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Il Teatro Sfollato che vince sul terremoto

“Quest’anno ad esempio – dice Nicolò Cecchella, un altro dei soci fondatori – ci siamo trovati senza un soldo e con il bisogno di restaurare la struttura. E allora ci siamo inventati un cantiere aperto: abbiamo immaginato il teatro come una nave in secca che si ferma per lavorare. Lo abbiamo chiamato “Teatro in rada” e abbiamo lanciato un appello: venite a darci una mano”. Il risultato? La prima sera di lavori non c’erano abbastanza utensili per tutti: spettatori, cittadini e amici sono arrivati da tutte le zone dell’Emilia e non solo, semplicemente per ricostruire un teatro, un progetto culturale nato dal basso, da mani giovani che non sembrano volersi fermare.

Quando il Teatro si prende la responsabilità di scrivere le storie per le persone e non per gli spettatori scrive copioni così.

Primarie come vaccino al cafone istituzionale

il cafone istituzionale non e’ interessato alle cose che dovrebbe fare quale rappresentante dei cittadini nelle istituzioni, ma agli emolumenti, ai rimborsi spese, all’accumulo delle cariche nei Cda di enti pubblici e ai relativi cachet, alle possibili mazzette che in essi può accumulare, facendo affari grazie alle sue posizioni di potere. Il tutto, sempre in accordo con il dominus e per conto dello stesso.

Sebastiano William Arillotta su Non Mi Fermo ci racconta che le primarie fanno bene anche per l’estinzione di questi tipi. Anche in Lombardia.

Una notte, nel bosco, riempii un bicchiere di lucciole e corsi felice a posarle sul braccio la magia

Paolo Vilaggio. In un’intervista per Il Fatto Quotidiano:

Gli amici più intelligenti sono tutti morti. Gassman, depresso, non usciva più, Risi idem, Monicelli mi costringeva a lunghe passeggiate romane, Fellini fingeva di essere felice. Il più intelligente di tutti era Tognazzi. Le racconto una cosa. 

Prego. 
Ugo era selvaggio, spiritoso, fumava come un pazzo. Era capace di affogare la cicca nel Whisky e poi tracannare la mistura con indifferenza. Una volta, da Costanzo, escluso dal loro italiano cuneiforme, si trovò tra Zecchi e Sgarbi. Tacque per 40 minuti. Poi venne interpellato: “Dottor Costanzo, data la mia ignoranza, non ho capito un cazzo”. Boato, 12 minuti di applausi. Le casalinghe impazzirono. “Viva el Tugnass, grande el Tugnass”. 

Grande seduttore. 
Io ero il contrario, con De André tentavamo di conquistare le fanciulle con il maoismo. Una tragedia. Alle feste, con l’altro sesso, estraneità assoluta, logorrea diffusa, corteggiamenti estenuanti. Alla fine, sconvolte, mi chiedevano sempre: “Sei mai stato con una donna?”. 

Poi arrivò sua moglie. 
Una notte, nel bosco, riempii un bicchiere di lucciole e corsi felice a posarle sul braccio la magìa. Non sono mai più stato così felice, ma ho sempre disperatamente tentato di esserlo. 

Il momento più doloroso? 
L’addio a De André. Non ho il coraggio di andare a vedere quelli che muoiono, non so mai che dire. Indosso la mia maschera migliore. Entro e non vedo Fabrizio, ma uno scheletro. Prima che possa parlare, lo fa lui: “No, Paolo, smonta quell’espressione. So benissimo cosa mi sta accadendo e ho una paura fottuta”. Morì dieci giorni dopo. Prima di salutarmi fece testamento. 

Se lo ricorda? 
Se parlerai di me, di’ che non sono stato né un menestrello né un cantautore, ma un grande poeta. Fabrizio, bugie, non ne racconto.

Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.

Fattorie sociali

In questi tempi politici anafettivi di algebra e alleanze una proposta di legge che è una boccata di aria fresca:

L’attività agricola si presta particolarmente per l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati e l’integrazione dei diversamente abili. Le esperienze di fattorie sociali già operanti sul territorio nazionale sono la dimostrazione concreta che si possono coniugare solidarietà, efficienza aziendale e un nuovo rapporto con i consumatori.

Con la nostra proposta di legge  si provvede a collocare l’agricoltura sociale nella definizione giuridica di agricoltura multifunzionale, consentendo l’applicazione del regime fiscale delle attività connesse. Per promuovere la diffusione di queste esperienze proponiamo inoltre che siano estesi a tutti gli operatori svantaggiati impiegati gli sgravi contributivi già in vigore per la cooperazione sociale, che sia attribuita alle fattorie sociali una priorità nell’assegnazione di terreni demaniali e immobili confiscati alla criminalita’, che sia istituito un osservatorio nazionale presso il ministero delle politiche agricole per il monitoraggio e la diffusione delle migliori pratiche.

Vaffanculo anche loro, ma elegante però

Ora che, dopo essere scomparso tra le rovine e infilzato dalle ingiurie, il defenestrato Berlusconi riappare, Di Pietro non sta a guardare. Queste creature gemelle che ricorrono agli stessi toni per aggredire il capo dello Stato, la Corte costituzionale, sono fatti della stessa pasta stantia. Coltivano una metafisica dell’intrigo che scorgono in ogni cosa. Il mondo è per loro solo un infinito complotto, un condensato di furbizia e di intrallazzo. Con la loro mente deviata, che si barcamena tra le ombre di fantasmi minacciosi e le allucinazioni di una privata potenza, urlano contro le macchinazioni da sventare e si esibiscono in continue vanterie. Alla testa di moribondi antipartiti personali, entrambi rivendicano un assoluto comando e non resistono al vezzo dell’autocitazione, che dovrebbe conferire un che di epocale ai loro detti, invero poco memorabili. 

Amano così tanto la menzogna politica che spesso lasciano l’impressione di darla da bere anche a loro stessi, e finiscono così per restare impigliati nella rete infinita delle loro oceaniche bugie. Prediligono delle semplificazioni devianti e sbandierano delle proposte assurde, gettate in mischia tanto per sparala grossa. Nessun senso della vergogna, quella che risparmia al politico la sensazione di essere ridicolo, li accompagna e perciò rimangono ingabbiati nelle raffiche delle loro eterne precisazioni e delle rituali smentite. E proprio questa smisurata mancanza di sobrietà che li induce a straparlare è anche la ragione della loro obsolescenza.

Lo scrive L’Unità, oggi. Bersani aveva detto: «C’è un corollario a di Pietro: rispetto reciproco e saldo rispetto istituzionale».

Un abbraccio a chi trova il rispetto in questo pezzo di elegante sintassi. E, tanto che ci siamo, a chi riesce a declinare il “saldo rispetto istituzionale” nella storia dell’UDC di Cuffaro & co.

Quando si torna a parlare di programma e politica, fateci un fischio.

450 (quattrocentocinquanta) milioni di euro: dedicato a chi riesce a parlare di economia senza preoccuparsi di mafia

Case, terreni, società e aziende per un valore complessivo di oltre 450 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo siciliano, in accoglimento della proposta avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo. L’operazione è la risultante di una complessa attività di indagine svolta dal Gruppo investigazione sulla criminalità organizzata GICO del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo sulle presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della grande distribuzione alimentare e di prodotti per la casa, nel corso della quale è stata ricostruita la ‘storia economico-finanziaria’ di un importante gruppo imprenditoriale palermitano leader nel settore, che si è potuto affermare sul mercato grazie ai rapporti di reciproco vantaggio instaurati con le famiglie mafiose del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo ed al riciclaggio di proventi di estorsioni, traffico di stupefacenti ed altre attività illegali riconducibili ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Interessato dal provvedimento è un imprenditore palermitano di 56 anni, Giuseppe Federico, già indagato nel 2006 per associazione mafiosa e impiego di denaro di provenienza illecita (aggravato dal favoreggiamento mafioso), per le sue molteplici e radicate relazioni con l’organizzazione mafiosa (in particolare con le famiglie del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Carini), emerse dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e da corrispondenza riservata sequestrata ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, il cui contenuto è stato puntualmente riscontrato dalle investigazioni dei finanzieri. I beni sequestrati, del valore stimato in oltre 450 milioni di euro, consistono in 7 società e relativi complessi aziendali, operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi, prodotti per la casa ed alimentari, ubicate in Palermo e Carini, 2 terreni in località Cardillo di Palermo, 13 appartamenti ubicati a Carini e Palermo, 1 fabbricato in corso di costruzione a Carini e diverse disponibilità finanziarie.

Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo La Manna, l’imprenditore nella gestione della sua attività di commercializzazione di detersivi, aveva operato utilizzando anche risorse finanziarie di Claudio Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore e di altri esponenti della famiglia di Partanna Mondello e si era interposto nella titolarità di immobili ad uso commerciale in realtà riferibili alla famiglia mafiosa di Carini. Di analogo tenore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Fontana, per il quale l’imprenditore aveva immesso nelle proprie società 400 milioni di lire provenienti dalle estorsioni e dal traffico di sostanze stupefacenti, nonché di Manuel Pasta e di Maurizio Spataro, secondo i quali l’imprenditore era a ‘disposizione’ di Cosa Nostra e la notevole espansione economica crescita delle sue società era in parte legata al finanziamento occulto dei Lo Piccolo. La contiguità dell’imprenditore con la famiglia mafiosa di Tommaso Natale è stata poi ulteriormente confermata dal rinvenimento di missive manoscritte all’atto degli arresti di Bernardo Provenzano e di Salvatore Lo Piccolo. Dalle investigazioni è complessivamente emerso che l’imprenditore ha cercato ed ottenuto il sostegno economico e relazionale dell’organizzazione mafiosa nella fase iniziale della sua attività per acquisire nuove posizioni di mercato e per l’acquisto di immobili commerciali, pagando l’organizzazione criminale per i servizi ricevuti. Gli approfondimenti economico-patrimoniali svolti dalle Fiamme Gialle hanno evidenziato, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, una notevolissima quanto ingiustificata crescita delle società riferibili all’imprenditore, in cui sono stati nel tempo assunti parenti o soggetti comunque legati ad ambienti mafiosi. Dall’analisi dei volumi d’affari, la Guardia di Finanza ha ricostruito che il gruppo imprenditoriale ha incrementato il fatturato del 400% nell’arco di dieci anni, mentre l’esame dei bilanci e delle scritture contabili ha evidenziato, oltre a conferimenti di capitali e finanziamenti sproporzionati rispetto alle reali capacità reddituali dei soci conferenti, numerose e ripetute anomalie contabili utili a nascondere la reale provenienza dei flussi finanziari.

Una svolta ripubblicana

Scritto volutamente con la “i”. Non è un errore. Perché scuola e sanità siano pubbliche, ma sul serio. Perché si sostituisca la “sussidiarietà” di coniazione ciellina con la solidarietà. Che è cattolica, laica, umana, suggerita dalla costituzione e dalle regole dello stare insieme, nelle fondamenta della polìs: è politica, insomma.

E tutti gli anni lo ripetono tutti. Ogni campagna elettorale in Lombardia stancamente il mantra si trascina. Tanto alla fine tutti sapevano che avrebbe vinto Formigoni e quindi era solo una questione di buona postura.

Ma adesso qualcosa succede, segnatevelo: la Lega ha capito che la questione diventa urgente (dopo il caso de San Raffaele e, soprattutto, la vicenda Daccò e Maugeri) e prossimamente reciteranno la parte di chi vuole sostenere questa battaglia. Al solito modo: abbaiando ma non troppo, tirando il guinzaglio ma con la coda tra le gambe, fingendo la lotta per poi dividersi la ciotola con il Governatore.

E allora ti viene da pensare che su questo punto potremmo essere noi, una volta per tutte, a decidere che si tenga la barra dritta. Poi leggi cosa succede a Bologna: parte un referendum su scuole private e pubbliche, la Curia chiede di occuparsi della sanità privata piuttosto (giuro, leggete, dice proprio così), il PD si dichiara a favore dei finanziamenti alle scuole private e accusa SEL di esercitarsi nella “ginnastica di svolgere battaglie ideologiche” (giuro, leggete, dice proprio così).

Per questo le primarie in Lombardia le vogliamo e sono importanti. Perché noi vogliamo lavorare a una svolta ripubblicana per tornare al pubblico anche in Lombardia. E perché conosciamo i sottoscrittori degli emendamenti al bilancio che chiedevano di non dimenticare le scuole private. Dalla nostra parte.

l’Art. 34 della Costituzione recita :

La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

L ‘ Art. 33 stabilisce che  :

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

Ecco, noi, per le primarie, partiamo da qui.

 

I referendum di Pippo sono già qui

Non posso che essere contento dei referendum proposti da Pippo Civati e Prossima Italia all’interno del PD. E condivido tutti i punti.

Poi mi viene da pensare che sono punti di programma già serenamente predisposti nel programma di SEL. Tutti. Ma proprio tutti.

E forse per questo SEL esiste e ha senso di esistere nonostante la postura di sinistra del PD, molto spesso per marketing più che per convinzione politica.

Non per polemizzare, per carità.

Ma perchè sono contento che qui, almeno questo, non si debba lottare per progetti politici che sono già princìpi condivisi e fermi. E sono quelli che ci rendono così difficile, a volte, dialogare con il PD.

Perché la politica è strana ma non è difficile. E forse la strada che che si staglia all’orizzonte sarà una bella sorpresa.

 

Dritti ai diritti (civili). Martedì in Regione.

Milano alla fine ha approvato il registro delle Unioni Civili. Ha ragione Giuliano Pisapia a dire che la decisione del Consiglio Comunale riduce lo spread dei diritti. Oggi qualcuno mi scriveva che comunque la mediazione è stata trovata al ribasso, certo, ma il passaggio è importante e significativo. Tra l’altro era scritto nel programma elettorale, e quando la politica si assume la responsabilità di onorare gli impegni porta sempre un buon vento. Difficilmente a Milano sarebbe stato immaginabile nelle scorse legislature ascoltare le parole di un sindaco che difende l’autonomia della politica in risposta alle osservazioni della Curia.

Ora i voti e le parole pronunciate in aula sono verbalizzate. Scritte. Restano. Sarebbe bello che a tutti venisse un po’ di appetito e si trovasse il tempo di andare a rileggerle con calma sul sito del Comune di Milano.

Il dibattito quindi è aperto. Anche se qualcuno insiste goffamente nel dire che riguarda una minoranza dimenticandosi che i diritti civili sono sostanzialmente i diritti degli altri, come diceva già Pasolini.

Noi martedì li portiamo all’attenzione della Regione Lombardia. Perché siamo qui anche per questo. E ovviamente il risultato sarà scontato. Ma il dibattito credo riserverà delle sorprese.

MOZIONE

Il Consiglio regionale,

Premesso che:

  • L’articolo 2 dello Statuto della Regione Lombardia cita: “la Regione opera per il superamento delle discriminazioni e delle disuguaglianze civili, economiche e sociali”;
  • La creazione di nuovi status personali è di competenza legislativa esclusiva dello Stato;
  • Numerosi comuni, tra i quali anche grandi città, hanno adottato il registro delle unioni civili come strumento per rimuovere condizioni di svantaggio rivolte a diverse forme di convivenza;
  • Il registro delle unioni civili è un atto amministrativo che riconosce di fatto una realtà plurale e in continua trasformazione;

Evidenziato inoltre che:

  • La composizione socio-anagrafica della società evidenzia il crescere di forme di legami affettivi e di convivenze stabili che non si possono o non si vogliono concretizzare nel matrimonio;
  • Promuovere le pari opportunità, favorire l’accesso a percorsi di integrazione sociale, agevolare l’eliminazione di condizioni di fragilità o disagio, indipendentemente dalle forme di convivenza o dai legami affettivi, rappresenta un obiettivo importante.

Considerato che:

  • Diverse Regioni italiane hanno previsto norme che tutelano altre forme di convivenza oltre il matrimonio;
  • Il riconoscimento delle unioni civili, attraverso la costituzione di registri, nulla toglie all’istituzione del matrimonio e non crea nessuna condizione di favore nei confronti delle persone conviventi;
  • L’allargamento di alcuni diritti a forme di convivenza diverse, ma importanti dal punto di vista affettivo, relazionale, assistenziale, introduce un elemento di uguaglianza rispetto ad un fenomeno già in atto;

Impegna/invita il Presidente e la Giunta regionale:

  • A promuovere e sostenere la costituzione di registri delle unioni civili nei comuni della Lombardia, affinché vi sia una diffusione omogenea  di tale opportunità sul territorio lombardo;
  • A prevedere negli atti di competenza di Regione Lombardia condizioni di riconoscimento e di tutela delle  forme di convivenza;
  • Ad estendere la partecipazione alle opportunità, ai servizi e alle agevolazioni previste da Regione Lombardia anche a coloro che risultino iscritti ai registri delle unioni civili.

 

Milano, 25 luglio 2012

Giulio Cavalli, Chiara Cremonesi