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L’inciucio sulla Giunta per le Elezioni: a pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina

Andiamo con ordine. La storia sembra complicata ma è semplice semplice.

Due consiglieri regionali hanno occupato abusivamente il loro posto in questi ultimi due anni. Lo dichiarano i tribunali. Angelo Costanzo (PD) è stato dichiarato ineleggibile a causa delle tardive dimissioni dal cda dell’Aler di Sondrio, Giorgio Pozzi (PDL) si sarebbe dimesso con 17 giorni di ritardo dal cda di Nord Energia (di fatto controllata dalla Regione) rispetto ai termini di legge.

Uno di qua e uno di là. Come nelle migliori famiglie.

In Regione Lombardia esiste un organo che dovrebbe verificare la regolarità degli eletti. E’ lì proprio per quello. E’ la Giunta per le Elezioni e si avvale della consulenza degli avvocati della Regione. In Giunta per le Elezioni non abbiamo potuto sapere molto di Costanzo e Pozzi perché il presidente Enrico Marcora (UDC) ha dichiarato che non era compito della Giunta decidere se la documentazione era contestabile. Viene da chiedersi quindi a cosa serva. Ma va bene. Tant’è che il nostro voto si è basato sulle opinioni dei legali. Opinione molto tiepida e timida, tra l’altro.

Ora torniamo indietro di qualche mese. Sull’elezione di Marcora presidente si era verificato uno strano inghippo: il PD aveva trovato un accordo con il PDL per eleggere Marcora e non sostenere un altro presidente pr0posto dalla minoranza (che avrei dovuto essere io, ma non è questo il punto, in realtà era posto concordato per IDV). Trovate la cronaca in un vecchio post di questo blog del 16 giugno 2010 (viva la memoria di internet, viene da dire) in cui scrivevo:

Un altro punto che credo debba personalmente chiarire è quello della Giunta delle elezioni. La Giunta delle elezioni ha il compito di verificare la sussistenza di eventuali cause di ineleggibilità o di incompatibilità dei consiglieri regionali. I componenti di questo organismo eleggono al proprio interno un ufficio di presidenza composto da un presidente, un vicepresidente e un segretario.  Ciascun consigliere viene invitato a presentare una dichiarazione sulle cariche o gli uffici ricoperti, gli incarichi svolti, i rapporti contrattuali in corso con la Regione, ecc..  Sulla base delle dichiarazioni presentate la Giunta delle elezioni procede all’esame di ciascuna posizione giuridica in relazione alle norme legislative in materia di ineleggibilità e incompatibilità.  A tal fine la Giunta delle elezioni assume le informazioni necessarie, chiede e riceve documenti relativi all’oggetto delle verifiche, e sente eventualmente gli interessati.  I suoi lavori hanno carattere riservato.  La Giunta delle elezioni deve compiere l’attività istruttoria entro 60 giorni.  Sulla base della relazione motivata della Giunta delle elezioni il Consiglio, nei successivi 30 giorni, convalida l’elezione dei consiglieri.  Prima della convalida il Consiglio può procedere soltanto agli adempimenti indispensabili ed urgenti, i quali non perdono validità anche nel caso di mancata convalida di uno o più consiglieri. La Giunta delle elezioni esamina anche le cause sopravvenute di ineleggibilità e incompatibilità e provvede alla convalida dei consiglieri subentrati.

La mia presidenza della Giunta delle elezioni è stata concordata con la coalizione di minoranza (IDV, PD, SEL e Pensionati) fin dai primi giorni di insediamento del Consiglio, essendo una delle pochissime posizioni riservata alla minoranza. Sulla nomina di un uomo IDV il Pdl ha posto un veto politico che non mi interessa discutere o analizzare. E’ vero, come dice nel suo comunicato stampa il sempre svelto Gaffuri, che il Pd ha appoggiato la mia presidenza per ben cinque votazioni sempre concluse senza il raggiungimento del quorum necessario (con il Pdl convergente sul candidato dell’Udc Marcora e la Lega padanamente alla finestra con il piglio dei decisi), così come è vero che nella seduta di ieri il Pd, sottolineando che “non è una questione personale”, ha con i suoi voti eletto Enrico Marcora (Udc) presidente della Giunta per le elezioni.

Dunque, stiamo ai fatti: Gaffuri dichiara che ad un certo punto si è imposta la scelta di trovare una “convergenza possibile”. Quindi, poiché le parole non sono opinabili e vanno usate con cautela, il Pd dichiara che la scelta di Marcora è figlia di una convergenza: quindi un accordo, una comunione di modi e obiettivi, un segnale di stima politica e fiducia, un’amicizia istituzionale. Lo scrutinio dice che Pd e Pdl hanno votato l’uomo Udc; Pensionati e Sel si sono astenuti e io mi sono in modo molto inelegante autovotato.

La convergenza politica lombarda del 15 giugno 2010 del Pd è stata quella di votare un uomo Udc a braccetto con il Pdl. Il resto è aria fritta. Se non che la politica dei due forni dell’UDC paga. Il cinismo di tre soli consiglieri è stato sufficiente per imporre ad altri 28 il nome del Presidente della commissione.

Tra le parole il Pd parla anche di “responsabilità istituzionale per sbloccare la situazione”. Rallentare i lavori di una Regione che non si scrolla di dosso l’ombra di un grumo catto-xenofobo di interessi affaristici è evidentemente un’onta per la cortese e accomodante opposizione di un Pd sempre più blando e solamente interessato al risiko delle proprie poltrone piuttosto che all’integrità politica di una coalizione di fatto.

Quindi, seguo il ragionamento: il rispetto del proprio ruolo istituzionale è oggi una priorità. Da ieri Filippo Penati siede su una poltrona di vicepresidenza del Consiglio regionale non più a rappresentare una coalizione che il Pd ha calpestato ma a rappresentare sé stesso e quel poco di Pd che c’è rimasto. Se quello che ricopre è un “ruolo di garanzia della coalizione”, Penati da ieri non è più l’uomo giusto.

Ringrazio Chiara Cremonesi (SEL) e Elisabetta Fatuzzo (Pensionati) per l’appoggio e la coerenza.

Oggi, con le vicende di Costanzo e Pozzi forse il quadro diventa più chiaro. E forse anche il ‘compagno’ Marcora dovrebbe ripensare al proprio ruolo in un organo politico smentito clamorosamente nei fatti dalla magistratura.

 

Capire, ascoltare, costruire: dove sono questa settimana (tra San Genesio, Rimini, Pesaro, Fano e Fagnano Olona)

Mercoledì 20 giugno alle 21, presento “L’innocenza di Giulio”, ed. Chiarelettere, con me: Davide Salluzzo, coordinatore provinciale di LIBERA associazione nomi e numeri contro le mafie Mauro Cavicchini, responsabile di zona Sinistra ecologia Libertà organizzato da Circolo Sel nord pavese di San Genesio, sala Consiliare (Ca’ de Passeri)  Via Parco Vecchio San Genesio (PV)

Venerdì 22 giugno alle 21, “Le loro idee camminano sulle nostre gambe – 1992-2012: vent’anni di antimafia” partecipano: Salvatore Borsellino, Giulio Cavalli, consigliere regione Lombardia SEL Piazza Mazzini, San Clemente (RN)

Sabato 23 giugno, alle 18 presento “L’innocenza di Giulio” di Giulio Cavalli, ed. Chiarelettere partecipa Ettore Marini Libreria “Il Catalogo”di Giovanni Trengia via Castefidardo 60 Pesaro.

Sempre sabato 23 giugno, questa volta alle 21, “La mafia e l’inferno. La bellezza ci salverà?” Claudio Tombini recita i canti dell’Inferno 1, 3, 26, 33 e 34 partecipano: Pippo Giordano, ex ispettore di polizia che collaborò con Giovanni Falcone Giulio Cavalli, attore, scrittore e consigliere regionale Marilena Natale, giornalista de la Gazzetta di Caserta Ettore Zanca, blogger Alessandro Bondi, Prof. diritto penale dell’Università di Urbino. Cortile interno scuola media G. Paladino Via Lanci 2 Fano (PU)

Domenica 24 giugno, alle 16.30  “Ambiente, legalità, lavoro” intervengono: Giulio Cavalli, consigliere regionale SEL Primo Minelli, CGIL Francesco Liparoti, coordinatore provinciale SEL Alberto Belvisi, responsabile SEL Fagnano Olona Floriano Pigni, moderatore Parco Avis- Aido Via Vittorio Emanuele II Fagnano Olona (VA)

Per qualsiasi modifica o novità buttate un occhio alla pagina degli appuntamenti.

#nonmifermo vogliamo una politica presbite

Ne abbiamo parlato ieri nella nostra agorà su ambiente e nocività per pensare ad un’altra Lombardia. E la giornata è stata una giornata densa di ultrapolitica nel senso più pieno. Cittadini, comitati, rappresentanti delle istituzioni e futuri candidati che sono partiti dalle soluzioni che ci sono già e che hanno bisogno di un sostegno reale. Perché qualcuno dovrebbe spiegarci come succede che ai comitati in difesa per l’ambiente (qualsiasi sia il luogo e qualsiasi sia il caso) arriva sempre una solidarietà estesa se non bipartisan e poi al voto si va sempre sotto. E perché ieri ci siamo fatti un promessa: rispondere alla politica miope con una politica presbite. Che riesca a vedere fin troppo bene lontano e da lontano. Perché la partita della Lombardia ce la giochiamo sul serio.

Per farsi un’idea della giornata potete leggere la rassegna stampa di oggi:

Cosa non deve fare il centrosinistra (subito) per vincere le elezioni

Da un editoriale di Lorenzo Zamponi e Claudio Riccio:

Meglio stare fermi e aspettare che passi la nottata, tanto la destra è allo sfascio e il centrosinistra non può perdere.

Non ci stupisce il cinismo di questo ragionamento, che passa con leggerezza sopra le vite dei tanti italiani che subiscono gli effetti concreti delle manovre di Monti, a quello siamo abituati. Ci stupisce la sua incredibile miopia.
Si tratta della stessa miopia che caratterizzò i mesi a cavallo tra il 2007 e il 2008, quando Walter Veltroni e i suoi accoliti credettero che fosse possibile, picconando a destra la già precaria e impopolare architettura del governo Prodi, riconquistare un consenso e andare al governo. Ciò che Veltroni non vedeva allora e che oggi sembrano non vedere i vari Bersani, Di Pietro e Vendola, è che non si può vincere a sinistra su un terreno di destra. Che l’autonomia del politico è un mito, che non esiste un momento elettorale asettico e isolato dal contesto in cui si situa, che, soprattutto a sinistra, esiste un nesso inscindibile tra potere politico e rapporti di forza sociali.

E non si vede davvero come il dibattito politico di questi mesi possa preparare uno sbocco elettorale in qualche maniera progressista. Il governo Monti, assolutamente privo di opposizione, in parlamento come nella società, sta mettendo in pratica una politica apertamente conservatrice, e nei dirigenti della sinistra si fa strada l’idea che, tutto sommato, non sia così male: il governo tecnico si fa carico delle “riforme impopolari che l’Europa ci chiede”, e così, tra un anno, un nuovo governo può andare da Angela Merkel, mettere sul piatto i sacrifici fatti dal popolo italiano, e pretendere in cambio margini di manovra un po’ più ampi.

Ma si tratta di puro wishful thinking, privo di qualsiasi razionalità. Perché mai le élite economiche che in 6 mesi di governo Monti hanno già portato a casa gran parte di ciò che Berlusconi aveva promesso loro 20 anni fa, cioè riforma delle pensioni, parziale liberalizzazione dei licenziamenti, facilitazioni e incentivi all’utilizzo di contratti precari, apertura alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, riduzione del pubblico impiego, ennesimo blocco del turn over all’università ecc., dovrebbero poi accontentarsi, e non trovare un nuovo campione a cui affidare le sorti del paese, a meno che chiaramente il presunto “centrosinistra” non sia disposto ad adottare l’agenda Monti? E perché mai Bce, Fmi e governo tedesco dovrebbero concedere a Bersani ciò che non hanno voluto concedere a Berlusconi e che oggi, vedi vertice europeo della settimana scorsa, non concedono neanche al fidato Monti? Ma, soprattutto: perché mai i cittadini italiani dovrebbero votare per chi promette di fare domani il contrario di ciò che vota in parlamento oggi, che è a sua volta il contrario di ciò che prometteva ieri? Quale sarebbe la proposta politica di un eventuale centrosinistra agli italiani? Sarebbe il portato delle mobilitazioni anti-austerity degli ultimi 4 anni, con la difesa dell’università pubblica, l’acqua come bene comune, la battaglia contro la precarietà e contro il modello Marchionne, oppure sarebbe l’agenda di Monti?

Perché (come si chiedeva ieri Alberto Burgio su Il Manifesto):

Di che cosa si può parlare oggi? Di che cosa dovrebbe parlare la politica oggi? 
Di solito la politica parla di se stessa. Schieramenti, alleanze, elezioni. Tutt’al più, programmi e decisioni. Questa sembra la materia naturale, questo l’oggetto di un discorso serio della e sulla politica. Infatti di queste cose si continua a parlare, in modo più o meno decente e coerente. Mentre, coerentemente, si persevera in pratiche consuete (nomine e spartizioni varie). E invece questo è precisamente il discorso che non si può più continuare a fare, che non è più possibile fare in questo momento. 

Se soltanto si avesse un vago sentore della gravità di quanto sta succedendo e dei rischi che stiamo correndo, si metterebbe da parte l’ordinaria amministrazione per guardarsi seriamente negli occhi. Che cosa ci dice questo scenario esplosivo (crisi sociale, crisi finanziaria degli Stati, distruzione degli apparati produttivi, ripresa dei nazionalismi e delle tensioni internazionali e intercontinentali), mentre le classi dirigenti europee non accennano a ripensare le politiche praticate da trent’anni, responsabili del disastro? Che cosa mostra, se non che questo sistema sociale (modello di sviluppo e gerarchie di classe) ha generato non per caso l’attuale situazione? 

In particolare la sinistra – in tutte le sue diramazioni – di che cosa dovrebbe occuparsi, se non del fatto, sin troppo evidente, che sta all’origine di questa crisi generale? Il capitalismo, lasciato solo, a mani libere, senza minacce né avversari, da oltre vent’anni finalmente libero di plasmare il mondo a proprio talento, sta ricreando puntualmente le stesse condizioni di caos e di conflitto ingovernabile che hanno prodotto i conflitti mondiali. 

E su questa partita si devono sciogliere i nodi con (pezzi) del Partito Democratico. Che ci piaccia o no. E che si possa dire o no per il quieto vivere che ci si consiglia tra i corridoi.

 

E perché il bello dei paesaggi, delle persone, delle storie, delle favole, sono i dettagli. Non le definizioni.

E insomma, amore mio, tutto questo preambolo solo per spiegarti perché in queste sere, verso la fine delle favole, mi senti un po’ tentennante. E perché quando ti racconto Cappuccetto Rosso invento sempre una fine diversa: una volta il Lupo si pente e va a comprare il vino per pranzare con la bimba e la nonna, l’altra volta scappa spaventato dal cacciatore e va al Club dei Lupi Pentiti, un’altra ancora corre dalla mamma di Cappuccetto per prendere lezioni di cucina perché i dolcetti gli sono piaciuti tanto. 
 
Perché il primo modo per non perdere la speranza è credere che le persone possano sempre cambiare.
 
Perché pensando in bianco e nero vivi male e ti perdi tutte le sfumature. 
 
Perché quando ti capiterà di metterti nei panni degli altri ti renderai conto di quante cose inaspettate riuscirai a vedere. E probabilmente ti divertirai.
 
Perché sicuramente incontrerai tanti Cappuccetti Rossi e tanti Lupi, ma altrettanto sicuramente non saranno tutti perfettamente buoni o perfettamente cattivi. E spesso sarà bello cercare in loro la crepa nella quale sta spuntando l’erba.
 
E perché il bello dei paesaggi, delle persone, delle storie, delle favole, sono i dettagli. Non le definizioni.
Una favola della buona notte dal blog ‘bellezza rara’ che vale tanto anche in pieno giorno. Sotto questo sole verticale e caldo. E che è un programma politico (del partito della bellezza) mentre tutti urlano le definizioni e si perdono i dettagli.

L’antimafia dei fatti: chiamare le cose con il loro nome

“I clan sono stati messi in crisi sotto l’aspetto militare, ma non sotto quello economico; certo, siamo sulla buona strada, ma per raggiungere la meta dovranno essere arrestati tutti gli imprenditori, i politici, gli amministratori, i professionisti e gli uomini delle forze dell’ordine che sostengono con azioni e pensiero la camorra”  (Federico Cafiero de Raho, capo della DDA di Napoli)

Sì, lo so. Sembra una frase banale. E forse abbiamo la sensazione di averla già sentita. Eppure è il confine tra la retorica e l’azione. Sarebbe proprio l’antimafia dei fatti. Se non fosse che ci hanno inquinato anche questa frase in questi brutti ultimi anni.

#nonmifermo oggi pomeriggio a Brescia, per fare sul serio, su ambiente e Lombardia

Oggi con Non Mi Fermo siamo a Brescia. Dalle 14 e 30  presso l’Oratorio S. Maria in Silva (Via Sardegna, 24 – vicino alla stazione ferroviaria). E parliamo di ambiente e di questa Lombardia così inoffensiva nell’imporre una tutela seria del territorio. E proviamo come sempre a farlo fuori dai denti, senza proclami e con il rispetto e la stima per lo studio delle cose già note che ogni tanto la politica finge di reinventare per appropriarsene. E magari proviamo a capire perché il concetto di “densità” di insediamenti (cave e discariche) sembra così poco urgente, partendo proprio da questa Brescia che guardata dall’alto ha la planimetria di un cumulo di nocività. E, magari, fuori dai denti proviamo a chiederci e risponderci sul perché il fantomatico “comitato ristretto sul consumo di suolo” in Regione Lombardia risulti evaporato per (si può scrivere, è su un verbale di commissione, eh) alcune “frizioni” anche dentro una parte del PD.

Perché ci siamo un po’ stancati dei convegni “cogenti” che non hanno riscontro in aula e commissione. E ci siamo stancati delle primarie che si giocano con le opinioni sulle camice di Formigoni, i suoi libri (presunti, alla Dell’Utri) e su giovanilistici liberismi. E di politica ne vogliamo parlare per davvero. Come al solito facciamo da qualche anno in giro per l’Italia. Ascoltando e declinando in atti amministrativi. Proponendo magari anche gli ordini del giorno che dentro SEL abbiamo preparato sul futuro “piano cave” (qui quello per i consigli comunali e qui per i consigli provinciali) o decidendo com’è l’ambiente e il suolo della Lombardia che vogliamo.

Ci si vede lì per chi è da quelle parti. O ci si trova su twitter. L’hashtag è #nonmifermo

Terremoto: lo smaltimento (illegale) delle macerie diventa legale per decreto

La sensazione è che in nome dell’urgenza si perdano di vista i particolari. E, in fondo, uno pensa che ci potrebbe anche stare. E’ il rischio di correre per salvare il salvabile. Si dice. Ma quando si perdono i pezzi della legalità pensi subito che ci vorrebbe un po’ di attenzione, almeno. Un’urgenza che abbia delle priorità. Perché in fondo ognuno di noi saprebbe all’istante quali sono le due o tre cose da mettere in valigia prima di correre fuori casa. E poi succede che le dimenticanze così spiacevoli si ripetano in occasioni molto simili. E allora pensi che in fondo questo Paese non vuole costruirsi una memoria perché ha una strategia di sbadataggine che serve per accontentare qualcuno. Che non è un problema di poco pensiero ma un pensiero lungo e che arriva da lontano e che ha tutte le misure per essere un atto politico. Da pesare così com’è. Lasciando perdere la fretta e le urgenze.

L’inchiesta di Site.it (che, credetemi non girerà molto in giro) prova ad infilare il dito nel terremoto:

Terremoto che vai, usanze che trovi. L’Aquila e l’Emilia, una ricetta con gli stessi ingredienti: dichiarazione dello stato di emergenza, potere di ordinanza, di deroga, allentamento dei controlli. Finora, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e delle macerie, con il sisma in Emilia queste pratiche si sono già spinte oltre – molto oltre – in un tessuto produttivo di gran lunga più delicato di quello aquilano. Un numero impressionante di capannoni – come ad esempio quelli del polo biomedicale – crollati, abbattuti o demoliti con all’interno prodotti e materie prime di ogni tipo. Tutto da smaltire indistintamente con le macerie ed equiparato “ai rifiuti urbani”.

Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74 (GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto. Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio. Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’interno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale. E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento – il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica – allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti. Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) – e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) – possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati”.
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive”. Quindi i rifiuti da demolizione – soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) – non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.

Beni confiscati, l’impegno non si brucia

scritto per IL FATTO QUOTIDIANO 

Dieci giorni fa incendio oliveto – denuncia Libera – a Castelvetrano, poi duemila piante di arance a Belpasso nel catanese, ieri due quintali di grano andati in fumo a Mesagne per non citare le varie intimidazioni subite a Borgo Sabatino e nella piana di Gioia Tauro in Calabria. Non possiamo più pensare a delle coincidenza, sono colpiti beni confiscati restituiti alla collettività, sono un attacco al lavoro quotidiano di chi si impegna quotidianamente contro il potere criminale. Nessuno pensi che con le fiamme di vandalizzare e fermare questo impegno. Contro queste fiamme il “noi” del nostro paese è chiamato in gioco e deve sentire forte questo impegno nella lotta alla criminalità”.  

Gli incendi sui terreni confiscati alle mafie sono stati all’ordine del giorno. Ho incrociato gli occhi dei ragazzi che lavorano nelle cooperative mentre si fanno umidi guardando un muro o una vigna tutti neri con la cenere che si infila nel colletto della camicia. E sempre, sempre, ho guardato la voglia di continuare. Mica ricominciare. Continuare come se quel fuoco fosse un imprevisto che stava nel preventivo delle cose che succedono in un percorso incidentato, più che accidentale. Sfregiare il bene che è stato tolto è il modo per le mafie di esibire il colpo di coda. Banale, arrogante, vigliacco:mafioso con tutti i suoi stili e le bassezze che comunque ci aspettiamo.

Eppure il punto che mi colpisce degli ultimi incendi in sequenza sui terreni confiscati è un altro: lastrategia. Questo riuscire così bene delle mafie a guardare la mappa dei propri problemi e delle proprie sconfitte dall’alto per convenire sui tempi, sui luoghi, sui modi e sulle modalità affinché la puzza di bruciato si attacchi alla gola in modo sistematico. Una codardia spalmata con metodo.

E allora mi chiedo se siamo riusciti mai a guardare lontano (e da lontano) cosa sta succedendo neiterreni confiscati. Se abbiamo fatto un passo in più rispetto all’etichetta di Libera messa in bella mostra nella presentazione di uno dei soliti libri o nella corsa campestre contro le mafie e quelle altre cose lì. Se abbiamo mai alzato davvero la voce con il governo (qualsiasi di quelli che sono stati in questi ultimi anni) per rivendicare l’impegno. Perché l’impegno va rivendicato, sì. In un Paese che partorisce un negazionista o un minimizzatore al giorno nei sui quadri dirigenti l’impegno va urlato. E andrebbe esposto (e imposto) nello stesso modo sistematico e con la stessa capacità di raccontare tutto e tutti tenendo tutto insieme. Come fanno loro. Sorprenderli per una volta con un accerchiamento simile a quello che stiamo subendo con uno sdegno organizzato tra i lavoratori di quei beni, i consumatori, la politica, gli atti amministrativi, i ministeri e le forze dell’ordine. Senza rimanere sfilacciati aspettando che qualcuno racconti con lirismo il prossimo incendio per sollevare una solidarietà di qualche ora.

Si pensi a risolvere il problema delle ipoteche che frenano l’assegnazione di beni confiscati e incagliati da anni chiedendo un’assunzione di responsabilità alle banche, si rinforzi lo strumento dellaconfisca, si custodiscano le arance non solo come arance ma come simbolo di una rivincita civile, si pensi ad una legge di confisca anche per i reati di corruzione, si pensi ad inserire i prodotti nelle mense scolastiche, si recepisca la legge dell’autoriciclaggio come ci chiede l’Europa (da cui prendiamo solo i moniti antisociali) e dica forte lo Stato che quel terreno confiscato è suo e lo difende.

Poi la cenere sarà solo un problema passeggero. Sicuro.