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“Il Massimo «pasionario». Appello a Napolitano per salvare lo spettacolo”, di Marcella Ciarnelli

Volti noti. Quelli con tanti anni di carriera alle spalle, quelli con tutta la carriera davanti. Il mondo dello spettacolo al Quirinale in occasione della consegna dei premi Eti per il teatro e De Sica per il cinema. Premio alla memoria a Mike Bongiorno, consegnato alla moglie. Attori, attrici autori in platea. C’era anche Giulio Cavalli, attore che fa teatro civile di denuncia e, minacciato dalla mafia, vive sotto scorta.
E stata un’occasione di festa ma anche il momento di un bilancio che continua ad essere amaro nonostante l’impegno ancora ieri ribadito dal ministro Bondi che ricorda «i nuovi strumenti di incentivazione fiscali»
che avrebbero alleggerito una situazione che resta però difficile.
A Massimo Ranieri, premiato per il teatro e «diplomato oratore di successo » da Napolitano, e a Giovanna Mezzogiorno che ha avuto il riconoscimento per il cinema, è toccato il compito di portavoce del disagio e delle richieste di chi lavora nel mondo dello spettacolo. «Oggi, 9 novembre, nessun teatro sa con certezza l’entità dei finanziamenti che percepirà per l’anno che sta per concludersi » ha detto l’artista napoletano guadagnandosi un lungo e convinto applauso che ha sottolineato anche la richiesta «di una legge per il teatro che manca da decenni e c’è in ogni altro paese d’Europa ». Mentre Giovanna Mezzogiorno ha lanciato l’allarme «sull’eccessiva rincorsa alla visibilità, vanità e nepotismo a scapito della formazione». E a proposito dei finanziamenti pubblici «dovrebbero andare principalmente alle opere prime».
La grande «qualità della produzione artistica italiana» che contribuisce a sviluppare «una grande corrente di simpatia nel mondo verso l’Italia» è stata sottolineata dal presidente Napolitano ancora una volta dalla parte di coloro che svolgono un lavoro in cui la libertà d’espressione «è particolarmente cara». Se il ministro Bondi, che ha annunciato gli Stati generali della cultura e la proclamazione del 27 marzo come giornata del teatro, ha parlato di «primi passi» a proposito dei finanziamenti, il presidente ha fatto capire che un occhio d’attenzione ci sarà sempre da parte sua perché le attese non siano deluse. E abbiano risposte. «Sono sicuro che il governo continuerà il dialogo con voi, sia sulle risorse che servono che su tutto il resto».
Aveva appena ricordato Ranieri, citando Lorca, «la cultura costa molto, ma l’incultura molto di più».

L’Unità, 10 novembre 2009

Spettacolo/ Napolitano incontra Cavalli, attore anti-mafia

Lui si chiama Giulio Cavalli e fa teatro civile di denuncia. E questo gli è costato minacce di morte da parte di diverse famiglie mafiose. Minacce vere, reali come il suo teatro, tanto che da aprile, dopo due anni di tira e molla, ha ottenuto una scorta e vive accompagnato da due ‘angeli con la pistola’. Oggi, per l’incontro annuale con la ‘gente dello spettacolo’, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha voluto ospite al Quirinale. Non solo. Al termine della tradizionale cerimonia di premiazione, il presidente si è intrattenuto a lungo con Cavalli, per ascoltare una storia iniziata quasi tre anni fa a Gela, quando il giovane autore, regista e attore mise in scena, con alcuni magistrati e giornalisti siciliani, una piece composta da stralci di intercettazioni ambientali finite in processi per mafia e da alcuni pizzini di Bernardo Provenzano. Il tutto, spiega Cavalli, “in chiave comica, ma riprendendo anche la lezione di Peppino Impastato”. Il progetto ebbe successo, ma per Cavalli, una volta rientrato a Lodi, cominciarono le minacce, che andarono moltiplicandosi quando cavalli mise in scena uno spettacolo sulle infiltrazioni mafiose negli appalti in Lombardia. Alla fine, servizio scorta per l’attore e nuovo spettacolo, stavolta realizzato in collaborazione con Libera, l’associazione per la lotta alle mafie di Don Luigi Ciotti. Oggi, infine, l’appuntamento al Quirinale, con Napolitano, sensibile com’è al tema della denuncia civile, molto interessato a questa storia. Il presidente, durante il colloquio con l’attore, ha avuto parole di elogio “per il coraggio di denunciare” e a esortato Cavalli “a proseguire con il suo lavoro”. L’attore, però, ha denunciato una sorta di ‘abbandono’ da parte del mondo del teatro e in generale dello spettacolo di chi, come lui, fa teatro-denuncia e a volte si trova esposto, al pari di giornalisti, scrittori e magistrati, esposto alle vendette delle cosche. All’allarme di Cavalli di è associato anche il direttore di Ossigeno, l’osservatorio della Fsni sui giornalisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza, Alberto Spampinato. “Ci sono troppi casi come quello di Cavalli – ha detto Spampinato – e di altri autori e giornalisti che vengono lasciati troppo soli”.

Napolitano incontra l'attore Giulio Cavalli

9 novembre 2009
Roma.
Giorgio Napolitano ha invitato al Quirinale Giulio Cavalli, l’attore teatrale di Lodi minacciato di morte dalla mafia, che vive sotto scorta da oltre un anno.

Il presidente della Repubblica si è fatto raccontare la sua storia, gli ha stretto calorosamente la mano e gli ha chiesto di tenerlo informato sulle misure adottate per assicurare la sua sicurezza personale. L’incontro è avvenuto nel Salone delle Feste, dopo la cerimonia ufficiale per la consegna dei premi ETI e De Sica a esponenti del mondo del teatro e del cinema. “Sono lieto e onorato dell’interessamento del capo dello Stato. Spero che serva a richiamare l’attenzione del mondo teatrale e dell’informazione, e a dare alla mia vicenda maggior visibilità, perché ciò renderebbe più sicuro il mio lavoro”, commenta Giulio Cavalli, con evidente soddisfazione, prima di ripartire per Lodi. La sua storia è semplice nella sua drammaticità. Nel 2006 su proposta del sindaco di Gela, che era Rosario Crocetta, attualmente parlamentare europeo, mise in scena sulla piazza della città siciliana uno spettacolo in cui ironizzava sui riti e sui capi della mafia, in primis Bernardo Provenzano. Uno spettacolo concepito sulla cifra dell’ironia, della satira e della dissacrazione, sulle orme delle celebri puntate di “Onda pazza”, le trasmissioni radiofoniche diramate da Radio Aut di Cinisi dal giornalista Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia nel 1978, proprio a causa di quella insopportabile dissacrazione, per ordine del boss Gaetano Badalamenti. Cavalli portò lo spettacolo a Palermo, ad Alcamo e altrove, e pochi giorni dopo ricevette le prime minacce di morte. Bare disegnate sui muri. Ordini di tacere. Le minacce furono recapitate in Lombardia, davanti al suo teatro di Lodi e alla sua abitazione. Fu uno shock, ma respinse gli inviti a tacere. Da allora ha continuato a calcare le scene, a prendere in giro la mafia, i suoi uomini e i suoi riti anacronistici. Ha preparato anzi un nuovo spettacolo in cui racconta la penetrazione della criminalità organizzata nella sua Lombardia (domenica lo rappresenterà a Buccinasco). Ha continuato, con passione e amarezza, portandosi dietro due agenti di polizia che sorvegliano i suoi spostamenti come angeli custodi. Ha continuato nel disinteresse del mondo del teatro, che tranne rare eccezioni ha ignorato il suo caso. “Ho avuto la solidarietà di Dario Fo, di Paolo Rossi e di altri ma – racconta con amarezza – per tutti gli altri è come se non esistessi. A volte mi chiedo: com’é possibile? Alcuni dicono, sia pure sottovoce, che faccio queste cose per farmi pubblicità, perché ci guadagno. La verità e che da quando mi occupo dei misfatti della mafia le mie occasioni di lavoro sono diminuite”.

ANSA

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/21510/48/

L’APPELLO. L’attore e regista teatrale Giulio Cavalli aderisce alla campagna “Non staccate la luce ai bambini".

Dina Galano

Una recitazione intellettualmente onesta. Un impegno civile nutrito dall’obiettivo di ricostruire l’informazione fedele. Un teatro, meglio dire, «partigiano». Così Giulio Cavalli definisce la propria azione oratoria che, negli anni, ha dato vita a spettacoli contro la mafia, dedicati alle stragi italiane e, ancora, alla denuncia di sfruttamento dei minori. Dall’aprile 2009 i suoi movimenti sono seguiti a vista dagli uomini della scorta, dopo le minacce indirizzate per lo spettacolo Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi. Oggi, Giulio Cavalli aggiunge la propria firma alla campagna promossa da Terra “Non staccate la luce ai bambini”, nel filo della continuità con il proprio quotidiano impegno sociale.

La morte di Elvis è accaduta in un quartiere di Napoli, in un contesto di povertà. Ritiene si tratti di un problema diffuso solo al Sud?
In questo caso si sono manifestati tutti i danni di un federalismo incitato, sollecitato e finito per sbrodolare, nelle sue conseguenze drammatiche, sull’intera società. Con questo approccio, infatti, si è arrivati ad avallare un diritto a non esercitare alcuna solidarietà. Le popolazioni sono trattate alla stregua di primitivi gruppi autoctoni, confinati in una quotidiana lotta per la sopravvivenza.

Lo spettacolo Bambini a dondolo racconta storie di abusi sui minori. Perché questa scelta?
I dati ufficiali, che sono sempre sottostimati, contano 80mila italiani che praticano turismo sessuale all’estero. Il 5 per cento di loro parte volutamente con l’idea di far sesso con minori. Esiste un’intera popolazione che sceglie questo genere di vacanza, e che, per il resto dell’anno, vive uno status di normalità in Italia. Chi abusa di un minore torna con una macchia che non si può lavar via. E su questo bisogna interrogarsi.

Che ruolo gioca il teatro nell’educazione dei giovani?
Il palcoscenico è uno dei pochi luoghi veramente liberi, in cui l’uso della parola non è sottoposto a controlli esterni. I bambini sono più capaci degli adulti di ascoltare. Si teme sempre di poterli sporcare, di corromperli. Ma la reazione di un bambino di fronte a temi difficili, come la criminalità organizzata, è sempre di meraviglia. Non è mai sdegno o idealismo.

Da cittadino, come giudica la tutela dei minori in Italia?
Abbiamo una Carta di diritti, un Osservatorio che controlla la sua applicazione e commissioni che monitorano i controllori. Il diritto all’infanzia, nel nostro Paese, non è un diritto naturale.

DA TERRA

L’ARTICOLO QUI

Lecco: il 13 teatro civile contro la mafia

“A CENTO PASSI DAL DUOMO”
(lo spettacolo di teatro civile contro la mafia)
GIULIO CAVALLI sarà a Lecco venerdì 13 novembre,
ore 21, presso l`Officina della Musica.

“La mafia non esiste”. Figurarsi al Nord. “La mafia a Milano non esiste”. Non è mai esistita.
“E` tutta una montatura per screditare il ricco, produttivo, avanzato, civile, Nord Italia”.

C`è un`altra Italia che, fortunatamente, alle menzogne non s`è ancora piegata.
C`è un ragazzo di Lodi, di mestiere fa l`attore, che si chiama Giulio Cavalli.
Ha avuto una pessima idea: parlare di mafia nei suoi spettacoli (oltreché del disastro di Linate).
“Che gli attori facciano gli attori”, gli contestano i tutori dell`omertà.
Lui invece s`è convinto che il teatro possa e debba parlare di temi spesso “dimenticati” da politici, giornali e televisioni.
E così s`è permesso di parlare di mafia. Non solo (sfacciato!): addirittura di mafia a Milano.
Di quella Milano “da bere” che fin dagli anni `50 conobbe infiltrazioni mafiose nel mondo dell`economia, della finanza, della società, della cultura.
Eppure a parlarne, secondo i camerieri della disinformazione, non si fa che “screditare” i milanesi, i lodigiani, i lecchesi. Si manca di rispetto.

Molto meglio il silenzio.
Quello stesso silenzio che fa di Milano (e del Nord Italia) il nuovo centro operativo delle mafie.
Specialmente della `Ndrangheta.

Ospite della Carovana Antimafie, GIULIO CAVALLI porterà in scena lo spettacolo “A CENTO PASSI DAL DUOMO”, scritto insieme al giornalista Gianni Barbacetto.
Una fotografia lucida che ritrae la distratta Milano dall`assassinio di Giorgio Ambrosoli arrivando fino ad Expo 2015.
Perché a Milano la mafia c`è da un bel pezzo.

Per info/prevendite riguardanti lo spettacolo contattare:
lecco@arci.it – duccio4@gmail.com
Il prezzo del biglietto è di 5 euro!

La `Ndrangheta non ammorba soltanto Milano. La nostra città, Lecco, è anch`essa crocevia di traffici di droga, di armi, nonché roccaforte della famiglia calabrese dei Trovato, imparentata con i potentissimi De Stefano di Reggio Calabria.
Nonostante le inchieste della magistratura, le sentenze e gli ergastoli, la `Ndrangheta a Lecco (come nel resto del Nord Italia) continua a rigenerarsi senza sosta, grazie, soprattutto, al profondo legame di sangue che lega i componenti delle cosche.
Purtroppo però, senza l`apporto decisivo di una parte non ininfluente della classe imprenditoriale “pulita” lecchese e la presenza di un deserto culturale colpevolmente creato da istituzioni assenti, tale fenomeno non avrebbe mai potuto raggiungere un simile livello di forza e potere di pressione.
La consapevolezza del tessuto sociale sul tema dell`infiltrazione mafiosa è importante tanto quanto una sentenza di tribunale.
L`omertà e la sottovalutazione del fenomeno sono l`ossigeno di cui gli `ndranghetisti necessitano.

Parlare di mafia significa non restare indifferenti.

“Milano è la vera capitale della `Ndrangheta”
Vincenzo Macrì, Pm antimafia, estate 2008

Carovana Antimafie – gruppo di Lecco

DA MERATEONLINE

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Parla il sindacato dei giornalisti «Minacce a Cavalli, serve più solidarietà»

«Come mai a Lodi e a Milano, città gelose della propria libertà, i cittadini, i circoli e le istituzioni hanno “lasciato correre” una cosa così grave? Cosa significa questo silenzio assordante?». E il silenzio, se si tratta della vicenda di Giulio Cavalli, l’attore e autore lodigiano «minacciato di morte dalla mafia per aver preso in giro Bernardo Provenzano in alcuni spettacoli in piazza in Sicilia e in Lombardia», pesa. Parola di Alberto Spampinato, quirinalista dell’Ansa, consigliere nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti.Il giornalista è intervenuto sulla vicenda di Giulio Cavalli come direttore di Ossigeno per l’Informazione, nell’ambito dell’Osservatorio Fnsi sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza. «Com’è che i giornali, tranne rare eccezioni, non parlano di questa storia dell’attore lodigiano Giulio Cavalli minacciato di morte della mafia? Come mai il mondo del teatro non dice una parola su un attore che da un anno è costretto a girare con la scorta?» è la domanda che apre l’intervento di Spampinato. Ma il giornalista si spinge oltre e parla anche di “paura” e “rassegnazione” che portano inevitabilmente all’isolamento di una vittima dell’ingiustizia.«Questa vicenda dovrebbe produrre solidarietà, sostegno e protezione di una voce libera e coraggiosa – ha aggiunto Spampinato -; molti italiani pensano che in questa storia se c’è uno che ha sbagliato, è Giulio Cavalli, che usando una formula molto usata “se l’è cercata”». Il consigliere della Fnsi parla anche degli effetti del condizionamento mafioso al nord, in cui ora vige la stessa regola del silenzio che stabilisce che «un attore, uno scrittore, un giornalista per vivere tranquillo non deve mai comportarsi come Giulio, né come quell’altro matto di Roberto Saviano, né come quei cronisti scriteriati alla Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e via elencando. No, chi vuole vivere senza minacce di morte o di altre rappresaglie può farlo semplicemente attenendosi alla regola di parlar d’altro e fingere che la mafia non esista». Una regola comoda e fin troppo facile da rispettare, «per questo abbraccio Giulio Cavalli, Roberto Saviano e tutti i matti come loro».R.M.

DA IL CITTADINO

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COMUNICATO STAMPA osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

SE LA MAFIA TOGLIE LA PAROLA A UN ATTORE E TUTTI TACCIONO

Com’è che i giornali, tranne rare eccezioni, non parlano di questa storia, dell’attore lodigiano Giulio Cavalli minacciato di morte dalla mafia per aver preso in giro Bernardo Provenzano in alcuni spettacoli in piazza in Sicilia e in Lombardia? Come mai il mondo del teatro non dice una parola su un attore minacciato di morte dalla mafia e da un anno costretto a girare con la scorta armata? Com’é che a Lodi e a Milano, città gelose della propria libertà, i cittadini, i circoli e le istituzioni hanno lasciato correre una cosa così grave? Cosa significa questo silenzio assordante?
Temo che significhi nient’altro che paura e rassegnazione. E’ grave che non si riesca a reagire altrimenti e che tutto ciò, invece di produrre solidarietà, sostegno, protezione collettiva di una voce libera e coraggiosa, produca l’isolamento della vittima di un’ingiustizia. Fatti come questo devono farci riflettere sul punto a cui siamo arrivati, con il condizionamento mafioso, anche nel Nord un tempo tanto orgoglioso di essere immune dagli spregevoli effetti della violenza mafiosa. Anche nel Nord siamo andati molto avanti nel senso dell’acquiescenza e del contagio. Questo silenzio, questa disattenzione può esserci solo perché, purtroppo, molti italiani, (ma soprattutto molti giornalisti, anche del Nord) pensano che in questa storia se c’è uno che ha sbagliato, questi è Giulio Cavalli, il quale, secondo questo modo di pensare e una formula molto usata “se l’è cercata”. Non avrebbe dovuto prendere in giro Bernardo Provenzano, non avrebbe dovuto violare la tacita convenzione del silenzio e dell’autocensura che vige nel nostro libero paese! Che gli costava? La convenzione non scritta, come sappiamo, vale più delle leggi e delle convenzioni universali ed europee dei diritti dell’uomo; stabilisce che un attore, uno scrittore, un giornalista per vivere tranquillo non deve mai comportarsi come Giulio, né come quell’altro matto di Roberto Saviano, né come quei cronisti scriteriati alla Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e via elencando… No, chi vuole vivere senza minacce di morte o di altre rappresaglie può farlo  semplicemente attenendosi alla regola di parlar d’altro, di fingere che la mafia e i mafiosi non esistono, e se proprio non può fare a meno di parlare dei boss, dei loro amici corrotti e intrallazisti, deve  parlarne con molto rispetto e senza turbare lo svolgimento dei loro affari. E’ facile, che ci vuole? Ci riescono (quasi) tutti. E’ comodo e fin troppo facile. Proprio per questo noi ammiriamo chi non ci riesce, e perciò io abbraccio forte Giulio Cavalli, Roberto Saviano e tutti i matti come loro che pagano un caro prezzo per dimostrarci che la regola del quieto vivere si può rifiutare, e che l’autocensura è proprio il contrario della libertà di espressione.

Alberto Spampinato – direttore di Ossigeno per l’informazione
osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

Mafia e potere a Milano, una piece che non fa ridere

di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto (dal testo di A Cento passi dal Duomo) su Terra della domenica – 1° novembre 2009
Gli affari, gli appalti, l’assalto all’Expo.

I boss stanno a cento passi da palazzo Marino, residenza del sindaco Letizia Moratti.
O l’hanno già percorso quel tratto di strada che li separa dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo, qualcosa di marcio l’hanno già fatto nell’hinterland e in altri centri del milanese. Uno stralcio del testo teatrale, musicato da Gaetano Liguori, che è una graffiante denuncia sul malaffare in Lombardia

Qualcuno si è allarmato? per questo incesto tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). Quando scippano un rom magari è proprio un trionfo. La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. “Non appartiene a questa città” come dice l’appunto lieta Letizia Moratti sindaco in carica. Se la cronaca è nera, nerissima allora è solo un problema di lavaggio, di temperatura, di ammorbidente della distrazione.
A Milano che “la mafia non esiste” o ormai la sindachessa ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi. Non soddisfatta ha poi lanciato comunque la commissione comunale antimafia che è durata poco meno di uno starnuto (come un Lazzaro non risorto per un pelo) per rimangiarsela subito dopo adducendo competenze prefettizie che non andavano scavalcate. Ora, saputo in agosto che nella “Milanoland delle fiabe” un’intera cittadella è in mano alla criminalità organizzata come segnalato dal pm Nicola Gratteri (che di ‘ndangheta un po’ ne conosce avendone studiato la storia, morsicato alcune locali e reativi capibastone e annusandone tutti i giorni l’odore tra gli stipiti blindati che il suo lavoro gli impone) la sindachessa e la politica milanese tutta rimbalza responsabilità di intervento a non precisati enti o ruoli. Mentre
La Russa si ridesta invocando l’esercito. Intanto tutti felici e contenti concordano nel ritenere i 6 caseggiati popolari di Viale Sarca e via Fulvio Testi in mano agli onomatopeici fratelli Porcino (bossetti di periferia legati alle cosche di Melito di Porto Salvo), i nomadi Hudorovich e i Braidic semplicemente un “neo”, una pozzanghera piccola piccola in quel placido, enorme e ligresteo tappeto di cemento che è il capoluogo lombardo spiato dall’alto.
Negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia, parla da profeta inascoltato. «Che la ‘ ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni 80. L’ ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’ Expo e non so più come dirlo».
Stupirebbe questo atteggiamento impermeabile in un paese normale, dove normalmente i politici dovrebbero essere eletti per prendere posizione, dare segnali forti e non solo per banalmente amministrare capitoli di spesa e distribuire (scaricandosene) ruoli e responsabilità. Qui non si tratta di disquisire i ruoli di governo e ordine pubblico come stabilito dalla legge; qui si rimane a supplicare un segnale, un lampo in cui ci si illuda che Marcello Paparo non possa sentirsi “libero” di collezionare bazooka come nei peggiori scenari di desolazione metropolitana post industriale, o Morabito non sfrecci impunito a parcheggiare il ferrarino in un posteggio dell’Ortomercato con l’arroganza di uno zorro a quattro ruote, o che Andrea Porcino (classe 1972, giusto per identificarlo meglio là fuori dal suo fortino dove gioca a seminare terrore) possa addirittura inventarsi intermediario con arie da tour operator mentre raccomanda ai secondini del carcere
milanese di San Vittore dei buoni servigi e una residenza confortevole per i suoi amici Nino, Ettore e Massimo.
L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma.
Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione diventata maestra perspicace nel strappare con la pinzetta delle ciglia l’allarmismo mentre grida all’emergenza dei rom che scippano le nonne. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Nel riflesso degli eroi diventati onorevoli che “la mafia l’hanno debellata decenni fa” e se così non fosse è semplicemente perchè non l’hanno mai trovata.
Una regione che è sacerdotessa della clandestinità diventata finalmente illegale e intanto finge di non sapere che l’illegalità pascola clandestina.
Ma c’è un tempo che è quello della memoria che supera le circostanze brevi della politica tutta a parare i colpi mungendo voti: la memoria sulla pelle dei nostri figli, delle prossime generazioni, quella che non entra nei libri di storia ma rimane sotto pelle come una traversata nella stiva mai raccontata. E allora pagheranno pegno davanti alla storia tutti i politici pavidi, cravattari amministratori tra la casetta in centro e l’incenso delle sciantose; pagheranno i sindaci dell’ “insabbia et impera” e i tranquillanti per professione. Pagheranno l’ignoranza e la persecuzione di uno stuolo di attivisti messi al muro per discolparsi di uno sguardo fatto di fatti. Sorrideranno a leggere che qualcuno, metti per caso un politico di una città qualsiasi, calpestando i cadaveri delle antiestetiche vittime milanesi delle mafie, sia riuscito a mettersi nella situazione di dover essere smentito per un allarme che da decenni è già rientrato perchè
metabolizzato: endovena, silenzioso. Impunito, appunto.
Nel gioco dei segnali così caro alla pochezza criminale, se esistesse un santo dell’estetica contro il diavolo della politica per comunicati stampa, da domani partirebbero le ronde della legalità nei crani dei politici a cercare con il lumicino la responsabilità della dignità.
E allora, e allora sarebbe da andare in giro a spararla questa storia che insiste per non farsi raccontare. Sarebbe da scriverla sulle bustine dello zucchero per la colazione giù al bar, sarebbe da registrare nella radiosveglia, gridarla nei microfoni delle casse al supermercato. Una regione che racconta tutti gli anni con il grembiulino Libero Grassi mentre in via Verdi a Milano, di fianco alla Scala, un gioielliere deve impachettare ventimila euro come regalo di Natale. Una regione che proietta Peppino Impastato per comprarsi indulgenze e non riesce nemmeno ad annusare Antonio Galasso a Pieve Emanuele, i Rispoli di Cirò che orto fruttano a Legnano dove Vincenzo apriva tutte le mattine la Bidi bodi bu, i gelesi a San Giulioano e Melegnano, gli Iacono della Stidda dei Madonia con un centro estetico e impresa edile a San Donato, o Francesco Perspicace: nato a Caltagirone una cinquantina di anni fa ma esportato a Sant’Angelo Lodigiano da un bel pezzo
con un’impresa di pulizie, una quota in “iniziative immobiliari” e una fedina penale di 16 anni di condanna per una sparatoria in via Faenza il 9 maggio 19
98. Un’altra agenzia, la Ad Case, vede tra i soci Ferdinando Perspicace di Caltagirone e per non farsi mancare niente anche, in passato, Arturo Molluso, dell’ omonima famiglia originaria di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria. Hanno messo le radici a San Donato i Molluso e sono considerati legati ai clan Cappelli-Pipicella e vicini ai Calaiò. Uno di loro, Pasquale Molluso, è socio della Gra immobiliare. Il trentaquattrenne Arturo, residente a Spino d’ Adda, è presente anche in altre agenzie, come la Mocasa, sede a Milano in via Riva di Trento.
Nomi, nomi, fatti, scie con i numeri e l’impeto di un fiume prima della cascata ma con il rumore di un rivolo. Ma non potranno essere sempre impuniti, impuniti loro e impuniti tutti quelli che non sentono e non vogliono sentire, in una palude di immobile e latente inciviltà dove informare è un atto di coraggio. Non si potrà stare a lungo impuniti a forza di giocare a fare i sordi: magari mangiati, comprati, giudicati, annessi o complici. Perché il silenzio è complice, silenzio è pace, il silenzio è calma, il silenzio è rosa.

Una breve non presentazione
di Pietro Orsatti

Ho conosciuto Giulio Cavalli qualche anno fa. Io avevo terminato da poco un’incheista sul turismo sessuale in Brasile, lui stava realizzando uno spettacolo (Bambini a dondolo) sullo stesso argomento. Mi ha chiamato e ci siamo incontrati dopo pochi giorni. Lui è fatto così, un progetto, due parole, si costruisce e si va in scena.

Giulio già veniva da spettacoli di denuncia. Uno sull’incidente di Linate, un altro sui fatti di Genova. E già stava lavorando alla preparazione di Do Ut Des, uno spettacolo sulla mafia, anzi uno spettacolo di completa presa in giro del fenomeno e della cultura di Cosa nostra che lo ha portato, subito dopo la prima, ad avere minacce. Minacce che nei mesi si sono fatte tanto insistenti da creare il paradosso: Giulio Cavalli, da Lodi, è stato minacciato dalla mafia (sempre a Lodi) e per questo è l’unico attore italiano che vive sotto scorta.

La condizione gli va stretta, ma non ha certo mollato questo piccolo testardo lomabardo. E ora va in scena con A 100 passi dal Duomo scritto con Gianni Barbacetto. Come dire, «se mi devono minacciare che almeno mi minaccino i mafiosi di casa mia». E così si va avanti, fra una macchina di scorta e un albergo presidiato, fra un palco sorvegliato a vista e la paura di aprire la buca delle lettere. Però ridendoci su, se ci si riesce.

Tratto da: orsatti.info

L’ARTICOLO QUI

Sabato 7 novembre: Giulio Cavalli a Bolzano con A CENTO PASSI DAL DUOMO

Chi semina legalità  raccoglie giustizia
L’importanza di educare
Bolzano 6 – 7 novembre 2009

Venerdì 6 Novembre – Teatro Cristallo, via Dalmazia
Ore 20.30

– Consegna del premio Madre Terra a don LUIGI CIOTTI da parte della Caritas diocesana e del teatro Cristallo

– saluto del sindaco di Bolzano, LUIGI SPAGNOLLI
– saluto del vescovo di Bolzano-Bressanone, Mons. KARL GOLSER

– L’impegno educativo per liberare un altro futuro – don LUIGI CIOTTI, presidente di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

– Presentazione del libro Le due guerre. Perchè l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia. L’autore GIAN CARLO CASELLI intervistato da Francesco Comina

Sabato 7 Novembre. Formazione professionale – via Santa Geltrude 3
0re 9 – 9.30

– Saluti Assessore Provinciale Barbara Repetto
– Saluti assessore comunale referente al centro per la Pace Luigi Gallo

Ore 9.30-12.30
Per una mappa geosociale delle risposte alle attività illecite

PETRA RESKI, giornalista tedesca, autrice di “Santa mafia”, CUNO TARFUSSER, giudice della Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja, ANDREA DI NICOLA, coordinatore laboratorio Transcrime di Trento, LAURA GARAVINI, commissione parlamentare antimafia. Ne discutono con TONIO DELL’OLIO, Libera International

ore 15-17.30
Il dovere di educare, proposte ed esperienze

SILVANA PUGLISI, insegnante a Palermo, FRANCA BERTI, coordinatrice delle attività scolastiche e formative presso la Casa circondariale di Bolzano, FRANCESCA ZENI, associazione Terra del Fuoco di Torino, ELENA PARIS, istituto comprensivo Bassa Atesina. Ne discutono con LILLO GANGI, referente Libera Sicilia

ore 18.00
Un giorno un bambino chiederà a suo nonno: cos’era la mafia?


Auditorium Santa Geltrude
ore 20.30
Spettacolo teatrale: “A Cento passi dal duomo” di GIULIO CAVALLI e GIANNI BARBACETTO con GIULIO CAVALLI. Musiche in scena di GAETANO LIGUORI.

Il convegno è organizzato da Libera, associazioni, nomi e nmeri contro la mafia e dal Centro per la Pace del Comune di Bolzano in collaborazione con Formazione professionale, Teatro Cristallo, Centro Lovera, Caritas Bolzano-Bressanone

INGRESSO GRATUITO