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Castra la Casta

Il governo del fare ha risolto tutti i nostri problemi. Finalmente. C’è voluto tempo ma hanno trovato finalmente la soluzione a tutti i nostri mali. Per risollevare il Paese bastava tagliare i parlamentari. E in effetti il risparmio è notevole e ora davvero le casse dello Stato possono stare tranquille: parliamo dello 0,0000258% del Pil nazionale. Su uno stipendio di mille euro da domani tutti avranno in tasca 2 euro e 58 centesimi in più. Si prevedono ingenti investimenti e un appuntito rilancio dei consumi e delle assunzioni. Era ora.

Certo ora rimane semplicemente da studiare una riforma elettorale che garantisca la rappresentatività di tutti i cittadini, di tutte le zone d’Italia. Bisogna semplicemente ridisegnare l’architettura parlamentare perché tutte le opinioni possano avere la possibilità di avere voce. Ma è una cosa da poco: questi hanno dimostrato di essere dei geni di leggi elettorali e di contrappesi democratici. Niente di cui preoccuparsi, quindi.

Poi ci sarebbe da capire come assicurare le pensioni a una generazione che le vede come una chimera, senza mandare in fallimento lo Stato. Ma ci penseremo con calma.

C’è da ristrutturare il mondo della scuola che chiede la carta igienica da casa. Ma con due euro in tasca in più per ognuno di noi vedrete che in giro si troverà qualche buona offerta.

Ci sarebbe da rimpinguare una sanità pubblica ormai allo sbando e senza abbastanza medici per coprire il fabbisogno futuro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di ammalarti con il Parlamento dimezzato?

Ci sarebbe anche da discutere del fatto che di questo passo nel pianeta Terra non ci sarà più il clima per avere un Parlamento. Ma non ha senso inseguire gli allarmi della scienza. Dai, su.

Ci sarebbe anche un mondo del lavoro che diventa sempre più stretto, sempre più povero e sempre assassino. Ma non è elegante parlare di soldi, no.

Comunque abbiamo risparmiato 2 euro a testa. Per chi dice che l’importante è iniziare da qualche parte: vero, tipo dimezzare gli stipendi dei parlamentari, ad esempio solo per non citare corruzione, mafie, malaffare e evasione fiscale delle multinazionali, che diventa troppo complicato.

Solo che di questi argomenti non è il caso di parlarne ora che c’è in ballo il referendum. La soddisfazione di colpire la casta è un’occasione imperdibile, e chi ce lo dice? Loro, loro stessi. Come se ammettessero di essere in troppi troppo incapaci e chiedessero a noi di intervenire riducendo il coefficiente di probabilità che vengano eletti degli idioti. Qualcuno potrebbe sommessamente fare notare che dovrebbero essere loro, quelli che ci dicono sì, a occuparsi di selezione della classe dirigente. Ma è un discorso troppo lungo, troppo difficile, troppo da professoroni.

E allora via: un bel referendum per tagliare il Parlamento e al resto ci penseremo dopo. Un po’ come quelli che tolgono l’ascensore prima di avere pensato di costruire le scale. Ma vuoi mettere che risparmio, non avere l’ascensore.

Noi qui a Left abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con un ebook che trovate qui.

Buon mercoledì.

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La classe dirigente sommersa

Insegnanti, bidelli, autisti dei mezzi pubblici. La pandemia ha evidenziato l’importanza del ruolo pubblico di questi ed altri lavoratori. E la loro responsabilità nel dettare la crescita sociale del Paese che verrà

Primo giorno di scuola in buona parte d’Italia. Fioccano i commenti, le interviste a volte un po’ leziose a genitori e ai ragazzi, si moltiplicano i racconti e accade che moltissime scuole in Italia, ancora una volta, si siano arrangiate e abbiano fatto i salti mortali per applicare regole incerte (e piuttosto contestabili) e protocolli che spesso rimangono lettera morta perché si scontrano con una realtà che è spesso molto diversa da quella discussa in certi ambienti ministeriali.

Però è stato il primo giorno di scuola e ieri, nell’aria, si respirava la speranza che la scuola riparta davvero, che un po’ di normalità possano godersela anche i nostri figli, quei giovani che per mesi sono scomparsi dal radar dell’informazione per tornarci solo qualche settimana nella veste degli untori.

Però il primo giorno di scuola ci racconta ancora una volta qualcosa che sembra difficile raccontare: gli insegnanti, gli operatori della scuola, chi si occupa degli spostamenti dei nostri ragazzi, chi si occupa della loro sicurezza (mica solo in tempi di pandemia) e chi si occupa della loro istruzione e della loro formazione culturale (non solo in tempo di pandemia) sono classe dirigente di questo Paese, nel seno pieno del termine, sono quelli che hanno la responsabilità di dettare la crescita sociale (e politica e economica) del Paese che verrà. E ieri, complice il coronavirus, ci si è accorti che un pezzo importante delle famiglie sta negli istituti scolastici, quei palazzotti spesso decadenti a cui si fa sempre troppo poco caso.

Ricordo quando uno dei miei figli andò al suo primo giorno di scuola, lo ricordo perfettamente. Ricordo l’arrivo all’istituto, era il periodo delle minacce, della paura e della scorta e ricordo quei minuti all’ingresso mentre lo tenevo per mano, Ricordo perfettamente che un collaboratore scolastico venne fuori, da me e lui e i carabinieri e prese per mano mio figlio per portare all’interno dell’istituto e mi ricordo di avere pensato che quell’uomo in quel momento era il più importante rappresentante dello Stato che interveniva nella mia vita, una responsabilità enorme. E avrei voluto dirglielo.

Il punto è questo e non vale solo per la scuola: ci ritroviamo nelle nostre funzioni e nelle nostre professioni a avere responsabilità da classe dirigente e non ce ne rendiamo conto, abbiamo un importante ruolo pubblico, ognuno nel suo mestiere e se ce ne assumessimo l’orgoglio e le responsabilità questo sarebbe un Paese sicuramente più solidale e più unito. E la smetteremmo di delegare, e vedremmo anche quanta orgogliosa responsabilità c’è intorno. Nonostante certa classe dirigente.

Buon martedì.

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Auguri, Liliana Segre. Come sempre, saprai perdonare chi ti obbliga a festeggiare i 90 anni sotto scorta

La memoria è un bene e raro prezioso, sarà per questo che in Italia si tende a risparmiarla. E che oggi Liliana Segre compia novant’anni e li debba celebrare sotto scorta, lei che è uscita viva dall’orrore di Auschwitz e che ha perduto gli affetti nella furia nazista, è la fotografia più urgente di quello che siamo. Allora buon compleanno, carissima Liliana Segre, ed è un buon giorno anche per noi che abbiamo tanto bisogno di una memoria che sia viva, reale, tattile, che abbia voce, che esista, che si permetta di essere argine ogni giorno contro un revisionismo che si infila in tutti i pori della politica, della comunicazione, della società.

Buon compleanno e grazie. Grazie di essere la prova che una testimonianza sopravvissuta al periodo più buio del nostro ultimo tempo passa essere decisa e misurata, grazie delle parole che ancora vengono usate bene quando sono dense di significato, quando le parole servono ancora a rimettere le cose al loro posto, grazie della sua presenza in un Paese che ha un disperato bisogno, tutti i giorni, di ricordarsi di ricordare.

E poi ci sarebbe il regalo da fare, come ogni buon compleanno che si rispetti, a Liliana Segre: c’è quella Commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, da lei proposta e approvata in Senato il 30 ottobre 2019 che giace lì in attesa di entrare in funzione e che si propone di “osservare, vigilare, studiare e proporre iniziative atte a contrastare eventi e manifestazioni di razzismo, antisemitismo, intolleranza, istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base dell’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche”. Il regalo migliore che potremmo farle, e che potremmo farci, è quello di rendere funzionale una commissione di cui c’è assolutamente bisogno in questo momento e che renderebbe questo Paese un posto sicuramente migliore.

E grazie Liliana Segre per tutte le volte che non si è sottratta dal parteggiare di fronte ai brutti casi che si sono succeduti in questi mesi. Anche sulla morte di Willy le parole migliori le ha pronunciate lei: “La morte di Willy mi ha fatto molta paura. È stata come una sconfitta personale, mi ha fatto pensare che tutto ciò che ho provato a fare contro la violenza e l’odio, alla fine è servito a poco. Se ancora ci sono in giro persone che pensano di risolvere le proprie sconfitte personali picchiando il prossimo, siamo ancora in una società lontana dalla civiltà”. Auguri, a lei e a noi.

Leggi anche: 1. Il commovente discorso di Liliana Segre agli studenti de La Sapienza: “Sarò sempre la ragazzina espulsa da scuola perché ebrea” / 2. “Io che ho vissuto Auschwitz sulla mia pelle, vi avverto: attenti a questa campagna d’odio”, intervista a Liliana Segre

L’articolo proviene da TPI.it qui

Willy ha pagato lo scotto più atroce, ma la sua morte può cambiare la percezione del razzismo in Italia

Raccontiamolo dappertutto il sorriso di Willy Monteiro Duarte. Ascoltiamole bene le parole degli amici che lo raccontano, riportiamo dappertutto il racconto di quelli che lo conoscevano, la descrizione del suo datore di lavoro che racconta come Willy fosse un aiuto cuoco che svolgeva con serietà e passione il suo lavoro, come i suoi amici lo raccontano pieno di altruismo e di allegria. Raccontiamo la vita diversa che aveva questo ragazzo esile, che voleva fare il calciatore e giocare nella Roma che era la sua squadra del cuore, che ha fatto tutto quello che non si dovrebbe fare in questo tempo di menefreghismo che è diventato un vizio sociale, in questo tempo in cui conviene sempre farsi “i fatti propri” e invece lui, Willy, ha deciso che quella rissa andasse sedata, che quel suo amico andasse aiutato, che avrebbe potuto ritardare anche qualche minuto pur di soffocare una violenza che invece poi gli si è tutta rivoltata contro mentre per terra per interminabili minuti chiedeva di smettere, gridava di non riuscire più a respirare e l’orda di calci e di pugni gli fracassava la vita.

Raccontiamolo perché Willy, che piaccia o no, è il simbolo di un’Italia che ha bisogno di esempi di umanità che abbiano la pelle nera, perché siamo un Paese intossicato tutti i giorni (anche da quelli che in queste ore stanno facendo le vittime) da una narrazione che ci propone gli stranieri, specialmente neri, come pericoli da cui dobbiamo sfuggire, che insiste nell’urlacciare per ogni ruba galline che non sia italiano e invece in questo caso abbiamo un italiano (perché Willy era italiano, nonostante qui da noi si insista a credere che un italiano debba per forza essere bianco come professa qualche cretino anche in queste ore) che ci ha dato una lezione di cittadinanza, che ha finalmente invertito la rotta spezzando il racconto di chi insiste ogni giorno, goccia dopo goccia, a dirci che tutti quelli che arrivano siano sporchi e cattivi.

Forse servirà a poco, forse non servirà a niente, ma quel sorriso di Willy potrebbe cambiare, forse lo sta già facendo, la percezione tossica di un Paese che con il razzismo non ci ha mai fatto i conti davvero e che ora si ritrova a non poter non empatizzare con quel giovane ragazzo. Chissà che alla fine possa almeno servire, la morte di Willy, oltre ad avere la giustizia che invocano tutti, anche un nuovo atteggiamento generale, che una morte così orrenda valga più di mille numeri e di mille dati e che dica che continuiamo a temere i mostri sbagliati.

Leggi anche: 1. Il vuoto politico e sociale produce i mostri inumani di Colleferro (di G. Gambino) / 2. Se a uccidere un bianco fossero stati 4 neri sarebbe scoppiato il finimondo (di G. Cavalli) / 3. Omicidio Willy, i familiari degli arrestati: “Era solo un immigrato, non hanno fatto niente di male” / 4. “Per noi era come un figlio, sarebbe diventato un bravo chef”: parla il direttore dell’hotel dove lavorava Willy

L’articolo proviene da TPI.it qui

Salutavano sempre

Gabriele Bianchi, uno dei fratelli arrestati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, scriveva sul suo profilo Facebook (lo riporto letterale), è qualcosa di anni fa (9) perché purtroppo i profili sono stati immediatamente cancellati e non abbiamo materiale a disposizione. Scrive Gabriele Bianchi:

«lurido egizziano de merda te possa da na paradise secca pozzi rimane senza respiro, pozzi crepa lentamente, spero che qualcuno ti venga a cercare e che ti affoghi nella merda schifosissimo essere figlio di puttana se c’è ancora la guerra nel tuo paese di merda spero che ti uccidono adesso bastardoooooooo»

Risponde il fratello Alessandro, il fratello maggiore, estraneo alla vicenda della morte, quello che ieri in un’intervista ci ha detto che ha insegnato ai suoi fratelli “le regole, il rispetto per l’avversario, la disciplina” e che “il fascismo e il razzismo sono cose che non esistono. Politica non ne hanno mai fatta e in palestra si allenano con ragazzi romeni, albanesi, nordafricani”:

«egiziano de merdaa che tu possa bruciare all’inferno mi piacerebbe averti 10 minuti tra le mani il pezzo più grande rimarrebbe un tuo occhio negraccio de merda»

Gli risponde Gabriele Bianchi:

«aahahahahahaha che negro de merda… magari ora sta sotto fosso morto!!!».

I genitori dei fratelli Bianchi in caserma avrebbero dichiarato: «Cosa avranno mai fatto?! In fondo era solo un extracomunitario…».

Forse sarebbe il caso di dircelo chiaramente che la violenza (scritta, simulata, proposta, mimata, recitata) poi alla fine diventa azione. Forse sarebbe il caso di dirci, al di là delle risultanze delle indagini e del processo, che l’ambiente da cui escono i picchiatori di Willy è veramente tanto diverso da come ce lo vorrebbero raccontare, tutto tranquillo e sereno.

Basta farli parlare, si dipingono da soli. Di razzismo qui se ne sente l’odore, dappertutto.

Buon mercoledì.

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Scambiare un omicidio per una rissa

Pregiudizi razzisti e agiografia dei violenti: nel raccontare l’uccisione di Willy Monteiro Duarte una parte del giornalismo italiano ha dato di nuovo il peggio di sé

Insuperabile il Corriere della Sera che descrivendo uno degli arrestati per la morte di Willy Monteiro Duarte scrive: «Ma Gabriele Bianchi, uno dei quattro fermati (insieme al fratello Marco e altri due) per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, nei mesi di lockdown si era posto anche un problema più concreto: come tirare avanti, mettere insieme pranzo e cena. Da giovanotto sveglio e concreto lo sapeva: non potevano essere gli sport da combattimento a dargli una sicurezza economica. Così s’era inventato una vita meno bellicosa, quella del fruttivendolo».

Giovanotto sveglio e concreto: l’agiografia dei violenti ultimamente va per la maggiore e ogni dettaglio utile per sminuire l’accaduto sembra ricercatissimo da certi giornalismi per farci un bell’articolo. Eppure si sta parlando di pregiudicati, conosciuti da tutti come violenti, simpatizzanti dell’estrema destra e che si dedicavano volentieri alle risse. Questo piccolo dettaglio viene omesso.

Del resto i fatti raccontano che Willy Monteiro Duarte sia stato ammazzato di calci e di pugni, ovviamente in molti contro uno, come si conviene ai vigliacchi e sia rimasto lì, morto per terra. “Rissa”, scrivono certi giornali: come se fosse una “rissa” massacrare di botte un ragazzetto che pesa la metà di te insieme ai tuoi amici e contro cui usi le tue tecniche di combattimento imparate per diventare ancora più efficace nella tua violenza.

Poi c’è il racconto che ci dice che Willy Monteiro Duarte e la sua famiglia fossero “ben integrati”. Di grazia, qualcuno vorrebbe dirci che informazione è? Se non fossero stati “bene integrati” sarebbe stato più immaginabile un omicidio del genere?

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e aveva proprio ragione.

Infine c’è la narrazione di chi vorrebbe farci credere che Willy si sia trovato “nel posto sbagliato nel momento sbagliato”. Anche questo è un falso: Willy ha ritenuto opportuno difendere un amico dalla foga e dalla violenza di questi picchiatori professionisti. Willy ha deciso di essere altruista e solidale in un territorio in cui evidentemente è un lusso che non ci si può permettere. Willy ha incocciato uno di quei quartieri presidiati dalla violenza di qualche gruppetto di pestatori professionisti che vorrebbero comandare il territorio. Willy ha fatto la cosa giusta. Siamo noi che gli abbiamo fatto trovare il Paese sbagliato.

Buon martedì.

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La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

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E i decreti sicurezza?

Avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità e invece dopo 362 giorni di Conte 2 le leggi di Salvini sono ancora in vigore

Conviene ricordarlo perché fa bene a noi e fa bene anche a loro, loro che sono al governo e che ci avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità, ci avevano rassicurato che si sarebbe cambiata rotta. E il bello è che continuano a dircelo ancora, insistono nel tranquillizzarci chiedendoci ancora pazienza. State buoni, abbiate fiducia, ora facciamo tutto.

I decreti sicurezza. Quei decreti sicurezza voluti con tanto ardore da Matteo Salvini e controfirmati da Luigi Di Maio e dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, quei decreti sicurezza che in nome della discontinuità sarebbero stati abrogati e poi invece ci siamo dovuti accontentare che fossero modificati. Badate bene: della promessa che fossero modificati. Siamo sempre nel campo delle promesse. Sono passati 362 giorni dall’insediamento del governo Conte 2 e i decreti sicurezza continuano a restare là dove sono e, dalle notizie che girano dalle parti del governo, sembra che se ne riparli dopo le elezioni regionali, a ottobre. Vi ricordate la promessa che sarebbero stati all’ordine del giorno nel primo Consiglio dei ministri di settembre? Beh, scherzavano, non è così.

Le parole migliori le ha espresse Gianfranco Schiavone di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) a Redattore Sociale: «Questo rinvio è l’ennesimo gioco della paura: si rinuncia a presentare agli italiani la propria visione diversa e nuova sulle migrazioni per paura di perdere consenso. E’ ormai un circolo vizioso costante dal quale però bisogna uscire, soprattutto in un momento in cui bisognerebbe spiegare le proprie idee agli elettori. Quei decreti non vanno bene, perché non spiegare che i grandi centri creati da Salvini stanno creando problemi con l’emergenza sanitari di Covid-19? Che serve reintrodurre una forma di protezione? Così rimane solo l’impianto ideologico della destra. Se poi il rinvio significa che il voto influenzerà le modifiche, potremmo avere una crisi di quell’accordo che abbiamo raggiunto a fatica, c’è addirittura lo spettro di non fare nulla».

E così siamo alle solite: una politica che decide di non decidere sperando di continuare a galleggiare, come se niente fosse. Un centrodestra che può continuare a sparare a palle incatenate e intanto un centrosinistra che non ha nemmeno il coraggio di proporre un’alternativa. Qui ormai siamo oltre all’egemonia culturale della destra: qui siamo nel deserto di idee e di coraggio. Lo so, ancora, è sempre la solita storia.

Buon martedì.

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Maltempo? No, si chiamano cambiamenti climatici: così in Italia muoiono bambini e sprofondano città

In Liguria ci sono state città attraversate da fiumi d’acqua. Verona è stata martoriata. Su Milano circolano le foto degli alberi caduti per il forte maltempo, una RSA è stata scoperchiata, il tetto è volato via come uno straccio e tutti gli ospiti sono stati trasferiti d’urgenza. Nel cremonese la grandine ha devastato il territorio e si sta facendo ancora la conta dei danni. Moltissime le strade bloccate. E poi la notizia di ieri di due sorelle morte per un pioppo alto quattro metri sradicato dal fortissimo vento che le ha schiacciate mentre dormivano nella loro tenda, una tromba d’aria atipica l’hanno definita gli esperti, a Marina di Massa.

Sembrano incidenti, scherzi della natura e del destino, finiscono nelle discussione e nella cronaca come se fossero sfortunati episodi eppure i numeri dicono altro, lo dicono da tempo e lo dicono in modo chiarissimo: gli eventi meteorologici estremi nel 1999 in Italia sono stati in tutto 17, nel 2019 abbiamo avuto 1668 casi (fonte l’European Severe Weather Database) e probabilmente questo 2020 segnerà un altro record. Continuare a credere (e raccontare) che ciò che accade sia frutto di casualità senza vederne invece la sistematicità causata dal cambiamento climatico è l’atteggiamento più vigliacco e pericoloso.

Un’inchiesta dello European Data Journalism Network diffusa da stopglobalwarming.eu racconta che l’Italia potrebbe perdere qualcosa come 1.030,5 chilometri di spiagge nei prossimi 80 anni. Spiegato semplice: se si continua così da qui al 2100 una spiaggia su tre non esisterà più, non ci sarà la spiaggia di San Teodoro in Sardegna e nemmeno quella di Lignano Sabbiadoro nella laguna di Venezia, nella zona di Rimini le spiagge arretrerebbero di almeno 40 metri, solo per far qualche esempio.

Eppure un sondaggio realizzato da Ipsos qualche settimana fa dice che il 72% degli italiani è convinto che il cambiamento climatico sia addirittura un problema più serio della pandemia e l’80% ritiene che il governo dovrebbe ripartire proprio da qui anche per rilanciare l’economia della Paese. Otto italiani su dieci sono convinti che il cambiamento climatico sia dovuto alle attività umane e che si prospetti un disastro ambientale se non ci sarà un cambiamento di abitudini. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che no, che non si tratta di sfortuna, che non serve più la solidarietà dopo una tromba d’aria e un acquazzone: ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, comportamenti che valgono come soluzioni e decisioni che devono essere messi in cima all’agenda. Intervenire in tempo è impegnativo ma non provarci sarebbe un suicidio.

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