.

L’articolo proviene da Lettera43 qui https://www.lettera43.it/piano-mattei-governo-meloni-contributo-italia-africa-rifugiati/

L’azienda che guadagna 2 milioni al giorno dai palestinesi in fuga da Gaza verso l’Egitto

C’è una società egiziana di un imprenditore molto vicino al presidente Abdel Fattah al-Sisi che guadagna 2 milioni di euro al giorno sui palestinesi che fuggono dai bombardamenti di Gaza. A rivelarlo è un’inchiesta di Middle East Eye firmata dal “corrispondente MME”, il titolo solitamente utilizzato dai giornalisti che lavorano in regioni pericolose dove per ragioni di sicurezza è impossibile rivelare la propria identità. 

Dietro un lauto pagamento offre un passaggio ai palestinesi che attraversano la frontiera da Gaza a Rafah verso l’Egitto

Hala Consulting and Tourism Services è un’azienda di proprietà del leader tribale del Sinai e magnate Ibrahim al-Organi (nella foto a sx di al-Sisi), che offre dietro un lauto pagamento il passaggio ai palestinesi che attraversano la frontiera da Gaza a Rafah verso l’Egitto. I prezzi sono di 5.000 dollari per adulto e 2.500 dollari per i bambini sotto i 16 anni. Middle East Eye Hala scrive che Consulting and Tourism Services ha il monopolio della fornitura di servizi di trasferimento al valico di Rafah, l’unica uscita di Gaza non confinante con Israele e l’unica via di uscita dall’enclave costiera per i palestinesi. Solo negli ultimi tre mesi, si stima che la compagnia abbia guadagnato almeno 118 milioni di dollari, pari a 5,6 miliardi di sterline egiziane, dai palestinesi disperati che cercano di lasciare Gaza devastata dalla guerra

L’indagine di Middle East Eye rivela che Hala Consulting and Tourism Services è vicina al presidente egiziano al-Sisi

Nonostante l’attenzione dei media internazionali che già nei mesi scorsi avessero già puntato Hala Consulting l’azienda ha raddoppiato i suoi profitti nel mese di aprile, con una media di tariffe giornaliere che ha superato i 2 milioni di dollari. L’analisi di MEE della lista dei viaggiatori pubblicata online da Hala rivela che il mese scorso la compagnia potrebbe aver guadagnato almeno 58 milioni di dollari da circa 10.136 adulti e 2.910 bambini che hanno attraversato il confine attraverso la sua “lista VIP”. Si stima che ad aprile gli incassi dell’agenzia siano raddoppiati rispetto al mese precedente. 

Prima della guerra, Hala faceva pagare a tutti coloro che uscivano da Gaza attraverso il valico di Rafah 350 dollari a persona, ma da allora il prezzo è aumentato di circa 14 volte. Sulla base delle liste di viaggiatori pubblicate dal 2 febbraio, MEE può rivelare che i profitti di Hala dai palestinesi potrebbero essere stati di almeno 21 milioni di dollari a febbraio, 38,5 milioni di dollari a marzo e 58 milioni di dollari ad aprile. Il conteggio si basa su 23 liste pubblicate a febbraio, 30 a marzo e 30 ad aprile.

L’articolo L’azienda che guadagna 2 milioni al giorno dai palestinesi in fuga da Gaza verso l’Egitto sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

I politici sono la principale minaccia per la libertà di stampa in Europa

La principale minaccia per la libertà di stampa in Europa I politici. Nel report World Press Freedom Index 2024 pubblicato oggi da Reporters Sans Frontières (Rsf) un terzo degli stati membri dell’Unione europea sono definiti “problematici” e anche gli stati “buoni” o “soddisfacenti” vedono calare sensibilmente il proprio punteggio. 

Nel report World Press Freedom Index 2024 sulla libertà di stampa l’Italia di Meloni scivola al 46° posto

Il rapporto, che ha esaminato la libertà dei media e i diritti giornalistici in tutto il mondo, ha rilevato che in Europa, “i politici stanno cercando di ridurre lo spazio per il giornalismo indipendente”. Tra i leader che già comprimono la libertà di stampa vengono citati “il primo ministro filo-Cremlino ungherese Viktor Orban e il suo omologo in Slovacchia, Robert Fico“, così come “i partiti di governo in Ungheria (67°), Malta (73°) e Grecia (88°), i tre paesi peggio classificati dell’UE”.

La Grecia ha conquistato l’ultimo posto nell’Unione europea per il terzo anno consecutivo a causa di diversi fattori, tra cui gli omicidi irrisolti di due giornalisti, Sokratis Giolias e Giorgos Karaivaz, nonché scandali di spyware e attacchi politici ai media non allineati al governo. Anche l’Italia, governata da Giorgia Meloni, si distingue in negativo, scendendo di cinque posti al 46° posto. Tra le criticità segnalate del nostro Paese c’è “un membro della coalizione parlamentare al potere” che “cercava di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa (AGI)”.

Sotto accusa anche il caso Agi

Una situazione che quindi inevitabilmente peggiorerà visto che la vendita di Agi al Gruppo Angelucci viene data ormai per certa e sarà comunicata nei prossimi mesi estivi, quando saranno passate le elezioni europee e quando il clima vacanziero favorirà la distrazione.  Il report ammonisce anche la Francia e il Regno Unito, chiedendo “attenzione” sull’arresto della giornalista francese Ariana Lavrilleux da parte delle autorità francesi e sulla continua detenzione di Julian Assange da parte delle autorità britanniche. 

Rsf nel report sottolinea anche la mancanza di protezione per i giornalisti impegnati a Gaza

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee RSF come “gli Stati e altre forze politiche stanno abbandonando il proprio ruolo nella protezione della libertà di stampa. “Questa disattenzione a volte va di pari passo con azioni più ostili che minano il ruolo dei giornalisti o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di attacchi o disinformazione”, ha spiegato Anne Bocande, direttore editoriale di Rsf. Rsf ha anche sottolineato la mancanza di protezione per i giornalisti nella guerra a Gaza, notando più di 100 giornalisti palestinesi uccisi dalle Forze di Difesa israeliane.

Una manciata di paesi ha registrato invece un miglioramento, tra cui la Polonia, che ha aumentato dieci posti al 47° posto e la Bulgaria, che è aumentato di 12 posti al 59° posto. Questo, secondo il rapporto, “grazie a nuovi governi con maggiore preoccupazione per il diritto all’informazione”. Per quanto riguarda gli aspiranti dell’UE, l’Albania – fedele alleata di Giorgia Meloni – è scesa al 99° posto, un calo di tre posizioni e 3,76 punti, principalmente a causa dell’omicidio di una guardia di sicurezza della stazione televisiva, Pal Kola, nel marzo 2023, che è ancora irrisolto. Mentre “in Serbia, il partito di governo e gli sbocchi filogovernativi hanno intensificato gli attacchi al giornalismo indipendente. Nel contesto delle tensioni con la Serbia, i giornalisti in Kosovo hanno subito numerose aggressioni fisiche”, scrive il rapporto.

Per la direttrice di Rsf, Anja Osterhaus “il crescente livello di violenza contro i professionisti dei media che riferiscono sulle elezioni si sta sviluppando spaventosamente. Gli autocrati, i gruppi di interesse e i nemici della democrazia vogliono impedire con tutti i mezzi la cronaca indipendente. I governi democratici devono fare di più per proteggere i professionisti dei media”. 

L’articolo I politici sono la principale minaccia per la libertà di stampa in Europa sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui