Il dibattito di questi giorni sul ruolo del Movimento 5 Stelle è politica. Lo scrivo perché sembra che qualcuno voglia convincerci che siano chiacchere da bar: la politica è nelle scelte, non nelle campagne elettorali (quelle servono per raccontare le scelte fatte o non fatte, e infatti chi non sceglie succede che perda). Non credo che il Movimento 5 Stelle si prenderà la responsabilità di lasciare inerme un potenziale governo (anche solo “di scopo”) per lucrare sul proprio consenso tra qualche mese (anche perché, appunto, si tratterebbe di scegliere e di risponderne: fare politica insomma); credo però che alcuni dei presunti “pontieri” di questo dialogo con Grillo e il Movimento oggi forse si pentiranno degli sfanculamenti senza senso in risposta a sfanculamenti senza senso, dei sorrisini compiaciuti di scherno verso i “grillini” e di questa idea tutta antidemocratica che i voti per qualcuno valgano meno dei voti ad altri: l’avevo già scritto qui (che fortuna, la memoria della rete) che qualificarsi squalificando il Movimento 5 Stelle non era una grande strategia.
Oggi Pippo Civati (sì ,sempre lui, e allora?) scrive sul suo blog una lettera a Grillo che è più che tra questo vociare parla di politica, appunto:
Allora, caro Beppe, la situazione è quella che auspicavi: questa politica è stata presa a pallonate. La tua campagna elettorale, capace di sedurre gli elettori di tutti i generi e tipi, ha funzionato. Lo tsunami non è riuscito per un pelo, ma – come hai detto anche tu – è solo rinviato di qualche mese, perché poi lo tsunami ci sarà davvero, secondo le vostre previsioni ‘meteorologiche’ (rispetto alle quali è giusto conservare qualche dubbio, ma che vanno certamente osservate con rispetto, visto che le previsioni nostre erano così palesemente sbagliate).
Vorrei dire a te e ai tuoi che è legittimo pensarla così: siete stati votati e ora potete fare con i vostri voti quello che volete. Le forze che ti sostengono sono arrivate al terzo posto, sbaragliando la concorrenza del tecnico-che-saliva-e-che-è-un-po’-sceso e avvicinandosi nei consensi ai politici dei principali partiti.
Ciò che mi chiedo è però se non sia un azzardo buttarla in caciara, proprio ora. Certo, mi si può rispondere che in Italia l’azzardo paga sempre. E che hai vinto e, quindi, va bene la disintermediazione, va bene la rete, va bene che siete portavoce di una voce che di volta in volta svelerete prima di tutto a voi stessi e poi agli italiani. Abbiamo capito (qualcuno lunedì, qualcuno un po’ prima, diciamo così).
Però c’è un però: un però che alla fine è questo Paese. Siamo sicuri che non far niente ora per farlo tra sei mesi sia la cosa più giusta da fare? Siamo sicuri che tutti siano uguali, in quel Parlamento, e che non ci sia proprio niente da fare di buono, per cambiare le cose, nelle condizioni date? E che sia il caso di chiamarsi fuori, di chiamare fuori i cittadini che vi hanno votato, per lasciare campo all’ennesima riedizione di un governo di larghe intese e, temo, di corte vedute. Capisco la tua libidine, ma un po’ mi preoccupa il quadro che si delineerebbe.
Te lo chiedo rivolgendomi al leader che sei, perché lo sei anche se fai finta di essere un capo-per-caso, e me lo chiedo, perché è del tutto evidente che se non si riuscisse, si tornerebbe a votare. E magari vinceresti tu, magari Berlusconi, magari il centrosinistra. O, più probabilmente, nessuno di questi. Perché nessuno di questi, nemmeno la prossima volta, avrà i numeri per governare. E ci ritroveremmo a scrivere la stessa identica cosa che sto scrivendo ora. Che è la cosa peggiore che possa capitare, soprattutto perché è già capitata.
Continua qui. E continua un filo e un dibattito da tenere alto.