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Lega sempre più “pacifista”. Un bel problema per Meloni

Ieri è stato il ministro Matteo Salvini: “invito Macron a tacere. Se Macron pensa alla guerra, si metta l’elmetto, si prenda una fionda e vada lui a combattere”. Per il leader della Lega il pacchetto allo studio del governo del nuovo pacchetto di invio di armi in Ucraina non era “la risposta giusta”. A quel punto il caso politico è stato smorzato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani chiarendo che le armi spedite dall’Italia sarebbero state “solo a scopo difensivo” (per quel poco o niente che significa): “ non diamo materiale che possa essere usato aldilà dei confini, non siamo in guerra con la Russia”. Ha detto il presidente di Forza Italia. 

Eppure l’insofferenza in casa leghista circola da un po’. “Ci preoccupa molto il fatto che si senta parlare solo di armi e che non ci siano iniziative diplomatiche che prevedano l’ipotesi di negoziati”, aveva detto qualche giorno fa il capogruppo leghista in Senato Massimiliano Romeo e l’insofferenza era stata notata da tutti. Oggi il vicesegretario della Lega Andrea Crippa compie un ulteriore passo in avanti e intercettato nei corridoi della Camera dichiara di essere contrario all’invio del Samp-T italiano a Kiev, “uno strumento che non serve più solo a difendere i cittadini ma rischia di essere anche offensivo: questo è uno strumento per fare la guerra alla Russia e noi diciamo no”. Il braccio destro di Salvini – uno dei pochi fedelissimi nella cerchia ristretta del segretario – chiarisce che la Lega è “contro l’invio di altre armi a Kiev e non perché stiamo contro l’Ucraina, ma perché in questo modo non si risolve la guerra che ha provocato così tanti danni ai cittadini, anche in termini economici”. 

Dopo Salvini anche il vicesegretario della Lega Andrea Crippa si dice contrario all’invio di armi in Ucraina

La strategia del leader della Lega è chiara: da aprile i sondaggi dicono che la Lega è il partito più amato dai pacifisti di destra e il segretario ha intenzione di capitalizzare al massimo la posizione fino alle prossime elezioni europee. A questo si aggiungono le posizioni del presidente francese Macron che la Lega non ha mai amato e ora ha l’occasione di utilizzare come pietra angolare per puntare su un messaggio “pacifista” che si opponga all’escalation militare in Ucraina. In più c’è la soddisfazione di creare un forte imbarazzo alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, incastrata dalle promesse fatte in ambito internazionale, che oggi incontra il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg con il fantasma del suo alleato sempre meno credibile nonostante i voti in Parlamento.

Il Parlamento, appunto “è quello che conta”, dicono negli ambienti di Fratelli d’Italia mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto lavora sul nono pacchetto di aiuti. E per ora il voto della Lega alla Camera e al Senato non sembra essere in discussione, nonostante alcuni dissidenti – come Claudio Borghi – che potrebbero astenersi per corroborare la narrazione sotto traccia. A Meloni però non basteranno i numeri per evitare l’isolamento in Ue verso le prossime elezioni. Le posizioni filoatlantiste sono la condizione sine qua non per spostare il Partito dei conservatori e dei riformisti europei (di cui Fratelli d’Italia fa parte) nella possibile maggioranza che verrà a Bruxelles. Un Salvini sempre più radicale sulla contrarietà all’invio di armi in Italia e in Europa è un serio problema di tenuta della narrazione meloniana e alla lunga del governo stesso. Nel quartier generale di Fratelli d’Italia si è deciso di non menzionare l’Ucraina nel programma elettorale per le elezioni europee ma come sempre accade non sarà possibile nascondere la diatriba sotto il tappeto troppo a lungo. 

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Dopo le navi il governo mette nel mirino gli aerei

Dopo le navi, gli aerei. Al governo italiano non basta sabotare il salvataggio in mare con una serie di decreti firmati da Piantedosi che puniscono la troppa voglia di non fare annegare la gente. Dopo il sabotaggio delle navi delle Ong che vengono tenute lontano dalle zone critiche del Mediterraneo caracollando per porti improbabili, dopo la raffica di fermi amministrativi ogni volta smentiti dai tribunali, ora l’Ente nazionale dell’aviazione civile (Enac) vieta agli aerei di osservare (per salvare) dall’alto i barchini dei disperati. Se non si vedono è come se non morissero, secondo i satrapi che tomberebbero tutto quel pezzo di mare che non serve ai bagnanti aperitivisti. 

Con una serie di provvedimenti identici (il 3 maggio per gli aeroporti di Lampedusa, Pantelleria, Comiso e Catania Fontanarossa e tre giorni dopo per quelli di Trapani Birgi, Palermo Punta Raisi e Palermo Bocca di Falco) Enac sceglie “l’interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ong sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale” accusati di “compromettere l’incolumità delle persone migranti” e di sovraccaricare la Guardia costiera italiana nel salvataggio di vite. 

«Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ong come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo», dichiara Sea-Watch che promette: «non fermeremo le operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei». 

I governanti saranno maledetti dalle 2.755 persone in pericolo a bordo di 47 imbarcazioni avvistate solo nei primi tre mesi del 2024 e dalla storia. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: frame del video da un aereo di Sea-Watch sull’intervento della Guardia costiera libica durante il salvataggio di migranti

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Terremoto in Liguria, parla Antoci (M5S): “Così la gente è spinta a non votare”

“Di fronte a notizie così la gente è spinta a non andare a votare. La cosa grave non è solo il segnale devastante che arriva dalla Liguria, ma anche l’aggravante di convincere i cittadini che non sia possibile modificare questi comportamenti”. È preoccupato Giuseppe Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi e attuale presidente onorario della fondazione Caponnetto che ha speso una vita a lottare contro la criminalità organizzata e che ora ha accettato la sfida politica da candidato capolista alle Europee nella circoscrizione isole per il Movimento 5 Stelle. “La gente deve andare a votare”, ci dice.

Antoci, che ne pensa dell’arresto (ai domiciliari), tra gli altri, del presidente della Liguria Giovanni Toti?
“Guardi, al di là della presunzione di innocenza che va garantita, Giuseppe Conte ha proposto un patto di legalità a tutti i partiti, perché non applicarlo? Di cosa ci si preoccupa Come per le intercettazioni: mi intercettino pure. Perché preoccuparsi? Il tema non è politico, è morale. C’è l’etica. Quando arriva la magistratura significa che un pezzo di Paese e di politica ha già sbagliato. Bisogna anticipare altrimenti abbiamo già perso. C’è anche una questione di selezione della classe dirigente, sulla quale il M5S prova ad essere attentissimo”.

Nell’inchiesta di Genova irrompe il tema delle mafie. Crede che ora diventerà un tema elettorale o sarà un’occasione persa
“Dobbiamo partire da quanto funzionano in questo Paese le lezioni. Se noi abbiamo situazioni grigie a Bari, a Torino, a Palermo, a Catania, in Liguria, o capiamo che c’è un’emergenza o abbiamo perso l’ennesima occasione. E il fallimento pesa sulle spalle non solo nostre, ma anche di coloro che hanno perso la vita, di chi ha lasciato la migliore normativa antimafia d’Europa e del mondo. In questa indagine in Liguria compaiono cosche mafiose del nisseno, è la solita criminalità organizzata che fa affari. Il reato che coinvolge altri soggetti, non Toti coinvolto per altri gravi reati, è addirittura quello di scambio politico mafioso. La verità è che le persone devono esercitare l’unico diritto forte che hanno, quello del voto. Noi ce la stiamo mettendo tutta per fare capire che stiamo tentando di innescare questo seme che deve diventare germoglio, pianta e soprattutto radici che mantengano, in questo Paese, il terreno dei valori”.

A destra dicono “giustizia a orologeria”…
“Questo è il solito tema. Quindi la magistratura si deve fermare a ogni elezione? Le misure cautelari si eseguono perché ci sono pericoli precisi, tra cui l’inquinamento delle prove. La magistratura non può stare ferma. È sempre il solito tentativo di giustificare tutto, come se ci fosse un piano di azione per attivare precisi percorsi durante le campagne elettorali. Queste invece sono delle lezioni che spero che i cittadini capiscano così come capiscano che per noi le candidature di Scarpinato, Cafiero De Raho e, umilmente, la mia, sono la dimostrazione dell’impegno che il Presidente Conte vuole mettere sul tema della legalità”.

Ma non è pericoloso rivendicare una superiorità morale?
“No perché non la rivendichiamo. Tant’è vero che il patto per la legalità che abbiamo proposto non è interno al nostro partito ma rivolto alla politica italiana. Noi stiamo ponendo un altro tema: sediamoci a un tavolo, chi ci vuole stare ci sta. Non è una questione di percentuali. È proprio il contrario. Vogliamo fare parte di una squadra, la politica, che su certi temi non si può dividere”.

La campagna elettorale però converge più sui grilli nel menu che sulle mafie…
“Io penso che il tema della lotta alla mafia sia una priorità. E lo dico nel mese in cui ci stiamo avvicinando alle commemorazioni di uomini che hanno perso la vita, un elenco in cui nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 stavo per finire anch’io e quattro valorosi poliziotti. Se pensiamo di commemorare le vittime delle stragi e nel contempo lanciamo segnali di picconamento delle norme create da quegli uomini diventa pericoloso. Noi al Parlamento europeo vogliamo rendere permanente la Commissione speciale CRIM per investigare sulle mafie. Se la Commissione europea scrive agli Stati e dice ‘sappiamo che ci sono infiltrazioni mafiose nell’agricoltura anche in Slovacchia e in Corsica’, invitando a usare il ‘protocollo Antoci’, così sta dicendo che ci sono emergenze di infiltrazioni mafiose anche negli altri Stati. Quindi mi chiedo: perché la commissione antimafia non è permanente?”.

È preoccupato dalla riforma della giustizia e la compressione di libertà per i giornalisti?
“Molto. Nella riforma della giustizia si propone di creare una corte nominata dalla politica che deve valutare disciplinarmente i magistrati. Prendiamo un baluardo, l’autonomia della magistratura che ci ha invidiato l’Europa e il mondo e mettiamo la politica a giudicare la Giustizia Sul giornalismo io sono preoccupatissimo. Se tu imbavagli quel mondo chi ti racconta che un soggetto pur non compiendo un reato parla con i mafiosi? In un paese civile secondo voi è giusto che i cittadini lo sappiano?”.

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Piccoli Vannacci crescono a Lodi

Gianmario Invernizzi è un misconosciuto consigliere comunale di Lodi vicino a Fratelli d’Italia. Per inquadrare il personaggio potrebbe tornare utile una foto in cui Invernizzi indossa una maglietta all’interno del Consiglio comunale con la scritta “Squadracce nostalgia canaglia”. Niente di nuovo sotto il sole, uno dei tanti parafascisti che questi tempi hanno fatto risalire alla luce del sole. 

A febbraio durante una seduta in consiglio comunale ha attaccato la maggioranza mentre si discuteva i bilancio e opere pubbliche. Parlando di cosa Di stranieri e di sicurezza, ovviamente. Riferendosi a una zona della città ad alta concentrazione di stranieri Ivernizzi ha detto “via Lodino, più che sistemata, va bonificata: il termine esatto è bonifica”. Perché “io la faccio 100 volte al giorno e sembra di essere tra gli Indios” e ancora “siamo di fronte a cittadini stranieri che vanno educati, servono i campi di rieducazione”. 

Un giovane ragazzo, nome d’arte Nyloz Gringo, ha canzonato Invernizzi per la sua xenofobia esprimendo un concetto che condividono in molti: gli Invernizzi sono uno schifo per un Paese civile e democratico. Che fa il consigliere? Annuncia una querela al ragazzo per chiedere “un forte risarcimento”, scrive sui social di essere stato minacciato minacciando: “abbiamo già saputo tutto di te come ti chiami”, annuncia, e con un italiano molto incerto aggiunge “le tue minacce mi fanno ridere e ti do un consiglio fatti dare il latte da mamma con biberon e un lecca lecca, hai proprio sbagliato persona a prendere di mira me, te ne accorgerai”.

C’è un piccolo particolare: il ragazzo è italiano, anche se non segue i canoni estetici di Vannacci e di Invernizzi. Di sicuro è molto meno scuro di Invernizzi. 

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L’Università va alla guerra: 13 atenei partecipano all’esercitazione Mare Aperto

Il nome rinvia alla libertà ma è l’ennesimo passo verso la militarizzazione della scuola italiana, questa volta le università. Il ministero della Difesa, attraverso la Marina militare, lo scorso 3 maggio ha annunciato la prima edizione della Mare Aperto per il 2024, “la più importante esercitazione pianificata e condotta dal Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare”, che vedrà impegnati circa 9.500 militari di 22 nazioni (di cui 11 appartenenti alla Nato).

Studenti universitari sulle navi della Marina per l’esercitazione Mare Aperto pianificata da 22 nazioni (di cui 11 appartenenti alla Nato)

L’operazione Mare Aperto 2024 vedrà la presenza di unità di Esercito, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza, oltre a mezzi aeronavali della Guardia Costiera. In coda – spiega il ministero presieduto da Guido Crosetto – “il personale civile proveniente da diversi istituti universitari”. 

Sono coinvolti 65 universitari e circa 9.500 militari

Nell’esercitazione sono coinvolti infatti 65 universitari, tra studenti e docenti accompagnatori, rappresentanti di 13 università italiane che si integreranno all’interno degli staff imbarcati, in funzione del loro percorso di studi. Saranno coinvolte Università di Bari, Alma Mater Studiorum Bologna, Università di Genova, Università di Trieste, Università Statale Milano, Università Cattolica Milano, Politecnico di Milano, Iulm di Milano, Università Federico II Napoli, Sant’Anna di Pisa, Università La Sapienza di Roma, Luiss di Roma, Università della Tuscia.

Nel bando dell’ufficio di offerta formativa dell’Università della Tuscia per la selezione di 3 candidati scopriamo si legge che gli studenti “dovranno svolgere attività nell’ambito della Pubblica informazione, a supporto dei Comandanti dei Gruppi navali che si fronteggeranno” in “scenari realistici su diversi temi afferenti” alla “Tutela dell’ambiente e del patrimonio, Protezione civile, Mediazione culturale e politica, Difesa cyber, Pubblica informazione ed a operare in ambienti sottoposti a contaminazione di agenti chimici, biologici, radiologici e nucleari”. 

Per l’Italia partecipano Esercito, Aeronautica, Carabinieri, Guardia di Finanza e Guardia costiera

Ritrovare la “tutela dell’ambiente e del patrimonio” e la “mediazione culturale e politica” in un’esercitazione in cui gli Stati giocano a fare la guerra è piuttosto difficile. “Il coinvolgimento degli studenti, in un rinsaldato rapporto ormai pluriennale – scrive la Marina militare – evidenzia il costante impegno della Marina Militare nel promuovere la cultura del mare quale elemento principale per la crescita e la prosperità dell’Italia“. La cultura del mare legata all’attività bellica riporta ai cinque generali ex Capi di Stato maggiore rinviati a giudizio dal Gup di Cagliari, Giuseppe Pintori, con l’accusa di disastro colposo per gli effetti di anni di esercitazioni militari (Nato e italiane) nel poligono militare di Teulada dove òa Procura aveva accertato lo stato di devastazione della Penisola Delta, zona di tre chilometri quadrati dove, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2016, sono stati sparati 860mila colpi di addestramento, con 11.875 missili, pari a 556 tonnellate di materiale bellico.

L’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola sottolinea come tutto ciò sia in realtà coerente con quella “guerra ibrida interna” tesa ad assimilare l’immagine delle forze armate ad un ente benefico che protegge la popolazione da rischi di varia natura e dai “malvagi” o dittatori di turno così come è perfettamente coerente anche la partecipazione di 65 rappresentanti delle università italiane a bordo delle nostre navi da guerra,  cui  viene presentata l’opportunità sia lavorativa che di ricerca in una situazione di penuria di investimenti pubblici per progetti di ricerca al 100% ad uso civile e non sotto il cappello ipocrita del cosiddetto “dual-use”.

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Un recinto di fili spinati. Così l’Ue rinnega se stessa

L’Europa che verrà sarà un recinto di fili spinati e deportati. Alla faccia del diritto internazionale, dello stato di diritto e del continente che avrebbe voluto essere la patria della pace e dell’accoglienza, un gruppo di stati membri dell’Unione europea insiste per replicare il modello Italia-Albania. Tutta propaganda, ovviamente, visto che i centri italiani per migranti in Albania non apriranno prima di novembre, ospiteranno un massimo di 1.024 persone per volta (e non le 3 mila promesse) e al massimo in un anno arriveranno a gestire 6 mila persone nonostante il governo parli di 36 mila.

Così l’Ue rinnega se stessa. Altro che patria della pace e dell’accoglienza

Sfugge a molti anche che la stragrande maggioranza di quelle persone dovrà comunque essere portata in Italia. Un gruppo di Stati membri dell’Ue, guidati dalla Repubblica Ceca e dalla Danimarca, sta preparando una lettera alla Commissione europea che chiede che i migranti che cercano di raggiungere l’Ue vengano trasferiti in paesi terzi selezionati prima di raggiungere le coste del blocco, una procedura in netto contrasto con le attuali leggi europee. Tra i paesi favorevoli c’è ovviamente l’Italia a guida Meloni, e c’è ovviamente l’Ungheria di Orbán.

Un curioso particolare: i firmatari non vogliono aggiungere la firma ungherese perché ritengono che comprometta la credibilità della lettera. Come dire: noi siamo come Orbán ma fingiamo molto meglio. Già nel 2018 l’Ue aveva cercato un accordo simile con l’Egitto, ottenendo un secco no da al Sisi. L’esperto di migrazione Vít Novotný osserva che questa volta la scempio si sta ripetendo con molta più diplomazia. E a sostenere il tutto c’è anche quell’Ursula von der Leyen che pur di tenere la poltrona è pronta a legalizzare l’orrore.

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L’identità nazionale insegnata ai bambini. Davvero.

Accade così, di giorno in giorno, di notizia in notizia, che alla mattina tocchi scrivere l’ennesima notizia dell’ennesimo segnale preoccupante di un governo reazionario che conta sulla sindrome della rana bollita dei suoi cittadini. Accade tutti i giorni e ogni volta è uno spostamento dell’asticella di qualche centimetro senza la consapevolezza di quanta fatica richiederà ridefinire i confini della Costituzione. 

È notizia di ieri che il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara avrebbe istituito una commissione per la revisione delle indicazioni nazionali e delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione. Nessun docente è stato coinvolto. Si parla genericamente di una commissione di esperti che il ministro ha nominato in base a “comprovata qualificazione scientifica e professionale”. Mistero sui nomi, tranne la direzione affidata alla professoressa Loredana Perla dell’università di Bari.

Il sito Tecnica della scuola frugando ha trovato l’ultimo libro della professoressa Perla scritto con Ernesto Galli Della Loggia (Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo) che di fatto è un manifesto programmatico per riscrivere le Indicazioni nazionali del primo ciclo scolastico. L’incipit è chiarissimo: “Il tema dell’identità italiana è un tema considerato con diffidenza specialmente per una ragione ideologica oramai radicatasi nei contesti della pedagogia nazionale negli ultimi vent’anni. Infatti, essendo associata storicamente alla costruzione etnica degli stati, l’identità è stata tematizzata quasi prevalentemente come radice del potere e fonte della diffidenza verso tutte le ‘diversità’”. Stop alla multiculturalità quindi e accelerazione sull’identità nazionale. Con buona pace degli studi di questi ultimi vent’anni, portati avanti da Mauro Ceruti, Italo Fiorin e ispirati al filosofo francese Edgar Morin. 

Nel libro Galli Della Loggia (valente editorialista di un quotidiano ritenuto progressista, val bene ricordarlo) propone un ben preciso curriculum di storia e geografia per l’intero percorso del primo ciclo: si parte dal primo anno della primaria con il “racconto a mo’ di favola di Iliade, Odissea ed Eneide” per concludere il terzo anno della secondaria di primo grado con le vicende di “Mani pulite” e con l’irrompere della “globalizzazione” nella storia del pianeta.

È l’impianto valorale della scuola dei Balilla. Ora mancano i problemi geometrici e aritmetici per calcolare la superficie complessiva delle province italiane della Libia o le bombe sganciate da un aereo da guerra. Poi il moto uniforme era spiegato con l’esempio del passo dell’oca. Poi la grammatica insegnata proponendo l’analisi logica di frasi come “Io ho lavorato con piacere tutto il giorno” o “I nemici si affrontano con coraggio”. Poi le letture de “La razza latina”, “Gli ebrei”, “Parla il Duce” o “L’emigrazione”. 

Quando la scuola diventa culla dell’ideologia fascista il passo è compiuto. 

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Il Pd voterà sì al sostegno all’Ucraina ma l’approccio sta cambiando

Lentamente il Partito democratico potrebbe aggiustare la rotta sulle prossime votazioni per le prossime votazioni sulle missioni internazionali. Questa mattina si è tenuta un’assemblea congiunta dei gruppi del della Camera e del Senato per discutere anche del rifinanziamento delle missioni militari e – raccontano fonti dem – si sarebbe deciso di votare la prosecuzione delle missioni di peacekeeping già previste aggiungendo la richiesta di votare per parti separate e dunque dire no (come già accaduto lo scorso anno) a quella riguardante l’assistenza alla guardia costiera libica. 

Con le candidature alle europee Schlein vuole una politica estera che cerchi la pace attraverso la diplomazia più che la deterrenza militare

La segretaria Elly Schlein ha sempre condannato le azioni della cosiddetta Guardia costiera libica e i respingimenti illegali che in accordo con il governo italiano avvengono nel Mediterraneo. Anche su questo punto la minoranza del Pd mostra insofferenza per non dovere rinnegare gli accordi con il governo libico che iniziarono ai tempi di Marco Minniti ministro all’Interno quando firmò il primo scellerato memorandum con la Libia. 

I Dem stanno inoltre mettendo a punto una propria risoluzione con l’obiettivo di “evidenziare le carenze del governo sulla complessità internazionale”. Il capogruppo a Bruxelles oggi ha preso le distanze dalla proposta del presidente francese Macron di inviare truppe in Ucraina e le candidature di Cecilia Strada e Marco Tarquinio indicano un’evidente volontà di improntare la politica estera italiana e europea alla ricerca della pace attraverso la diplomazia più che alla deterrenza militare. 

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Schlein firma il referendum contro il Jobs act e va alla guerra con la minoranza Pd

“Il Pd fa i congressi e li fa davvero: discute e definisce una linea”. Per l’ennesima volta alla segretaria Elly Schlein tocca ribadire un concetto naturale in qualsiasi consesso ma non nel Pd, dove i “dissennatori” interni e i loro alleati esterni ambiscono a un partito del tempo che fu.

L’ultimo casus belli è la segretaria che decide di firmare i referendum proposti dalla Cgil che prevedono anche l’abolizione del Jobs act, la riforma del fu presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha accelerato la liberalizzazione e la precarizzazione del lavoro. Dalle parti degli ex renziani (e dei renziani stessi che parlano di Pd più di quanto facessero quando erano iscritti) si grida allo scandalo.

Una segretaria che decide di fare politica per di più con quei cattivoni dei sindacati per loro è uno scempio. I gueriniani di Base riformista e i bonacciniani ci spiegano che Schlein dovrebbe convocare la direzione del partito per ottenere il via libera anche sul menù della cena.

I riformisti sono comprensibilmente agitati, da Lorenzo Guerini a Marianna Madia, da Alessandro Alfieri a Simona Malpezzi. i quotidiani liberal insistono nella favola che il Jobs act avrebbe contribuito alla crescita dell’Italia. C’è da capirli: per loro il Paese è una combutta di imprenditori liberali sui diritti e statalissimi quando si tratta di incassare i contributi pubblici o le leggi a favore. 

Renziani e ex renziani si sono scordati di leggere il programma con cui Schlein ha vinto le primarie e con cui il Pd si è presentato nel 2022

I sabotatori di Schlein fingono di non sapere che la loro segretaria, piaccia o meno, è la stessa che abbandonò il Pd nel 2015 proprio per la riforma sul lavoro licenziata da Matteo Renzi. “Me ne vado anch’io, insieme a Civati. È troppo tempo che non mi riconosco più in nulla di quello che fa questo governo”, disse l’allora eurodeputata Schlein nel maggio 2015: “Vale la pena di lottare dentro al partito finché c’è il partito, ma io temo che il partito non esista più e si sia trasformato in un’altra cosa, molto diversa da quella cui avevamo entusiasticamente aderito e da ciò che era nato per essere, perno della sinistra che vogliamo”.

L’abolizione del Jobs act era scritto chiaro e tondo nel programma elettorale di Schlein per le primarie che l’hanno portata alla segreteria. Sarebbe bastato trovare un minuto per leggerlo piuttosto che investire tempo a progettare improbabili sabotaggi che si sono rivelati fallimentari.

Non solo, il ”superamento del Jobs act” era scritto nel programma elettorale con cui il Partito democratico ha corso alle ultime elezioni politiche del 2022. Chissà se leggono il programma elettorale che si candidano per rappresentare, da quelle parti. L’ha ricordato oggi anche il del Arturo Scotto che è capogruppo del Pd in commissione Lavoro. 

Hanno poco da strillare quindi dalle parti di Italia viva, da cui giunge la voce indignata di Renzi che dice “votare il Pd è come votare la Cgil” (ma magari, sospirano gli elettori delusi da decenni) e s’ode l’ex ministra Bellanova stupita perché “firmare il referendum sul Jobs act significa annullare una stagione del Pd”, che è esattamente il motivo per cui è stata votata Schlein.

Su un’osservazione dei renziani però non si può non essere d’accordo: “come fanno i riformisti a stare nel Pd?”, dice l’ex presidente del Consiglio. Già, perché non raggiungono il loro ispiratore politico? La giornata politica è anche un indizio sulle alleanze: quanto ci si può stupire che il Pd di Schlein sia più vicino al M5s di Conte che a Renzi o a Calenda? La demonizzazione dei sindacati e la loro delegittimazione è un crinale limpido. Con buona pace di tutti. 

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Appalti e subappalti, da dove tutto è cominciato

Parte tutto dal secondo governo Berlusconi e il suo decreto legislativo 276 del 10 settembre del 2003. Lì è stato abrogato l’obbligo di parità di trattamento tra i dipendenti del committente e quelli dell’appaltatore previsto da una legge del 1960. “L’eliminazione di questa tutela, la depenalizzazione dell’appalto illecito e la cancellazione del limite per cui l’azienda non poteva esternalizzare attività che normalmente dovrebbe dare in casa, hanno funzionato da detonatore”, spiega Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil. Siamo arrivati fin qui, dove gli appalti e i subappalti sono il pane quotidiano che alimenta lo sfruttamento e i morti di lavoro. Ogni volta che cambia l’appalto e cambia l’azienda si mette in discussione il posto di lavoro, il salario o una parte del salario, l’anzianità. Nel settore privato ancora di più. 

Nel settore pubblico i numeri sono importanti. 290 miliardi di euro di affidamenti nel 2022, più 39 per cento rispetto all’anno precedente, più 56 per cento sul 2020. Le procedure di gara sono state 233 mila. Numeri che coprono gli appalti di servizi e gli appalti di lavori, comprese le grandi opere connesse al Pnrr. La gara tra chi propone di fornire il servizio si gioca nella quasi totalità dei casi sull’offerta più bassa o più vantaggiosa. Come spiega la Cgil l’appalto è stato usato come strumento di contenimento della spesa, espellendo tutta una serie di attività come per esempio la mensa, le pulizie, la lavanderia, la manutenzione negli ospedali. Ora siamo addirittura di fronte all’esternalizzazione di funzioni primarie, come ci dimostra il fenomeno dei medici a gettone”. Ma l’impresa che si aggiudica l’appalto su cosa risparmia Sui tempi di esecuzione e sui costi necessari a svolgere l’attività, quindi sui materiali, sulla sicurezza, sul lavoro. Le vittime collaterali sono i lavoratori. 

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