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Iran, atterraggio “difficile” per il presidente Raisi

Le autorità iraniane non hanno ancora alcuna informazione sulle condizioni del presidente iraniano Ebrahim Raisi, dopo che l’elicottero su cui viaggiava ha subito un “atterraggio difficile”, nel nord-ovest del Paese, prima che le comunicazioni venissero perse a causa del maltempo. Lo ha confermato il ministro dell’Interno iraniano, Ahmad Vahidi, citato dai media locali. Gli elicotteri di salvataggio non sono stati in grado di atterrare sul luogo dell’incidente a causa della fitta nebbia, riferisce l’agenzia di stampa “Irna”. Secondo “Irna”, a bordo dell’elicottero vi sarebbe stato anche il ministro degli Esteri, Hossein Amiabdollahian. L’agenzia di stampa semi-ufficiale “Tasnim“, legata ai Guardiani della rivoluzione iraniana (pasdaran), riferisce che il convoglio aereo presidenziale era formato da tre velivoli, con a bordo altri ministri e funzionari. Al momento non si conoscono ulteriori dettagli sui passeggeri a bordo del velivolo. Gran parte della flotta aerea iraniana risale al periodo precedente alla rivoluzione islamica del 1979 e le sanzioni internazionali rendono difficile reperire i pezzi di ricambio.

L’elicottero su cui viaggiava il presidente iraniano ha subito un “atterraggio difficile”, nel nord-ovest del Paese, prima che le comunicazioni venissero perse a causa del maltempo. Incertezza sulle condizioni dei passeggeri

La Mezzaluna rossa iraniana fa sapere che sono decollati anche dei droni per aiutare nelle ricerche. Sembrerebbe, secondo i media, che nella zona ci fosse maltempo. Da parte sua, l’agenzia di stampa iraniana “Tasnim”, vicina ai Guardiani della rivoluzione islamica (pasdaran) riferisce su X che “a causa del tempo e della nebbia, l’elicottero che trasportava il presidente ha dovuto effettuare un atterraggio d’emergenza”. La tv di Stato afferma che l’incidente sarebbe avvenuto vicino a Jolfa, una citta’ al confine con l’Azerbaigian, circa 600 chilometria nord-ovest della capitale iraniana, Teheran. Questa mattina Raisi aveva inaugurato la diga Qiz Qalasi, costruita sul fiume Aras, al confine con l’Azerbaigian, con il presidente azero Ilham Aliyev.

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Alla convention di Vox Meloni scarica von der Leyen e sceglie Orbàn

Dimenticate la Giorgia Meloni che avrebbe potuto essere il perno a destra di un’ipotetica Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. La presidente del Consiglio italiana che quasi quasi piaceva al Partito popolare europeo e che per alcuni era “cresciuta molto sul piano internazionale” non esiste più. L’avvicinarsi delle elezioni europee e la concomitanza dell’appuntamento con l’estrema destra spagnola di Vox restituisce la Meloni prima maniera. E infatti il suo intervento punta dritto contro i diritti Lgbt (del resto l’Italia insieme all’Ungheria non ha firmato la Dichiarazione per il continuo avanzamento dei diritti umani delle persone Lgbt in Europa promosso dalla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue), contro i media, contro la transizione ecologica, contro la sinistra definita “nichilista”.  Nessun cenno alla difesa dell’Ucraina: Meloni ha imparato benissimo cosa omettere in base all’occasione. 

Parlando al partito di ultradestra spagnola la leader di Fratelli d’Italia si scaglia contro “il gender”, la maternità surrogata, l’ambientalismo, e la “maggioranza innaturale e controproducente” della Commissaria europea

La leader di Fratelli d’Italia apre il suo intervento alla festa del partito guidato da Santiago Abascal, come lei nel gruppo europeo dei Conservatori e riformisti europei, per “il coraggio di non lasciarvi influenzare dal pensiero unico dominante”. “Avete deciso che i valori conservatori sarebbero sempre stati i pilastri della vostra vita. Avete scelto di lottare per ciò in cui credete. Siete l’unico futuro possibile per l’Europa”, dice Meloni che sottolinea come nell’ultimo quinquennio a Bruxelles “altre forze politiche hanno sostenuto accordi innaturali con le sinistre, producendo l’imposizione dell’agenda verde e progressista, noi ci siamo sempre battuti, spesso soli, per una Ue diversa. Vogliamo e possiamo costruire un’Unione Europea diversa e migliore di quella attuale”. È l’abusata narrazione dell’underdog, sola contro tutti. 

La presidente del Consiglio tratteggia l’Ue che vorrebbe, scaldando il cuore dei presenti con una lunga sfilza di nemici: “ci opporremo – dice Meloni – a chi vuole mettere in discussione la famiglia, quale pilastro della nostra società, a chi vuole introdurre la teoria gender nelle scuole, a chi intende favorire pratiche disumane come la maternità surrogata. Nessuno mi convincerà mai – ha aggiunto – che si possa definire progresso consentire a uomini ricchi di comprare il corpo di donne povere, o scegliere i figli come fossero prodotti del supermercato. Non è progresso, è oscurantismo, e sono fiera che al parlamento italiano sia in approvazione, su proposta di Fratelli d’Italia, una legge che vuole fare dell’utero in affitto un reato universale, cioè perseguibile in Italia anche se commesso all’estero”. Eccola quindi l’Europa sognata: “per la prima volta – ha detto – l’esito delle elezioni europee potrebbe sancire la fine di maggioranze innaturali e controproducenti”. 

A Madrid la leader di Fratelli d’Italia interviene con Marine Le Pen, Orbàn e l’argentino Milei che definisce il socialismo “cancerogeno”

La nuova Giorgia Meloni – così uguale alla precedente, in un gioco ciclico di politica bifronte – piace anche a Marine Le Pen, che a Bruxelles siede con Matteo Salvini nel gruppo Id (Identità e democrazia). Poco tempo fa, era marzo, la leader francese aveva attaccato Meloni per la “troppa vicinanza a von der Leyen” ma ora dice di ritrovare “punti in comune” con la presidente italiana.  Di “grande battaglia comune” parla anche il leader ungherese Viktor Orbàn contro Bruxelles che ha consentito “un’immigrazione illegale di massa” oltre ad “avvelenare i nostri figli con la propaganda di genere”. Gli attivisti di Vox sono “combattenti devoti” che contribuiscono a “rendere l’Europa di nuovo grande”, ha aggiunto Orban citando lo slogan trumpiano “make America great again”. Non poteva mancare l’intervento del presidente argentino Javier Milei che davanti all’entusiasta platea al palazzo Vistalegre alla convention di Vox dice di essere venuto “a difendere la libertà” e l’ultraliberismo “dal maledetto socialismo cancerogeno”. 

Inevitabili anche le reazioni in Italia. “Giorgia Meloni, tra nazionalisti, franchisti e amici di Trump, ci attacca dalla Spagna dicendo – scrive in una nota la segretaria del Pd Elly Schlein – che la sinistra cancella l’identità. Un giorno ci spiegherà che cosa vuol dire, nel frattempo le ricordiamo dall’Italia che dopo un anno e mezzo al governo lei sta cancellando la libertà delle persone. Perché non c’è libertà se hai un salario da fame, e non puoi pagare l’affitto”. Il il capogruppo al senato di Italia viva Enrico Borghi osserva che “Meloni la pensa come i post franchisti di Vox, come lo xenofobo Zemmour, e si appresta a spalancare le braccia a Marine Le Pen e a Vicktor Orban così come ieri (strumentalmente) abbracciava una Von der Leyen oggi ammaccata, e per questo rapidamente scaricata”. Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione, sottolinea come “sia tornata la Meloni di sempre: contro l’unità politica dell’Europa, infiamma le platee dei sovranisti e riscuote l’apertura di Le Pen. E fa dei conservatori il riferimento dei populisti e dei sovranisti. Votarla significa condannare l’Europa all’irrilevanza nei rapporti internazionali”. Non dice nulla Antonio Tajani, presidente di Forza Italia che da mesi insiste nel marcare la differenza con Salvini e il gruppo europeo Id. Da oggi è lontanissimo anche dalla sua presidente del Consiglio. 

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Il capogruppo di FdI in Regione Puglia e candidato Ue Ventola indagato per corruzione elettorale

C’è un altro caso Puglia, oltre ai commissari inviati dal ministro Piantedosi a Bari, che interessa il centrodestra. Tutti pronti quindi a girare l’interruttore sul garantismo.

Botte tra orbi tra l’ex assessore regionale Silvestri (Più Europa) e il capolista di Fdi per le europee Ventola. Il primo svela l’indagine nei confronti del secondo, quello risponde tirando fuori un processo che però è chiuso da tempo.

A dare la notizia che il capogruppo di FdI in Consiglio regionale pugliese, Francesco Ventola, candidato alle Europee in ticket con Giorgia Meloni, è indagato dalla procura di Trani per associazione a delinquere e corruzione elettorale non è stato qualche pericoloso giornalista. Lo ha svelato in conferenza stampa l’ex assessore regionale pugliese (ai tempi della presidenza Fitto) ora membro di Più Europa Andrea Silvestri che ha sventolato le carte chiedendo se Giorgia Meloni fosse al corrente di avere candidato un indagato per un reato così grave. L’indagine riguarderebbe altre otto persone oltre al meloniano Ventola e fa riferimento alle elezioni amministrative di Canosa del giugno 2022.

Poco dopo la conferenza stampa di Silvestri Fratelli d’Italia verga una nota stampa, anche questa per niente garantista: “Con riferimento alla vicenda giudiziaria rilevo che per la seconda volta Andrea Silvestri ha tenuto una conferenza stampa con l’intento di gettare fango, in modo calunnioso, sulla mia persona e sull’Amministrazione comunale di Canosa di Puglia. A riguardo intendo innanzitutto precisare che è che è stata proprio la denuncia dell’entourage di Andrea Silvestri e della sua parte politica a innestare, come atto dovuto, il fascicolo presso la Procura di Trani, che sta indagando sulla veridicità e rilevanza di quanto denunciato”, scrivono i meloniani. Qui dal garantismo si passa addirittura al tintinnare di manette: “inoltre, – scrive Ventola – va detto che proprio colui che, con toni da tribuno, ha denunciato la presunta corruzione elettorale è un politico il cui “curriculum giudiziario” va dall’associazione per delinquere, al peculato, alla falsità materiale, alla falsità ideologica, alla truffa, reati per i quali è stato arrestato e, per alcuni capi di imputazione anche condannato. Mi preme altresì evidenziare che Silvestri già qualche mese fa convocò una conferenza stampa con lo scopo di dare pubblicità all’inchiesta, ribadisco aperta in seguito alla denuncia dell’entourage”. Silvestri controreplica: “procedimenti risalenti a oltre vent’anni fa, per cui ho patteggiato. Io sono un ibero cittadino, è lui in quanto personaggio pubblico a dover rispondere. E il procedimento per cui è indagato non è nato da un mio esposto né di miei amici”. 

La corruzione elettorale si riferirebbe alle elezioni amministrative di Canosa di Puglia del 2022. Chissà se Piantedosi invierà gli ispettori…

La zuffa è rivelatrice di come garantismo e giustizialismo siano maschere da indossare in base all’occasione. I garantisti di Fratelli d’Italia che accolgono con tutti gli onori l’ergastolano Chico Forti in aeroporto diventano ipersensibili nei confronti di un libero cittadino che ha chiuso i suoi conti con la giustizia. I garantisti di Più Europa sventolano atti giudiziari per fomentare la campagna elettorale. Chissà se Piantedosi invierà gli ispettori nel comune di Canosa di Puglia.

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Il Bestiario della settimana – Lollo apparecchia la tavola… della pace con un calice di vino

In alto i calici

Lo so, tutte le settimane il protagonista iniziale di questa nostra bestiale carrellata è sempre lui, il ministro all’Agricoltura e Made in Italy, nonché cognato d’Italia, Francesco Lollobrigida che questa volta ci ha deliziato con un’altra perla. Intervistato dall’agenzia Vista spiega quanto “è importante nella nostra alimentazione stare a tavola, discutere, ragionare, bere un bicchiere di vino”. Poi la chiosa fenomenale: “Quante guerre non ci sarebbero state con delle cene ben organizzate”. Irraggiungibile.

Mala tempora

Nella Rai accusata di essere sempre di più TeleMeloni sono andate in onda le previsioni del tempo. In video appariva il solito militare compito che spiegava venti, fulmini e saette. Sotto di lui, ai telespettatori però è comparsa la scritta “Nicola Procaccini Fratelli d’Italia”, riferita all’europarlamentare meloniano co-presidente del gruppo dei Conservatori e dei riformisti europei. Il tempo è incerto, ma TeleMeloni no.

Sindrome di Peter Pan

“Siamo contro la tassa sullo zucchero perché colpisce i consumi dei bambini”, ha detto il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. Un sovraconsumo di zuccheri liberi in età infantile si associa in primis ad un aumento delle carie ai denti, ma anche ad un aumento del rischio di sovrappeso e obesità (specialmente con il consumo di bevande gasate zuccherate) e di problemi gastrointestinali (flatulenza, diarrea, dolore addominale). Poi ci sono problemi di diabete e di malattie cardiovascolari. Gasparri però è un liberale vero e combatte per il diritto di farsi del male in età infantile. Poi quando sono più grandi invece vuole decidere perfino quali siano le “buone maniere” e le “brave famiglie”. Sindrome di Peter Pan.

Strana censura

La campagna elettorale del generale Roberto Vannacci prosegue senza troppi sussulti. Dopo la sua lettera di scuse frignate alla pallavolista Paola Egonu e dopo essere stato isolato da quasi tutta la Lega, ora al generale non resta che lamentarsi di essere censurato. L’aspetto meraviglioso è che il censurato Vannacci si lamenta della censura dalle prime pagine dei giornali, nei telegiornali, nelle trasmissioni televisive e in incontri pubblici. Un mondo al contrario, aveva ragione lui.

Intelligenza napoletana

“Una cosa è certa: l’intelligenza artificiale non riuscirà mai a battere un napoletano. Il giorno in cui l’intelligenza artificiale riuscirà a fregare un napoletano quando a sua volta vi frega consegnandovi una radio che invece è un mattone: in quel caso è meglio andare a casa ma resto convinto che non ci sarà mai una intelligenza artificiale in grado di fare una cosa del genere”. Questa la battuta fatta con un sorriso dal generale Luca Goretti, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare nel corso di un evento a Roma, il 9 maggio scorso, per il centenario del “Ruolo delle armi”. Direi che siamo pronti alla sfida dell’intelligenza artificiali con una catena di comando del genere. Sicuro.

Vespaio di domande

L’Agcom (e le leggi) ci impediscono di assistere alle puntute domande che Bruno Vespa avrebbe posto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e alla segretaria del Pd Elly Schlein nel confronto televisivo che non si farà nel suo salotto. Per avere un’idea di cosa ci siamo persi basta rivedere quel servizio del Tg1 in cui chiedono a Vespa quale sarebbe stata la prima domanda. Lui risponde: “Che bello avere due donne qui”. Peccato che non sia una domanda, tra l’altro.

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Svelò il Covid al mondo. Sparita Zhang Zhan

Zhang Zhan non si trova più. E la giornalista che nel 2020 ha svelato al mondo cosa stava accadendo a Wuhan mentre la pandemia del coronavirus stava partendo per dilagarsi in tutto il mondo e il governo cinese continuava a negare. A maggio di quell’anno è stata arrestata per “disturbo della quiete pubblica” e per aver “provocato problemi”, formula spesso usata
in Cina contro dissidenti e attivisti per i diritti umani.

Lunedì avrebbe dovuto finire di scontare la sua pena ma nessuno l’ha ancora vista. Il suo avvocato Zhang Keke non ha notizie. La famiglia denuncia di avere subito pressioni per non
rilasciare interviste. Gli attivisti non hanno potuto raggiungere Shangai per poter accogliere Zhang Zhan dopo il rilascio che a questo punto bisogna verificare che sia effettivamente avvenuto. Jane Wang, fondatrice della campagna ‘Free Zhang Zhan’, spiega che se dopo il rilascio Zhang Zhan dovrà scontare anche i domiciliari avrà poche possibilità di ricevere le cure mediche di cui ha bisogno dopo avere portato avanti uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione ingiustificata che l’ha portata a perdere 30 chili.

I giudici non le contestarono di aver manipolato i fatti ma di averli mostrati, resi pubblici ai cinesi e anche (forse soprattutto) al resto del mondo su YouTube. L’ultimo post pubblicato a inizio maggio del 2020prima dell’arresto diceva: “Il governo amministra le città della Cina con intimidazioni e minacce, è questa la vera tragedia del nostro Paese”. “Siamo molto preoccupati”, dicono da Reporters senza frontiere, che aveva assegnato a Zhang un premio per la libertà di stampa nel 2021.

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Seif Bensouibat, una vergogna italiana nella caccia alle streghe degli amici di Hamas – Lettera43

L’algerino, da 11 anni nel nostro Paese, era educatore nel prestigioso liceo Chateaubriand a Roma. Fino a quando in una chat privata ha scritto un commento rabbioso pro Palestina. Licenziato, è ora recluso in un Centro permanenza e rimpatrio perché ritenuto pericolosamente vicino al terrorismo. Ma perseguire un reato di opinione non è da regime ungherese?

Seif Bensouibat, una vergogna italiana nella caccia alle streghe degli amici di Hamas

Seif Bensouibat è algerino, vive da 11 anni in Italia. Per oltre nove anni ha lavorato come educatore nel prestigioso liceo Chateaubriand a Roma. Sarebbe perfetto come esempio dello straniero «ben integrato», come dicono e scrivono coloro che applicano un diverso metro di severità per giudicare gli altri in base alle loro provenienze geografiche. Dopo l’aberrante massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 e l’aberrante reazione del governo di Israele, Bensouibat si lascia andare a commenti rabbiosi e pesantissimi osservando le immagini della distruzione di Gaza. Non lo fa all’interno della scuola in cui lavora, non lo fa nel suo ruolo di educatore e soprattutto non lo fa in pubblico. Bensouibat non lo scrive nemmeno sui suoi social, dove persone molto più influenti di lui hanno lasciato aperte le porte di un’isteria collettiva innescata dalla guerra. I suoi giudizi li scrive in una chat privata, ma quelle parole diventano pubbliche.

Si confondono volutamente i terroristi con chi chiede il cessate il fuoco a Gaza

Viene licenziato dal liceo in cui lavora. Quando alcune persone manifestano nei pressi dell’istituto per chiedere il rispetto dei suoi diritti di lavoratore, la direzione della scuola interrompe le elezioni in anticipo e spedisce tutti gli studenti a casa «per paura delle tensioni». La vita di Seif Bensouibat precipita molto velocemente. A gennaio viene perquisita la sua abitazione, lui è tranquillo. È in Italia da molti anni, non ha nessun precedente penale, ha espresso un’opinione in privato, per quanto criticabile, e non ha nessun collegamento con nessun terrorista. Ma è troppo ottimista: la caccia agli “amici di Hamas”, confondendo scientemente i terroristi con coloro che chiedono il cessate il fuoco, è un gioco grande in cui si sono buttati in molti. Il clima è teso. Si apre la procedura per revocargli il permesso di soggiorno.

Seif Bensouibat, una vergogna italiana nella caccia alle streghe degli amici di Hamas
Manifestanti pro-Palestina e anti-Israele (Getty).

Come può essere ricondotto all’Isis chi difende la Palestina?

A febbraio il comico e drammaturgo Alessandro Bergonzoni, il parlamentare dell’Alleanza Verdi e sinistra Giuseppe De Cristofaro e l’ex senatore Luigi Manconi avevano scritto una lettera al manifesto sulla vicenda. «Le opinioni», si legge, «anche le più lontane dalle nostre, quando restano opinioni, tanto più come in questo caso espresse in forma privata, non devono costituire un fattore di criminalizzazione». Giovedì 16 maggio Seif Bensouibat si è ritrovato in casa la Digos. L’hanno prelevato per portarlo all’ufficio immigrazione di via Patini e da qui trasferito nel Cpr (Centro permanenza e rimpatrio) di Ponte Galeria dove è recluso. Il suo avvocato Flavio Rossi Albertini spiega che nel provvedimento la pericolosità sarebbe stata desunta «attraverso una lettura comparata dei post (nella famosa chat privata, ndr) con il pericolo del terrorismo religioso di matrice jihadista, con il fenomeno dei lupi solitari, della radicalizzazione solitaria. Evidentemente ritenendo che i moti di sdegno, anche scomposti, urlati e rabbiosi per quanto avviene in Palestina possano essere ricondotti all’Isis».

Seif Bensouibat, una vergogna italiana nella caccia alle streghe degli amici di Hamas
Luigi Manconi (Imagoeconomica).

La libertà di espressione è costituzionalmente garantita

De Cristofaro, presidente del gruppo Misto, ha depositato un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno e a quello della Giustizia, per chiedere «se non ritengano il provvedimento del tutto abnorme rispetto ai fatti contestati e in violazione del diritto fondamentale alla libertà di manifestazione del pensiero dell’uomo». Manconi, che ex presidente della Commissione parlamentare per la tutela dei diritti umani, parla di «decisione inaudita». Aggiungendo: «Seif ha vissuto oltre 10 anni in Italia, rispettando sempre le leggi e integrandosi nel nostro sistema di relazioni sociali. Adesso viene espulso dall’Italia per aver inneggiato ad Hamas. Il suo è al più un reato di opinione, che ricorre ad affermazioni per me totalmente inaccettabili, ma che sono una manifestazione, sia pure estrema, della libertà di espressione, costituzionalmente garantita».

L’algerino e le due iraniane: non sembrano storie da Ungheria?

Seif Bensouibat è una storia (nel giornalismo le persone spesso sono solo la storia che rappresentano) che interessa poco ai giornali: è straniero, per di più scuro, ed è dentro quella scomoda polarizzazione della questione palestinese. Un po’ come Maysoon Majidi che è arrivata dall’Iran per scappare dalla furia dagli Ayatollah, è attivista per i diritti umani e ora si ritrova incarcerata a Locri con l’accusa di essere una scafista secondo la testimonianza di due compagni di viaggio che dalla Germania hanno fatto sapere di non avere mai testimoniato. A pochi chilometri, a Crotone, è detenuta Marjan Jamal, iraniana anche lei, arrivata con il figlio che ora non può più vedere. L’accusa? Scafista. L’hanno interrogata in una lingua che non conosce. Dite la verità, non sembrano storie da Ungheria?

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Amnesty: “L’Ue deve rivedere gli accordi con la Tunisia”

“L’Unione europea dovrebbe rivedere gli accordi con la Tunisia”. Lo scrive in un comunicato Amnesty International partendo dai gravi episodi di repressione degli ultimi giorni: “Nelle ultime due settimane, – si legge – il governo tunisino ha lanciato un giro di vite repressivo senza precedenti contro migranti, rifugiati e difensori dei diritti umani che lavorano per proteggere i loro diritti, così come contro i giornalisti”.

Per Amnesty l’Ue deve rompere le relazioni con la Tunisia per non essere “complice delle violazioni dei diritti umani contro migranti e rifugiati, né della repressione nei confronti di media, avvocati, migranti e attivisti”

“Le autorità tunisine hanno intensificato la loro dannosa repressione contro le organizzazioni della società civile che lavorano sui diritti dei migranti e dei rifugiati, utilizzando affermazioni fuorvianti sul loro lavoro e molestando e perseguendo i lavoratori delle Ong, avvocati e giornalisti. Una campagna diffamatoria online e nei media, sostenuta dallo stesso presidente tunisino, ha messo a rischio i rifugiati e i migranti nel paese. Inoltre, mina il lavoro dei gruppi della società civile e invia un messaggio agghiacciante a tutte le voci critiche”, ha affermato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International.

Per questo secondo l’organizzazione “l’Unione Europea dovrebbe rivedere urgentemente i suoi accordi di cooperazione con la Tunisia per garantire che non sia complice delle violazioni dei diritti umani contro migranti e rifugiati, né della repressione nei confronti di media, avvocati, migranti e attivisti”. Qualche giorno fa anche il tribunale di Lecce ha messo in dubbio il rispetto dei diritti in Tunisia. 

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Il Tribunale di Lecce smonta un altro pezzo del decreto Cutro

Un altro pezzo del cosiddetto decreto Cutro si sgretola al tribunale di Lecce con una sentenza che per l’ennesima volta ricorda al ministro e al governo che gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano non possono essere scavalcati dalla propaganda. La sentenza risulta particolarmente importante anche perché riguarda un cittadino tunisino, lì dove Giorgia Meloni ha stretto la mano del presidente autocrate Kaïs Saïed per bloccare i flussi migratori e dove nelle ultime settimane il governo ha aperto una vera e propria caccia all’uomo dal vago sapore di pulizia etnica, tanto da spingere Amnesty International a chiedere la remissione degli accordi Ue con il Paese.

Il 19 maggio del 2023 la Commissione territoriale di Bari aveva rigettato “per manifesta infondatezza” la richiesta di protezione speciale di un uomo sbarcato in Italia il 2 novembre del 2022. Il tunisino, come scrive il tribunale di Lecce nella sentenza che ha accolto il suo ricorso, “ha iniziato un discreto percorso di integrazione depositando diversi attestati formativi professionalizzanti” ed è “assunto con contratto a tempo indeterminato a far data dal 12/12/2023 con la qualifica di addetto alla preparazione di cibi nel settore della ristorazione senza somministrazione”.

Secondo i giudici è giusto ritenere quindi “che egli stia compiendo un apprezzabile sforzo di inserimento nella realtà locale e che, verosimilmente, il suo percorso di integrazione potrà trovare ulteriore sviluppo, considerata la generale e crescente difficoltà di reperire un’attività lavorativa, a causa della notoria situazione di crisi socio – economica odierna che coinvolge l’intero Paese”. Per questo secondo i giudici rimandarlo in Tunisia si vanificherebbero “gli sforzi volti all’integrazione e alla costruzione di una certa prospettiva di vita sul territorio italiano”. 

Il Tribunale di Lecce in un’articolata decisione riconosce in favore di un cittadino tunisino la protezione richiamando l’articolo 2 della Costituzione italiana e gli obblighi internazionali

Si tratta dei cosiddetti “migranti economici” che da anni sono nell’occhio del ciclone della propaganda di certa destra, additati come usurpatori. Il giudice riconosce “in comparazione alla situazione personale che egli viveva prima della partenza si rileva quindi quella “effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono il presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art.2 Cost.)”, oltre al “buon comportamento tenuto sul territorio nazionale in base alle risultanze in atti (non risultano precedenti penali né di polizia a suo carico), si ritengono sussistenti allo stato gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno del richiedente nel Paese di origine”. Oltre all’articolo 2 della Costituzione la sentenza si rifa alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo secondo cui “devono essere comunque valutati indici quali la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine”. 

La Tunisia alleata del governo italiano quindi non è un “porto sicuro” a causa delle crescenti repressioni messe in atto da Saïed. Costruirsi una prospettiva professionale è un diritto, al di là dei convincimenti dei governi. E, come ricorda la sentenza, nonostante nel cosiddetto decreto Cutro l’articolo 19 non specifichi più “l’autonoma e diretta rilevanza che assume la tutela della vita privata e familiare in attuazione dell’art. 8 CEDU e le modalità di valutazione della ricorrenza di questo parametro […]” gli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano rimangono al di là della propaganda del governo di turno.

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Giornalisti nel mirino, tra querele temerarie e minacce

Al 15 aprile in Italia nel 2024 sono stati minacciati 133 giornalisti in 43 episodi. Lo dicono i dati raccolti dall’osservatorio di Ossigeno per l’informazione che dal 2006 monitora la situazione della stampa in Italia. Si tratta per la maggioranza di avvertimenti spesso minacciosi che sono il 78% dei casi segnalati nel primo trimestre di quest’anno. Una parte rilevante (ben il 17%) riguarda l’abuso di denunce e azioni legali, i un Paese in cui non si è ancora voluto risolvere l’annoso tema delle querele temerarie. Ci sono poi le aggressioni fisiche (2%), i danneggiamenti (2%) e l’ostacolo all’accesso all’informazione. 

Nel 2024 sono stati minacciati in Italia 133 giornalisti. Liguria, Lazio e Veneto guidano la classifica. Il 92% delle minacce rimangono impunite

I dati più spaventosi però riguardano la provenienza delle minacce. Il 30% sono minacce che arrivano da cittadini ma la stessa quantità di minacce, sempre il 30%, proviene da istituzioni pubbliche che abusano del proprio potere per silenziare la stampa. Il 15% delle minacce sono di natura criminale mentre quelle che provengono da ambienti imprenditoriali sono il 5%. A guidare la classifica delle regioni in cui vengono registrate più minacce c’è la Liguria, seguita da Lazio, Veneto e Lombardia. La Sicilia, che nell’immaginario collettivo viene descritta come regione “pericolosa” per il giornalismo è solo quinta, settima la Campania e solo tredicesima la Calabria, a testimonianza di una pressione verso il mondo dell’informazione che non è solo quella dei gruppi criminali autoctoni. 

Le minacce ai giornalisti in Italia negli ultimi dieci anni si attestano su una media di 500 all’anno, con variazione minime, esclusi il 2018 e il 2022 che hanno segnato picchi rispettivamente di 959 e 721 episodi. Anche perché minacciare purtroppo conviene. In Italia l’impunità per i reati contro i giornalisti è scesa di 4,7 punti percentuali in tre anni, passando dal 96,7% del 2019 al 92%  del 2022 ma rimane comunque altissima. Il tasso di impunità fornito da Ossigeno è calcolato sul numero degli operatori dell’informazione che hanno subito intimidazioni, e per i quali l’Osservatorio ha verificato e certificato che hanno agito nel rispetto della legge e della deontologia giornalistica. Nel 2022 Ossigeno ha censito in questo modo 322 cronisti minacciati. Tra questi, coloro che hanno visto processare e condannare il loro aggressore o autore di minacce (fisiche, verbali, legali), o che hanno ottenuto scuse o il ritiro di una querela per diffamazione a mezzo stampa è pari all’8%. Questo vuol dire che 27 giornalisti, su 322 vittime registrate nel 2022, hanno ottenuto una qualche forma di giustizia. Gli altri 295 non hanno ottenuto nulla. 

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Piantedosi ha passato l’aspirapolvere

Vi sono nell’immaginario domestico queste scenette che funzionano molto bene in certi film leggeri in cui la moglie si lamenta del marito che non fa mai niente a casa. Solitamente si vede lei rientrare sfinita da una giornata di lavoro e dalla cura dei figli mentre lui sta spaparanzato sul divano difronte alla televisione, meglio con una birra in mano, meglio ancora con una maglietta troppo corta che gli scopre l’adipe. Quando lei, solitamente sovraccarica di borse, chiude la porta di casa si ferma sull’uscio accigliandosi mentre osserva il coniuge con guardia di rimprovero. Di rimando il marito comincia a elencare le missioni compiute. Ho passato l’aspirapolvere, ho messo i piatti nel lavello, ho sistemato quell’interruttore che da tempo immemore non accendeva più. La comicità sta nella pomposità con cui il marito inerme racconta l’espletamento di minuscoli doveri quotidiani.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi da mesi si è rarefatto nelle dichiarazioni pubbliche e nelle presenze sui media. Le malelingue dicono che sia un commissariamento dolce voluto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dopo alcune uscite infelici del ministro. Ogni mattina Piantedosi, come quel marito sul divano, sui suoi social ci elenca con fare teatrale le sue piccole faccende domestiche. Ieri ha scritto: “È stato rimpatriato in Tunisia un estremista islamico, che ho espulso per motivi di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo. L’uomo, entrato illegalmente in Italia, aveva infatti manifestato il proposito di commettere un attentato suicida nel nostro Paese”. Notare la prima persona singolare (“ho espulso”) e l’aura solenne nonostante la bazzecola. L’effetto è lo stesso del marito sul divano. 

Buon venerdì. 

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