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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

A pesca di scafisti nella rete finisce di tutto

Nella smania per la caccia agli scafisti e ai trafficanti di uomini in tutto l’orbe terraqueo come promesso dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni capita di incappare in brutte figure che sviliscono l’Italia agli occhi del mondo. Maysoon Majidi, ad esempio, è una donna iraniana di 27 anni ed è stata arrestata a Capodanno a Crotone con l’accusa di essere una scafista. Da allora marcisce in cella a Castrovillari senza possibilità di spiegare. 

Per cogliere la dimensione della figuraccia basterebbe saper usare Google o qualsiasi altro motore di ricerca: compare in moltissimi documentari sulla violazione di diritti umani in Iran, in qualità di attivista, per avere manifestato contro il barbaro omicidio di Masha Amini. Parla di lei la Bbc, la conoscono perfino negli uffici dell’Onu per il suo impegno di attivista. Forse avrebbe anche potuto spiegarlo quando è stata fermata dalla Guardia di finanza di Crotone se qualcuno avesse trovato il modo di comunicare nella sua lingua. 

La Procura di Crotone spiega che due migranti sostengono che Majidi fosse una scafista. I due – che intanto sono andati in Germania – all’avvocato di Majidi hanno negato quella versione. “Lei era una passeggera, stava sotto coperta con noi e non l’abbiamo mai accusata”, dicono in un video. Agli inquirenti di Crotone non è bastata nemmeno la confessione del cittadino turco, Ufu Aktur, che ha ammesso di essere lui il capitano della barca e ha spiegato che Maysoon Majidi era una dei migranti a bordo. Non basta nemmeno la ricevuta del pagamento degli 8.500 dollari pagati per imbarcarsi. 

Nei giorni scorsi è intervenuta perfino la Hana Human Rights organization, che si occupa delle violazioni dei diritti umani in Iran. E ora dei diritti degli iraniani in Italia. 

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Immigrazione, i numeri nascosti dal governo Meloni e l’emergenza come status quo – Lettera43

Ma quale invasione: le persone in accoglienza in Italia rappresentano circa lo 0,18 per cento della popolazione residente. Il sistema tra centri ordinari e straordinari non funziona. E la premier ha affittato una costosissima porzione di Albania per costruirci sopra un messaggio pubblicitario. Che va sbugiardato.

Immigrazione, i numeri nascosti dal governo Meloni e l’emergenza come status quo

Hanno trovato la soluzione per uscire dall’emergenza immigrazione su cui hanno costruito il consenso in campagna elettorale: legalizzandola. Il primo passo del governo per corroborare la propaganda è l’accordo con l’Albania che prevede prevede l’istituzione di due centri, uno per la primissima accoglienza (nella località di Shengjin) e l’altro con funzioni di hotspot e centro di permanenza e rimpatrio (Cpr), a Gjader. Nelle intenzioni del governo le due strutture avrebbero dovuto partire entro il 20 maggio. L’Italia ha più volte sostenuto che in Albania saranno accolte 3 mila persone al mese, per un totale quindi di 36 mila persone l’anno. Falso: mentre a metà agosto 2023 il ministero dell’Interno indicava in quasi 2.599 persone le presenze negli hotspot italiani, il 15 marzo, invece, questo numero arrivava ad appena 712. Scorrendo i costi ci si rende conto del fallimento: la gestione di strutture di questo tipo dovrebbe aggirarsi interno ai 30 milioni di euro circa in cinque anni, oltre ai 30 milioni di euro che servono per costruirle, più 95 milioni di euro per il noleggio delle navi, 65 milioni che se ne vanno per processi e assistenza legale, 64 milioni di euro per la sorveglianza della struttura e 252 milioni di euro per pagare le trasferte. Il tutto per qualche migliaio di persone che dovranno comunque passare dall’Italia. La gara da 134 milioni di euro è stata vinta dalla controversa cooperativa Medihospes, salita alla ribalta in diverse inchieste per i suoi rapporti con la criminalità nella gestione di strutture per l’accoglienza e per le pessime condizioni.

Immigrazione, i numeri nascosti dal governo Meloni e l'emergenza come status quo
Migranti arrivati in Italia (Getty).

Accoglienza ordinaria e straordinaria: il sistema così com’era pensato non esiste più

E l’accoglienza in Italia? Nel 2023 Openpolis rileva che le presenze nel sistema di accoglienza hanno raggiunto un picco di 141 mila persone. Rispetto all’anno precedente è stato quindi necessario reperire tra i 20 e i 30 mila posti, così come già avvenuto tra il 2021 e il 2022. L’organizzazione italiana prevede un sistema di accoglienza ordinario (i cosiddetti Sai) che garantisce un percorso di integrazione più completo e dei centri di accoglienza straordinaria (Cas) attuabili dal prefetture per far fronte alla variazione di presenza che di anno in anno si presenta. Il piano così com’era stato pensato non esiste più. Nel sistema ordinario ci sono il 35,7 per cento dei posti, mentre tutto il resto finisce nella cosiddetta accoglienza straordinaria, in un gioco di inversione delle parole: un minoranza ordinaria e una maggioranza straordinaria.

Numeri fantasma e l’invenzione di un’emergenza al quadrato

Il governo Meloni ha deciso di aggiungere anche centri temporanei più straordinari del Gas – dove già mancano i servizi e il rispetto dei diritti basilari – inventandosi un’emergenza al quadrato. E quindi quali sono i numeri? Impossibile saperlo. A giugno del 2023 i parlamentari avrebbero dovuto leggere il rapporto sul 2022, ma non si è visto. Openpolis ha provato a fare i conti: «Le persone in accoglienza rappresentano circa lo 0,18 per cento della popolazione residente in Italia. Un dato distante dalla cosiddetta “invasione” di cui si sente parlare, che comunque varia a seconda dei territori. Così se le regioni del Mezzogiorno e del Nord-Ovest si pongono al di sotto della media (0,17 per cento), il Centro si trova in linea con il dato nazionale, mentre nel Nord-Est la quota di persone accolte rispetto ai residenti è più alta (0,21 per cento)».

Immigrazione, i numeri nascosti dal governo Meloni e l'emergenza come status quo
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e, alle sue spalle, una foto della premier Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Il capolavoro di propaganda del governo Meloni sull’immigrazione

Nel loro rapporto “Un fallimento annunciato” del 2023 Openpolis e ActionAid sottolineano che «pur essendo generalmente riconosciuta la maggiore efficacia del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) nel favorire il processo di integrazione delle persone migranti, non si è mai investito significativamente per incrementare i posti in questo canale dell’accoglienza. Nondimeno negli ultimi anni il circuito pubblico dell’accoglienza è stato svilito e stravolto sottraendo alle sue competenze persino l’accoglienza dei richiedenti asilo». Ricapitolando, il governo Meloni ha deciso di nascondere i numeri che smentirebbero l’invasione legalizzando l’emergenza come status quo. E ha affittato una costosissima porzione di Albania per costruirci un messaggio pubblicitario. Un capolavoro.

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Repressione, vittimismo e censura

Il mazzo del governo ha due carte: la repressione e il vittimismo. Per analfabetismo istituzionale dalle parti di Palazzo Chigi sono però convinti che la repressione sia sinonimo di fiorente egemonia culturale mentre usano il vittimismo e lo scambiano per censura. Solo due carte, nient’altro fino a qui.

Sfogliare i giornali e i telegiornali di questo anno e mezzo di governo Meloni è un andirivieni di oppositori zittiti, sventolati come trofei di caccia, e di piagnistei continui per presunti attacchi. L’effetto – pur comico – è disarmante e pericoloso per la postura.

L’ultima puntata della serie è la ministra alla Famiglia Eugenia Roccella, perfetto paradigma della squadra di ministri. Roccella sale alle cronache durante il suo mandato solo in due occasioni: quando trova il modo di infilare la sua avversione all’aborto in pubblico e quando si lamenta dell’avversione alla sua avversione. Continua a mancarle però un particolare: una ministra che sogna di ledere un diritto a una fetta di cittadini è un potere che si impone.

Un governo che impone ai giornalisti di usare le parole che piacciono al potere o peggio che impone il silenzio alle voci dissonanti è un governo che censura. La censura – qualcuno lo spieghi a Meloni e compagnia – è qualcosa che dall’alto arriva verso il basso. Basterebbe aprire un dizionario: la censura è “il controllo della comunicazione da parte di un’autorità, che limita la libertà di espressione e l’accesso all’informazione con l’intento dichiarato di tutelare l’ordine sociale e politico”.

Dichiararsi censurati in apertura dei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani è una forma intollerabile di propaganda. I censurati scrivono monologhi che non riescono ad andare in onda, vengono estromessi dalle reti pubbliche con le loro trasmissioni, smettono di scrivere certi articoli perché falciati da querele temerarie, producono e scrivono inchieste che non vengono mai pubblicate, non riescono ad accedere a un pubblico per esprimere le proprie opinioni.

Roccella, come i suoi colleghi ministri, è una vittimista incapace di gestire il dissenso ma abilissima a crearlo.

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Italia maglia nera Ue per infezioni contratte in ospedale

L’Italia è ultima in Europa di per le morti connesse alle Infezioni Correlate all’Assistenza provocate da germi multiresistenti agli antibiotici: ogni anno, nel nostro Paese, si contano 11mila morti l’anno, un terzo di tutti i decessi. Più in generale nel periodo 2022-2023, circa 430 mila persone hanno contratto un’infezione durante un ricovero ospedaliero attestandosi sull’8,2% del totale, di fronte a una media europea che si attesta al 6,5%. Solo il Portogallo riesca a fare peggio in tutto il continente europeo con l’8,9%. 

In Italia, nel periodo 2022-2023, circa 430 mila persone hanno contratto un’infezione durante un ricovero ospedaliero, l’8,2% del totale

Male anche la percentuale di utilizzo di antibiotici in un contesto ospedaliero (44,7%) molto più alta di quella comunitaria (33,7%). Il combinato disposto dei due dati desta particolare preoccupazione perché un’infezione ospedaliera su tre contratta tra il 2022 e il 2023 era resistente agli antibiotici, fattore che limita le possibilità di trattamento dei pazienti. La direttrice del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), Andrea Ammon non ha dubbi: “Le infezioni associate all’assistenza sanitaria rappresentano una sfida significativa per la sicurezza dei pazienti negli ospedali di tutta Europa. Questi numeri recenti evidenziano l’urgente necessità di ulteriori azioni per mitigare questa minaccia”. 

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, un’agenzia indipendente dell’Unione europea con lo scopo di rafforzare le difese dei paesi membri dell’Unione nei confronti delle malattie infettive, nel suo ultimo rapporto sottolinea come nel nostro Paese la situazione si peggiorata dopo il periodo pandemico. Nel 2022-2023, il Covid ha contribuito in modo significativo all’aumento del peso delle infezioni ospedaliere rispetto al precedente rapporto del 2016-2017. Le infezioni più diffuse sono state quelle del tratto respiratorio (quasi un terzo del totale) le infezioni del tratto urinario, quelle del sito chirurgico, del flusso sanguigno e le infezioni gastrointestinali. L’uso degli antibiotici è aumentato – di legge nel rapporto rispetto al 2016-2017.  Nel 2022-2023, il 35,5% dei pazienti ha ricevuto almeno un agente antimicrobico, rispetto al 32,9% del periodo 2016-2017.

L’Italia registra anche una percentuale di utilizzo di antibiotici in un contesto ospedaliero (44,7%) molto più alta di quella comunitaria

Per quanto riguarda le Antibiotico-resistenza e Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) (su cui l’Italia è maglia nera in Europa) l’impatto è enorme sul SSN, con 2,7 milioni di posti letto l’anno occupati. Il conto economico contempla costi diretti che ammontano a circa 2,4 miliardi di euro. Circa l’8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione di questo tipo. “Tuttavia, è possibile inaugurare un nuovo percorso che permetterebbe di ridurre di almeno il 30% l’impatto di queste infezioni”, aveva spiegato Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Simit, la Società di Malattie Infettive e Tropicali, cin un’audizione alla Camera lo scorso 15 febbraio. 

La prevenzione delle infezioni rappresenta una componente complementare alla corretta somministrazione degli antibiotici. Il problema principale è che nel nostro Paese spesso abbiamo usato gli antibiotici come sostituto del controllo delle infezioni. “Per rendere operative le strategie di contrasto alle Infezioni Correlate all’Assistenza occorrono un coordinamento tra istituzioni, direzioni sanitarie e clinici; un inquadramento in progetti nazionali; un monitoraggio continuativo e un sistema permanente, poiché si tratta di fenomeni in continua evoluzione”, aveva sottolineato la Cristina Mussini, Vicepresidente Simit. Per questo l’agenzia Europa ECDC sottolinea la necessità di pratiche standardizzate europee per migliorare la conformità alle misure di prevenzione, soprattutto per le infezioni virali respiratorie.

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Vi auguro di essere contestati ancora di più, ancora più forte

Il potere che si lamenta di essere censurato è un’illogica barzelletta che però non fa ridere perché ha molto a che fare con la violenza. Siamo certi che la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Maria Roccella sappia bene la differenza tra una censura e una contestazione. Se non fosse così sarebbe troppo ignorante per stare dove sta. Si tratta quindi di un’evidente mala fede – questa no, non ci stupisce – perfettamente in linea con il vittimismo di un governo che vorrebbe essere contro-potere mentre gestisce il potere, desiderio tipico di tutti i reazionari. 

Per poter censurare bisogna innanzitutto ricoprire un ruolo di comando. Se dall’alto l’ordine di zittire viene calato verso il basso siamo di fronte a una censura. È una censura quando pezzi di governo o i suoi servi sciocchi impediscono la libertà di parola ai giornalisti, agli scrittori, agli artisti, agli intellettuali, ai lavoratori, più generalmente ai cittadini. La ministra potrebbe quindi essere censurata da qualcuno più alto in grado, solo quello. 

Negli altri casi si tratta di contestazioni, sano conflitto che nutre e che svela una democrazia. È un’enorme puttanata anche la frase che circola in queste ore “andate a contestare dove non è concesso”. Se non fosse possibile dissentire si attiverebbero tutti i i meccanismi necessari per ristabilire la democrazia. Non sapere governare il dissenso dice molto dell’ignoranza e dell’incapacità di gestire il potere. 

Auguro alla ministra Roccella e a tutti i ministri che vorrebbero imporre visioni non condivise di essere contestati ancora di più, ancora più forte, per prendere coscienza del ruolo che ricoprono. 

Buon venerdì.   

Nella foto: frame del video della contestazione studentesca agli Stati generali della natalità, 9 maggio 2024

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Moro, Impastato e Livatino tirati per la giacchetta

Giorgia Meloni parla addirittura di libertà. Ricordando l’anniversario della morte di Peppino Impastato e di Aldo Moro, oltre alla beatificazione del giudice Rosario Livatino, la presidente del Consiglio dedica un pensiero “a chi ha sacrificato la propria vita per la nostra libertà”. “Lo dobbiamo all’Italia e ai valori che amiamo”, scrive sui suoi social con linguaggio da Istituto Luce.

Giorgia Meloni parla addirittura di libertà. Ricordando l’anniversario della morte di Impastato e Moro, oltre alla beatificazione del giudice Livatino

Peppino Impastato di questi tempi sarebbe ritenuto un “professorone” nel calderone degli “intellettuali di sinistra” che non avrebbe spazio sulla stampa e sulla televisione pubblica nemmeno per qualche secondo della sua trasmissione Onda pazza con cui sbeffeggiava il boss Gaetano Badalamenti. Troverebbe qualche esponente del governo che lo inviterebbe a “mettere le canzoni in radio” senza parlare di politica. O che lo accuserebbe di volersi arricchire con la mafia invece di combatterla davvero.

Rosario Livatino di questi tempi verrebbe buono per parlare di giustizia a orologeria. Lui che aveva avuto l’intuizione dell’imprenditoria catanese legata alla mafia e che aveva scardinato i rapporti tra politici e mafiosi nell’agrigentino oggi sarebbe accusato di teoremi giudiziari a scopo politico oppure sarebbe additato come un nemico del Paese per il sabotaggio alla parte produttiva della nazione.

Aldo Moro di questi tempi invece torna utile, eccome, per soffiare sul brigatismo come se fosse la radice del centrosinistra in Italia. Quell’Aldo Moro che aveva aperto un dialogo con quella stessa sinistra che oggi qualcuno vorrebbe equiparare ai peggiori gerarchi del Paese. Che tristezza un Paese ridotto così.

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G7 Giustizia, scontri a Venezia tra manifestanti e forze dell’ordine

Scontri tra polizia e manifestanti a Venezia in occasione di una manifestazione organizzata contro il G7 Giustizia, in corso in città, che ha preso il via nel tardo pomeriggio. Gli agenti della polizia in tenuta antisommossa hanno respinto con una carica i manifestanti che stavano avanzando in corteo verso la sede del Summit, la Scuola Grande San Giovanni Evangelista. Al corteo, annunciato dai centri sociali, alcuni manifestanti – in tutto circa 250 – sventolavano bandiere della Palestina

Scontri a Venezia in occasione del G7 Giustizia mentre il (veneziano) ministro Nordio annuncia il “Venice Justice group”

All’interno della Scuola Grande San Giovanni Evangelista il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato la nascita del “Venice Justice group”, “un organismo – ha spiegato il Guardasigilli – che permetta di rafforzare e coordinare ancor di più le nostre iniziative; un nuovo strumento a tutela dello stato di diritto, oggi sotto attacco su più fronti a cominciare dall’aggressione russa all’Ucraina; e che va tutelato anche rispetto ai nuovi scenari aperti dall’intelligenza artificiale”

Il ministro ha colto l’occasione anche alla capacità dell’Italia “di ristabilire lo stato di diritto con gli strumenti della democrazia durante gli anni di piombo” sfruttando l’anniversario della morte di Aldo Moro dicendosi “orgoglioso che la mia Venezia possa associare il suo nome, sinonimo nel mondo di bellezza e di Italia, a quest’ulteriore conquista a tutela dei diritti fondamentali”.

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Emergenza climatica, per l’80% dei migliori scienziati del mondo sentiti dal Guardian falliremo gli obiettivi

Il quotidiano britannico The Guardian ha interpellato i migliori scienziati sul clima del mondo: centinaia di loro si aspettano che le temperature globali saliranno almeno di 2,5 gradi sui livelli preindustriali di questo secolo fallendo gli obiettivi fissati dalla comunità internazionali. 

Cambiamento climatico, sondaggio del Guardian

Quasi l’80% degli intervistati, tutti dell’autorevole Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), prevede un aumento di almeno 2,5 gradi di riscaldamento globale, mentre quasi la metà un incremento di almeno 3 gradi. Solo il 6% di loro è convinto che il limite fissato a livello internazionale (di 1,5°) sarà rispettato. 

Molti degli scienziati interpellati hanno confessato di temere un futuro “semi distopico” per le carestie, le migrazioni di massa a causa delle ondate di calore, incendi, tempeste e inondazioni ben più gravi di quelle viste fin qui.

“A volte è quasi impossibile non sentirsi senza speranza e rotti”, spiega la scienziata del clima Ruth Cerezo-Mota. “Dopo tutte le inondazioni, gli incendi e le siccità degli ultimi tre anni in tutto il mondo, tutti legati al cambiamento climatico, e dopo la furia dell’uragano Otis in Messico, il mio paese, pensavo davvero che i governi fossero pronti ad ascoltare la scienza, ad agire nel migliore interesse della gente”.

L’immobilismo dei governi, dice la ricerca, provoca negli scienziati “rabbia e paura”. Henri Waisman, professore presso l’istituto di ricerca politica Iddri in Francia, ha dichiarato: “Affronto regolarmente momenti di disperazione e senso di colpa per non essere riuscito a far cambiare le cose più rapidamente, e questi sentimenti sono diventati ancora più forti da quando sono diventato padre”. 

Per l’80% l’aumento della temperatura si attesterà intorno ai 2,5°

Il Guardian ha contattato ogni autore principale o editore di recensioni raggiungibile dei rapporti dell’Ipcc dal 2018. Quasi la metà ha risposto, 380 su 843. I rapporti dell’Ipcc sono le valutazioni gold standard del cambiamento climatico, approvate da tutti i governi e prodotte da esperti di scienze fisiche e sociali.

L’obiettivo di 1,5° è stato scelto per limitare i danni della crisi climatica ed è il limite fissato per i negoziati internazionali. Le attuali politiche climatiche indicano che il pianeta si avvia a un aumento di 2,7° e il sondaggio del Guardian mostra che pochi esperti dell’Ipcc si aspettano che i governi forniscano l’enorme azione necessaria per ridurlo.

Dipak Dasgupta, dell’Energy and Resources Institute di Nuova Delhi, ha dichiarato: “Se il mondo, incredibilmente ricco com’è, sta a guardare e fa poco per affrontare la difficile situazione dei poveri, alla fine perderemo tutti”.

Per tre quarti degli esperti intervistati la politica è frenata da un’indiscutibile mancanza di volontà mentre il 60% vede nelle pressioni delle lobby dell’industria fossile il principale freno al cambiamento.

Circa un quarto degli esperti dell’Ipcc che hanno risposto ha detto di avere creduto che l’aumento della temperatura globale sarebbe stato mantenuto sotto i 2°, ma ha ammesso di avere perso le speranze di raggiungere quel risultato. 

Solo il 25% si dice ottimista

C’è anche un 25% di scienziati che si dicono comunque ottimisti di limitare l’aumento della temperatura a 2 gradi o addirittura meno. Non si tratta di fiducia nella politica ma nella velocità della tecnologia. “Sta diventando sempre più economico salvare il clima”, ha detto Lars Nilsson, dell’Università di Lund in Svezia. Sullo sfondo rimangono i governi come quello italiano, ancora convinti che la protezione del motore termico, delle industrie fossili, dell’eccessivo consumo di carne siano tratti distintivi di un sovranismo al passo dei tempi. 

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Libertà di stampa in Italia: ora si muove il consorzio europeo MFRR

La crescente pressione sulla libertà di stampa in Italia ha spinto il consorzio Media Freedom Rapid Response (MFRR), un meccanismo a livello europeo che traccia, monitora e risponde alle violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’UE e nei paesi candidati,  a organizzare una missione urgente a Roma il 16 e 17 maggio.  Il consorzio europeo parla di “un’interferenza politica senza precedenti nei media del servizio pubblico”, sottolineando i crescenti casi di cause vessatorie contro i giornalisti e la possibile vendita dell’agenzia di stampa AGI saranno al centro della visita di due giorni. 

“Alla luce dei recenti sviluppi legislativi sulla libertà di stampa e dei media a livello europeo, – scrive MFRR –  in particolare l’adozione della direttiva anti-SLAPP e della Legge Europea sulla Libertà dei Media (EMFA), questa missione si propone di analizzare il serio peggioramento degli standard per la libertà dei media nel paese, richiamando l’attenzione dei politici italiani ed europei sulle violazioni del quadro legislativo europeo”

La crescente pressione sulla libertà di stampa ha spinto il consorzio Media Freedom Rapid Response (MFRR) a organizzare una missione urgente

Una delegazione era già stata in visita in Italia nel 2022 ma la missione annunciata a Roma per il 16 e il 17 maggio si concentrerà su tre tremi prioritari: la crescente pressione politica sull’emittente pubblica RAI, la vendita dell’agenzia di stampa pubblica AGI e la riforma delle leggi penali sulla diffamazione, alla luce del crescente numero di cause vessatorie che i giornalisti devono affrontare in Italia. La missione sarà guidata dalla Federazione dei Giornalisti europei (EFJ) e da Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa (OBCT), cui si uniranno Article 19 Europe, lo European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) e l’International Press Institute (IPI).

La delegazione MFRR ha richiesto incontri con rappresentanti del Ministero della Giustizia, della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e dell’Autorità per le Telecomunicazioni AGCOM. La delegazione incontrerà anche i parlamentari che hanno partecipato alle discussioni sulla libertà di stampa in Italia. La delegazione europea incontrerà inoltre i rappresentanti di cinque partner locali – Amnesty International Italia, Articolo 21, Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti (CNOG), Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), Unione Sindacale Giornalisti Rai (USiGRai), nonché giornalisti e altri soggetti interessati per avviare un dialogo sulla condizione attuale dei media italiani.

Il consorzio della Commissione europea parla di “un’interferenza politica senza precedenti nei media del servizio pubblico”

Il progetto MFRR, co-finanziato dalla Commissione europea, fornisce supporto legale, supporto pratico e difesa pubblica per proteggere i giornalisti e gli operatori dei media e promuovere la libertà di stampa. I partner del progetto sono ARTICLE 19 Europe, la Federazione europea dei giornalisti (EFJ), Free Press Unlimited (FPU), il Centro europeo per la libertà di stampa e di media (ECPMF), l’International Press Institute (IPI) e l’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (OBCT). Fino all’aprile 2022, anche l’Istituto di Informatica Applicata dell’Università di Lipsia era un partner del progetto.  In Italia dall’inizio di quest’anno sono state segnalate 45 violazioni dei diritti dei giornalisti. Si va dal negato di diritto di cronaca, alle querele temerarie fino alla violenza fisica. Fino a qualche mese fa si sarebbe detto che “l’Italia è com l’Ungheria”. Ora il nostro paese è pronto per diventare termine di paragone. 

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Ma i programmi elettorali per le europee?

La legge elettorale per le elezioni europee che si svolgeranno l’8 e il 9 giugno non prevede l’obbligo per i partiti di presentare il programma elettorale. Pagella politica ha pubblicato i programmi presentati finora, mentre la campagna elettorale è già iniziata da un bel pò. Si ritrovano solo i programmi elettorali di Forza Italia-Noi moderati, di Azione, della lista Pace terra dignità di Michele Santoro e della lista Libertà di Cateno De Luca. 

Gli altri partiti politici sono in campagna elettorale senza avere ancora reso pubblico ciò che vogliono fare in Europa. Molti di loro lo pubblicheranno a breve (quelli di Fratelli d’Italia sono incagliati sulla guerra in Ucraina, ad esempio) e molto probabilmente qualcuno ne farà a meno. Secondo il direttore di Pagella politica Giovanni Zagni «forse è meglio così: nella politica italiana si ha la distinta sensazione che gli impegni presi per iscritto, pubblicamente, in modo netto siano da evitare». L’assenza di un programma scritto permette comunque ai partiti di presentare candidati con idee sostanzialmente opposte su alcuni punti cruciali, Le elezioni diventano così un’adesione ideale – più che programmatica – all’una o all’altra parte, con profili sempre già vicini alla tifoseria. 

Queste prime settimane di campagne elettorale hanno offerto un dibattito molto povero sui temi europei, come se le competenze del Parlamento europeo fossero sovrapponibili a quello nazionale. Così la politica diventa, ancora una volta, un’ossessiva carrellata di influencer. 

Buon giovedì. 

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