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Dimissioni

“Raccogliamo la proposta del Partito Democratico e rassegnamo le nostre dimissioni nelle mani del suo capogruppo in Regione Lombardia col mandato di verificare la possibilità di effettive dimissioni della maggioranza dei consiglieri regionali.” Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli affidano a una nota la propria adesione all’iniziativa proposta oggi da Maurizio Martina.

Il nostro comunicato di ieri. Per dire.

Dal porcellum al monstrum

Tra le proposte incredibilmente ancora allo studio delle forze politiche c’è anche un proporzionale puro, e persino le liste bloccate (ancora!). Il tema non è dei più affascinanti, me ne rendo conto, ma sono necessarie alcune brevi riflessioni sul punto.

Parafrasando il rag. Ugo Fantozzi, il proporzionale “è una cagata pazzesca”.

Il sistema proporzionale non permette al cittadino di sapere per chi sta votando. O meglio, lo illude di scegliere tra le molte proposte quella che ritiene più vicina al proprio sentire, salvo poi non sapere chi governerà, con quale coalizione e come dovrà adattarsi il programma di governo per non scontentare nessuno. Prima si formerebbe il Parlamento e poi gli schieramenti verificherebbero le possibili convergenze su una coalizione di governo. Delle miserevoli conseguenze per il Paese ha parlato diffusamente Libertà e Giustizia (leggi qui).

Personalmente, se la cosa non disturba, preferirei conoscere, con qualche giorno di anticipo sulla data delle elezioni, il candidato Presidente del Consiglio, quali partiti lo sostengono e quale sia il programma di governo. Magari, se non chiedo troppo, vorrei essere consultato con delle primarie per poter “dire la mia” almeno sullo schieramento per il quale ho intenzione di votare.

Peggio del proporzionale, però, è la lista bloccata. Un vero cancro nel nostro Paese. Se fossimo civili e se i partiti si facessero carico davvero di garantire le migliori condizioni di governo ai cittadini, il sistema in sé non sarebbe negativo. La possibilità di selezionare “a priori” i rappresentanti comporterebbe il vantaggio per il partito di garantire tra i propri parlamentari un livello morale e tecnico elevato.

Ma non è così. I vertici dei partiti hanno dimostrato la loro totale inettitudine a selezionare una buona classe dirigente. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: Razzi, Scilipoti, Calearo, Barbareschi, Colaninno, Dell’Utri, Cosentino… Nella classifica del peggio, svetta Nicole Minetti. La show girl consigliere regionale è l’emblema della assoluta incapacità di selezione da parte del partito. Nel sistema elettorale regionale i consiglieri vengono scelti attraverso le preferenze. Tutti, tranne quelli del c.d. “listino presidente”. I fedelissimi. Gli eletti a prescindere (purché il candidato presidente vinca la competizione elettorale).

Francesco Arcari apre un dibattito sulla legge elettorale su Non Mi Fermo. L’articolo è da leggere e la discussione sicuramente da sostenere.

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Cava Cantello: sì allo stralcio

[comunicato stampa]

Troppo spesso, in questa legislatura, abbiamo visto la Giunta usare l’ambiente per interessi privati nei collegi elettorali. Anche per la Cava Cantello si è rischiato il disastro e ci si è fermati solo sul ciglio del burrone” Giulio Cavalli commenta così  a margine del Consiglio Regionale il voto sul ripristino ambientale per la cava di Cantello.

“Il vero bene comune è il senso di responsabilità che la  maggioranza anche in questa occasione ha dimostrato di avere con molta fatica” conclude il consigliere regionale di Sinistra Ecologia Libertà “perché l’unica lobby cui è necessario rispondere è la salute dei cittadini”

Finalmente

Si smette con la caccia in deroga in Lombardia. Passano le pregiudiziali presentate da noi e quella di IDV e non se ne discute nemmeno. E non si tratta di essere ambientalisti, animalisti o qualsiasi altro “isti”, si tratta di una legge illegittima. Punto. Il resto è noia.

Per quelli che “sono tutti uguali”

Perché il gioco per cui se tutti sono ladri alla fine nessuno è ladro. E’ un gioco antico. E allora vale la pena rivendicarle, le differenze.

Forse vale la pena leggervi (e fare leggere) l’articolo qui. Questo il titolo:

 

Due parole

Due parole a Fano, su Andreotti, mafie e questo Paese che potrebbe decidere di ripartire dalla bellezza.

La chiamano razionalizzazione ma sono tagli: le risorse alle politiche sociali in Lombardia

Una relazione (che è anche il nostro programma) su quello che avviene in Lombardia. Di Siria Trezzi.

RISORSE POLITICHE SOCIALI

FONDO NAZIONALE POLITICHE SOCIALI

ANNO trasferimento
2008 94.915.901,37
2009 73.000.000,00
2010 53.801.546,00
2011 24.774.392,36
2012 1.536.000,00

Il riparto del fondo 2012 (che si ripercuote su utilizzo 2013) è praticamente inesistente. Le manovre che si sono seguite negli anni hanno di fatto cancellato il fondo sociale per le politiche sociali. Se dovesse confermarsi il dato di fine luglio, i comuni avrebbero dei trasferimenti ridicoli dallo stato.

Pochi e non consistenti finanziamenti restano invece sulle politiche familiari (circa 40 milioni di €) a seguito dell’approvazione del Piano famiglia da parte del Governo. Inoltre resta un piccolo finanziamento sulle Pari Opportunità di circa 15 milioni di € sempre dal Governo, entrambi ad oggi non sono ancora stati ripartiti.

FONDO SOCIALE REGIONALE

ANNO STANZIAMENTO
2009 85.900.000,00
2010 85.900.000,00
2011 70.000.000,00
2012 70.000.000,00

Dal 2011 lo stanziamento iniziale è stato di 40 milioni di € e solo in seguito a proteste delle associazioni di disabili e dei Comuni nell’ assestamento (in genere a luglio) sono stati recuperati i 30 milioni di € mancanti. Ovviamente non poter disporre della cifra complessiva fin dall’inizio porta disagi alla programmazione dell’offerta e difficoltà nell’erogare adeguatmente i servizi sui territori, trasformandosi di fatto in un risparmio per il bilancio regionale. Inoltre dal 2009 c’è stato comunque un taglio.

Bisogna sottolineare che quest’anno per la prima volta anche nel fondo regionale è stato previsto ‘utilizzo dei voucher per servizi rivolti a persone con disabilità (comunità alloggio, CSE e SFA; assistenza domiciliare).Si tratta di una novità non prevista e che vede i comuni in difficoltà nel rispettare la tempistica data e le modalità proposte. In genere il FSR serviva completamente a sostenere le spese dei servizi sui territori. Si tratta di un cambiamento importante, che con molta probabilità anticipa “il nuovo patto per il welfare lombardo”.

Sempre a luglio sono stati stanziati 24 milioni di € (sempre con assestamento) per minori in  comunità con situazioni di abuso e maltrattamento e per famiglie con ragazzi in affido. Anche in questo caso non si tratta di risorse fresche, ma di un pacchetto di risorse che ciclicamente Regione utilizza per forme di finanziamento differenziate: negli ultimi anni era stato utilizzato per il buono famiglia erogato dalle asl (prima 25 milioni di €, poi 17 milioni di €)

FONDO PER LA NON AUTOSUFFICIENZA

ANNO STANZIAMENTO
2009 44.083.734,18
2010 58.827.457,99
2011 56.494.672,88
2012 ZERO

In questo caso si tratta di un vero e proprio taglio che colpirà in modo drammatico  servizi rivolti alle persone più fragili (anziani e disabili) e che i comuni non sono assolutamente in grado di coprire con risorse proprie. Alcune Regioni hanno creato un fondo specifico per la non autosufficienza che in questo caso poteva servire per contenere i danni.

Stiamo parlando di servizi essenziali, di sostegno al mantenimento al domicilio di persone con una grave fragilità (es buono badante, sostenuto in precedenza anche dalla Regione con i fondi della circolare 41 sulla regolarizzazione delle assistenti familiari), di mantenimento di un minimo di autonomia (buoni trasporto, per assistenza), di garanzia di un stile di vita sufficientemente dignitoso (sollievo, vacanze protette, integrazioni economiche).

Considerazioni 

  • Con evidenza stiamo parlando di tagli drastici che non permetteranno di garantire la sostenibilità economica dei servizi, anche di quelli essenziali. Inoltre si aggiungono gli effetti delle spending review sui bilanci dei comuni che , a questo punto, non potranno nemmeno più compensare con risorse proprie la diminuizione dei trasferimenti. Ciascuno deciderà da solo a cosa dovrà rinunciare? Si potrà parlare direttamente di tagli secchi o continueremo a parlare di razionalizzazione della spesa e ottimizzazione delle risorse?
  • Regione Lombardia negli ultimi anni ha stanziato circa 40 milioni di € sulle politiche di conciliazione (dote conciliazione, leggi sui tempi di vita, bandi conciliazione alle imprese, etc…) che hanno di fatto creato un welfare sostitutivo, invece che incidere sulla situazione occupazionale-economica. Un uso “ipocrita” di risorse che non ha prodotto i risultati sperati e che quindi deve essere rivisto;
  • Vengono stanziate risorse “specialistiche” su alcuni temi, con risultati poco verificabili e sganciati da un sistema di offerta stabile; es buono per la SLA e le malattie del motoneurone, sperimentazioni su residenzialità di vario genere, etc…).
  • Qualche riflessione su consulenze davvero faraoniche andrebbe denunciato (es 5 milioni di € per lo studio e proposta su nuovo welfare,) e proposto un utilizzo più oculato degli esperti che già lavorano e operano in questi settori: Penso ai dirigenti dei Comuni, ad alcuni testimoni privilegiati e competenti del terzo settore, al mondo della conoscenza e dell’università, etc..).

Prospettive

  • A fine settembre dovrebbe chiudersi il percorso di consultazione per la sottoscrizione di “un nuovo patto sul welfare”. Molti sono i punti critici della proposta in campo, ma alcuni rischiano di essere davvero preoccupanti:
  1. Passare dall’offerta alla domanda significa avere una lettura del bisogno precisa e puntuale. I territori non sono gli stessi per composizione demografica, complessità, dati epidemiologici e condizioni economiche. Il modello non può essere standard e nemmeno l’offerta (Milano non è uguale a Varese)
  2. La centralità della famiglia è un concetto sempre più sfruttato da Regione. La famiglia. o meglio le famiglie, non possono trasformarsi un welfare sostitutivo e meno costoso. La famiglia è luogo di relazioni e di coesione sociale prezioso, è risorsa che deve essere valorizzata, ma non è né erogatore di servizi né sostituivo delle funzioni dei servizi pubblici. Inoltre in una condizione di crisi economico-occupazionale come questa è rischioso riversare sulle famiglie, già caricate di troppi oneri, anche le funzioni del “prendersi cura”. La centralità della famiglia rischia di far perdere l’attenzione sulla persona e sui suoi bisogni.
  3. Il riferimento anche per i servizi alla persona sarà la “dote welfare”. Il sistema di Regione Lombardia, ormai basato esclusivamente su doti, buoni e voucher, rischia di compromettere definitivamente il concetto di “presa in carico” della persona con fragilità (come previsto dalla Legge regionale 3) e mina definitivamente la titolarità della programmazione pubblica dei servizi. Senza un sistema che permetta di definire tempi, modalità, risorse per la presa in carico e la definizione di un progetto di aiuto chiaro rischia di trasformarsi in un disorientamento. La presa in carico non può essere sostituita dalla competizione fra i soggetti erogatori di buoni o voucher.
  4. Il piano di zona, che doveva essere il luogo della programmazione del offerta integrata dei servizi e lo strumento per superare la frammentarietà dei comuni rischia di essere privato delle sue funzioni e di terminare l’esperienza, delegando di fatto alle asl le proprie competenze.
  • Da tempo si dichiara a necessità di un’integrazione socio-sanitaria, che però stenta a realizzarsi. Troppi fondi differenziati, risorse parcellizzate, una programmazione non integrata ed efficace. Sarebbe necessaria unificare le deleghe e ripensare il bilancio delle due direzioni in un’ottica integrata, puntando sulla prevenzione, non solo alla malattia, ma anche al disagio.
  • Valorizzare ed incentivare la rete territoriale per creare veramente l‘offerta integrata di servizi alla persona, con una titolarità pubblica della programmazione ed una gestione associata dei servizi. Questo permetterebbe la presa in carico complessiva della persona fragile, senza trasformare la risposta ai bisogni in un semplice buono spesa in mano alle persone.
  • Individuare un principio di equità nell’utilizzo delle risorse (tema della compartecipazione della spesa) e prevedere una proposta di definizione dei liveas, almeno in materia assistenziale.
  • Coordinare e armonizzare i servizi rivolti ad alcune categorie che risultano distribuiti e spezzettati tra troppi interlocutori e enti di competenza (si pensi ad esempio alle persone con disabilità per quanto riguarda i temi sociali, dall’istruzione, al lavoro, al trasporto, sullo stesso tema hanno competenze dirette stato, regione , provincia, comuni)

Sono tutti uguali

Sì, lo so il quadro è desolante. Dopo il caso Fiorito nel Lazio e tutto quello che a cascata ne verrà fuori. E’ imbarazzante che i rendiconti dei soldi pubblici non debbano essere pubblici. Come se esistesse un “pubblico” parallelo che non si può vedere. Ma il giochetto del “tutti uguali” non è etico lo stesso. No. L’articolo è qui.

 

Il caso Sallusti oltre Sallusti

Ho fatto un sogno. Niente di rivoluzionario, per carità, ma qualcosa di utile: provare a cogliere le opportunità oltre che crogiolarsi nelle piccole soddisfacenti vendette. E provare a cogliere nel recente caso Sallusti (almeno per la dimensione mediatica che sta suscitando) un quadro generale di tutela non tanto per chi ha fatto della diffamazione e l’aizzamento a mezzo stampa un marchio di fabbrica (verrebbe da dire che a Sallusti stia capitando un banale contrappasso, del resto) ma per i molti giornalisti precari che non hanno casse di risonanza.

Come scrive Matteo su ValigiaBlu:

La difesa del diritto all’informazione non può essere subordinata allo scalpore provocato dal caso di turno, o allo status del giornalista coinvolto. Non deve diventare, implicitamente, una questione di classe riguardante i giornalisti di serie A. Spesso è proprio il giornalista che lavora nella piccola redazione locale  a subire le pressioni più forti, a essere più esposto a ogni tipo di censura, anche solo antropologica. Perché quando esce dalla redazione, e va in piazza o al bar, si trova gomito a gomito con quei personaggi di cui ha indagato e denunciato le malefatte. Lì trova il sindaco, l’assessore, l’amministratore delegato. Lì vede in faccia chi potrebbe, il giorno dopo, rivolgersi a un avvocato per zittirlo a suon di milioni, una volta letta la cronaca locale. In questi casi il rischio di querela è come avere una parte del cervello chiusa in un carcere le cui pareti sono fatte di paura, ansia, frustrazione e incertezza. Diventa dunque vitale, per poter svolgere al meglio la professione, essere tutelati.

Vale la pena di leggere il suo post e la sua intervista a Stefano Santachiara.

Auguri Libera Como

Oggi nasce ufficialmente il presidio di Libera a Como nell’ambito della fiera “L’isola che c’è”.

In quel gruppo ci sono ragazzi con cui ci siamo confrontati in questi ultimi anni (nella Como delle locali di Erba, Canzo e Mariano Comense solo per stare in tema di ‘ndrangheta, e nella Como dei Fiori di San Vito e di Antonino Belnome) e per questo mi scappa di farvi gli auguri. Anche perché ogni volta che nasce un’associazione antimafia diventa inevitabile il dibattito sulle mafie. Quindi la vostra nascita è già un cambiamento di equilibri che può essere solo salubre.