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Radio Mafiopoli 27 – Tanti auguri Matteo Messina Soldino

E’ una settimana strana giù a Mafiopoli. Solita settimana di corrispondenze di segnali, missive e tentati attentati come nella migliore tradizione della corrispondenza mafiopolitana: la lettera indirizzata a Vincenzo Conticello e “i suoi sbirri” come dicono loro, il tentato sventato attentato a Rosario Crocetta di cui parliamo nel blog (https://www.giuliocavalli.net/diario/2009/04/27/lo-schiaffio-a-cinque-mani-e-una-carezzasulla-guancia-di-rosario-crocetta/) e altri tagli e ritagli che rispettano la loro unta tradizione di comunicare per gesti come i loro avi mafiosi di Neanderthal.
Piera Aiello è stata tradita. Testimone di giustizia in località segreta e molto spesso segretata com’è uso giù a Mafiopoli per esprimere gratitudine ai testimoni giustiziati, è stata tradita probabilmente (dicono i bene informati che spesso si confondono con i mala informatori)  da qualcuno di quelli che dovrebbero occuparsi della sua sicurezza. Pas mal, dice il sindaco di Mafiopoli, “se hanno saputo dove si trova per una lingua troppo lunga è solo perché alle istituzioni interessa ogni tanto farla risentire a casa”. E giù una grossa risata, quella fragorosa e fangosa che serve per zittire le notizie.
Intanto il nord bella addormentata si risveglia con i soliti noti che continuano la colonizzazione, in attesa della grande eiaculazione targata expo’.  Caselli l’aveva detto: “La ‘ndrangheta che fa i soldi con i subappalti e il lavoro nero. Cosa Nostra che. E’ il primo impegno. In memoria di Bruno Caccia, il procuratore ucciso dai killer del clan Belfiore.” Subito i sindacati mafiopolitani l’hanno denunciato per pubblicità occulta e indebito uso del marchio. Perché Mafiopoli è il mondo della pubblicità, quella che descrive e esalta per vendere e minimizza e disconosce per vendere ancora meglio.
A Milano in viale Zara, in quel di Cernu¬sco sul Naviglio, e poi a Colo¬gno Monzese, Brescia, Cremo¬na, Padova, Lucca i Casalesi (si vede perché infondo in fondo si annoiavano visto com’è troppo facile e senza emozioni fare mafie giù al nord) avevano anche deciso di mettersi a giocare al Bingo. “L’unico gioco d’azzardo legale in Italia” diceva una volta una vecchia pubblicità; forse il vero azzardo era dire una cosa del genere. Ciro Girillo un anno fa si era presentato ai carabinieri di Fuorigrotta tutto mezzo sparato. Ora che per questa storia di giochi, carte e tombolate l’hanno arrestato si è capito tutto: lo volevano ammazzare Grasso e gli amici di Rififi al secolo Mario Iovine. Il movente? Una discussione sulla liceità della cinquina. Una delle società si chiama “Dea bendata” srl; sono in corso le pratiche per rinominarla “Ammazza la cinquina spa”.
Da Gela, La Rosa e Trubia, oltreché progettare di metterci una crocetta sopra al sindaco gelese Rosario Crocetta, imponevano il pizzo anche a Milano. Già pronta una modifica alla legge sul federalismo che regoli il racket.
A Bertonico, provincia della Popolare di Lodi, hanno arrestato tra gli altri nell’operazione “Ragazzi Cattivi” Daniele D’Apote. Nel salvadanaio a forma di Riina aveva 2 milioni di euro in monetine da cinquanta. “Avevo un conto corrente alla Popolare negli anni d’oro!” si è difeso il l’aspirante ‘ndranghetista.
Ad Agrigento tre collaboratori di giustizia in un solo giorno. Fra la mattina e il pomeriggio del 27 aprile depongono, in due distinti processi, i “pentiti” Maurizio Di Gati, Giuseppe Vaccaro e Giuseppe Sardino. Dal carcere Binnu Provenzano scarica la colpa sulla crisi e annuncia la “Social Card” per i mafiosi in difficoltà.
Ma il problema mafia al nord e a Milano è i mani sicure. Giovanni Terzi assessore al Comune di Milano infatti durante una lezione speciale tenuta allo Iulm con Klaus Davi a fargli da velina ha dichiarato: ”A Milano c’e’ la ‘ndrangheta? Se e’ così, li vorrei vedere tutti in galera. Limitandosi ad annunciarlo in tv non si fa solo strumentale allarmismo? Chiedo, quindi, che intervenga lo Stato e li metta in galera. Se davvero ci sono a Milano, sbattiamoli dentro!”. Dopo Alberoni nessuno degli studenti pensava di potere cadere più in basso.
Tanti auguri a Matteo Messina Denaro per gli amici Soldino. Per Matteo Messina Denaro la guerra di Cosa Nostra allo Stato è una guerra giusta. A 14 anni già sparava. A 18 uccideva. A 31 metteva le bombe al Nord, prima a Roma, contro Maurizio Costanzo e la Chiesa, poi a Firenze e Milano. Oggi è a capo di una holding imprenditoriale: donne, affari, appalti, e grandi imprese. Matteo Messina Denaro è un  mafioso di altra generazione, è soprattutto un gran viveur. Qualcuno lo ricorda mentre scorazzava in Porche verso Selinunte. Pantaloni Versace, Rolex Daytona, foulard. Quando Riina lo incaricò di pedinare Falcone, Martelli e Maurizio Costanzo a Roma, a fine ’91, lui -racconta uno dei boss ora pentito che lo accompagnava, il mazarese Vincenzo Sinacori – trovava sempre il tempo di fare una buona scorta di camicie nel negozio più esclusivo di via Condotti e andava a mangiare nei locali più «in». Confuso fra la bella gente, aiutato, ieri come oggi, dal fatto che come dice spesso “lui non ha la faccia da vecchio mafioso siciliano”. Ma il volto è quello della nuova mafia, fatta da professionisti e «colletti bianchi». Il nostro augurio è che qualcuno arrivi presto a tirarti le orecchie. Per un compleanno alla Catturandi.

Lo schiaffo a cinque mani (e una carezza) sulla guancia di Rosario Crocetta

crocettaLa notizia dell’ennesimo agguato progettato ai danni di Rosario Crocetta è uno schiaffo. Uno schiaffo a cinque mani anche se di mezzo c’è pure una carezza. E’ un polipo che ti sbava in faccia, con la viscosità unta e senza dignità di quel mollusco senza spina dorsale che supplica di continuare a farsi chiamare mafia per farsi forza del marchio.

Il primo  schiaffo ha l’odore sabbioso della polvere da sparo che si ficca in gola asciugandosi sotto la lingua. E’ la polvere dello sbriciolamento delle bande che infilano le idee dentro un buco, di questi mezzi uomini che sanguinano paura perchè se la fanno addosso. Saverio La Rosa e Maurizio Trubia oggi ci consegnano il solito Rosario che brilla con quel suo solito profilo senza macchie di unto ma ci ribadisce che oggi sono La Rosa e Trubia, ieri erano gli Emmanuello e domani saranno un cognome che non importa nemmeno come suoni ma che comunque puzza. Puzza di un ardimento mentale che stona come sempre per gli avidi che giocano solo fuori dalle regole. Il segno delle cinque dita è da incorniciare per ricordarci come giocano sporco.

Il secondo schiaffo ha l’odore acre della perseveranza. Ma la perseveranza marcia di ricondannare chi è già condannato a morte. Per ricordarci che la memoria asfittica che si ricorda di ammazzare non ha i tempi dei rinnovi di scorte, tutele e carte bollate.

Il terzo schiaffo è per la prepotente presunzione ebete di Milano che non vuole saperne. E la base degli assassini a progetto era proprio nel cuore della Milano bella addormentata. Per oliare per bene l’unico ponte che esiste già dalla Sicilia alla culla della finanza. L’unico ponte che si rinsalda anche a forza di spalmare calcestruzzo depotenziato.

Il quarto schiaffo è per l’uomo. Per il Rosario che abita dentro Rosario e che forse in questi giorni si è ranicchiato ancora più forte in un angolino. Il suo primo pensiero alla preoccupazione della madre e delle famiglie degli uomini di scorta è una lezione di lealtà. Quella lealtà che non costruisce la notizia, non lenisce il dolore ma riporta le persone tra le persone e le divide forte dal mucchio degli omuncoli.

L’ultimo schiaffo è quello degli omuncoli. Che non viene dato in faccia ma spesso si presenta con un sorriso di falsa cortesia e una stretta di mano. Profuma di quell’essenza vomitevolmente dolce delle puttane con il boa di struzzo che sorridono con la delazione continua, incapaci di costruirsi un sorriso tutto per loro. Di quei compagni che sparano senza sparare, che s’insinuano tra le pieghe delle ferite che fingono di capire. Quelle lingue di catrame che leccano la suola delle scarpe sperando di poter prendere una forma. Ma che rimangono mollusche, fetide e lumachesche mentre la testa rimbomba e il cuore ammuffisce. Come si conviene agli omuncoli.

Poi c’è la carezza. E quella non ha nemmeno bisogno di parole. Perchè Rosario è abituato agli spifferi,e tra gli spifferi arrivano anche gli abbracci.

Siamo con te, Saro.

Per esprimere solidarietà sosteniamocrocetta@gmail.com

Sono morti perché noi non eravamo abbastanza vivi: LOTTA CIVILE di Antonella Mascali

lottacivileC’è una legge non scritta depositata tra le sacerdotesse del buongusto che ci insegna che parlare di morti è esercizio solo per criminologi, pessimisti o complottisti. Al massimo possono essere raccontati in qualche serata di fiction ma dopo averli attentamente sterilizzati, perchè i bacilli dei cadaveri ma soprattutto le facce degli assassini aprono quel dubbio dal velo nero che terrorizza la casalinga di Voghera. Eppure dove c’è un morto ammazzato per mano di mafia tutto intorno c’è una famiglia che apre la porta ed esce di casa per alzare la testa. Non credo che sia un esercizio di coscienza leggero prendere la penna, il quaderno e il registratore per bussare le porte ai figli, le mogli e dare forma di un capitolo alle storie che camminano ancora per casa. Antonella Mascali ci è riuscita con un tratto leggero lì dove la leggerezza è una brezza di primavera che riesce a non lasciarti sepolto e schiacciato dal dolore che c’è nelle lancette delle ultime ore di dodici persone esemplari che ancora di più oggi andrebbero ascoltate. Perché sono morti ma hanno così tanto da dire che ogni libro, serata o voce che ce li racconti è una carezza che ci meritiamo per smetterla di mettere il naso sotto la coperta comoda della paura, o della codardia, o peggio ancora della viltà. Va letto perché nonostante le ombre di fango e merda che hanno impugnato l’arma alla fine è un libro che profuma. E che lascia un alone di speranza. Del dovere di speranza, soprattutto se a portarcela in mano sono proprio i figli, i mariti e le mogli.

Dal dolore privato all’impegno nelle scuole, nelle carceri, nella pubblica amministrazione. Giorno per giorno. È ciò che contraddistingue questo libro. Dodici storie esemplari, raccontate da chi le ha vissute sulla propria pelle. I familiari delle vittime che hanno trasformato la sofferenza in denuncia e in lavoro concreto nella società. Con il sostegno di Libera e delle Fondazioni dedicate a chi ha combattuto per ciò in cui credeva, fino a morire. È essenziale ricordarli: da Giuseppe Fava a Rocco Chinnici, da Beppe Montana a Roberto Antiochia, da Marcello Torre a Silvia Ruotolo, da Libero Grassi a Vincenzo Grasso, fino a Barbara Asta ai figli Giuseppe e Salvatore, e ancora Mauro Rostagno, Francesco Marcone, Renata Fonte. Le loro battaglie sono diventate le battaglie di figli, fratelli, mogli e mariti. Nando dalla Chiesa, nell’intervista che chiude il libro, afferma: “Bisogna cominciare a dire le cose che provocano reazioni ma che sono vere”. Lo sta facendo chi ha subito perdite irrimediabili e oggi, in prima persona, diventa artefice di una vera e propria resistenza civile. Prefazione di don Luigi Ciotti.

Titolo Lotta civile
Autore Mascali Antonella
Prezzo € 14,60
Prezzi in altre valute
Dati 2009, XX-305 p., brossura
Editore Chiarelettere (collana Reverse)

[Comunicato stampa] Bloccata la data del 23 aprile a Lodi dello spettacolo “Diluvio Universale” di De’ Giorgi, ecco perchè:

GIANPIERO FIORANI BLOCCA LA RAPPRESENTAZIONE A LODI DI UNO SPETTACOLO TEATRALE SULLA VICENDA ANTONVENETA/BANCA POPOLARE E DIFFIDA L’ATTORE GIULIO CAVALLI, ORGANIZZATORE DELLA SERATA

Lodi, 15 aprile 2009 – La decisione dell’attore e regista Giulio Cavalli di organizzare a Lodi la rappresentazione dello spettacolo teatrale “Previsioni meteo: diluvio universale – the rise and fall of Gianpy” di Eugenio de’ Giorgi, scatena le ire di Gianpiero Fiorani, che tramite i suoi legali diffida Giulio Cavalli dal dare corso alla rappresentazione e successivamente, non avendo ottenuto quanto richiesto, comunica di vedersi “costretto ad agire per ottenere il risarcimento degli ingentissimi danni che derivano dalla denunciata situazione di illiceità”.

Lo spettacolo, che era atteso a Lodi per il 23 aprile, è tratto dal libro Capitalismo di rapina di Paolo Biondani, Mario Gerevini e Vittorio Malaguti, (ed. Chiarelettere 2007) e ripercorre le tappe della scalata Antonveneta, la storia quotidiana fatta di corruzioni, manovre losche e intercettazioni imbarazzanti dei furbetti del quartierino.

Fiorani stesso, tramite legali, fa sapere che “è francamente sconcertante che, essendo in corso il processo relativo all’accertamento dei fatti si possa ritenere civile e legittimo rappresentare quanto accaduto in modo distorto, danneggiando così non solo persone a tutt’oggi innocenti, ma soprattutto il lavoro delle istituzioni”. In seguito alla lettera di diffida di Fiorani a rappresentare lo spettacolo, è stata ritirata la disponibilità della location lodigiana prevista per la messa in scena, mossa che ha riconosciuto implicitamente a Fiorani il potere non solo di sopprimere uno spettacolo teatrale, ma anche di minare le forme dell’informazione stessa.

Un atto spiacevole quello di Fiorani nei confronti di Giulio Cavalli, che rappresenta un gesto di intimidazione per impedire che i cittadini lodigiani possano liberamente assistere ad uno spettacolo che si propone, attraverso materiali documentari, solo di fare informazione. Atto gravissimo e paradossale, considerato che lo stesso spettacolo è già stato rappresentato su Milano nel gennaio del 2009. A questo proposito scrive l’avvocato Pietro Gabriele Roveda, legale di Giulio Cavalli: “lo spettacolo “Diluvio Universale” è stato in scena a Milano presso il Teatro Olmetto dallo scorso 12 gennaio 2009 e non risulta che l’Autorità Giudiziaria sia intervenuta ad inibirne la rappresentazione. In merito alla possibilità che la messa in scena possa turbare il corretto svolgimento dell’attività processuale in corso, la decisione spetta unicamente all’Autorità Giudiziaria procedente, a cui il dr. Fiorani può indirizzare le proprie doglianze. Sommessamente rilevo che, per quanto si apprende dalla stampa, il dr. Fiorani è coinvolto in processi – in corso – anche presso il tribunale di Milano, che non ha ritenuto di bloccare le rappresentazioni in quella città. Per quanto attiene al merito dello spettacolo il dr. Fiorani potrà rivolgersi direttamente all’autore, pure se lo stesso spettacolo è la trasposizione fedele del libro “Capitalismo di rapina” (Biondani – Gerevini – Malagutti; ed Chiarelettere 2007), e riguarda quindi fatti già pubblicati.”

Ha dichiarato l’attore Giulio Cavalli:  “La vicenda esonda dal merito di questo spettacolo nello specifico: qui si tratta di dover ribadire il diritto di rappresentare con il mezzo teatrale una vicenda nel cuore stesso della città in cui è nata. Il diritto di opinione (sia essa sulle colonne di un giornale o su di un palcoscenico) non è un rebus da giocarsi tra me e il dr. Fiorani ma molto più banalmente un diritto sancito dall’articolo 21 della Costituzione; proprio per questo lo rivendico con forza e convinzione. Lo stesso diritto che eserciteranno i cittadini spettatori nell’applaudire o criticare la rappresentazione. Nonostante il mio “religioso” attaccamento al teatro come forma di opinione mi sorprende che una semplice rappresentazione possa addirittura diventare  d’intralcio per le istituzioni. Le prenotazioni ricevute, il sostegno dimostratomi e soprattutto il neonato comitato organizzatore formato da diverse associazioni del territorio che gestiranno con noi la realizzazione della serata, dimostrano l’esigenza che lo spettacolo di De’ Giorgi sia visto e giudicato anche a Lodi. Sono comunque pronto a bloccare la realizzazione dello spettacolo nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria (e non certo il dr. Fiorani) dovesse ritenerlo opportuno.”

L’organizzazione dello spettacolo (curata da Associazione culturale Adelante!, Associazione culturale Bottega dei Mestieri Teatrali – Teatro Nebiolo, Associazione culturale Casa del Popolo, Centro Documentazione Teatro Civile, Circoscrizione locale dei soci di Banca Etica della provincia di Lodi, Laboratorio per la Città, Legambiente Lodi, Punto Informativo Finanza Etica, Rete Lilliput-Nodo di Lodi) comunicherà nei prossimi giorni la nuova data e il luogo (per cui è stata fatta richiesta al Comune di Lodi).

Ufficio Stampa Giulio Cavalli
Alessandra Depaoli
3477519671 aledepaoli78@gmail.com

Radio Mafiopoli 26 – Pino Masciari testimone giustiziato

http://www.youtube.com/watch?v=c5IYnh5Y6BA
Vi racconto una favola. Una di quelle favole “al contrario”, alla Rodari. Quelle favole che non ci crede nessuno, nemmeno chi le racconta, perché sono talmente al rovescio che se le ascolti sul serio ti viene il torcicollo.
Prendiamo una città, un città qualsiasi, facciamo Mafiopoli. A Mafiopoli ci sono i buoni e i cattivi. Nelle favole ci sono sempre, e ben chiari, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Ogni tanto si guardano negli occhi. Ma sono momenti di tensione e allora di solito nelle favole non si racconta mai del momento in cui un buono guarda in faccia un cattivo perché i momenti di tensione si vendono male nelle favole e poi magari rischi pure che ti rimane la cena sullo stomaco e non dormi tranquillo. Nella nostra favola c’è un buono (che è buono anche se la favola al contrario) che un giorno decide di uscire dai comandamenti delle favole e di guardare in faccia i cattivi (e fin qui … direte voi … beh, niente di che). Il fatto è che ad un certo punto il buono sale sulla macchina fatta di mollica di pane e va a raccontare degli occhi bavosi di chi ha guardato negli occhi e poi non contento fa i nomi e i cognomi. Mafiopoli è una favola strana, infatti i nomi e i cognomi poi ti tocca ripeterli 100 volte in 100 posti a 100 persone diverse tanto che ti perdi almeno metà capitoli del libro della tua vita ogni volta, con il coraggio in borsa, a farli e rifarli. Finisce che il buono diventa un nomaiolo professionista, ma mica perché lo vorrebbe fare di lavoro (che dico lui andrebbe benissimo a lavorare, a giocare con i pastelli insieme ai figli o a curare il soffritto con la moglie in cucina), diventa un nomaiolo professionista perché non ha tempo per fare altro, perché nella nostra favola al contrario se procuri momenti di tensione poi succede che la storia diventa urticante e non si vende più nelle librerie. E in più metteteci che il cattivo è mica cattivo per niente e quindi nel frattempo gli è girato il cappello e si è messo in testa di fargliela pagare.  A forza di fare nomi il buono ha perso il suo, e insieme la sua casa, la sua macchina, la sua famiglia. Perché è una favola al rovescio e non è mica come nella realtà che i buoni vanno custoditi e preservati. Alla fine il buono è così solo che per salvarsi dal morire allora comincia a uccidersi lui. (dico, tranquilli, è una favola, per di più al contrario). Perché li chiamano testimoni di giustizia, ma qui al rovescio, sono testimoni giustiziati. Una cosa da non crederci.

Radio Mafiopoli 25 – Il negazionismo certificato e l’antimafia pregiudicata

Buongiorno a tutti. Da oggi Radio Mafiopoli viene trasmessa in video direttamente dal nostro studio, che non è ovale ma fecondo, a tratti spassosamente ovulatorio. Del resto a quanto pare basta spesso una cartellonistica di spalle, anche nella forma di una Disneyland in tetrapak, per arrogarsi il diritto di fare informazione e questo a Mafiopoli non è consentito. Ormai sono anni che il principe Cacchiavellico, monarca despocratico della repubblica di Mafiopoli, sta ripetendo che l’informazione è un’infezione virulenta, contraffatta dalla Cina, che sta uccidendo quella meravigliosa coscienza civile mafiopolitana sempre così delicatamente dormiente, assopita, pressoché comatosa: rivedendo l’ultimo decreto legge sembra che siano in molti tra gli eletti reggipancia del re a volerle staccare la spina. Il lupotto Fini ha dichiarato che “ormai l’informazione mafiopolitana non ha più speranze ed è meglio staccare il sondino”. Poi come al solito è stato sculacciato per avere detto una cosa troppo di sinistra. A Mafiopoli non passa una settimana senza che ci sia una di quelle novità che ti facciano addormentare con quel retrogusto al dixan che è tutto un gioco di scambio di fustini due meglio di uno.
Pino Maniaci è stato denunciato. Il che di per sé non sarebbe nemmeno una notizia buona per il settimanale dell’oratorio. È la sua 270esima denuncia, del resto, e non è un segreto da servizi segreti il fatto che Pino sia l’inventore di un nuovo modello di antimafia: l’antimafia pregiudicata. Questa volta è stato denunciato per abuso di professione, che è una forma particolare di reato esclusiva proprio della legislazione di Mafiopoli: tutti coloro che non si allineano agli albi dei soprusi per professione vengono portati davanti alla santa inquisizione della delazione pubblica. Una volta, nell’era paleomafiusa, la delazione era coltivata al bar insieme alle patatine e ai tramezzini dell’aperitivo, mentre al tavolo si davano lezioni sulla legalità rigorosamente quella degli altri. Ora, purtroppo, a causa della nuova legge delle intercettazioni che rende carta straccia qualsiasi dichiarazione che non sia fatta in una notte di luna piena con una coda di gatto nero e un occhio di topo, i delatori devono prendersi la briga di fare le portinaie per denuncia bollata. Arrivata la denuncia il magistrato, dicono, ha dovuto aprire l’inchiesta. Ci sono cose a Mafiopoli a cui la giustizia non può sfuggire: verificare le mestruazioni delle malelingue, prescrivere Andreotti o fingere di trovare 400.000 trascrizioni secretate dentro il calzino di Genchi nel comodino. “L’informazione deve essere fatta di pregiudizi e non di pregiudicati!” ha urlato il Ministro al Giudizio di Stato durante l’inaugurazione del ponte da Messina all’Expo, “ i pregiudicati stiano al loro posto!” ed è scattato l’applauso alla bouvette del Parlamento. Non tutti hanno applaudito, solo i capigruppo, per tenere libere qualche paio di mani a toccarsi i Maroni, senza nessuna allusione a quelli dell’Interno. E così a Pino ci toccherà portarci le arance e le sigarette. Per il caffè magari chissà si offrirà di portarglielo qualcuno dei Fardazza (soprannominati Vitale, famigliola immafusita di Partinico) o della Bertolino (famosa distilleria di querele al Maniaci e famosa per la sua grappa “Scacciacani” ecocompatibile) , il caffè specialità del posto, detto anche “il caffè alla Sindona”.
Intanto, si sono aperti i balli e scaldati i cotechini per la famosa sagra mafiopolitana della negazione: a Lodi in provincia di Mafiopoli la mafia non esiste, non è mai esistita, e non esisterà. Bum bum. Solo una volta all’anno arriva a Lodi vestita da befana per portare una bara ai bambini che sono stati cattivi. A Parma il prefetto Paolo Scarpis ha dichiarato: “da Saviano solo sparate”. Al verbo sparare Riina ad Opera è corso in mensa a giocare ai pirati mentre gli brillavano gli occhi. A Parma la mafia non c’è. Non c’è mai stata e non ci sarà mai. La Moratti sindachessa di Milano, provincia di Mafiopoli, appena sentite le parole magiche “mafia” e “non c’è” si è illuminata e con il parrucchino in erezione ha convocato una conferenza stampa all’urlo “tana libera tutti!”. Un trionfo. Bum bum. A Genova il questore Parenti dichiara “mafia a Genova? A noi non risulta”, ha ragione al massimo un paio di puttane. A Buccinasco intanto il sindaco Ceresa organizza a sorpresa una giornata contro la mafia, titolo dell’iniziativa: “la storia della mafia dai fasci siciliani ai primi anni 50 quando è stata debellata”.
L’onorevole Fini, promosso proprio in questi giorni a onorevole fermacarte sulla scrivania del Re, ha dichiarato “la mafia è una dittatura!”, soddisfazione inaspettata. Poi ha aggiunto “non votate per chi offre un posto di lavoro”, e il Popolp della Pubertà è sceso sotto il 5%. Poi ha aggiunto “non ci sono mafiosi alla Camera”, e a quel punto sono entrati dei signori con un camice bianco che in camicia di forza l’hanno portato via.
C’è stata davanti alle questure d’Italia una manifestazione di solidarietà verso Gioacchino Genchi. L’avete vista? Ne avete sentito parlare? No. Allora non è vero. Ricredetevi. Alla negaziopolitana.

La merda detrattrice su Roberto Saviano

Ecco, se c’è qualcuno qualsiasi che sappia disegnare una cosa qualsiasi (che ne so magari un cesso) per far aprire dolorosamente gli occhi, io sono con lui e nel peggiore dei casi anche con il cesso. Se è dubbio di letteratura (nonostante il conato sempre presente della paura) ancora di più.

Un abbraccio.

Strategie di conquista e grandi affari lungo le vie dell’acqua. Il caso delle Eolie.

di Carlo Ruta

Una vicenda rappresentativa, triste, da scandalo, nelle mappe dell’appropriazione delle risorse idriche. Come viene trattato il disagio di Lipari e Salina, dove l’acqua, carente da sempre, rimane la più cara d’Italia. Gli accordi che vi fanno da sfondo, da Palermo a Roma. La stretta della Sogesid sulle isole.

Come era prevedibile, nella Sicilia della privatizzazione idrica, le anomalie, anziché esaurirsi con le gare d’appalto, in alcuni ATO con esiti da scandalo, presentano risvolti sempre più preoccupanti, mentre scorrono le vicissitudini di intere popolazioni che mancano dell’erogazione necessaria e pagano l’acqua più cara che in altre aree del paese. Gli ambienti interessati stanno provvedendo in effetti a porsi in regola, pagando l’obolo alla tradizione, facendo cioè i conti fino in fondo con i grovigli di poteri, legali e non solo, che serrano i territori. Gli equivoci del presente si fondono in sostanza con quelli del passato, con corrispondenze più o meno perfette. Le cose non potevano andare del resto diversamente. Lungo i decenni che hanno preceduto la legge Galli, la gestione dell’acqua nell’isola, curata dall’EAS e dalle municipalizzate, non è stata mai propriamente pubblica, chiamando bensì in causa interessi forti e consorterie di ogni tipo. I clamori giudiziari che hanno interessato l’ente regionale medesimo, dallo scandalo Gunnella alle tangenti dell’Ancipa, ne danno conto. La nuova situazione, già riprovevole per il declassamento del bene comune acqua a merce, nell’isola sta finendo comunque con il peggiorare le cose oltre ogni misura. E per saggiarne le atmosfere, lungo gli ambiti territoriali, è il caso di prendere le mosse dalle isole Eolie, dove, sulla scena convulsa dell’emergenza idrica convergono realtà influenti, a partire da una potente società di diritto pubblico: la Sogesid spa.
Per ragioni soprattutto geologiche, l’arcipelago è oppresso da una endemica carenza di acqua, cui si è cercato di ovviare, prima ancora che con rifornimenti da navi cisterne e autobotte, con un dissalatore, costruito a Lipari circa trent’anni fa dalla Regione Siciliana, amministrato lungamente dall’EAS e, come tutti gli altri in Sicilia, finito di recente in gestione a un privato, l’imprenditore nisseno Pietro Di Vincenzo, che ha messo in campo, allo scopo, una società ad hoc, la Gedis, adesso in amministrazione giudiziaria. Si tratta di un impianto obsoleto e poco funzionante. Con i suoi tre moduli, a pieno regime, dovrebbe produrre infatti 6000 metri cubi di acqua potabile al giorno. Invece ne produce poco più 2000 metri cubi, ben al di sotto cioè del fabbisogno. L’emergenza, che si somma nelle Eolie a quella dei trasporti, rimane quindi allo zenit, mentre il costo dell’acqua per gli abitanti di Lipari e delle altre isole, già elevato, è divenuto particolarmente esoso. L’acqua desalinizzata viene erogata a 4,80 euro al metro cubo, a circa 7 euro quella approvvigionata tramite autobotte, addirittura fino a 13 euro, iva inclusa, quella rilevata dalla nave cisterna. Ma a fronte di tutto questo, quali condotte si registrano nelle istituzioni che recano l’onere di risolvere le cose?
L’allarme sul deficit d’acqua è stato lanciato, negli ultimi anni, a vari livelli: dal prefetto di Messina Francesco Alecci; dai sindaci di Lipari, Leni, Malfa, Santa Marina Salina, Milazzo; dai parlamentari messinesi Germanà e D’Alia. Della questione sono stati investiti quindi il governo regionale e i responsabili del ramo. Se ne sono fatti carico in particolare, con Raffaele Lombardo, alcuni noti esponenti dell’entourage presidenziale: Rossana Interlandi, già assessore regionale all’Ambiente e oggi dirigente del medesimo assessorato; l’avvocato Felice Crosta, presidente dell’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, istituita da Cuffaro, poi formalmente abolita, ma ancora in attività; Ignazio Puccio, dirigente dell’ARRA e plenipotenziario di Crosta in numerose vertenze lungo gli ATO siciliani. Si tratta, come è evidente, dello stato maggiore che sta regolando i processi di privatizzazione, cui si associa una presenza che nella vicenda delle Eolie assume un rilievo determinante: quella dell’avvocato Luigi Pelaggi, consigliere di amministrazione della Sogesid spa. È il caso di definire allora cosa rappresenta tale società e con quale ruolo entra in questa storia.
Nata nel 1994 quale concessionario della gestione di alcuni impianti di depurazione nella Regione Campania, la Sogesit spa si è assunta l’onere di supportare la Legge Galli, attraverso la redazione dei piani d’ambito e l’attuazione di interventi industriali, in ambito acquedottistico, depurativo e fognario, lungo tutto il territorio nazionale. Per decisione del Ministero dell’Ambiente e del Ministero delle Infrastrutture è divenuta dal 2007 uno strumento in house, ma, in ossequio appunto alla legge Galli, ha insistito a muoversi in modo privatistico, tanto da ritrovarsi al centro di un vasto circuito d’interessi, pur mutuando nondimeno tratti e movenze dei tanti enti inutili che hanno fatto un po’ la storia della repubblica. Per tali ragioni, più volte è stata fatta oggetto di interrogazioni parlamentari. Il deputato Ugo Lisi ne ha chiesto la messa in liquidazione. Il senatore Roberto Della Seta ne ha denunciato, oltre che la mancanza di una qualche utilità pubblica, tanto più dopo l’istituzione recente dell’Ispra, recante funzioni analoghe, le oscurità operative, la mancanza di trasparenza nelle assunzioni del personale, gli altissimi stipendi degli ambiti dirigenziali. E con tale feedback, che combina le opacità del pubblico e del privato, la società in house ha puntato sull’affare Eolie, con l’irruenza di un potere forte, perché importante era divenuta intanto la posta in gioco.
L’allarme lanciato dal sindaco di Lipari Mariano Bruno, dai colleghi delle isole minori e dal prefetto Alecci, cui è stato conferito intanto l’incarico di commissario delegato per l’emergenza idrica, non poteva rimanere in realtà inascoltato, tanto più dopo l’implosione economica e giudiziaria del Di Vincenzo, che ha influito sensibilmente sulle inefficienze del dissalatore. Non potevano essere altresì sottovalutati i rischi per il decoro dell’arcipelago, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Ne è sortito quindi, nel 2007, un superfinanziamento a opera del Ministero dell’Ambiente, retto allora da Alfonso Pecoraro Scanio, per circa 38 milioni di euro. Si è trattato tuttavia solo di un buon inizio, perché per il prossimo decennio altri contributi si annunciano da parte dell’Unione Europea e di altre sedi: quanto basta in definitiva perché interessi forti si volgano in direzione delle Eolie. C’è peraltro da attingere a sufficienza dall’amministrazione regionale, che da oltre un decennio riserva alle emergenze della Sicilia un cospicuo capitolo di spese, gestito in prima persona dai commissari straordinari, senza che, significativamente, siano venute meno, per calcolo o no poco importa, le problematiche dell’acqua.
L’ostacolo Di Vincenzo è stato rimosso agevolmente, perché il contratto che vincola il gestore del dissalatore alla Regione è prossimo a scadere, e l’imprenditore nisseno, messo alle corde dai giudici e dalle denunce del sindaco Rosario Crocetta, non è più in grado di sostenere la partita. Con perentorietà, a dispetto delle proteste di diversi consiglieri, che hanno scritto al prefetto Alecci, il comune di Lipari ha provveduto altresì a rimuovere un ulteriore problema, revocando un appalto di cui era stato aggiudicataria nel 2000 la Lotto spa. È stato infine superato l’ostacolo dell’Authority per la vigilanza sui contratti pubblici, che ha decisamente contestato la convenzione siglata fra società e il sindaco liparitano. Il centro-partita, da parte della Sogesid è stato quindi rapidamente conquistato, con la presentazione, approvata, di un progetto per il ciclo integrato dell’acqua, il primo, per 29 milioni di euro, da trarre dai 38 per il momento disponibili. D’altra parte, il direttore generale del Ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini, interpellato sull’accordo delle Eolie, non ha esitato a dire che si è trattato di decisioni prese ad altissimi livelli, in sede ministeriale, per interessi forti, quindi irrevocabili.
La connessione della Sogesid con l’arcipelago, e contestualmente con i vertici della Regione e con l’ARRA di Crosta e Puccio, viene comunque perfezionata il 17 febbraio 2009, quando uno dei tre consiglieri d’amministrazione della società, l’avvocato Luigi Pelaggi, componente della segreteria tecnica del Ministero dell’Ambiente, viene nominato, con ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi, commissario delegato per l’emergenza idrica nelle Eolie. Si tratta, come è evidente, di una nomina forzata, sovrapponendosi di fatto, senza alcuna ragione d’interesse pubblico, a quella del prefetto Alecci, che, da rappresentante del governo prima ancora che da commissario, è stato riconosciuto fra i più imparziali nell’affrontare l’emergenza. Un tale passaggio è apparso nondimeno necessario, per ricondurre tutto negli alvei stabiliti, senza intralci.
Esistono in definitiva i presupposti perché la Sogesid, nota appunto per gli stipendi d’oro di cui godono i suoi dirigenti, possa trarre dall’arcipelago profitti smisurati e duraturi, attingendo a risorse pubbliche a tutti i livelli: ma in cambio di quali benefici per gli abitanti di Lipari e delle altre isole? A conti fatti, nessuno. Come emerge dal progetto, il prezzo dell’acqua desalinizzata verrà mantenuto a 4,80 euro al metro cubo, cioè il più caro d’Italia, addirittura con possibilità di aumenti negli anni a venire. È già messo altresì nel conto che l’intervento della società non risolverà in via definitiva il deficit idrico delle Eolie. La prova? Una parte dell’approvvigionamento dell’acqua continuerà ad avvenire per mare, tramite nave cisterna. Come avviene già da quindici anni, dietro richiesta della Regione Siciliana, il 3 dicembre 2008 il Ministero della Difesa ha stipulato infatti con la società Marnavi di Napoli, con procedura negoziata ai sensi dell’art. 57 del decreto legge 163/06, un contratto di fornitura idrica all’isola di Lipari per un importo di 26.000.000 euro, iva inclusa, per soli 2 milioni di metri cubi. In sostanza, gli abitanti dell’arcipelago, sotto l’egida della società in house, dovranno continuare pagare l’acqua al prezzo, del tutto incongruo, di 13 euro al metro cubo.
In realtà, la Sogesid, se reca buone ragioni per mantenere, di fatto, lo stato di cose esistente, tante più ne ha per scendere a patti con la Marnavi, che costituisce in campo armatoriale un potere consolidato, con forti referenti nelle istituzioni. Finisce in effetti con il servirsene, con mutuo guadagno, a titolo giustificativo e non solo, proprio perché restino spendibili e ben remunerativi i deficit di fondo. In tale logica, è significativo comunque il modo in cui la società navale napoletana si pone nel paese e, in particolare, nella vicenda delle Eolie.
Presieduta da Domenico Iervoli, la Marnavi, è specializzata nel trasporto di sostanze chimiche. È proprietaria di ventisette navi operanti sul mercato internazionale, otto delle quali adibite al trasporto di acqua e prodotti alimentari per le comunità delle isole italiane. Come altre società armatoriali, non appare particolarmente devota all’interesse nazionale. Ha fatto costruire infatti diverse navi nella Turchia asiatica, presso di Tuzla, nota perché ospita la maggiore concentrazione navalmeccanica della terra, con quarantacinque cantieri schierati fianco a fianco. Gode nondimeno di alta considerazione presso le sedi governative. E non può trattarsi di normale convenienza. Come riportato, da circa quindici anni la società rifornisce d’acqua le isole Eolie, con convenzioni annuali che, palesemente, prescindono da ogni calcolo di economicità, mentre Regione e Ministero della Difesa avrebbero potuto ricercare soluzioni più idonee, attraverso accordi meglio mirati oppure l’espletamento di regolari gare d’appalto. In merito poi all’opportunità, appaiono tutt’altro che irrisori gli inconvenienti che hanno presentato fino a oggi le operazioni di scarico nelle aree portuali di Lipari, prossime alle abitazioni civili: dalle perdite in mare di acqua potabile agli eccessi di rumore, in tutte le ore del giorno e della notte.
Evidentemente, malgrado i conti non possano tornare, i giochi sono fatti, nel pieno rispetto della tradizione. C’è stato tuttavia un inconveniente, che consente di chiarire meglio le cose e di rendere, soprattutto, misurabile l’affare dell’arcipelago. Si tratta dell’entrata in scena di una impresa tedesca, la Aqua Blue di Bubesheim, operante in vari ambiti: la depurazione, gli impianti idrici, l’energia solare. Klaus Dieter Simon, che conosce bene l’Italia per averla lungamente frequentata, ne è l’amministratore delegato. E in tale veste, nel 2007 ha presentato alle autorità territoriali e regionali una proposta di convenzione, ancora ai sensi dell’art. 57 del decreto legge 163/06, per la definitiva soluzione dell’emergenza idrica delle Eolie. L’impresa, in particolare, si è impegnata a installare, a Lipari e nelle isole minori, alcuni moduli di dissalazione di nuova generazione, quindi non ingombranti come gli attuali né inquinanti, atti a risolvere per intero il fabbisogno idrico, a costo zero per lo stato, la regione e i comuni, richiedendo di contro alla parte pubblica, solo a servizio erogato, il pagamento dell’acqua a un costo oscillate fra 1,05 e 1,21 euro, iva esclusa.
Tra la tariffa che ha proposto l’amministratore dell’impresa tedesca e i quasi 5 euro richiesti dalla Sogesid, che diventano addirittura 13 con l’intervento della Marnavi, corre evidentemente un abisso, che è in fondo quello che separa due precisi modi d’essere e di rapportarsi al bene pubblico. Da un lato c’è Klaus Dieter Simon, che ha deciso di non pagare alcun obolo alla tradizione, di fare impresa quindi nel modo più civile. Dall’altro stanno i potentati regionali, il braccio operativo dell’ARRA, i grandi feudatari delle risorse idriche, che, a ragion veduta, hanno stabilito di mantenere alti i canoni, nel caso appunto delle Eolie fino all’inverosimile, a dispetto dei bisogni delle comunità. Tutto questo, a riprova che nel tempo della privatizzazione, tanto più in Sicilia, la selezione dei convitati al grande affare dell’acqua, che include la partita dell’arcipelago, sta avvenendo al peggio.
Ecco comunque il seguito della storia. Dinanzi alle evidenti opportunità della proposta dell’impresa tedesca, il prefetto Alecci, quale commissario delegato per l’emergenza idrica nelle Eolie, si è dimostrato, una volta ancora, conseguente. Nell’incontro per l’esame tecnico della medesima, che si è tenuta il 28 ottobre 2008, presso il Ministero dell’Ambiente, ha relazionato infatti favorevolmente. Ha dovuto tuttavia fare i conti con l’opposizione, irriducibile e scontata, dell’ingegnere Puccio dell’ARRA, che, con ben poche argomentazioni, in quella sede ha decretato impossibile la desalinizzazione dell’acqua marina ai costi garantiti da Klaus Dieter Simon. I giochi erano fatti, appunto, e la nomina di Pelaggi, già nelle cose, era destinata a chiudere l’argomento.

L’esotico silenzio colpevole: la morte “giusta”

pena-di-morte-amnesty-internationalROMA  – C’é sempre meno lavoro per i boia della maggior parte del mondo, ma ancora troppo, concentrato in un piccola parte di esso. Se due terzi dei Paesi del pianeta hanno abolito la pena di morte e solo 25 di 59 di quelli che ancora la mantengono hanno eseguito condanne capitali nel 2008, é vero che il 93% di tutte le esecuzioni è avvenuto in cinque paesi: Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan ed Usa. E’ una fotografia più luminosa del passato quella scattata da Amnesty International nel rapporto sulla stato della pena di morte del 2008 che mette in luce una tendenza generale positiva, oscurata comunque dal fatto che ogni giorno sono state giustiziate una media di sette persone, per un totale di 2390 messe a morte in 25 paesi. Per contrasto al continente asiatico – che concentra il record di esecuzioni con la Cina che da sola ha messo a morte più persone che il resto del mondo nel suo complesso (1718 su 2390) – spicca l’Europa dove è rimasta solo la Bielorussia a ricorrere ancora alla pena di morte. “La buona notizia è che le esecuzioni hanno luogo in un piccolo numero di paesi.

Questo dimostra che stiamo facendo passi avanti verso un mondo libero dalla pena di morte. La brutta notizia, invece, è che centinaia di persone continuano a essere condannate a morte nei paesi che ancora non hanno formalmente abolito la pena capitale”, ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International in occasione della diffusione del Rapporto. Dopo l’Asia, dove 11 paesi continuano a ricorrere alla pena di morte (Afghanistan, Bangladesh, Cina, Corea del Nord, Giappone, Indonesia, Malaysia, Mongolia, Pakistan, Singapore e Vietnam) il secondo maggior numero di esecuzioni, 508, è stato registrato in Africa del Nord e Medio Oriente. In Iran sono state messe a morte almeno 346 persone, tra cui otto minorenni al momento del reato, con metodi che comprendono l’impiccagione e la lapidazione. In Arabia Saudita, le esecuzioni sono state almeno 102, solitamente tramite decapitazione pubblica seguita, in alcuni casi, dalla crocifissione. Nel continente americano solo gli Stati Uniti d’America hanno continuato a ricorrere con regolarità alla pena di morte, con 37 esecuzioni portate a termine lo scorso anno, la maggior parte delle quali in Texas. Il rilascio di quattro uomini dai bracci della morte ha fatto salire a oltre 120 il numero dei condannati alla pena capitale tornati in libertà dal 1975 perché riconosciuti innocenti.

L’unico altro stato in cui sono state eseguite condanne a morte è stato Saint Christopher e Nevis, il primo dell’area caraibica ad aver ripreso le esecuzioni dal 2003. Nell’Africa sub-sahariana, secondo dati ufficiali, sono state eseguite solo due esecuzioni, ma le condanne a morte sono state almeno 362. Quest’area ha registrato un passo indietro, con la reintroduzione della pena di morte in Liberia per i reati di rapina, terrorismo e dirottamento. “La pena capitale non è solo un atto ma un processo, consentito dalla legge, di terrore fisico e psicologico che culmina con un omicidio commesso dallo stato. A tutto questo deve essere posta fine”, ha sottolineato Khan.

dal sito ANSA