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Sandro Pertini: onestà e coraggio

Discorso di Sandro Pertini

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Oggi la nuova Resistenza in cosa consiste… ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato, di difendere la Repubblica e la Democrazia.

E cioè oggi ci vuole due qualità a mio avviso, cara amica, l’onestà e il coraggio…l’onestà…l’onestà…l’onestà.

E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto la politica deve essere fatta CON LE MANI PULITE! Non ci possono essere… se c’è qualche scandalo…se c’è…se c’è qualcheduno che da scandalo…se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i propri sporchi interessi DEVE ESSERE DENUNCIATO SENZA ALCUN TIMORE!”

Sandro Pertini
(1896 – 1990)

Radio Mafiopoli 28 – Lo strano caso dell’ingegnere Lo Verde

Alla fine ce l’hanno insegnato loro che il trucco sta tutto nel leggere i segnali. Sarà per questo, forse, che a qualcuno fa tanto comodo farceli arrivare sempre spaiati i segnali convincendoci poi che siano i modi dell’informazione.

C’era una volta l’Italia dell’ingegnere Lo verde. Non è l’inizio dell’ennesima fiction sugli ingegneri in corsia o una puntata di Fantozzi che latita tutti, l’ingegnere Lo verde è una delle chiavi di quel bordo scivoloso del 1992 su cui a Mafiopoli si è costruita la seconda repubblica. Una repubblica a forma di buccia di banana. L’ingegnere Lo verde telefonava abitualmente a don Vito Ciancimino, e questo sarebbe di per sé abbastanza normale. Ciancimino era il re Mida ingegneristico di Palermo, l’unico uomo che riusciva anche per un vaso di gerani a farsi dare l’abitabilità. Quell’artista futurista incompreso che aveva buttato giù dei vecchiardi e inutili palazzi liberty per sostituirli con delle belle case a forma di pacco, molto meno ricchione. Molto più moderne e meno ricchione. Anzi Vito Bros Ciancimino si incontrava con un certa regolarità presso la sua abitazione Roma con l’ingegnere Lo Verde. E tutti e due sul tappeto della sala progettavano con i mattoncini del lego un’Italia a forma di sbriciola. Chissà che ridere. Ma c’è un però. Dietro le spoglie del metafisico ingegnere Lo Verde c’era una temibile prostata con attaccato Binnu Provenzano tutto intorno. La prostata più ricercata d’Italia. Quella che si dice un prostata latitante (e qui i doppi sensi si sprecherebbero). Ci raccontano di questi amplessi adulteri e furtivi nel processo Gotha a Palermo, di cui a Mafiopoli nessuno parla perché sono tutti impegnati a recensire l’ultimo modello di bambola gonfiabile del re. Le malelingue (che a Mafiopoli sono necessarie come il buco in fondo alla schiena) dicono che non si può dare credito ad un testimone solo perché è omonimo Ciancimino di Don Vito Bros, e solo perché suo figlio, e solo perché ha pianto a lungo mentre l’ingegnere Lo Verde gli rubava la gru dei Playmobil con la cicoria tra gli infissi dei denti. “Del resto – dice il principe cacchiavellico durante l’inaugurazione del ponte da Messina a Pattaya – solo con una libera circolazione di soldi, papelli e di persone si può affermare di essere un popolo libero! E giù un applauso scrosciante come lo sciacquone del cesso.

Intanto le forze dell’ordine (nonostante sia in discussione nel parlamento mafiopolitano di provvedere ad una loro veloce sostituzione con le nuove “truppe di Barbarossa” che finalmente risolveranno una volta per tutte il problema dei gattini sugli alberi) hanno arrestato prima “Cicciotto ‘e Mezzanotte” Raffaele Bidognetti figlio del boss Francesco, Bidet-Gnetti se ne stava mellifluo in quel di Castel Volturno, assorto a finire una partita al cubo di Rubik iniziata nel 1986.

Passa il tempo di uno starnuto e nella settimana del “gomorra libera tutti” viene arrestato Diana, nonostante il cognome, un bel ragazzone di 54 anni masculo al 100%. Dicevano che si fosse trasferito al nord e invece Raffaele Diana detto anche Rafilotto o 2 Cavalli se ne stava a Casal di Principe. Ma siccome è scaltro come una faina latitava in via Torino per confondere le indagini che però non si sono confuse. Sul comodino tenve in bella vista i vangeli, il libro di Padre Pio, la bibbia di Riina ‘u Curtu e gli scritti apocrifi de “Il Padrino”. Il cubo di Rubik no, l’aveva sparato dopo 13 anni che non riusciva a finire il lato rosso. Diana è accusato, tra l’altro, di danno morale alla regione Emilia Romagna per aver fatto sparare il 7 maggio 2007 a Giuseppe Pagano in quel di Riolo di Castelfranco Emilia. Un danno morale incalcolabile per una regione dov’era appena stato messo per iscritto che la mafia non esiste. L’azienda turistica si costituirà presto parte civile. Il ministro alla Sensazione della Sicurezza esulta trionfante in conferenza stampa, poi qualcuno gli sussurra all’orecchio che il sindaco di Castel Volturno Francesco Nuzzo si dimette perche “troppo solo di fronte alla camorra””. Il ministro si scurisce in volto, interrompe il party per un secondo e ordina di spedire anche a lui una bambola di lattice. Bum bum.

Oliviero Toscani, assessore all’omino del cervello del sindaco Sgarbi di Salemi, mette in vendita accendini e magliettine del nuovo marchio brevettato M.a.f.i.a. Qualcuno giù a Mafiopoli si indigna, lui risponde che crea più danni il Grande Fratello. La vecchia storia dell’asino che dice cornuto al bue. Intanto il sindaco Sgarbi dichiara di essere stato minacciato. Sì, dal buongusto.

Ad alcuni amici dei Lo Piccolo per gli amici Lo Pippolo sono stati sequestrati 300 milioni di euro. Nel carcere duro si è passati dal proverbiale champagne per le gemelle Kessler di Cosa Nostra a del più modesto Pinot in offerta.

Intanto, dopo il terremoto abruzzese, in molti con faccia immacolata promettono che nella ricostruzione non arriverà la mafia da sempre esperta nel demolire le ricostruzioni. Errore. Loro ci sono già. Non è mica vero che nel 1999 proprio qui ad Avezzano era stato arrestato Giovanni Spera figlio del boss Benedetto Spera Bel Rosso di Sera? Non è mica vero che, guarda un po’, il Giovannino lavorava nel calcestruzzo? Non è mica vero quel che si dice che i latitanti mafiosi svernino nelle coste adriatiche quando d’inverno le città si svuotano e tranquillizzano? A Mafiopoli la frase “non arriverà la mafia” ormai suona più o meno come “arriverà Babbo Natale”. Amen.

Il senatore Lumia ha ricordato che l’investigatore che “Emanuele Basile è stato un grande servitore dello stato”. In parlamento durante l’applauso tutti a cercare su google.

Per una prevedibile settimana, alla “memoria corta”.

FONTI

http://www.ansa.it/site/notizie/regioni/emiliaromagna/news/2009-05-04_104358329.html

http://napoli.repubblica.it/dettaglio/Camorra-colpo-ai-Casalesi-preso-in-bunker-il-boss-Diana/1627486

http://www.rassegna.it/articoli/2009/04/30/46463/labruzzo-rischia-tra-mafia-e-camorra

http://www.corriere.it/cronache/09_aprile_27/castevolturno_sindaco_dimissioni_7bde7e28-3355-11de-b34f-00144f02aabc.shtml

http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/italia/news/2009-05-04_104363612.html

http://www.ansa.it/site/notizie/regioni/sicilia/news/2009-05-05_105353144.html

http://www.libero-news.it/adnkronos/view/112105

http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsid=116991

Milano prostituita: LA CITTA’ DEGLI UNTORI di Corrado Stajano

untoriRaccontarlo facendone una cronaca sarebbe ingiusto per la quadratura di una narrazione sempre così lucidamente di marmo senza perdere la poesia. Conoscevo poco Stajano da lettore anche se ho sempre un foglietto con la notizia del suo abbandono del Corriere della Sera nel 2003 “per protesta in difesa del giornalismo libero”.

Di certo Milano ammuffisce prima del passaggio dall’estetista per il ballo dell’Expo, eppure è così difficile da descrivere che inevitabilmente Stajano che ci riesce in punta di penna è un’ostia sconsacrata, sconsacrante e liberatoria.

Milano scoperta inginocchiata dentro un cesso mentre lecca la cerniera della ‘ndrangheta e di Morabito per guadagnarsi un pass Sogemi ai boss che ortofruttano cocaina dentro l’Ortomercato.

Milano che si gratta l’inguine indecisa per una via a Craxi mentre dimentica indultata il senso di giustizia mite e irremovibile dei suoi magistrati migliori: Guido Galli, ma anche Vittorio Bachelet, Occorsio, Emilio Alessandrini, ucciso dai presunti rivoluzionari delle Br e dai loro fratelli minori (ma ugulamente assassini) di Prima Linea.

Milano che si è venduta per spot il feretro di Piazza Fontana e che avvita dentro un carillon Giuseppe Pinelli. Tutto dentro un cofanetto anestetizzato e anestetizzante nel suo essere strenna.

Milano che ci tiene ad essere antifascista una volta all’anno ma che non disdegna di esserlo stata: dalla genesi tutta bianco e nero nel palazzo di San Sepolcro, a Villa Triste  tendone circense delle gesta del putridume nero della banda Koch, a via Santa Margherita dove si esibiva nel suo numero preferito del pavido eroe fascista Theo Saewecke, fino al capolinea di Piazzale Loreto. Così famoso per l’appeso e così meravigliosamente dimenticato nella veste di pozzanghera dei 15 italiani resi liquidi e carne dalla Legione Ettore Muti nell’agosto del ’44 su ordine della Gestapo.

Milano che si rinnova, come la sua memoria che ciclicamente formatta la precedente.

Milano di Mani Pulite e i piedi ancora nella merda.

Milano con la schiena dritta nel giornalismo nell’accezione giornalistica del termine: Ferruccio Parri e Giulio Alonzi.

Milano che non è mai riuscita a sverginarsi dall’onta della Colonna Infame. Con la peste che le è rimasta nei capelli mentre s’incipria per uscire.

La città degli untori, appunto.

Il protagonista di questo intenso saggio in forma di narrazione di Corrado Stajano si aggira sgomento per le strade di una città che vorrebbe amare, che nella sua storia è stata anche amabile, ma che nell’oggi sembra solo respingere: Milano. In questo peregrinare la realtà contemporanea dischiude il suo passato e Milano diventa il centro concreto e insieme emblematico di un cupo trascorrer di tempi. La città lucente di acque magnificata da Bonvesin da la Riva si trasforma nella “città degli untori” e dalla peste rimane contagiata per sempre; un susseguirsi ininterrotto di oscene violenze connota la storia di Milano fino a piazza Fontana e agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli. Alla violenza si accompagnano poi la decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, il tramonto del cattolicesimo democratico, che pure a Milano aveva radici profonde fin dagli anni del modernismo, e – nuova peste – la corruzione. Qui nasce il fascismo, qui gli ideali storici del socialismo si barattano per cupidigia, qui trovano terreno grasso il prevaricante populismo berlusconiano e l’assordante grettezza leghista. Allora la peste, nella sua realtà storica e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.

Titolo La città degli untori
Autore Stajano Corrado
Prezzo € 16,60
Prezzi in altre valute
Dati 2009, 254 p., rilegato
Editore Garzanti Libri (collana Nuova biblioteca Garzanti)

Pino Maniaci, l'ordine dei giullari e il prurito dei potenti

maniacicavalliC’è una teatralissima convergenza di tempi tra l’abbraccio sincrono della notizia dell’ordine (volutamente minuscolo) dei giornalisti siciliano che si potrebbe costituire parte civile nella causa contro Pino Maniaci che “con più condotte, poste in essere in tempi diversi ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso”, avrebbe esercitato abusivamente l’attività di giornalista in assenza della speciale abilitazione dello Stato e l’ennesimo vergognoso balzello all’indietro della libertà di stampa in Italia secondo la classifica stilata da Freedom House. Una di quelle drammaturgie che ti si arrampica sullo stomaco e, vivendole nell’afa della situazione dall’interno, partorisce un punto di domanda che pesa come un’incudine. Non voglio entrare nell’analisi giuridica e formale di un criterio di stato che ultimamente mi sfugge ogni volta che immagino gli occhi traditi di Piera Aiello, gli occhi convessi di cera dello smemorato Mancino o lo sguardo mai arrendevole di Pino Masciari; mi limiterò ai fatti. Perchè ripescare i fatti nell’acquario torbido delle alghe esotiche e fluorescienti delle notizie distraenti, è una buona abitudine per ossigenarsi la giornata.

Allora, caro signor Franco Nicastro, vorrei raccontarle una storia, una storia fatta di fatti, e vorrei raccontarla a lei che presiede quell’ordine di tessere e qualche giornalista perchè questa è una di quelle storie che probabilmente a qualcuno del vostro dis-ordine non piacciono. E’ infatti una storia dove non c’è di mezzo nemmeno un timbro e nemmeno una mezza certificazione su carta intestata.

Ho conosciuto Pino un paio di anni fa, in una giornata con Partinico che si scioglieva sotto un sole incazzato e sbavava percolato. Io sono un attore atipico e inevitabilmente precario: mi dicono che sono troppo curioso per essere un drammaturgo vergine, altri che sono un buffone non di corte ma di carta, questi che mi scontro perchè anelo alla pubblicità, quelli che prima o poi mi schianto e mi faccio male, qualcuno che mi faranno male (ma poi su quest’ultima mi hanno visto fiero e l’hanno prescritta), i corvi più torvi continuano che dovrei solo fare il teatrante (calzamaglia e naso da clown pettinato con la riga ad incensare i miei merce-nati e allenarmi alle dichiarazioni pulite). Capisce, caro signor Nicastro, che l’occasione era troppo ghiotta per il dio dei pagliacci che io e Pino non cominciassimo insieme ad essere compagnia di giro uno capocomico dell’altro.

Da qui abbiamo io e Pino abbiamo cominciato a ballare insieme in una polka (a dire la verità piuttosto sbrindellata perchè ci assomigliasse) che continua a disegnare i nomi, i cognomi, le accuse, la ribellione, la schiena dritta e l’osservazione: quella pratica desueta di raccontare secondo il proprio sguardo (questo sì liberamente criticabile) quel fossile di calcare che sono i fatti (sassolini fastidiosi perchè purtroppo incontrovertibili nella sostanza).

Non ci siamo mai chiesti se fosse inchiesta, informazione, cultura, teatro, cabaret o merda e lo sa perchè, caro Nicastro? Perchè questo gioco sorridente a cui non rinunceremo mai non ce ne ha dato il tempo. Siamo troppo impegnati a difenderci (Pino a Partinico e io a Milano) dagli attacchi diversi che hanno stuprato la tranquillità della nostra vita. In un filo che è lungo come tutta l’Italia e ha la forma di un’ombra. Questo ci basta, a noi buffoni, per pesare il nostro lavoro, questo e tutto il coro che ciclicamente si alza per abbracciare Pino quando ne ha bisogno.

Vede, signor Nicastro, che questa è una storia proprio da giullari, come quelle che 500 anni fa finivano con un bel taglio di teste e si continuava tranquilli a vivere. 500 anni fa, quando non esisteva e se ne sentiva il bisogno di un organo che evitasse questo scempio. 500 anni fa quando si capiva bene chi era con le magagne del re e chi difendeva l’informazione e la risata diritto del popolo.

Chissà cosa penserebbe, oggi, l’ordine dei cantastorie senza tessera, di questa delegittimazione che 5 secoli dopo ha la stessa puzza e la stessa povertà.

Logiche di un potere siciliano. L’Arra di Felice Crosta.

di Carlo Ruta

L’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque ha dettato regole e mosso fiumi di denaro, lungo tutto il perimetro degli Ato. Di emergenza in emergenza, in più occasioni è finita sotto accusa. L’Ars ne ha deciso quindi, nel dicembre 2008, lo scioglimento. Eppure continua a esistere e a reggere i giochi. Lo farà per tutto il 2009. Ma nelle sedi della Regione tante cose vanno muovendosi perché la decisione venga revocata.

C‘è un soggetto pubblico in Sicilia che evoca emergenze, ma anche torrenti di denaro. È l‘Arra, Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, istituita con decreto del presidente della regione Cuffaro il 28 febbraio 2006. Si tratta di una struttura centralistica, rigidamente verticale, che ha avocato competenze che appartenevano a un pulviscolo di enti territoriali: dai comuni ai consorzi di bonifica, assumendone comunque di nuovi, sulle linee della legge Galli. L’avvento di tale organo ha chiuso in via definitiva la fase, inaugurata dal generale Roberto Jucci, dei commissari regionali per l’emergenza idrica, di cui si erano serviti i passati presidenti. In una situazione che sempre più andava intricandosi, con il mobilitarsi di interessi forti oltre che con la crescita delle problematiche sul terreno, quella esperienza si era dimostrata in effetti debole, necessariamente priva di profilo strategico. E il passaggio, logico e per certi versi necessario, si è dimostrato adeguato alle aspettative. L’Arra, guidata dall’avvocato Felice Crosta su designazione di Cuffaro, ha permesso di convogliare nell’isola fondi europei per miliardi di euro, che non potevano essere utilizzati con la gestione commissariale. Palazzo d’Orleans ha potuto contare, da quel momento, su un braccio operativo coeso, in grado di porsi come interlocutore unico di tutte le parti in gioco, quindi garante di un sistema. In definitiva si è materializzato dal versante pubblico, ad hoc, il collante che occorreva per combinare interessi distanti, passato e presente, tradizioni che non intendono demordere e scommesse sul futuro.

A dispetto dei suoi poteri di mediazione e, almeno in via ufficiale, di intervento specialistico, l’Arra reca un profilo pesante. Come altri organi regionali di recente istituzione è retta infatti da logiche di sottogoverno, tese a garantire la stabilità del personale politico a dispetto degli eventi. In questo senso non differisce tanto dagli enti regionali di un tempo: l’Ems, l’Eas, altri ancora. Si è distinta inoltre, sin dalla nascita, per le spese inusitate del suo funzionamento, a tutti i livelli, a partire comunque dal più elevato. Crosta, che sin dagli esordi la dirige con piglio decisionistico, è risultato il burocrate meglio pagato in Italia, con un compenso complessivo di oltre 500 mila euro l’anno, pari a circa 1500 al giorno. Per contenere lo scandalo che andava montando nel paese, si è adottato un escamotage singolare, inteso a bilanciare di fatto i poteri nell’Agenzia. Nel 2008 è stato posto per legge un tetto di 250 mila euro ai compensi dei burocrati, ma, contestualmente, è stato deciso di affiancare a Crosta tre consiglieri, perché tutti i partiti di governo potessero essere rappresentati. La scelta è caduta quindi su Giuseppe Infurna, ex deputato regionale di An, Rossella Puglisi, già candidata per l’Udc alle politiche del 2008, Guglielmo Scammacca, già assessore regionale ai Lavori Pubblici: quest’ultimo poi sostituito, per riequilibrare le influenze, da Giovanni Cappuzzello, già candidato Mpa alle politiche. Anche tali consiglieri beninteso, sulle cui professionalità e competenze ha dovuto garantire Crosta, non importa con quanta convinzione, godono di compensi annui di 250 mila euro cadauno, per 750 mila complessivi.

Gli stipendi d’oro e gli scambi con i partiti di governo, nel solco appunto di una tradizione, costituiscono tuttavia solo il sintomo di un modo di essere, perché solo nelle politiche sul terreno si sono espresse compiutamente le logiche dell’autorità regionale. Ne sono uscite infatti istituzionalizzate emergenze che prima erano state gestite in modo contingente e tattico, con aggravamenti non da poco. In tema di rifiuti, il caso più rappresentativo è quello dei termovalorizzatori, la cui realizzazione, a dispetto dell’opposizione di intere cittadinanze, era stata assegnata nel 2003 a compagini guidate dal Gruppo Falck e da Waste Italia. Dopo l’annullamento della Corte di Giustizia dell’UE dei due appalti, quando le installazioni erano già in opera, l’Agenzia di Crosta avrebbe potuto agire con determinazione lungo vie alternative, come veniva indicato da tecnici e da estesi movimenti. Invece ha preso tempo e insiste a prenderne, tanto da legittimare l’ipotesi, nell’ambito delle opposizioni politiche e non solo, che si voglia eludere, con dei marchingegni, il divieto dell’Unione Europea, mentre nelle città siciliane incombono emergenze rifiuti di rilievo napoletano e in certi ambienti si insiste a guadagnare con le discariche abusive.

In tale vicenda, che ha visto in palio oltre un miliardo di euro, Felice Crosta, prima da vice commissario per l’emergenza rifiuti, poi da presidente dell’Arra, è andato muovendosi in realtà con spesse motivazioni. Nel 2003 ha siglato personalmente la convenzione con le compagini vincitrici, di cui ha avuto modo di conoscere da vicino caratteri, progetti, apparentamenti. Le anomalie degli appalti che alcuni anni dopo sarebbero state riscontrate in sede comunitaria non poterono essere quindi frutto del caso. Richiamano bensì degli atteggiamenti. E la cosa tanto più appare indicativa, di un clima se non altro, se si tiene conto di alcune realtà economiche incastonate in quelle cordate aggiudicatarie, che reclamano oggi una penale di 200 milioni di euro per l’annullamento degli accordi. Si tratta della Emit, che fa capo alla famiglia Pisante, e della Altecoen, che riconduce al medesimo gruppo oltre che all’imprenditore Pietro Gulino di Enna. La prima risulta presente negli appalti per i termovalorizzatori di Palermo e Casteltermini, sotto la guida della Actelios del gruppo Falck. La seconda figura nel cartello aggiudicatario dell’inceneritore di Augusta, guidato ancora da Actelios, mentre costituisce un pezzo forte del consorzio Sicil Power, che si è aggiudicata l’appalto dell’inceneritore di Messina. A fare la differenza sono comunque due dettagli. Sia i Pisante sia Gulino recano un passato giudiziario importante. I primi, che proprio con l’imprenditore ennese sono stati dentro l’affare dei rifiuti di MessinAmbiente, finito in scandalo con numerosi arresti, risultano inseriti in modo strategico, con presenze quindi a tutto campo, nell’altro ambito interessato dall’Arra: quello dell’acqua. Ebbene, tutto questo, ancora una volta, non può essere considerato casuale. Richiama bensì concertazioni mirate, una macchina in movimento, che trova riscontri proprio nei modi in cui l’Agenzia di Crosta si è posta sul terreno delle risorse idriche.

In effetti, pure da tale prospettiva sono andati creandosi strani miscugli, largamente condivisi dai potentati regionali. Il momento di avvio, che in qualche modo ha aperto le piste dell’affare siciliano, si è avuto comunque con l’entrata in campo della multinazionale francese Veolia intorno al 2003. Tale società aveva già stretto un patto di ferro con i Pisante, attraverso la condivisione del pacchetto azionario della Siba, che aveva assunto gestioni di acqua e depuratori lungo tutta la penisola. Volgendosi alla Sicilia, recava quindi buone ragioni per fare cordata con l’alleato pugliese, che peraltro, proprio nell’isola recava interessi e referenti. Pure con questi ultimi, beninteso, la multinazionale ha dovuto fare i conti. Si è ritrovata a interloquire infatti con il Gulino di Altecoen e ha dovuto riconoscere spazi di tutto rispetto al nisseno Di Vincenzo. In tali termini si compiva quindi, nel 2004, la maggiore esperienza di privatizzazione dell’acqua nell’isola, con il passaggio degli acquedotti dall’Eas a Sicilacque. E Felice Crosta, nelle vesti allora di commissario straordinario all’emergenza, sul piano strettamente operativo ne è stato l’artefice, per diventarne infine, da plenipotenziario dell’Arra, il garante.

Nell’aprile 2004, Salvatore Cuffaro dichiarava solennemente che la privatizzazione era ormai pressoché fatta e l’emergenza in via di superamento. Ma le aspettative di un iter veloce e confortevole della prima sono durate poco. L’istituzione dell’Agenzia è apparsa la risposta idonea. E in una certa misura lo è stata, se è riuscita, appunto, ad avocare a sé poteri, a stabilire quindi regole e direzioni di marcia in tutto il territorio regionale. Non si è tenuto tuttavia conto di talune situazioni sul terreno, che sono andate facendosi sempre più magmatiche. Non si tratta solo dei ricorsi al Tar, che nella definizione degli appalti sono diventati una consuetudine. Né delle direttive comunitarie, che pure hanno costituito uno scoglio difficile, talora addirittura insuperabile. È maggiormente lungo il perimetro degli Ato che il disegno strategico di Crosta è andato impigliandosi. A partire dagli Ato stessi. Ne sarebbero potuti nascere uno per provincia. Ne sono risultati 27, che contano ben 189 consiglieri d’amministrazione. In sintonia con contraenti privati, sotto comunque le direttive dell’Arra, le autorità di Ambito avrebbero dovuto mettere ordine nei servizi idrici e nel ciclo dei rifiuti, invece su entrambe le linee si è finiti in piena calamità. In ultimo, l’intera macchina degli Ato è entrata in crisi, fino al limite del dissesto, con un indebitamento complessivo di quasi un miliardo di euro, non tanto per le difficoltà economiche degli enti locali di riferimento, pur significative, quanto per i modi in cui ha gestito le proprie economie, a partire dalle spese di funzionamento, che non costituiscono beninteso le maggiori. Alcuni numeri al riguardo sono eloquenti: solo i 189 consiglieri di amministrazione costano ai comuni circa 12 milioni di euro l’anno; una somma analoga viene destinata a incarichi di consulenza; qualche milione viene speso addirittura per le auto blu.

L’Agenzia di Crosta è andata portandosi, come è evidente, su un terreno critico. Alle emergenze che ne hanno garantito la sopravvivenza e il potere, se ne sono aggiunte infatti altre, meno controllabili, tanto più in tempi di recessione. D’altra parte, restano impegnative le pretese del privato, entro cui insistono a influire le ipoteche della tradizione. Garante di un sistema che ha incluso ed escluso, l’Arra ha sempre rispettato i patti con i contraenti, visibili e sottintesi. Ne danno conto i capitoli di spesa della Regione, l’impiego di fondi europei, la concessione a certe condizioni del patrimonio pubblico, la condivisione o la tolleranza di taluni stati di fatto. Con l’apporto decisivo degli Ato e non solo, ha finito quindi con il rendere sistema, più ancora che in passato, lo spreco di risorse. Mentre si consuma allora il fallimento del piano rifiuti, Felice Crosta può trovare confacente siglare un accordo con Actelios e Sicil Power, con cui viene stabilito in 200 milioni di euro la somma che dovrà essere pagata alle medesime a titolo di penale per l’annullamento dell’appalto degli inceneritori: un importo, appunto, che lascia tanto dubitare. A dispetto dell’obbligo di astensione, l’Arra trova altresì confacente proporre nuovi bandi di gara, che violano di fatto l’obbligo di esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia Ue, oltre che i princìpi della libera concorrenza. E ancora, di concerto con la Regione, che intanto ha dovuto farsi carico dei 540 milioni di debiti accumulati dall’Eas, trova congruo che gli indebitamenti degli Ato vengano risanati, come è avvenuto nel caso di Simeto Ambiente, con i fondi delle autonomie locali.

Tutto questo ha recato beninteso dei costi, che possono esporre l’autorità regionale a una serie di pericoli. Alcuni segnali possono persino evocare gli anni dell’Eas di Aristide Gunnella, finiti in scandalo: il crepuscolo cioè di un sistema che nei decenni della Dc aveva espresso i caratteri di un feudo. In tutta la Sicilia è in effetti allarme. Le denunce si moltiplicano. In numerosi centri la protesta, che sempre più riunisce l’intera banda delle emergenze, giunge a coinvolgere sindaci ed esponenti degli stessi partiti che governano la Regione. E dal palazzo liberty da cui muovono Crosta e i suoi commissari ad acta si colgono indizi di tensione, mentre la partita dei termovalorizzatori, sempre più influente e contaminante, rischia di generare ulteriori scoperture. Su tali sfondi trova senso allora la decisione di sciogliere l’Agenzia, presa dall’Ars il 28 novembre 2008, su proposta del consigliere Giuseppe Laccoto del Pd. Il termine delle operazioni di chiusura è stato fissato nel 31 dicembre 2009, dopo cui è prevista l’entrata in funzione di un Dipartimento delle acque e dei rifiuti presso il nuovo assessorato dell’Energia. Ma per il sistema vigente è scoccato realmente l’inizio della fine?

L’Arra, espressione del potere regionale, si è resa garante di equilibri delicati, fino a divenire l’emblema, si direbbe il monumento, della privatizzazione in stile siciliano. Non può quindi scomparire senza che se ne avvertano serie risonanze. Crosta in particolare si è assunto l’onere di condurre in porto progetti che restano largamente irrisolti. Esistono servizi idrici da assegnare in aree importanti, come quelle di Messina e Trapani. La problematica dei termovalorizzatori rimane appunto nelle secche. Per tali ragioni, e non solo, è difficile che entro il dicembre 2009 i conti possano essere chiusi. Se da parte dell’opposizione, con un emendamento proposto dallo stesso Laccoto, è stato chiesto quindi di anticipare lo scioglimento dell’Agenzia e il passaggio di consegne, nell’ambito dei partiti di maggioranza si sta operando perché la decisione dell’Ars venga rivista, elusa, fatta decadere. In questa direzione va in particolare la presa di posizione del capogruppo dell’Udc Rudy Maira, secondo cui la professionalità acquisita sul campo dai funzionari dell’Arra non è sostituibile. Il resto, ovviamente, va facendosi in sordina.

Fonte: “L’isola possibile” rivista mensile siciliana allegata a “Il Manifesto”.

Caro Salvatore, stamattina mentre scrivo e ci penso già in via D'Amelio

bucoCaro Salvatore,

stavo rimasticando questi quattro fogli tutti pieghe e mezze orecchie che da qualche giorno mi chiedono di urlare. Sto scrivendo, innamorato del privilegio e la responsabilità, questo mezzo pugno da liberare in via D’Amelio che si è acceso con il  nostro abbraccio di qualche mese fa. E mentre mi ascolto in quel fiume così comodo tra la testa e il dito, ripenso a quella tua faccia serena mentre mi dicevi “io so”. E questa mattina, che si prepara alla mia nuova galera per salvarmi, mi soffia un pensiero osceno: in fondo tu hai vinto, Salvatore, comunque vada in questa partita bislacca che si è incastrata tra i silenzi bollati di quelle mila fotocopie fatte sempre storte dai tribunali. In fondo adesso rimane il resto: tutto quel calcolare, incastrare e scegliere la forma di questo diciassettesimo anniversario omicida in via D’Amelio. Dicono gli Dei della cabala che il diciassettesimo debba essere per numerologia la volta più nera, quella che pesa addosso a qualcuno per tutte le altre. E allora anche la cabala questa mattina ci sorride e ci prende sottobraccio per imbarcarsi con noi. Perchè io so, all’ombra rincuorante e fresca di quel tuo dolore mai arreso e della tua rabbia comunque educata, che resuscitare un funerale lungo diciassette anni è un rito coraggioso e vincente. Come una rincorsa lunga sedici anni per ammonire che il ricordo si esercita solo dopo aver saputo, capito e visto in faccia. Tu lo sai bene quanto ogni mattina è pieno il mondo di orfani, vedove e pendolari del lutto che spolverano il marmo; ecco, Salvatore, io dentro questi fogli vorrei metterci invece tutta la polvere degli anni prima, ed atterrare in via D’Amelio con due sacchi di iuta per farli sbuffare sul palco. Perchè la forma turpe e sconcia di quella nuvola almeno ti faccia sorridere, almeno un secondo, di ritrovare disegnata questa tua intollerabile coltre che ti si è appoggiata sul cuore, questo velo mendace che il 19 luglio ci ritroviamo tutti insieme a provare a sparecchiare. Anche io “so”, Salvatore, che quel giorno saremo lì, tutti insieme, per svestirici dal lutto, buttare le corone di fiori e, se serve, anche per mano, sporgerci senza paura per guardare dentro a quel buco.

Radio Mafiopoli 27 – Tanti auguri Matteo Messina Soldino

E’ una settimana strana giù a Mafiopoli. Solita settimana di corrispondenze di segnali, missive e tentati attentati come nella migliore tradizione della corrispondenza mafiopolitana: la lettera indirizzata a Vincenzo Conticello e “i suoi sbirri” come dicono loro, il tentato sventato attentato a Rosario Crocetta di cui parliamo nel blog (https://www.giuliocavalli.net/diario/2009/04/27/lo-schiaffio-a-cinque-mani-e-una-carezzasulla-guancia-di-rosario-crocetta/) e altri tagli e ritagli che rispettano la loro unta tradizione di comunicare per gesti come i loro avi mafiosi di Neanderthal.
Piera Aiello è stata tradita. Testimone di giustizia in località segreta e molto spesso segretata com’è uso giù a Mafiopoli per esprimere gratitudine ai testimoni giustiziati, è stata tradita probabilmente (dicono i bene informati che spesso si confondono con i mala informatori)  da qualcuno di quelli che dovrebbero occuparsi della sua sicurezza. Pas mal, dice il sindaco di Mafiopoli, “se hanno saputo dove si trova per una lingua troppo lunga è solo perché alle istituzioni interessa ogni tanto farla risentire a casa”. E giù una grossa risata, quella fragorosa e fangosa che serve per zittire le notizie.
Intanto il nord bella addormentata si risveglia con i soliti noti che continuano la colonizzazione, in attesa della grande eiaculazione targata expo’.  Caselli l’aveva detto: “La ‘ndrangheta che fa i soldi con i subappalti e il lavoro nero. Cosa Nostra che. E’ il primo impegno. In memoria di Bruno Caccia, il procuratore ucciso dai killer del clan Belfiore.” Subito i sindacati mafiopolitani l’hanno denunciato per pubblicità occulta e indebito uso del marchio. Perché Mafiopoli è il mondo della pubblicità, quella che descrive e esalta per vendere e minimizza e disconosce per vendere ancora meglio.
A Milano in viale Zara, in quel di Cernu¬sco sul Naviglio, e poi a Colo¬gno Monzese, Brescia, Cremo¬na, Padova, Lucca i Casalesi (si vede perché infondo in fondo si annoiavano visto com’è troppo facile e senza emozioni fare mafie giù al nord) avevano anche deciso di mettersi a giocare al Bingo. “L’unico gioco d’azzardo legale in Italia” diceva una volta una vecchia pubblicità; forse il vero azzardo era dire una cosa del genere. Ciro Girillo un anno fa si era presentato ai carabinieri di Fuorigrotta tutto mezzo sparato. Ora che per questa storia di giochi, carte e tombolate l’hanno arrestato si è capito tutto: lo volevano ammazzare Grasso e gli amici di Rififi al secolo Mario Iovine. Il movente? Una discussione sulla liceità della cinquina. Una delle società si chiama “Dea bendata” srl; sono in corso le pratiche per rinominarla “Ammazza la cinquina spa”.
Da Gela, La Rosa e Trubia, oltreché progettare di metterci una crocetta sopra al sindaco gelese Rosario Crocetta, imponevano il pizzo anche a Milano. Già pronta una modifica alla legge sul federalismo che regoli il racket.
A Bertonico, provincia della Popolare di Lodi, hanno arrestato tra gli altri nell’operazione “Ragazzi Cattivi” Daniele D’Apote. Nel salvadanaio a forma di Riina aveva 2 milioni di euro in monetine da cinquanta. “Avevo un conto corrente alla Popolare negli anni d’oro!” si è difeso il l’aspirante ‘ndranghetista.
Ad Agrigento tre collaboratori di giustizia in un solo giorno. Fra la mattina e il pomeriggio del 27 aprile depongono, in due distinti processi, i “pentiti” Maurizio Di Gati, Giuseppe Vaccaro e Giuseppe Sardino. Dal carcere Binnu Provenzano scarica la colpa sulla crisi e annuncia la “Social Card” per i mafiosi in difficoltà.
Ma il problema mafia al nord e a Milano è i mani sicure. Giovanni Terzi assessore al Comune di Milano infatti durante una lezione speciale tenuta allo Iulm con Klaus Davi a fargli da velina ha dichiarato: ”A Milano c’e’ la ‘ndrangheta? Se e’ così, li vorrei vedere tutti in galera. Limitandosi ad annunciarlo in tv non si fa solo strumentale allarmismo? Chiedo, quindi, che intervenga lo Stato e li metta in galera. Se davvero ci sono a Milano, sbattiamoli dentro!”. Dopo Alberoni nessuno degli studenti pensava di potere cadere più in basso.
Tanti auguri a Matteo Messina Denaro per gli amici Soldino. Per Matteo Messina Denaro la guerra di Cosa Nostra allo Stato è una guerra giusta. A 14 anni già sparava. A 18 uccideva. A 31 metteva le bombe al Nord, prima a Roma, contro Maurizio Costanzo e la Chiesa, poi a Firenze e Milano. Oggi è a capo di una holding imprenditoriale: donne, affari, appalti, e grandi imprese. Matteo Messina Denaro è un  mafioso di altra generazione, è soprattutto un gran viveur. Qualcuno lo ricorda mentre scorazzava in Porche verso Selinunte. Pantaloni Versace, Rolex Daytona, foulard. Quando Riina lo incaricò di pedinare Falcone, Martelli e Maurizio Costanzo a Roma, a fine ’91, lui -racconta uno dei boss ora pentito che lo accompagnava, il mazarese Vincenzo Sinacori – trovava sempre il tempo di fare una buona scorta di camicie nel negozio più esclusivo di via Condotti e andava a mangiare nei locali più «in». Confuso fra la bella gente, aiutato, ieri come oggi, dal fatto che come dice spesso “lui non ha la faccia da vecchio mafioso siciliano”. Ma il volto è quello della nuova mafia, fatta da professionisti e «colletti bianchi». Il nostro augurio è che qualcuno arrivi presto a tirarti le orecchie. Per un compleanno alla Catturandi.

Lo schiaffo a cinque mani (e una carezza) sulla guancia di Rosario Crocetta

crocettaLa notizia dell’ennesimo agguato progettato ai danni di Rosario Crocetta è uno schiaffo. Uno schiaffo a cinque mani anche se di mezzo c’è pure una carezza. E’ un polipo che ti sbava in faccia, con la viscosità unta e senza dignità di quel mollusco senza spina dorsale che supplica di continuare a farsi chiamare mafia per farsi forza del marchio.

Il primo  schiaffo ha l’odore sabbioso della polvere da sparo che si ficca in gola asciugandosi sotto la lingua. E’ la polvere dello sbriciolamento delle bande che infilano le idee dentro un buco, di questi mezzi uomini che sanguinano paura perchè se la fanno addosso. Saverio La Rosa e Maurizio Trubia oggi ci consegnano il solito Rosario che brilla con quel suo solito profilo senza macchie di unto ma ci ribadisce che oggi sono La Rosa e Trubia, ieri erano gli Emmanuello e domani saranno un cognome che non importa nemmeno come suoni ma che comunque puzza. Puzza di un ardimento mentale che stona come sempre per gli avidi che giocano solo fuori dalle regole. Il segno delle cinque dita è da incorniciare per ricordarci come giocano sporco.

Il secondo schiaffo ha l’odore acre della perseveranza. Ma la perseveranza marcia di ricondannare chi è già condannato a morte. Per ricordarci che la memoria asfittica che si ricorda di ammazzare non ha i tempi dei rinnovi di scorte, tutele e carte bollate.

Il terzo schiaffo è per la prepotente presunzione ebete di Milano che non vuole saperne. E la base degli assassini a progetto era proprio nel cuore della Milano bella addormentata. Per oliare per bene l’unico ponte che esiste già dalla Sicilia alla culla della finanza. L’unico ponte che si rinsalda anche a forza di spalmare calcestruzzo depotenziato.

Il quarto schiaffo è per l’uomo. Per il Rosario che abita dentro Rosario e che forse in questi giorni si è ranicchiato ancora più forte in un angolino. Il suo primo pensiero alla preoccupazione della madre e delle famiglie degli uomini di scorta è una lezione di lealtà. Quella lealtà che non costruisce la notizia, non lenisce il dolore ma riporta le persone tra le persone e le divide forte dal mucchio degli omuncoli.

L’ultimo schiaffo è quello degli omuncoli. Che non viene dato in faccia ma spesso si presenta con un sorriso di falsa cortesia e una stretta di mano. Profuma di quell’essenza vomitevolmente dolce delle puttane con il boa di struzzo che sorridono con la delazione continua, incapaci di costruirsi un sorriso tutto per loro. Di quei compagni che sparano senza sparare, che s’insinuano tra le pieghe delle ferite che fingono di capire. Quelle lingue di catrame che leccano la suola delle scarpe sperando di poter prendere una forma. Ma che rimangono mollusche, fetide e lumachesche mentre la testa rimbomba e il cuore ammuffisce. Come si conviene agli omuncoli.

Poi c’è la carezza. E quella non ha nemmeno bisogno di parole. Perchè Rosario è abituato agli spifferi,e tra gli spifferi arrivano anche gli abbracci.

Siamo con te, Saro.

Per esprimere solidarietà sosteniamocrocetta@gmail.com

Sono morti perché noi non eravamo abbastanza vivi: LOTTA CIVILE di Antonella Mascali

lottacivileC’è una legge non scritta depositata tra le sacerdotesse del buongusto che ci insegna che parlare di morti è esercizio solo per criminologi, pessimisti o complottisti. Al massimo possono essere raccontati in qualche serata di fiction ma dopo averli attentamente sterilizzati, perchè i bacilli dei cadaveri ma soprattutto le facce degli assassini aprono quel dubbio dal velo nero che terrorizza la casalinga di Voghera. Eppure dove c’è un morto ammazzato per mano di mafia tutto intorno c’è una famiglia che apre la porta ed esce di casa per alzare la testa. Non credo che sia un esercizio di coscienza leggero prendere la penna, il quaderno e il registratore per bussare le porte ai figli, le mogli e dare forma di un capitolo alle storie che camminano ancora per casa. Antonella Mascali ci è riuscita con un tratto leggero lì dove la leggerezza è una brezza di primavera che riesce a non lasciarti sepolto e schiacciato dal dolore che c’è nelle lancette delle ultime ore di dodici persone esemplari che ancora di più oggi andrebbero ascoltate. Perché sono morti ma hanno così tanto da dire che ogni libro, serata o voce che ce li racconti è una carezza che ci meritiamo per smetterla di mettere il naso sotto la coperta comoda della paura, o della codardia, o peggio ancora della viltà. Va letto perché nonostante le ombre di fango e merda che hanno impugnato l’arma alla fine è un libro che profuma. E che lascia un alone di speranza. Del dovere di speranza, soprattutto se a portarcela in mano sono proprio i figli, i mariti e le mogli.

Dal dolore privato all’impegno nelle scuole, nelle carceri, nella pubblica amministrazione. Giorno per giorno. È ciò che contraddistingue questo libro. Dodici storie esemplari, raccontate da chi le ha vissute sulla propria pelle. I familiari delle vittime che hanno trasformato la sofferenza in denuncia e in lavoro concreto nella società. Con il sostegno di Libera e delle Fondazioni dedicate a chi ha combattuto per ciò in cui credeva, fino a morire. È essenziale ricordarli: da Giuseppe Fava a Rocco Chinnici, da Beppe Montana a Roberto Antiochia, da Marcello Torre a Silvia Ruotolo, da Libero Grassi a Vincenzo Grasso, fino a Barbara Asta ai figli Giuseppe e Salvatore, e ancora Mauro Rostagno, Francesco Marcone, Renata Fonte. Le loro battaglie sono diventate le battaglie di figli, fratelli, mogli e mariti. Nando dalla Chiesa, nell’intervista che chiude il libro, afferma: “Bisogna cominciare a dire le cose che provocano reazioni ma che sono vere”. Lo sta facendo chi ha subito perdite irrimediabili e oggi, in prima persona, diventa artefice di una vera e propria resistenza civile. Prefazione di don Luigi Ciotti.

Titolo Lotta civile
Autore Mascali Antonella
Prezzo € 14,60
Prezzi in altre valute
Dati 2009, XX-305 p., brossura
Editore Chiarelettere (collana Reverse)

[Comunicato stampa] Bloccata la data del 23 aprile a Lodi dello spettacolo “Diluvio Universale” di De’ Giorgi, ecco perchè:

GIANPIERO FIORANI BLOCCA LA RAPPRESENTAZIONE A LODI DI UNO SPETTACOLO TEATRALE SULLA VICENDA ANTONVENETA/BANCA POPOLARE E DIFFIDA L’ATTORE GIULIO CAVALLI, ORGANIZZATORE DELLA SERATA

Lodi, 15 aprile 2009 – La decisione dell’attore e regista Giulio Cavalli di organizzare a Lodi la rappresentazione dello spettacolo teatrale “Previsioni meteo: diluvio universale – the rise and fall of Gianpy” di Eugenio de’ Giorgi, scatena le ire di Gianpiero Fiorani, che tramite i suoi legali diffida Giulio Cavalli dal dare corso alla rappresentazione e successivamente, non avendo ottenuto quanto richiesto, comunica di vedersi “costretto ad agire per ottenere il risarcimento degli ingentissimi danni che derivano dalla denunciata situazione di illiceità”.

Lo spettacolo, che era atteso a Lodi per il 23 aprile, è tratto dal libro Capitalismo di rapina di Paolo Biondani, Mario Gerevini e Vittorio Malaguti, (ed. Chiarelettere 2007) e ripercorre le tappe della scalata Antonveneta, la storia quotidiana fatta di corruzioni, manovre losche e intercettazioni imbarazzanti dei furbetti del quartierino.

Fiorani stesso, tramite legali, fa sapere che “è francamente sconcertante che, essendo in corso il processo relativo all’accertamento dei fatti si possa ritenere civile e legittimo rappresentare quanto accaduto in modo distorto, danneggiando così non solo persone a tutt’oggi innocenti, ma soprattutto il lavoro delle istituzioni”. In seguito alla lettera di diffida di Fiorani a rappresentare lo spettacolo, è stata ritirata la disponibilità della location lodigiana prevista per la messa in scena, mossa che ha riconosciuto implicitamente a Fiorani il potere non solo di sopprimere uno spettacolo teatrale, ma anche di minare le forme dell’informazione stessa.

Un atto spiacevole quello di Fiorani nei confronti di Giulio Cavalli, che rappresenta un gesto di intimidazione per impedire che i cittadini lodigiani possano liberamente assistere ad uno spettacolo che si propone, attraverso materiali documentari, solo di fare informazione. Atto gravissimo e paradossale, considerato che lo stesso spettacolo è già stato rappresentato su Milano nel gennaio del 2009. A questo proposito scrive l’avvocato Pietro Gabriele Roveda, legale di Giulio Cavalli: “lo spettacolo “Diluvio Universale” è stato in scena a Milano presso il Teatro Olmetto dallo scorso 12 gennaio 2009 e non risulta che l’Autorità Giudiziaria sia intervenuta ad inibirne la rappresentazione. In merito alla possibilità che la messa in scena possa turbare il corretto svolgimento dell’attività processuale in corso, la decisione spetta unicamente all’Autorità Giudiziaria procedente, a cui il dr. Fiorani può indirizzare le proprie doglianze. Sommessamente rilevo che, per quanto si apprende dalla stampa, il dr. Fiorani è coinvolto in processi – in corso – anche presso il tribunale di Milano, che non ha ritenuto di bloccare le rappresentazioni in quella città. Per quanto attiene al merito dello spettacolo il dr. Fiorani potrà rivolgersi direttamente all’autore, pure se lo stesso spettacolo è la trasposizione fedele del libro “Capitalismo di rapina” (Biondani – Gerevini – Malagutti; ed Chiarelettere 2007), e riguarda quindi fatti già pubblicati.”

Ha dichiarato l’attore Giulio Cavalli:  “La vicenda esonda dal merito di questo spettacolo nello specifico: qui si tratta di dover ribadire il diritto di rappresentare con il mezzo teatrale una vicenda nel cuore stesso della città in cui è nata. Il diritto di opinione (sia essa sulle colonne di un giornale o su di un palcoscenico) non è un rebus da giocarsi tra me e il dr. Fiorani ma molto più banalmente un diritto sancito dall’articolo 21 della Costituzione; proprio per questo lo rivendico con forza e convinzione. Lo stesso diritto che eserciteranno i cittadini spettatori nell’applaudire o criticare la rappresentazione. Nonostante il mio “religioso” attaccamento al teatro come forma di opinione mi sorprende che una semplice rappresentazione possa addirittura diventare  d’intralcio per le istituzioni. Le prenotazioni ricevute, il sostegno dimostratomi e soprattutto il neonato comitato organizzatore formato da diverse associazioni del territorio che gestiranno con noi la realizzazione della serata, dimostrano l’esigenza che lo spettacolo di De’ Giorgi sia visto e giudicato anche a Lodi. Sono comunque pronto a bloccare la realizzazione dello spettacolo nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria (e non certo il dr. Fiorani) dovesse ritenerlo opportuno.”

L’organizzazione dello spettacolo (curata da Associazione culturale Adelante!, Associazione culturale Bottega dei Mestieri Teatrali – Teatro Nebiolo, Associazione culturale Casa del Popolo, Centro Documentazione Teatro Civile, Circoscrizione locale dei soci di Banca Etica della provincia di Lodi, Laboratorio per la Città, Legambiente Lodi, Punto Informativo Finanza Etica, Rete Lilliput-Nodo di Lodi) comunicherà nei prossimi giorni la nuova data e il luogo (per cui è stata fatta richiesta al Comune di Lodi).

Ufficio Stampa Giulio Cavalli
Alessandra Depaoli
3477519671 aledepaoli78@gmail.com