Vai al contenuto

algoritmo

L’algoritmo dell’odio

Quello che sta raccontando Frances Haugen, ex data scientist di Facebook, è un tema politicissimo

Abbiamo passato (giustamente) anni a discutere di odio applicato alla politica, alla società. Stiamo discutendo degli effetti che l’odio ha sulle nostre vite e sulla nostra economia. Poi, improvvisamente, ci siamo convinti che l’odio sia così e soprattutto che i social possano essere così. Una resa incondizionata di fronte all’architettura del web: ci siamo detti che il mondo va così e la gente è fatta così.

Quello che sta spiegando in giro per il mondo Frances Haugen, ex data scientist di Facebook, ora definita “talpa” perché ha deciso di raccontare ciò che ha visto all’interno del colosso è un tema politicissimo. Haugen nel Regno Unito di fronte ai legislatori che stanno lavorando a norme sui social media ha spiegato in che modo i gruppi di Facebook amplificano l’odio online: gli algoritmi, in sintesi, danno la priorità all’engagement e spingono ai margini le persone con interessi generali. In sostanza più odi e più funzioni, su Facebook e poi a cascata nella vita e nella politica, dove gli algoritmi social si sono fatti forma mentis.

Ha detto Haugen: «Il social network vede la sicurezza come una fonte di costo, celebra la cultura delle startup di ‘accorciare i percorsi’»e “senza dubbio” peggiora il clima di odio. «Gli eventi che stiamo vedendo in tutto il mondo, come in Myanmar e in Etiopia sono i capitoli iniziali perché la classifica basata sull’engagement fa due cose: dà priorità e amplifica i contenuti estremi che dividono e polarizzano e li concentra».

Haugen aveva già consegnato al Congresso americano documenti di ricerca interna che aveva copiato di nascosto prima di lasciare il suo lavoro in Facebook. Un consorzio di 17 testate giornalistiche americane ha ricevuto i documenti, già in parte raccontati nelle scorse settimane dal Wall Street Journal che rivelano come Menlo Park abbia in modo riservato e meticoloso ‘tracciato’ i conflitti nel mondo reale esacerbati sulla piattaforma, ignorato i consigli dei dipendenti sui rischi di alcune pratiche, esponendo comunità vulnerabili in tutto il mondo a messaggi pericolosi e incendiari.

Haugen aveva detto di fronte al Congresso americano: «Quando abbiamo capito che le compagnie di tabacco nascondevano i danni che provocavano, il governo è intervenuto. Quando abbiamo capito che le auto erano più sicure con le cinture di sicurezza, il governo è intervenuto. E oggi, il governo sta intervenendo contro le compagnie che hanno nascosto le prove sugli oppioidi. Vi imploro di fare lo stesso in questo caso. In questo momento, Facebook sceglie le informazioni che miliardi di persone vedono, modellando la loro percezione della realtà. Anche coloro che non usano Facebook sono influenzati dalla radicalizzazione delle persone che lo usano. Un’azienda che ha il controllo sui nostri pensieri, sentimenti e comportamenti più profondi necessita di una supervisione reale».

Non sembra anche a voi che non si parli solo di Facebook ma del mondo qui intorno, perfino delle proteste che attraversano il Paese in questi giorni?

Buon martedì.

Nella foto: attivisti a Taguig a est di Manila, nelle Filippine, protestano davanti alla sede di Facebook

Per approfondire, Left del 22-28 ottobre 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La Bestia non è solo un algoritmo: lo dimostrano i commenti xenofobi in chat della giunta di Voghera

No, attenzione, cerchiamo di capirci. La Bestia di Salvini e Morisi non è solo un algoritmo, troppo facile limitare la condanna a una questione di frasi sputate sui social come se le parole non generassero realtà. La melma sdoganata dal duo tragico che ha tenuto in mano le redini della Lega quest’anno sta tutta nel rendere potabile ciò che non dovrebbe essere tollerato, coltivare una cattiveria indice di forza presunta che addirittura è un motivo di vanto da parte di rappresentanti istituzionali e che viene spalmata tra sorrisi e faccine.

La bestialità della Bestia ha la forma della Giunta della città di Voghera, dove l’assessore ai Lavori pubblici Giancarlo Gabba scrive nella chat riservata a sindaca e assessori che “finché non si comincerà a sparare, sarà sempre peggio” riferendosi al caos in piazza San Bovo. Annusate la puzza: “Davanti allAfrica market mega assembramento — scriveva il vicesindaco Simona Virgilio — con tantissimi individui con bottiglie in mano, non si riesce neanche a passare”.

Il 12 marzo la sindaca parlava in prima persona: “ma in tutto ciò il marocchino che chiedeva elemosina è annegato?”. E se la frase già da sola vi risulta schifosa allora provate a ingoiare le risate servili che seguono e la foto di angolo di Voghera definito “il tempio della cavalleria, dove vanno lì a bivaccare”, poi un commento dell’assessore Adriatici che ironicamente propone di “togliere la panchina” e poi quello di Giancarlo Gabba, ancora: “Purtroppo, ormai non bastano più i nostri vigili! Ci vuole ben altro!”, col disegnino di una bomba.

Voghera, vale la pena ricordare, è la stessa città dove l’assessore leghista alla Sicurezza Massimo Adriatici, attualmente agli arresti domiciliari con laccusa di eccesso colposo di legittima difesa, ha ucciso con un colpo di pistola (e con proiettili illegali in Italia) Youns el Boussettaoui. Quelle parole che galleggiavano nel razzismo ridanciano di una Giunta comunale che chioccherà come un’allegra compagnia un po’ brilla al bar risuonano ancora più tetre e losche alla luce dell’omicidio che seguirà da lì a qualche mese, il 20 luglio.

La Bestia di Salvini e di Morisi non è solo un algoritmo: la Bestia è quel veleno che oggi non rende inaccettabile e immorale avere una classe dirigente che si trastulla in un bullismo xenofobo e ancora oggi tiene il potere a Voghera. La Bestia ha inoculato intolleranza e ha reso tollerabile la sguaiata inettitudine di un manipolo di tronfi odiatosi che sono usciti dai social e addirittura siedono nei posti di comando.

Qui non è questione di essere dell’una o dell’altra parte politica, qui ormai siamo sui bordi di una malefica incapacità di essere all’altezza del proprio ruolo e di un’armare le pistole senza rendersene conto. I mandanti morali della morte di Youns el Boussettaoui (e di tanti altri come lui, morti magari senza pallottole ma semplicemente con i polmoni pieni d’acqua) sono quelli che poi si arrabattano e si arrotolano dicendoci che “era solo uno scherzo” senza cogliere l’immarcescimento dei valori. 

La sindaca di Voghera e i suoi assessori non sarebbero ritenuti degni di tenere un comportamento del genere nemmeno al bar e la loro funzione pubblica che usano come scudo è un’aggravante. Il problema non è “la Bestia” di Salvini: il problema sono le bestie che da Salvini in questi anni si sono sentite legittimate e che grazie a lui addirittura sono risultati eletti. E Voghera è il manifesto di parole che diventano pietre.

L’articolo proviene da TPI.it qui