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Ecco come il PD ha votato la chiusura del Parlamento (parola di Enzo Cuomo, senatore PD)

E’ stato Franceschini – dice Cuomo – ad avere l’idea di mediare con il Pdl: ma no, tre giorni no, dai ragazzi, facciamo una sospensione solo di un pomeriggio e la motiviamo sulla carta in altro modo, così noi non facciamo la figura di quelli che hanno chiuso i battenti contro la magistratura ma voi avete ottenuto il vostro scopo simbolico, quello appunto di una serrata del legislativo contro il giudiziario.

E così è andata. Con una votazione per alzata di mano, a Palazzo Madama, di cui non si è neppure capito molto, racconta ancora Cuomo.

«Bella figura di merda», ho fatto al senatore.

E lui, con un mezzo sorriso, prima mi ha ripetuto la litania secondo la quale «vabbeh, mezza giornata di pausa di riflessione, che c’è di così grave?», poi però ha allargato le braccia, il sorriso si è trasformato in una risata autoironica e infine in un mezzo autodafé: «L’errore è stato farci il governo insieme e basta. L’altro giorno, se non votavamo come ci ha ordinato Zanda, cadeva tutto. Tu cos’avresti fatto?».

E’ tutto qui.

Infotainment

La soubrette parla di politica, il politico cucina, l’attore canta, il cantante recita. Tutti fanno tutto, tutti danno la sensazione (ovviamente falsa) che tutti possano fare tutto. L’infotainment non è un’invenzione italiana, ma in Italia è diverso, ed è più importante comprenderne e studiarne i meccanismi di funzionamento. Perché in Italia l’editore delle tv commerciali fa politica, e dunque le tv commerciali possono aiutarlo a far passare meglio alcuni messaggi senza utilizzare il linguaggio della politica, entrando in salotti e in famiglie di solito sorde ai richiami dei talk show di approfondimento (comunque abilmente presidiati). È questo il substrato culturale in cui storie come quella di Nicole Minetti, una tra le più brillanti (la ragazza è tutto fuorché stupida) distorsioni nell’irrisolto rapporto tra media e potere, possono nascere e fiorire. Minetti ha ballato, poi ha fatto politica, con risultati disastrosi. E con tutta probabilità tornerà a ballare, in modo assolutamente naturale (se non finisce in carcere prima, naturalmente).

Dino Amenduni per Valigia Blu.

Srebrenica non ha ancora finito di seppellire i suoi morti

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Dopo aver letto del massacro per anni, dopo aver visto centinaia di fotografie e altrettanti video, volevo confrontarmi con quello che è venuto dopo. Come ho detto Sarajevo non offriva più gli spunti classici. Mentre Srebrenica sì, visto che da quasi 18 anni è meta del ritorno delle famiglie delle vittime. Volevo confrontarmi non più tanto con il massacro che è stato, quanto con il ritorno delle persone che avviene ogni anno. Ogni luglio, le vedove, i figli e le figlie degli uomini uccisi a Srebrenica tornano per seppellire i resti dei loro cari disseppelliti negli anni.

Quello che ci permette di mettere insieme un progetto a così tanto tempo di distanza è il fatto che solo 5.000 bare siano state interrate, su un totale di 8.000 vittime accertate. Una settimana dopo il massacro, i serbi sono rientrati nel villaggio con dei bulldozer, hanno riaperto le fosse comuni e hanno cercato di insabbiare tutto, spostando i cadaveri in altre zone della Bosnia. Così facendo, i corpi sono stati maciullati nonché resi irriconoscibili. Alcuni sono stati messi in cisterne d’acqua, ad esempio, a marcire. Ovviamente rimettere insieme dei cadaveri richiede tempo. Ci sono famiglie che, ad oggi, hanno ritrovato solo un braccio o un teschio del proprio caro. Trovare il 100 percento di un corpo a Srebrenica è impossibile. Il lavoro di ricomposizione dei corpi spetta all’International Center for Missing Persons (ICMP), che da anni non fa che recuperare i resti, fare test del DNA e avvertire le famiglie quando qualcosa viene trovato. Se la famiglia decide che è abbastanza, si procede con il funerale. Ecco cosa avviene ogni anno: un funerale di massa.

Mattia Vacca intervistato da Matteo Congregalli (via)

Scalea: vince la Lista Civica Mafia

Non so se si riesce a comprendere nella sua interezza la gravità degli arresti per l’operazione ‘Plinius’, frutto di una inchiesta avviata dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza nel luglio 2010 sotto la direzione del procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giuseppe Borrelli e del pm Vincenzo Luberto. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip Gabriella Reillo: in tutto sono 38 i provvedimenti restrittivi eseguiti stamani dai carabinieri tra le province di Cosenza, Bari, Matera, Terni e Salerno.

Tra cui il sindaco di Scalea, Pasquale Basile, e cinque suoi assessori. L’operazione ha colpito la cosca Valente-Stummo, operante a Scalea e nei comuni vicini e che, secondo gli investigatori, è subordinata alla cosca Muto di Cetraro. La cosca, secondo l’accusa, nelle elezioni del marzo 2010 sarebbe riuscita a far eleggere propri candidati al Comune di Scalea i quali si sarebbero poi prodigati per concedere appalti a imprese legate alla cosca stessa.

In pratica a Scalea la ‘ndrangheta ha preparato la propria lista civica e ha vinto le elezioni. L’illegalità organizzata ha vinto la corsa democratica per ottenere il posto di tutore della città e delle regole. Abbiamo letto in questi anni di liste civiche di supporto o di disturbo create dalla criminalità organizzata per condizionare le elezioni ma qui siamo oltre: la lista civica viene costruita per vincere le elezioni, e vince. Tra gli arrestati infatti non ci sono soggetti politici ma anche funzionari e dirigenti del comune: uno spoil system in piena regola, come i migliori partiti.

Oltre alle persone arrestate, sono coinvolte nell’inchiesta altre 21 persone denunciate in stato di libertà. La cosca, grazie anche alla disponibilità di armi comuni e da guerra, sarebbe riuscita ad ottenere l’assoggettamento e l’omertà dei cittadini riuscendo così a sfruttare le risorse economiche della zona.

Per gli indagati per corruzione è stata applicata una recente normativa che consente l’applicazione della particolare ipotesi di confisca. Si tratta di una delle prime applicazioni nei confronti di indagati per reati contro la pubblica amministrazione.

L’indagine, in particolare, ha consentito di delineare l’asse economico-imprenditoriale dell’organizzazione costituito con conferimenti di «sospetta provenienza» nei settori commerciale, con l’apertura di diversi supermercati, concessionarie di auto, agenzie di viaggi, parchi divertimento, attività commerciali e negozi di abbigliamento.

L’organizzazione, fra l’altto, operava mettendo in piedi società finalizzate all’acquisizione di fabbricati, appartamenti e magazzini, anche attraverso aste fallimentari «pilotate»; costituiva cooperative e società agricole senza depositare i bilanci e assumere dipendenti; gestiva di lidi balneari, come L’angelica, l’Aqua mar e Itaca, realizzati su terreni demaniali del comune di Scalea.

Complessivamente è stato eseguito il sequestro preventivo di 22 tra società ed aziende; 81 immobili situati anche a Matera, Perugia, e Rocca di Cave (Roma), depositi, ville ed abitazioni, numerosi negozi e circa 50 ettari di terreno; 33 automobili tra le quali Jaguar, Bmw, Mercedes ed auto d’epoca; 78 rapporti bancari, con saldi positivi per circa 2.695.685 euro; due imbarcazioni; 23 polizze assicurative.

Ci sono un noto avvocato, diversi tecnici comunali ed il comandante dei vigili urbani fra le persone arrestate stamane nell’ambito dell’operazione “Plinius” che ha portato all’esecuzione di 38 ordinanze di arrestonell’ambito di un’operazione coordinata dalla Dda di catanzaro. Fra gli arrestati, con il sindaco e cinque assessori, l’avvocato Mario Nocito, 63 anni; il comandante dei vigili urbani Giovanni Oliva, 51 anni; un geometra ed un architetto del Comune: Giuseppe Biondi, 44 anni, eVincenzo Bloise, 41 anni, dipendenti dell’ufficio tecnico comunale di Scalea. (AGI)

GLI ARRESTATI nell’operazione sono: Pasquale Basile, 53 anni, sindaco di Scalea; Antonino Amato, 59 anni, di Scalea, Giuseppe Biondi, 44 anni, di Scalea; Vincenzo Bloise , 41 anni, di Scalea; Roberto Cesareo, 46 anni, di Cetraro; Maurizio Ciancio, 56 anni, di Scalea; Luigi De Luca, 41 anni, di Scalea; Raffaele De Rosa, 46 anni, di Scalea; Andrea Esposito, 38 anni, di Cetraro; Francesco Galiano, 44 anni, di Scalea; Agostino Iacovo, 35 anni, di Cetraro.

E ancora: Francesco Saverio La Greca, 38 anni, di Santa Domenica Talao; Riccardo Montaspro, 41 anni, di Scalea; Mario Nocito, 63 anni, di Scalea; Eugenio Occhiuzzi, 33 anni, di Cetraro; Rodolfo Pancaro, 39 anni, di Scalea; Antonio Pignataro, 50 anni, di Cetraro (gia’ detenuto); Cantigno Servidio, 46 anni, di Scalea; Giuseppe Silvestri, 54 anni, di Scalea; Alvaro Sollazzo, 49 anni, di Scalea; Antonio Stummo, 30 anni, di Scalea; Mario Stummo, 58 anni, di Scalea; Franco Valente, 51 anni, di Scalea (gia’ detenuto); Pietro Valente, 45 anni, di Scalea; Marco Zaccaro, 30 anni, di Scalea; Giuseppe Zito, 60 anni, di Scalea. Ai domiciliari sono finiti Nicola Franco Balsebre, 42 anni, di Montescaglioso (MT); Pierpaolo Barbarello, 52 anni, di Scalea; Luigi Bovienzo, 53 anni, di Scalea; Santino Pasquale Crisciti, 57 anni, di Santa Maria del Cedro; Francesco De Luca, 36 anni, di Scalea; Corrado Lamberti, 81 anni, di Terni; Olgarino Manco, 54 anni, di Scalea; Pino Manco, 48 anni, di Scalea; Giovanni Oliva, 51 anni, di Scalea; Angelo Silvio Polignano, 45 anni, di Putignano (BA); Francesco Paolo Pugliese, 50 anni, Gioia del Colle (BA); Antonio Vaccaro, 59 anni, di Scalea. Infine, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di Giuseppe Forestieri, 40 anni, di Scalea.

Tecnici comunali sono anche Pierpaolo Barbarello, 52 anni, architetto ed Antonino Amato, 59 anni geometra. A carico degli arrestati, a vario titolo, l’accusa di aver manovrato al fine di far ottenere appalti alle imprese vicine al clan Valente-Stummo. Gli indagati, in base alle loro funzioni, erano, secondo i capi d’accusa,“a disposizione del sodalizio criminale” ed avrebbero agito “per agevolare gli interessi del boss Pietro Valente”.

L’avvocato Nocito, in particolare, sarebbe stato l’anello di congiunzione fra il clan e l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Pasquale Basile. Nello studio del legale, sempre secondo l’accusa, si svolgevano riunione finalizzate a pilotare gli appalti secondo le indicazioni del boss Valente e Stummo. Il sindaco pasquale Basile, in particolare, sarebbe stato, secondo quanto emerge dalle indagini, “costantemente impegnato” a raggiungere un punto d’equilibrio fra le due “famiglie”.

Dove si abbronzava le chiappe Giuseppe Antonio Impalà

Giuseppe Antonio Impalà ha 50 anni e, secondo gli investigatori, si occupava della raccolta del pizzo per conto del clan di Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina. Giuseppe Antonio Impalà, insomma, è presumibilmente un mafioso e infatti giusto oggi è stato arrestato dai carabinieri della Compagnia di Santa Margherita Ligure e Rapallo mentre usciva da una casa di Sant’Anna, a Rapallo, a casa di amici.

Gli amici dicono di non sapere che quell’uomo fosse un mafioso. Lui sostiene di essere in una normale “vacanza” con quel piccolo inghippo che può essere un arresto. Eppure qualcosa si muove: potrebbero esserci sviluppi sulla mafia barcellonese in Liguria. C’è da scommetterci.

Voi che domani sarete ancora vivi, che cosa state aspettando? Perché non amate abbastanza? Voi che avete tutto, perché avete così paura?

Io non so se ci si possa perdonare di non riuscire a sentire le guerre. Se davvero abbiamo il cuore così stretto e l’intelligenza così strabica da non occuparci di quello che succede in tutti i luoghi così dissimili da noi. Forse il nostro federalismo è una legittimazione di un egoismo che non vogliamo combattere perché ci risulta faticoso o forse perché la borsa delle preoccupazioni è già colma delle sole cose vicine.

Comunque: in Siria c’è la guerra. Guerra vera, guerra per strada senza armi troppo artificiali e con i bambini maciullati per terra. Guerra a morsi ma con troppo poco petrolio per diventare internazionale. Guerra raccontata come sappiamo s-raccontare noi quando vogliamo essere coccolati nella rassicurante idea collettiva delle guerre e della morte.

Francesca Borri, freelance in Siria, prova a chiedere una riflessione sulla narrazione della guerra e, sopratutto, sul ruolo dell’informazione:

Ma siamo reporter di guerra, dopo tutto, o no? Una band of brothers (e sisters). Rischiamo la nostra vita per dare voce ai senza voce. Abbiamo visto cose che la maggior parte delle persone non vedrà mai. Siamo un bel repertorio di storie per quando siete a tavola, gli ospiti cool che ognuno vuole invitare. Ma la sporca verità è che invece di essere uniti, siamo i nostri peggiori nemici; e il motivo per cui un pezzo viene pagato 70 dollari al pezzo non è che non ci sono soldi, perché ci sono sempre soldi per un pezzo sulle fidanzate di Berlusconi. La vera ragione è che se uno chiede 100 dollari, c’è qualcun altro che è pronto a farlo per 70. È la concorrenza più feroce. Come Beatriz, che oggi mi ha segnalato la strada sbagliata così sarebbe stata l’unica a coprire la manifestazione, e mi sono trovata in mezzo ai cecchini per colpa del suo inganno. Solo per coprire una manifestazione, come centinaia di altri.

Ma facciamo finta di essere qui per far sì che nessuno potrà dire “Ma non sapevo che cosa stava accadendo in Siria”. Quando in realtà noi siamo qui solo per ottenere un premio, per ottenere visibilità. Noi stiamo qui a competere l’uno contro l’altro come se ci fosse un Pulitzer alla nostra portata, quando invece non c’è assolutamente nulla. Noi siamo schiacciati tra un regime che ti concede un visto solo se sei contro i ribelli, e i ribelli che, se tu stai dalla parte loro, ti permettono di vedere solo quello che vogliono farti vedere. La verità è che siamo dei falliti. Due anni dopo, i nostri lettori a malapena si ricordano dove è Damasco, e il mondo istintivamente descrive ciò che sta accadendo in Siria come “quel caos”, perché nessuno capisce nulla di Siria — solo sangue, sangue, sangue. Ed è per questo che i siriani non ci possono vedere ora. Perché mostriamo al mondo foto come quella bambino di sette anni con una sigaretta e un kalashnikov. È chiaro che è una foto artefatta, ma è apparsa sui giornali e siti web di tutto il mondo a marzo scorso, e ognuno poteva urlare: “Questi siriani, questi arabi, che barbari!” Quando sono arrivata qui, i siriani mi fermavano e mi dicevano: “Grazie che state mostrando al mondo i crimini del regime”. Oggi un uomo mi ha fermato, e mi ha detto: “Vergognati”.

Se davvero avessi capito qualcosa della guerra, non avrei dovuto dimenticarlo cercando di scrivere di ribelli e lealisti, sunniti e sciiti. Perché davvero l’unica storia da raccontare in guerra è come vivere senza paura. Tutto potrebbe finire in un istante. Se l’avessi saputo, non avrei avuto così paura di amare, di osare, nella mia vita; invece di essere qui, ora, a stringere me stessa in questo angolo buio, rancido, a rimpiangere disperatamente tutto quello che non ho fatto, tutto quello che non ho detto. Voi che domani sarete ancora vivi, che cosa state aspettando? Perché non amate abbastanza? Voi che avete tutto, perché avete così paura?

 

 

Un Piano Marshall per la cultura

Il problema è che manca una leadership risoluta, la politica bràncola nel buio. Per i beni culturali italiani serve una sorta di Piano Marshall, in particolare nel Sud Italia che, insieme all’Emilia Romagna, di recente colpita dal terremoto, ha bisogno più di altre zone del Paese di un intervento. Il patrimonio storico del Sud si trova in uno stato di decadimento gravissimo a causa dei vari “appetiti” degli italiani. Tutto quello che è stato fatto per il Meridione è da idioti: Pompei è solo un esempio di questa idozia, l’Isola di Taranto, Bagnoli a Napoli e le pale eoliche in Sicilia (che potevano essere fonte di energia  e di sviluppo) sono altri casi di comportamento sbagliato che, nei decenni, ha rovinato il paese.
Solo l’Europa può salvare l’Italia, e in particolare il Sud, intervenendo con un vero e proprio piano per i beni culturali. Come dicevo, quello che non si è fatto fino a ora non è però colpa dell’Europa. A questo proposito si può dire che l’Europa è plumbea, ma l’Italia è idiota. Il territorio, la natura e il mare italiani potevano essere una ricchezza da valorizzare per lo sviluppo ma sono state lasciate a se stesse, mai curate né tantomeno riqualificate.

La proposta è di Philippe Daverio, qui.

Non si merita nemmeno un funerale

Piccoli segnali rari che ispirano l’ottimismo: il vescovo di Mazara, Mogavero, decide di non celebrare il funerale per il boss di Mazara Mariano Agate, morto il 3 aprile dopo aver trascorso 20 anni al 41 bis per vari reati, fra i quali la strage di Capaci.

La moglie, come al solito, parla di ingiustizia e poco rispetto, dimenticando nella mensola della cucina il sangue e il dolore delle vittime del marito criminale.

Il vescovo insiste e risponde.

Aspettiamo la scomunica per mafia, ora.

Okkupiamo!

Sulla sospensione dei lavori d’aula per 24 ore proclamata da Silvio Berlusconi e eseguita  dai suoi sodali mi viene un pensiero quasi simpatico di quando, eravamo ragazzi, abbiamo okkupato (si pronuncia con la kappa perché così fa la sua porca figura) il Liceo Classico Pietro Verri di Lodi. Mi ricordo che in fondo pensavamo di intervenire in modo straordinariamente vitale (e illegale) sul nostro diritto di decidere e di chiedere il rispetto dei nostri diritti, avevamo organizzato i giorni dell’okkupazione in modo ancora più intenso delle giornate di lezioni regolari. Era la prima autogestione nella secolare storia del borghesotto liceo di provincia.

Poi l’anno successivo tutto era stato molto più blando. Le giornate di occupazione scorrevano con ritmi quasi anarchici e le motivazioni cominciavano a invecchiare insieme alla nostro ottimismo inevitabilmente più consapevole.

Il terzo anno, è stato il mio ultimo, abbiamo okkupato e quando ci si chiedeva perché l’unica risposta era “come tutti gli anni”. Avevo così toccato con mano, per la prima volta, la protesta di maniera senza sostanza.

Oggi, mercoledì 10 luglio 2013, scopro che peggio dei licei succede in Parlamento: si occupa per dovere di servitù e per gli interessi di un singolo. Nemmeno tre o più persone (come almeno l’articolo 416 del codice penale) ma addirittura per una persona soltanto: un servilismo a delinquere. Costosissimo, gravissimo e pericoloso.

Chi ha messo in piedi questa maggioranza oggi dovrebbe pagare i danni.