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Una vergogna a forma di Signor Procuratore Generale: Franco Antonio Cassata

(La storia di Adolfo Parmaliana, di quel verminaio Intorno al Procuratore Generale, magistralmente raccontata da Gian Antonio Stella per il Corriere)

Era proprio lui, il corvo: l’allora procuratore generale messinese. Lo dice la sentenza della Cassazione che, depositata nei giorni scorsi, inchioda Franco Antonio Cassata, a lungo il più influente magistrato della città sullo Stretto, per una colpa infamante. La diffamazione pluriaggravata, con un dossier anonimo, di un morto: Adolfo Parmaliana, il docente suicida perché stremato dalla fatica di battersi contro il malaffare e una certa poltiglia giudiziaria.

Una condanna piccola piccola: 800 euro. E spropositatamente bassa, per fare un esempio, rispetto ai nove mesi di carcere inflitti nel 2013 a un immigrato senegalese, mai arrestato prima, che dopo aver perso il lavoro aveva tentato di rubare in un supermarket un paio di confezioni di latte in polvere: di qua un dossier anonimo gonfio di veleni, di là il tentato furto di latte in polvere. Ma una condanna fondamentale per una città dove quel giudice era potentissimo. E che consente ora alla vedova del morto, Cettina, di chiedere un risarcimento in sede civile scartando ogni ipotesi di accordo bonario: «La cosa che più mi fa male è vedere come, nonostante le condanne in primo, secondo e terzo grado, lui si muova per Barcellona Pozzo di Gotto, la sua città, come fosse sempre Sua Eccellenza il Signor Procuratore Generale. Come se nessuno sapesse nulla. E gli fanno pure l’inchino. Un signorotto feudale».

Ricordate? Al centro di tutto c’è la storia di Adolfo Parmaliana, un professore universitario di chimica industriale descritto come «amante dei libri, dei vestiti eleganti, della Juve e idolatrato dai suoi allievi» che il 2 ottobre 2008, dopo anni di battaglie contro le piaghe della cattiva politica siciliana (perfino dentro la sinistra in cui si riconosceva) si uccise buttandosi da un viadotto autostradale. Combattivo segretario diessino di Terme Vigliatore, un paese a due passi da Barcellona, a sud di Milazzo, era stato appena messo sotto inchiesta per diffamazione (lui!) e l’aveva presa malissimo. La sua colpa, diceva, era aver fatto manifesti che ringraziavano Carlo Azeglio Ciampi per aver sciolto il consiglio comunale per le ingerenze della criminalità: «Giustizia è stata fatta. La legalità ha vinto. Tanti dovrebbero scappare… Se avessero dignità!». Aveva chiesto di essere interrogato dal magistrato. Richiesta lasciata cadere…

Sulla scrivania, quel giorno che si era messo al volante per raggiungere il viadotto, aveva lasciato l’orologio, il portafogli e una lettera: «La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario». Chiudeva accusando «una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente». Ultime parole: «Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni. Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita».

Colpito da quella morte, dove si impastavano mala-politica e mala-università, mala-amministrazione e mala-giustizia, il giornalista e scrittore Alfio Caruso, da sempre attento a questi temi (sono suoi «Da cosa nasce cosa» e l’ustionante «Perché non possiamo non dirci mafiosi») decise di farci un libro: «Io che da morto vi parlo». E stava quasi per finirlo dopo aver ricostruito una serie di vicende inquietanti quando ricevette un plico. Lo stesso spedito in contemporanea a Giuseppe Lumia, già Presidente dell’Antimafia. Conteneva un dossier anonimo pieno di fango. La faccenda sfociò in un’inchiesta. Sul margine di uno dei fogli del dossier anonimo (il diavolo fa la pentola ma non il coperchio…) era rimasto il timbro del telefono della cartoleria da dove era stato spedito. E dalla cartoleria fu possibile risalire al destinatario di uno dei fax del dossier: il numero 090-770424 era intestato alla Procura generale di Messina. Era solo la prima delle sorprese.

Convinto di essere intoccabile, il giudice Cassata accolse cerimoniosamente gli inquirenti reggini giunti a Messina per indagare su quel fax senza prendere la precauzione di svuotare l’ufficio da quanto c’era di compromettente. E cosa notò casualmente il capitano del Ros Leandro Piccoli in una vetrinetta? Un fascicolo con scritto «copie esposto Parmaliana da spedire». Istantanea telefonata al procuratore Giuseppe Pignatone che conduceva le indagini: «Che facciamo?» «Sequestrate». La carpetta, ricostruisce l’avvocato Fabio Repici che con la collega Mariella Cicero ha difeso il professore suicida, «conteneva quattro copie del dossier anonimo — senza il timbro dell’ufficio con il numero di protocollo — e su due di queste erano attaccati due post-it con su scritto “Procura ME” e “Procura Reggio C.”». Possibile che un procuratore generale si fosse abbassato a quel livello? Le prove erano schiaccianti. Da lì il rinvio a giudizio per «diffamazione pluriaggravata in concorso con l’aggravante di aver addebitato alla presunta vittima fatti determinati e di aver agito per motivi abietti di vendetta». E dopo la condanna in primo grado, fu implacabile la sentenza d’appello confermata poi in Cassazione: «…tale ritrovamento è evidente spia di un lavoro di dossieraggio che vedeva l’imputato raccogliere carte per usarle contro la memoria del professore…». La memoria d’un morto. Suicida per difendere il proprio onore di uomo perbene. La parola adesso spetta ai giudici civili che dovranno stabilire quale sia il risarcimento dovuto alla famiglia. Ma esiste al mondo una cifra che possa minimamente risarcire una cosa così?

La bufala della sicurezza a Milano spiegata (bene) da Piero Colaprico

(Piero Colaprico, da Repubblica, qui)

“Milano trema”. Ma dove ballavano i ben oliati kalashnikov, con le loro raffiche, e persino i bazooka della ‘ndrangheta, adesso lampeggiano i coltelli a buon mercato. Chi conosce i poliziotti e i carabinieri di strada sa che anche la loro paura nel tempo è radicalmente cambiata. Quando negli anni Ottanta inseguivano qualcuno, lungo le strade buie delle periferie di Milano, il pensiero comune era: “E se questo è armato?”.

Oggi si domandano un’altra cosa: “E se fosse malato?”. Si è passati dai placcaggi in stile rugby alle perquisizioni con i guanti da chirurgo.

Allora, ai tempi di criminali stra-conosciuti, come Francis Turatello, Renato Vallanzasca e Rossano Cochis; Epaminonda detto il Tebano con i suoi killer chiamati “gli indiani” per la ferocia dei delitti; ai tempi delle rapine dei terroristi rossi e neri, i morti ammazzati si contavano letteralmente a centinaia, ma Milano – lo ricorderà chi c’era – reggeva l’urto e, se era il caso, si mobilitava. Adesso, che si registrano tra i dieci e i venti omicidi l’anno, invoca l’esercito e si barrica in casa: “Milano trema” nonostante vittime e carnefici siano quasi sempre non i cittadini comuni, ma i senzacasa, i disperati, gli immigrati all’arrembaggio, quelli che hanno organizzato, al massimo, traffici da poche migliaia di euro. Questi assassini? Li arrestano quasi tutti. Le sezioni Omicidi qui funzionano con numeri da record: “fanno scuola”.

E, per capirci sino in fondo, dove c’erano le inchieste difficili, per esempio, sugli altezzosi boss della Comasina, e sui loro agguati tragici e spettacolari, costati undici morti solo nell’ultima faida metropolitana, “vinta ” dai fratelli Flachi negli anni ’90, adesso esiste un piano di sicurezza integrata. Prevede telecamere accese e sala operativa unica. Ha portato all’immediato arresto dei giovani filippini dell’altra sera, gli ultimi a finire nei telegiornali sotto la voce “allarme sicurezza”. Ragazzi, bisogna precisarlo, che hanno aggredito e ferito non per la droga, o per la supremazia da delirio delle bande. Ma solo perché altri filippini non sono arretrati. Hanno difeso il loro ballo proletario, sotto le luci fredde del Palazzo della Regione. Tentato, insomma, di salvaguardare una festa in strada: l’unica possibile, in questa costosa capitale morale, se non si hanno i venti euro d’ingresso per le discoteche, o la macchina, per inoltrarsi tra il dedalo dei capannoni industriali, riadattati e con security nerovestita, di via Scalarini, l'”ultima location”.

La stessa matematica, scienza di solito rispettata, era ed è categorica sui reati: quest’anno siamo scesi ancora, attestandoci a quota, sinora, 105mila “delitti in totale”. Cioè, abbiamo di fronte a noi milanesi numeri decisamente crollati rispetto ai 152mila reati del 2015; e diminuiti dai 162 mila del 2014. Il “meno 36 per cento dei reati a Milano in dieci anni”, viene assicurato dal ministero dell’Interno.

Il prefetto Alessandro Marangoni ha avuto un’immagine efficace per inquadrare la cosiddetta paura percepita: “Ci si sente con la spada di Damocle che ci cade sul collo, invece questa spada si allontana sempre più, non ci colpirà così facilmente, ma “ci crediamo” lo stesso”, dice, con chiara amarezza. Se c’è una città che gli dà ragione, ed è molto probabilmente la Milano che ha studiato di più, che conosce e pratica il volontariato, che ha relazioni sociali valide ed è meno povera, ce n’è anche un’altra che “trema”. E che rivendica un’inquietudine diventata un diritto, e non è più un deficit, sentendosi sostenuta dai politici che ribadiscono e rilanciano allarmi stentorei a ogni avvenimento criminale.

Sì, Milano sarà “ringiovanita “, grazie ai giovani universitari, all’uno su quattro di loro che resta qui, e ai nuovi lavori nati con il web. Ma – non scordiamolo – ci sono 90mila e 947 uomini e 115mila 78 donne (censimento del 2011) che hanno settant’anni o più: praticamente un abitante su sei è anziano e non lavora. Non solo: tutti i reati calano, è vero, ma i furti “reggono “. Chi non ha la porta blindata (e sono tanti), chi vive nelle zone ad alta densità di case occupate (almeno 200mila concittadini), si sente oggettivamente “a rischio”.

Anche le violenze sessuali, per quanto diminuite, per quanto avvengano nella stragrande maggioranza dei casi – e va sottolineato anche questo – tra conoscenti, o dentro le mura delle case (di famiglie-prigione) – oscillano sempre tra le 300 e le 250 denunce l’anno. Numeri e storie tali da impensierire chiunque al minimo ritardo.

Esiste dunque una fascia di persone per le quali le truffe e le frodi informatiche, in costante aumento, in media una ventina al giorno, sono faccende esotiche. Viceversa, una rissa in un bar rumoroso fa temere il peggio. E, a proposito di locali, resta sospesa “la” domanda cruciale: ma come può “tremare” davvero una metropoli che ieri sera, come ogni sabato, vede tra le 200 e le 300mila persone a zonzo lungo i quartieri della nightlife e degli aperitivi?

Sembra esistere una “malattia della paura percepita”: difficile pensare che dove lavorano, tra forze di polizia e vigili, quasi 15mila unità, come antidoto bastino 650 soldati e, come d’incanto, sul far della periferica sera, torni nei cuori il sereno.

Monica Guerritore: “Via Verdini e i ladri, la Carta non si tocca”

“Io credo piuttosto che il rischio Brexit, per il Paese, si concretizzi con l’uscita dalla nostra Costituzione, da questa Costituzione”. L’attrice Monica Guerritore appartiene alla schiera di artisti e intellettuali impegnati per il No al referendum. E dell’uscita di Roberto Benigni non condivide una virgola. “Una premessa però, mi permetta: non siamo in guerra”.

In che senso non siamo in guerra?
“La nostra è solo difesa di una rete che protegge tutti noi, la Costituzione come madre protettiva in un periodo in cui l’etica e il senso della comunità hanno ceduto il passo al cinismo, alla mancanza di rispetto dei diritti altrui. Solo questo…”

Pensa che chi sostenga il Sì alla riforma non abbia senso della comunità, dell’etica?
“Non penso questo. Sono però certa che la nostra Carta abbia consolidato nei decenni un legame forte col popolo italiano che prescinde dai politici che si succedono al governo. E poi, Renzi non è pericoloso, ma chi mi assicura che dopo di lui non ci sia una deriva autoritaria, agevolata proprio da questa riforma?”

Questo non vuole dire, sostiene Benigni, che non si possa riformare la seconda parte della Carta, senza intaccarne i principi.
“Non è vero. Non sono una tecnica. Ma è fin troppo ovvio che se modifichi certi equilibri, finisci col compromettere tutto. Per di più con un’iniziativa arbitraria, non condivisa”.

Però la riforma è stata approvata in Parlamento, per buona parte da una larga maggioranza.
“Sì, ma su iniziativa di un governo. Sa cosa? Io non credo nella politica. Penso che sia la politica a dover essere riformata, non la Costituzione”.

Resterà così per decenni, avverte Benigni.
“Lasciamola così. Portiamo piuttosto in Parlamento politici non corrotti, non indagati, cacciamo i cattivi legislatori: se i senatori fossero delle eccellenze, il Senato non sarebbe da buttare”.

Ci teniamo le due Camere e tutto il resto allora?
“Il problema è avere Verdini in maggioranza, o quella sindaca lì a Roma, gente scelta dai partiti. Cambiamo i partiti. Poi, nuovi eletti su criteri democratici potranno pure lavorare a una riforma condivisa della Costituzione. Ma non ora. Non così”.

(fonte: Repubblica qui)

Nel merito. Francesco Pallante: «10 domande su un Senato casa di un’incredibile serie di complicazioni»

(di Francesco Pallante, Professore associato di Diritto costituzionale, membro del Consiglio di Direzione di Libertà e Giustizia)

La riforma costituzionale voluta dal governo è talmente mal pensata e scritta da produrre, sotto diversi profili, risultati opposti a quelli auspicati dai suoi fautori. Un caso emblematico è l’incredibile pasticcio normativo relativo al nuovo Senato. Moltissimi sono i profili contraddittori o non chiari, come risulta dalle seguenti dieci domande:

1) Se si prende per buona la previsione di cui al nuovo art. 57, co. 1, Cost., che – in contrasto con il nuovo art. 55, co. 5, Cost. – riserva la rappresentanza delle “istituzioni territoriali” ai soli senatori certi, e non anche a quelli di diritto e di nomina presidenziale, occorre chiedersi: cosa c’entrano questi ultimi nel nuovo Senato? Esercitano una funzione rappresentativa? Di chi? Della presidenza della Repubblica o del presidente che li ha concretamente nominati?

2) Quanti saranno i sindaci nel nuovo Senato: ventuno o ventidue? Il nuovo art. 57, co. 2, Cost. dispone che “I consigli regionali e i consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”. Benché la somma di consigli delle regioni e delle province autonome ammonti a ventidue (venti regioni e due province autonome), la maggior parte dei commentatori ritiene che i sindaci-senatori saranno ventuno, perché considera il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige come “assorbito” dai due consigli provinciali di Trento e Bolzano.

Si tratta senz’altro di un’interpretazione ragionevole (e che, probabilmente, alla fine prevarrà), ma che cozza contro il tenore letterale della disposizione, dal momento che il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige è composto non dai consigli delle province autonome, ma dai consiglieri delle stesse e la competenza a eleggere il sindaco-senatore spetta agli organi consigli (regionali e provinciali autonomi) e non ai loro componenti.

3) Se davvero il Senato rappresenta le “istituzioni territoriali”, tra cui vi sono le regioni, perché non fanno parte del Senato i presidenti delle regioni stesse, che pure ai sensi dell’art. 121, co. 4, Cost. rappresentano la propria regione? E davvero si può ritenere che ciascun consigliere-senatore rappresenti l’intera regione anziché il solo collegio in cui è stato eletto?

4) Se davvero il Senato rappresenta le “istituzioni territoriali”, perché la scelta dei consiglieri-senatori è affidata ai gruppi consiliari, vale a dire alle articolazioni regionali dei partiti politici nazionali? È ovvio che, essendo stati eletti dai partiti, i vari consiglieri-senatori si riuniranno in gruppi parlamentari secondo le appartenenze partitiche e non secondo le provenienze territoriali, sicché non ci saranno senatori della Lombardia, del Lazio, della Puglia etc., ma del Pd, del M5S, della destra etc., (faranno gli interessi dei partiti, non delle regioni).

5) Se davvero il Senato rappresenta le “istituzioni territoriali”, tra cui vi sono i comuni, come potranno i sindaci essere realmente rappresentativi se i comuni non hanno voce nella loro scelta? Perché non è stato previsto che i sindaci siano scelti dai Consigli delle autonomie locali (organo costituzionale – art. 123, co. 4, Cost. – presente in tutte le regioni)? I sindaci potranno tutt’al più essere rappresentanti del proprio comune, non certo di tutti i comuni della regione, anche perché nella nuova costituzione manca un criterio che indirizzi la scelta dei consigli regionali: di fatto, la scelta avverrà sulla base della persona (e del partito di appartenenza), non sulla base del territorio da rappresentare.

6) Se davvero il Senato rappresenta le “istituzioni territoriali”, perché il sistema delle conferenze permane e, addirittura, il governo in carica ne prevede il rafforzamento (si veda la relazione del sottosegretario Bressa)? Non sarà perché alle conferenze partecipano i membri degli esecutivi regionali, entrando in quella sede in rapporto con i membri dell’esecutivo nazionale? Lì sì che le regioni possono far valere i propri interessi (in particolare finanziari: è nelle conferenze che si distribuiscono le risorse dei fondi nazionali) e in effetti si può dire che i delegati regionali alla conferenza agiscono con mandato vincolato (diversamente dai senatori che, ai sensi dell’immutato art. 67 Cost., esercitano le proprie funzioni senza vincolo di mandato).

7) Come saranno eletti i nuovi senatori? È un vero mistero, perché il nuovo art. 57 Cost. contiene previsioni contrastanti, che non potranno essere tutte contestualmente attuate dalla legge elettorale. Secondo la nuova costituzione, i consigli regionali e delle province autonome “eleggono” al proprio interno i senatori “con metodo proporzionale”, “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi” e tenendo conto che “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”.

Almeno tre cose non sono chiare:

a) Chi decide quali consiglieri saranno senatori? Gli elettori che, secondo il nuovo testo costituzionale, “scelgono” (art. 57, co. 5, Cost.) o i consigli che, sempre secondo il nuovo testo costituzionale, “eleggono” (art. 57, co. 2, Cost.)? Le due parole hanno etimologicamente il medesimo significato, per cui: o gli elettori scelgono, ma allora i consigli si limitano a ratificare; o i consigli eleggono, ma allora gli elettori danno mere indicazioni.

b) Come si potrà ripartire i seggi tra le forze politiche presenti in consiglio regionale sulla base dei voti ricevuti da ciascuna lista e sulla base della composizione dei gruppi consiliari (nuovo art. 57, co. 6, Cost.)? La cosa non è equivalente, perché nel primo caso non avrebbe influenza il premio di maggioranza, che tutte le leggi elettorali regionali prevedono (sia pure in misura diversa), nel secondo sì.

c) Se i senatori non di nomina presidenziale sono 95, e ogni regione e provincia autonoma esprime un sindaco (22 senatori) e due consiglieri regionali (44 senatori), per l’assegnazione dei seggi tra le regioni in base alla popolazione residuano 29 senatori: ma come si fa, dovendo ripartire 29 posti tra 20 regioni? Dal punto di vista matematico, non può venirne fuori alcuna distribuzione in base alla popolazione! E poco cambia se si interpreta il nuovo art. 57, co. 2 e 3, Cost. nel senso che ogni regione esprime come minimo 2 senatori (44 senatori), perché residuano comunque solo 51 senatori da ripartire per 20.

8) Se l’obiettivo della riforma è dare stabilità al sistema politico, perché è stato previsto che si perde la carica di senatore se si perde la carica di consigliere regionale o sindaco? Questo darà vita a un Senato che andrà incontro a rinnovi parziali, privo di durata complessiva. La concreta configurazione della maggioranza di un organo statale dipenderà da vicende locali (anche personali: si pensi al caso Marrazzo), rendendo la stabilità dell’organo del tutto imprevedibile.

È vero che il Senato non darebbe più la fiducia, ma in molte materie importanti rimarrebbe il bicameralismo legislativo perfetto, sicché approvare le leggi potrebbe risultare, anche per questa via, più difficile. Inoltre, da cosa realmente dipende la durata in carica dei senatori? Mentre ai sensi del nuovo art. 57, co. 5, Cost., “la durata dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti” (dunque, occorre guardare alla durata dei consigli regionali e provinciali), ai sensi del nuovo art. 57, co. 6, Cost. la legge elettorale per il Senato dovrà, tra l’altro, regolare le modalità per la sostituzione dei senatori “in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale” (dunque, occorre guardare, rispettivamente, alla durata dei consigli regionali e dei comuni).

9) Come faranno le regioni speciali a eleggere i propri senatori? Gli Statuti di tali regioni prevedono l’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di membro del Parlamento, con la conseguenza che se il consiglio regionale eleggesse un proprio consigliere come senatore subito dopo dovrebbe dichiararlo decaduto da consigliere per incompatibilità sopravvaluta, con l’ulteriore conseguenza della perdita anche della carica di senatore (giacché si può essere senatori solo in quanto si sia consiglieri o sindaci).

10) Se davvero il Senato eserciterà tutte le competenze previste dal nuovo art. 57, co. 5, Cost., come faranno, concretamente, i consiglieri/sindaci-senatori a trovare il tempo per esercitare il doppio mandato? In proposito, vanno anche ricordati i tempi stretti (10, 15, 30 giorni) entro cui il Senato deve esercitare le proprie competenze legislative.

In definitiva, lungi dal semplificare il sistema costituzionale, il nuovo Senato, qualora la riforma dovesse entrare in vigore, produrrà un’incredibile serie di complicazioni. Davvero quel di cui abbiamo bisogno è complicarci la vita?

(fonte)

Accozzaglia

Dice Pierfrancesco Majorino (assessore Pd a Milano): «grazie all’accozzaglia che abbiamo vinto le elezioni amministrative a Milano e in tante altre città (tante tra le non molte che hanno vinto)».

Basterebbe dare un’occhiata all’accozzaglia chiamata Assemblea Costituente che ha votato (all’80%) la Costituzione. Dentro c’erano:

Liste/Gruppi Voti  % Seggi
Democrazia Cristiana (DC) 8 101 004 35,21 207
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) 4 758 129 20,68 115
Partito Comunista Italiano (PCI) 4 356 686 18,93 104
Unione Democratica Nazionale (UDN) 1 560 638 6,78 41
Fronte dell’Uomo Qualunque (UQ) 1 211 956 5,27 30
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 1 003 007 4,36 23
Blocco Nazionale della Libertà (BNL) 637 328 2,77 16
Partito d’Azione (Pd’A) 334 748 1,45 7
Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) 171 201 0,74 4
Concentrazione Democratica Repubblicana 97 690 0,42 2
Partito Sardo d’Azione 78 554 0,34 2
Partito dei Contadini d’Italia 102 393 0,44 1
Movimento Unionista Italiano 71 021 0,31 1
Partito Cristiano Sociale 51 088 0,22 1
Partito Democratico del Lavoro 40 633 0,18 1
Fronte Democratico Progressista Repubblicano 21 853 0,09 1
ALTRE LISTE 412 550 1,79 0
TOTALI VOTI VALIDI 23 010 479 100,00 556
SCHEDE NULLE 1 936 708
DI CUI BIANCHE 643 067
TOTALE VOTANTI 24 947 187

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Che poi – come dice Pippo nel suo blog – anche tra i sostenitori del Sì si va da Briatore a Pisapia, da Benigni a Lorenzin, da Tosi a Finocchiaro, da Marchionne a Cuperlo. Per dire. Appaiono meno distanti tra loro di quanto non siano i sostenitori del No solo perché rappresentano un centro che guarda a destra, come succede appunto nella maggioranza e nel governo, da ormai quasi cinque anni, di cui tre con l’attuale premier. E ormai siamo abituati a pensare che il super centro politico elettorale sia un soggetto unico“.

Poi ci sarebbe la vecchia storia delle “accozzaglie” in occasione del referendum sull’acqua pubblica (e il PD era con Casa Pound) o contro la riforma costituzionale proposta dal governo Berlusconi (anche il PD stava con l’estrema destra) che dovrebbe suggerirci di smetterla di fingere di non sapere che i fronti di un referendum non sono fronti politici.

Poi c’è (lo scrive sempre Civati qui):

“Accozzaglia di argomenti per promuoverla, dalla difesa del sistema all’antipolitica, dal «ce lo chiede l’Europa» alla rivolta contro l’Europa dei burocrati, dalla riforma elettorale per eleggere direttamente il premier (anzi, il Capo, come lo definisce l’Italicum) alla rassicurazione che non cambia la forma di governo. La riforma dell’Ulivo e quella voluta dal Pdl. Tutto e il contrario di tutto. Una vera accozzaglia”.

È un accozzaglia il metodo del mettere insieme clientele come si può ascoltare dalla viva voce di De Luca qui, dove ci insegna “Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella”, dice.

Io, da parte mia, pur essendo per il No devo dire che tra quelli che che compongono il fronte del sì ci ritrovo dentro molte persone che stimo con, inevitabilmente, gente che aborro. E le differenze le noto, altroché. Ed è facilissimo scorgere chi appoggia la riforma per servilismo o per convinzione. Eppure accozzaglia no. Proprio no.

Fiorella Mannoia: «Voto NO perché non mi bevo il fatto che si snellisce la votazione di una legge, quando le hanno votate in tre giorni quando gli ha fatto comodo.»

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(di Fiorella Mannoia)

Io voto NO perché non sono all’altezza di capire 47 punti della costituzione che vengono cambiati e non ho capito come.

Voto NO perché non mi bevo il fatto che si snellisce la votazione di una legge, quando le hanno votate in tre giorni quando gli ha fatto comodo.

Voto NO perché non mi convince questo nuovo senato composto da sindaci e consiglieri comunali, visto che la metà dei comuni italiani sono in odore di corruzione e non mi va che a queste persone sia data l’immunità parlamentare.

Voto NO perché i senatori non saranno più votati da noi.

Voto NO perché non si capisce nel caso di disaccordo tra camera e senato chi ha la parola finale, chi decide.

Voto NO perché penso che sia un risparmio relativo, e che potremmo risparmiare molto di più se ritirassimo le truppe dall’Afghanistan visto che siamo lì da vent’anni e ci costa due milioni e seicento euro al giorno, circa 900 milioni all’anno.

Voto NO perché per contribuire al bilancio potremmo fare una vera legge anti corruzione. Voto NO perché potremmo cercare chi non paga le tasse e porta i capitali all’estero.

Voto NO perché non capisco che cosa ci sia dietro a tutto questo interesse per questo referendum tanto da scomodare banchieri e addirittura il presidente degli Stati Uniti d’America e non mi fido.

Voto NO perché un referendum avrebbe avuto senso se ci avessero semplicemente chiesto: volete ridurre il numero dei Senatori? Allora sarebbe stato semplice rispondere SI senza scrivere una pappardella incomprensibile perfino a costituzionalisti piú preparati.

Voto NO perché il mio voto sarà l’eredità che lascio alle generazioni future e sono troppo ignorante per assumermi la responsabilità di cambiare la nostra Costituzione con queste premesse.

IO VOTO NO

‘Ndrangheta in salsa brianzola: arrestato “l’invisibile” Paolo De Luca

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Alla fine è diventato visibile: i carabinieri di Monza hanno arrestato Paolo De Luca, 46 anni, detto ‘il boss invisibile’, uomo della ‘ndrangheta in Brianza legato alla cosca degli Stagno. De Luca, residente a Seregno, è stato arrestato con le accuse di associazione mafiosa, detenzione di armi, detenzione di stupefacenti e calunnia aggravata, insieme a Alessandro Colacitti, un pregiudicato di 34 anni, e alla madre di quest’ultimo, una settantenne originaria di Catanzaro, entrambi residenti a Seregno.

I carabinieri hanno agito in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Milano, su richiesta del pm della Dda Paolo Storari. De Luca amava definirsi ‘il boss invisibile’ perché, sebbene sfiorato da almeno tre indagini per mafia, era riuscito a uscirne sempre pulito. La prima volta era stato durante le indagini di ‘Infinito’, quando alcuni collaboratori di giustizia avevano fatto il suo nome agli inquirenti. Inoltre, aveva precedenti per detenzione di stupefacenti: l’anno scorso nel suo furgone sono stati ritrovati 15 chili di marijuana.

Le indagini dei carabinieri erano partite nel marzo scorso, a seguito di un sequestro di armi effettuato a casa della donna. In quell’occasione, erano stati sequestrati tre fucili da guerra, una mitraglietta dotata di silenziatore e due pistole automatiche, di cui una Beretta con matricola abrasa. In un primo momento madre e figlio si erano intestati la paternità delle armi, poi hanno ritrattato, accusando una persona del posto estranea ai fatti. I due erano stati denunciati per calunnia, con l’aggravante di aver mentito per difendere De Luca.

Gli inquirenti hanno accertato i suoi legami con il clan Stagno di Monza, cui si era affiliato nel 2005 facendo da padrino a Nazzareno, figlio di Antonio Stagno. Inoltre aveva contatti con la potente famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), e con i Gallace di Guardavalle (Catanzaro). De Luca era diventato l’uomo di fiducia dei vibonesi, cui aveva riferito di violazioni del codice mafioso da parte del clan Cristello, rivale agli Stagno. Da quel momento aveva smesso di lavorare, e dal 2008 il suo compito era di curare la security di alcuni locali notturni della zona, controllando i traffici di droga nella zona e garantendo ai mafiosi il controllo del territorio. Secondo gli investigatori, De Luca si preoccupava anche di far arrivare in Calabria le “ambasciate” quando qualcuna delle famiglie rivali tentava di prendere il sopravvento.

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‘Ndrangheta, clan Condello Imerti, operazione “Sansone 2”: fatti e nomi

arrestati-operazione-sansone-2Alle prime luci dell’alba di sabato 19 novembre, nella Provincia di Reggio Calabria, il personale del ROS e del locale Comando Provinciale Carabinieri con l’ausilio del personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia ha dato esecuzione ad una Ordinanza di custodia cautelare emessa, su richiesta di questa Procura Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Reggio Calabria, a carico di 16 soggetti indagati, a vario titolo, dei delitti di partecipazione all’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndranghetaestorsione, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni da sparo e da guerra rese clandestine, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale,minaccia e danneggiamento seguito da incendio e concorso esterno, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’attività della predetta associazione mafiosa. Contestualmente è stata sottoposta a sequestro la clinica Nova Salus di Villa S. Giovanni di cui si sono accertate le ingerenze delle cosche di ‘Ndrangheta nella gestione e conduzione.

I SOGGETTI COINVOLTI

FORTUGNO Sebastiano, nato a Reggio Calabria (RC) il 16/10/1963 (custodia cautelare in carcere)
LAGANA’ Fortunato, nato a Campo Calabro (RC) l’ 11/03/1958 (custodia cautelare in carcere)
RINITI Antonino, nato a Fiumara (RC) il 30/06/1962 (custodia cautelare in carcere)
ARANITI Carmelo, nato aReggio Calabria (RC) l’ 01/05/1957 (custodia cautelare in carcere)
BUDA Santo, nato a Villa S. Giovanni (RC) il 02/09/1944 (arresti domiciliari)
SCOPELLITI Francesco, nato a Reggio Calabria (RC) l’ 08/07/1988 (arresti domiciliari)
M. S. nato a Reggio Calabria (RC) il 06/10/1980 (obbligo di dimora)
B. M. nato a Reggio Calabria (RC) il 17/02/1982 (obbligo di dimora)
G. F. nato a Reggio Calabria (RC) il 12/08/1978 (obbligo di dimora)
10 P. A. nato a Reggio Calabria (RC) il 15/11/1991 (obbligo di dimora)

Sottoposta a “sequestro”  la Clinica NOVA SALUS, situata in Cannitello di Villa San Giovanni (RC) alla via Fontana Vecchia civ. 14. Con delibera n.797 del 04.12.2009, la Regione Calabria la accreditava in via definitiva per n. 50 (cinquanta) posti letto a ciclo continuativo e per n. 36 prestazioni in regime ambulatoriale pro die. Dall’anno 2001, è gestita dalla cooperativa sociale “ANPHORA”, con sede legale in Reggio Calabria alla via Nazionale Pentimele civ. 157.

L’INDAGINE SANSONE 2 – L’odierno provvedimento cautelare – che costituisce la seconda fase dell’operazione Sansone avviata il 15 Novembre scorso con l’esecuzione di 26 fermi di indiziato di delitto – scaturisce da specifica istanza dell’Ufficio di Procura che, nel richiedere la convalida del citato provvedimento precautelare, sollecitava l’applicazione di misure restrittive a carico di ulteriori soggetti, tutti ritenuti appartenenti/contigui alle cosche CONDELLOZITO/BERTUCA ed IMERTI/BUDA, operanti in Reggio Calabria, zone limitrofe ed altre parti del territorio nazionale. Il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione GIP quindi, nel convalidare i provvedimenti di urgenza adottati da questo Ufficio e confermando la permanenza in carcere della gran parte dei soggetti arrestati, adottava ulteriore e contestuale provvedimento restrittivo che andava a colpire quegli indagati per i quali non ricorrevano i requisiti per l’adozione di un provvedimento di fermo.

La misura cautelare, così come il Provvedimento di fermo del 15.11 u.s., costituisceesito di un articolatoimpegno investigativo coordinato da questa Procura e condotto,in contemporanea:

  • dal ROS incaricato sia delle ricerche di CONDELLO Domenico ’56 detto U Pacciu,inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del Programma Speciale di ricerca del Ministero dell’Interno, che delle attività di contrasto all’assetto associativo della coscaCONDELLO;
  • dal Comando Provinciale Carabinieri Reggio Calabria interessato alle dinamiche criminali dellecoscheZITO – BERTUCAeBUDA – IMERTI, operanti nell’area di Villa San Giovanni (RC), Fiumara (RC) e dintorni, nonché dei GARONFALO operativi in Campo Calabro (RC).

Le predette investigazioni sono state condotte su contesti investigativi differenti ma complementari ed, attesi gli evidenti profili di interconnessione, in sinergia dai due Reparti dell’Arma dei Carabinieri. Punto di contatto delle due indagini è costituito dalla influenza della cosca CONDELLO nell’area di Villa S.Giovanni (RC) edai legami di questa con la consorteria degli IMERTI/BUDA,legami sorti anche in conseguenza del matrimonio, celebrato nel 1983, tra IMERTI Antonino detto Nano feroce, esponente apicale della omonima cosca e CONDELLO Giuseppina, sorella di Domenico cl. ‘53 “U Pacciu” e cugina di Pasquale cl. ‘50 il Supremo, matrimonio questo che determinò la cementificazione dei rapporti tra i CONDELLO e gli IMERTI/BUDA ed il rafforzamento della loro presenza nell’area di Villa S. Giovanni (RC)

L’esecuzione dell’ordinanza cautelare,nel completare la parte operativa dell’operazione Sansone,ha permesso di colpire tutti gli indagati coinvolti nelle vicende ricostruite dalle indagini svolte dai Carabinierisulle quali va detto che hanno portato il 10 ottobre 2012 al rintraccio del latitante CONDELLO Domenico cl. ’56 ed alla individuazione della rete di supporto logistico e dei più stretti collaboratori che oggi sono destinatari del provvedimento restrittivo. In tale contesto si deve dire che le investigazioni hanno messo in rilievo come CONDELLO Domenico aveva formato una struttura associativa cuscinetto, deputata unicamente al sostegno alla sua latitanza, ponendovi al vertice un soggetto cerniera incaricato di coordinarla e di veicolare le sue direttive struttura mafiosa: tale assetto rispondeva all’esigenza di ridurre al minimo i rischi per sé e soprattutto per l’associazione mafiosa derivanti dalla incessante attività di ricerca.

Se da un lato la rete associativa e dei favoreggiatori è stata indebolita attraverso una serie di interventi (vari sequestri preventive ed operazioni Reggio Nord e Lancio) le investigazioni hanno raggiunto il punto di svolta quando è stato individuato, nella persona di VAZZANA Andrea Carmelo subentrato a TEGANO Bruno Antonino nel frattempo arrestato, il soggetto cerniera che aveva contatti sia col latitante che con gli elementi dell’associazione. Il monitoraggio di VAZZANA – oltre a consentire l’individuazione di un altro soggetto di interesse, MEGALE Roberto, che in più circostanze aveva effettuato degli spostamenti dal carattere evidentemente clandestino – aveva permesso di spostare l’attenzione sull’abitato di Salice di Rosalì (RC). L’intensificazione dei servizi a carico dei soggetti e dell’area indicati consentiva di monitorare completamente l’ulteriore movimento clandestino del VAZZANA e del MEGALE che, la sera del 10.10.2012, aveva prelevato il latitante dal covo in Salice di Rosalì. Avuta contezza di ciò, alle ore 22.00 circa dello stesso giorno, veniva prontamente bloccata la vettura con a bordo il latitante che veniva tratto in arresto unitamente all’autista MEGALE Roberto.

Sotto il profilo associativo le indagini condotte dal ROS sul conto dello schieramento CONDELLO– che, come indicato, ha influenza anche nella zona di Villa San Giovanni (RC) per via dei collegamenti con i BUDA/IMERTI – si sono intersecate con quelle svolte dal Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, in corso in periodo coevo, ma a carico dello schieramento ZITO – BERTUCA, pure operante in Villa S. Giovanni (RC) e Fiumara (RC). Ciò in ragione della accertata interazione tra i due schieramenti a causa delle criticità insorte, in ordine alla suddivisione delle attività estorsive.Le indagini hanno così messo in luce la presenza, nell’area villese, di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente, da più cosche, in modo capillare. Situazione questa che può essere efficacemente riassunta nelle parole di BERTUCA Pasquale che – nel corso di un colloquio in carcere intrattenuto con la sorella BERTUCA Felicia e con il nipote SOTTILARO Vincenzo il 23.08.2010 – invitava i familiari a riferire a LIOTTA Alfio, soggetto incaricato della riscossione dei proventi estorsivi, di «non lasciare scampo a nessuno» con la precisazione di un imprenditore cui doveva rivolgersi che doveva «… essere il primo che glieli deve portare!». Il controllo esercitato sul territorio era così ampio e penetrante che gli esponenti delle consorterie mafiose – oltre a condizionare la vita economica del territorio villese posto che l’avvio di iniziative economico/imprenditoriali doveva ricevere il placet degli esponenti delle varie cosche – erano in grado di risalire agli autori dei furti in abitazione e di veicoli, dei danneggiamenti, e di attivarsi per la restituzione dei beni ai legittimi proprietari, anche dietro il pagamento di una somma di denaro.

Entrando più nel dettaglio si deve dire che, nel settore delle estorsioni, i rapporti tra le cosche ZITO – BERTUCA e quelle CONDELLO – BUDA – IMERTI sono caratterizzati da logiche spartitorie dei proventi estorsivi che si sono dipanate non senza momenti di criticità derivanti dalla duplicazione delle richieste estorsive tali da determinare, in alcuni casi, incontri diretti tra i referenti dei due schieramenti. Particolarmente eloquenti sono ancora le parole di BERTUCA Pasquale che, lamentandosi col fratello Vincenzo dell’eccessivo attivismo estorsivo del condelliano VAZZANA Andrea Carmelo nell’area di Villa S.Giovanni, specificava che LIOTTA Alfio gli avrebbe dovuto riferire «… che le indagini sopra di noi non le può fare nessuno! Altrimenti glielo mando a dire con Mico! Perché… tutte le volte che hanno portato… una brioche se la sono mangiata pure loro!» specificando che, quando entravano nell’area di loro pertinenza, «gli devi dire che prima di andare a Cannitello devono “bussare” però!».

Nel complesso le attività di indagine hanno permesso di documentare ben 20 episodi estorsivi – consistiti nella pretesa di ingenti somme di denaro – in danno di numerose imprese operanti nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni in generale/movimento terra, impegnate nello svolgimento di servizi ed opere sia private che di interesse pubblico, i cui proventi, sono stati suddivisi tra le predette cosche.

Le relazioni tra le suddette cosche nel campo estorsivo hanno conseguentemente consentito di delineare gli assetti associativi non solo delle cosche CONDELLO – BUDA – IMERTI e ZITO – BERTUCA ma anche della cosca GARONFALO, operante nel limitrofo comune di Campo Calabro (RC).

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Andrea Camilleri: «ecco perché voto no»

Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l’ eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c’ è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l’ Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio? 

«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale? 

«Mi sfugge, ma c’ è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?

«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l’ Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede? 

«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

(l’articolo continua qui)