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Radio Mafiopoli 18 – Cani boss e boss cani

Tanto va il mafiuso al lardo che ci lascia lo zampino. A Mafiopoli ti giri un secondo e casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra. Settimana di boss che sparano ai cani, di onorevoli pizzi squartariati e soprattutto di boss cani. Ma andiamo con ordine:

A Partinico-Borgetto, provincia di Mafiopoli, zampettava e saltellava felice il Salto Nicolò con Antonio e Alessandro. I Salto a Mafiopoli sono famiglia ballerina, come si evince dal cognome. Nicolò Salto è l’Higlander della provincia, come se fosse il Cristopher Lambert di Cosa Nostra, come se fosse l’uomo tutto buchi, come se fosse Antani: colpito in pieno centro da quattro spari appena uscito dalla villeggiatura carceraria non morì morto sparato come gli umani ma resuscitò senza nemmeno aspettare il terzo giorno.

– Come avrà fatto? (chiedono i benigni) Avrà usato preghiere particolari? Avrà comprato medicinali speciali?
Eh sì, insieme ai Salto saltano i fratelli Bacarella ( dal nome del baco in testa e la strizza nelle mutande), La Puma e Musso, che di nome fa pure Santo, Francesco e Giuseppe D’Amico (degli amici), e poi Nania, Brugnano il boss Giambrone e per finire in bellezza Salvatore Corrao; che almeno, dicono i Mafiopoli, almeno per finirci con la rima a Pietro Rao. Evviva, evviva, bum bum. Mafiopolitani doc che per esercitare la pistola e il neurone giocavano a guardie e ladri con i loro simili e tutti contenti sparavano ai cani. Cani che sparano ai cani, come nei cartoni giapponesi ma alla mafiopolitana. E tutti intorno all’inchino per rispetto e amore per i boss cani che sparano ai cani boss. Con la rima pure qui.
Pizzo felice anche dalle zone di Caltanissetta, dove spadroneggiano i madonnari dei Madonìa felici e contenti come cani non sparati. Qualcuno sussurra che il presidente della Provincia che di nome e di cognome mica per niente fa’ Giuseppe e Federico tanto per mischiare le carte. A fare il tramite Gaetano  che di cognome è Palermo anche se sta dalle parti di Caltanisetta, tanto per mischiare le carte. A Gaetano è apparsa a parlare di politica la Madonìa, precisamente la Madonia Maria Stella e Cometa di soprannome. E così giù a Mafiopoli spopolano le epifanie, al sud e al nord, per i voti di scambio e per gli altri Palermo più lontani che anche lombardi e in trasferta giocano alle apparizioni. Tutto il gioco giocato dal grande capo “Piddu” che il 41 bis gli fa’ un baffo.
E poi la chiusa della settimana con Maria Concetta Riina figlia di Totò che chiude in posa di annunciatrice dell’annunciazione televisiva. Ci dice che Totò e buono, che Totò è generoso, che Totò è alto, che Totò è bello, che Totò è azzurro e che non trova lavoro. E le brillano gli occhi a saperlo rinchiuso.
– Almeno lui da vivo e non dentro il legno. Dicono i maligni…
Ma Concetta non ascolta, Concetta si esibisce, parla fiera di suo padre che non parla.
– Almeno lui da vivo e non dentro il legno. Dicono i maligni…
Ma Concetta non ascolta, Concetta si esibisce, parla fiera di com’è difficile vivere scappando.
E la dignità fa’ un inchino, tira la corda e se ne va. Alla televisiva.

Carlo Rivolta

Carlo Rivolta

Mi ricordo di lui e del profumo di polvere del Teatro alle Vigne. Saranno dieci anni che lo guardavo nella sua magrezza imponente tutta voce e scheletro. Non lo avevo capito. Ci sono incomprensioni che ti cambiano la vita: entrano senza bussare, accendono una lampadina e non lasciano nemmeno un biglietto per capirsi. C’è qualcosa qui, oggi, sulla scrivania di fogli contro polvere che sbordano sul palco che è una lampadina con il profumo di Carlo sopra la platea. Con il cruccio mai cicatrizzato di non essermelo andato a cercare in tempo. Ciao Carlo, te lo scrivo adesso quando è piena anche senza la scia della notizia e del ricordo per le foto dell’ipocrisia di rito.

Radio Mafiopoli 17 -Il boss Semola, topo di fogna

http://www.radiomafiopoli.org/?p=410

C’era una volta, tanto tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un piccolo topolino di nome Semola. Semola era un topolino molto birichino e tutti i suoi compagni gli raccomandavano di imparare presto la buona educazione.
–    Io non voglio essere un topolino educato! Io voglio diventare un topo boss!
Diceva Semola mentre continuava con i suoi scherzi in giro per il paese. E sparava con i suo baffi appuntiti e il suo muso da topo, rompeva i coglioni ai topi degli altri e soprattutto sognava… sognava con topo Cirillo, topo Letizia, topo Spagnuolo, sognava di diventare come i suoi eroi Sandokan Schiavone e Cicciotto ‘e mezzanotte Bidognetti, i due topi boss che da buoni topi rosicchiano intorno al frutto della dignità finché non ci si accorge che è rimasto solo il torsolo. Sono una razza strana i topi di Gomorra: cominciano da ragazzini come tutti i topi a giocare a flipper all’azione cattolica ma poi si fanno prendere troppo la mano dalle gare di guardie e ladri. E scavalcano a martellate i propri limiti da topo sulla pelle degli altri.
–    Topo Semola, fai attenzione, gli amici seduti sulle pistole durano solo finché non si scaricano.
Gli diceva Topo Saggio.
–    Non è vero! Io sono il capo! E i miei amici hanno bisogno di un capo!
Ma nel mondo dei topi di Gomorra i capi sono vuoti a rendere e in giro c’è sempre qualche Topo Monezzaro che per un soldo di cacio ti insabbia sotto qualche orto. Semola già una volta l’avevano preso al gioco  del giro perché aveva barato e si era preso la penalità della galera, come a Monopoli. A forza di toccarsi mentre si guardava a fare il boss però aveva finito di far vedere che era diventato quasi cieco, anche se i bene informati dicono che non gli sia caduto il pisellino. Quasi cieco ma pisellato era scappato e tornato di nuovo in gara. Il tipico caso di svista, quando a Mafiopoli si chiude un occhio.
–    Ha barato! Non vale! Non può rientrare nel gioco!
–    Sì che vale! Sono Topo Semola e arriverò sempre più in alto, lì dove merito di stare!
Ma l’amicizia tra i topi di Gomorra dura il tempo di uno sparo e piano piano anche i topamici più fidati cominciavano a stancarsi perché non servono troppi capi in un gioco dove non ci sono regole. E l’amicizia scende appena dopo a quando scende la cocaina.
Un giorno topo Semola era stiracchiato nel suo covo con una fetta di formaggio con i buchi e da lontano si sente che bussa la polizia.
–    Ma non vale! Non era arimo? Chiede Semola
–    Arimo sta cippa! Disse l’unico amico che gli era rimasto a dividere il covo con Semola e la moglie, ma non la moglie.
Cominciarono a correre che sembravano dei topi a reazione e scesero giù per il tombino sotto il letto che gli aveva costruito su misura l’Istrice Ficcabuchi.
Corrono, corrono e arrivano nelle fogne di Mafiopoli: Semola, il suo ultimo amico e intorno tutta la pupù. Ma non la moglie, che per spegnere il fuoco sotto la caponata si era fatta arrestare.
–    Che schifo! Andiamo subito via di qui! Non possiamo stare nella fogna! Sono un topo civilizzato.
Ma qui Semola sbagliava. Caro Semola ogni cosa al suo posto, come diceva Topo Saggio, e non è normale che un topo si metta a sognare di continuare a scavalcare senza ricordare che un gioco sleale finisce con lo sciacquone. E così la favola di topo Semola finisce proprio male, una favola nel cesso, una favola anormale, come Via col Vento che finisce che s’infischia o peggio ancora i Promessi Sposi che per il catering sono costretti a rimandare il rituale. E la morale? Cum grano salis.

Radio Mafiopoli 16 – Non c’è niente da ridere

Attenzione attenzione! Attenzionatevi! Radio Mafiopoli è inciampata per sbaglio in quel di Palermo. Sempre falsa, fastidiosa, strumentalizzante, strumentalizzabile, sciantosa, sciatta e menefreghista. È inciampata davanti alla Focacceria di San Francesco, anche se Radio Mafiopoli non è santa, ma nemmeno puttana. C’era gente, gentaglia, saccheggiatori di memoria e fastidiosi portatori unici di antimafia certificata. E dietro uomini, donne, ragazzi, contestatori, amatori, illusi e disillusi. Ma tanti. Lì per sbaglio, di sicuro, perchè l’altra strada era un senso unico. Senso unico convinto, creduto e voluto; come il nostro, alla Radio Mafiopolitana.

Radio Mafiopoli 15a puntata: “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” In memoria di Beppe e Pippo

La memoria vien di notte. Con le scarpe tutte rotte. Una memoria imbefanita, al saldo, memoria in recessione. Mafiopoli è maestra di lesinare memoria in modo inversamente proporzionale all’impacchettamento degli eroi. – il rinnovamento degli eroi è il successo dei consumi! Urla il Principe di Mafiopoli durante l’inaugurazione del ponte da Messina alle coscienze impermeabili. Stiamo varando un decreto legge per una finanziaria della memoria 2009. Una legge che sarà un successo di senso e di consenso! Continua il principe. Vareremo nel privè del palazzo della regione una nuova memoria a misura del nostro uomo: una memoria ad alta velocità, una memoria sparente, memoria nuova con filtro antiparticolato che potrà girare anche nei giorni di memorie alterne e che soprattutto eliminerà quanto prima la memoria passata. La memoria vecchia che urtica perché stride con la nostalgia. E la nostalgia non è proprio un sentimento da città moderna che deve infettarsi al tempo di un jazz. Mafiopolitani, smettete di lottare! Urla il Ministro Per La Tranquillità al saldo per pochi spicci, perché lottare quando c’è già il ricordo in prima serata in pay per view? Tutto il popolo, ai piedi del campanile del palazzo, acconsente, annuisce e annichilisce; in un budino marrone e fermo per la distrazione del buon governo.
Ricordare – parla l’uomo con il piattino per le offerte – ricordare è un esercizio per non dover ricominciare!
E tutti da sotto il campanile a cercare l’anagramma con la faccia che non scuoce.
Ricordare – parla l’uomo con il piattino per le offerte – la lotta contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio diceva Kundera!
E tutti da sotto il campanile a scartare la coscienza in allegato alle patatine.
Ricordare- parla l’uomo con il piattino per le offerte – diceva Borges che siamo la nostra memoria, siamo quel chimerico museo di forme incostanti, quel mucchio di specchi rotti.
Borges? Urlò il principe Macchiavellico con il cappello da cacciatore e il piede sulla pelle di giustizia, – Borges che si preoccupi di arrivare puntuale agli allenamenti!
E tutti da sotto il campanile a scommettere, lo danno 10 a 1, se l’Istat mette la memoria nel paniere.
Pippo e Beppe, se vi arriva Radiomafiopoli, non perdonateglielo. Noi nemmeno.
[ricordo di Sonia Alfano]