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antiracket

Il circo dell’antiracket

Attenzione: al di là della schiuma tra egocentrici c’è un circo sottoposto alla censura della Corte dei Conti di Napoli. Ne scrive qui il bravo (anzi: bravissimo) Arnaldo Capezzuto:

Non è la prima volta e non sarà l’ultima che la Corte dei Conti di Napoli, ovvero i giudici contabili, stigmatizzano questo modus operandi o quanto meno una pratica alquanto disinvolta nell’affollato mondo dei professionisti della legalità. I giudici – a più riprese- vagliando corpose documentazioni con atti formali chiedono, interrogano, dispongono approfondimenti, delucidazioni alle pubbliche amministrazioni quali erogatori: dalla Ue, ai Ministeri, alla Regione, alla Provincia, ai Comuni. Capita spesso che i giudici della Corte dei Conti debbano smascherare consulenze ad personamaccordate a Tizio, Caio e Sempronio accreditati come esperti di “Camorrologia” come puro scambio di favori. Gli importi sono fissati da un prezzario segretamente in vigore, i zeri sono svariati. Prendo spunto dall’ultimo accertamento della Corte dei Conti di Napoli, di ha dato notizia solo  Corriere.it. Nel mirino dei giudici partenopei è finito il mondo dell’antiracket e dell’usuraMi sembra che dopo i casi clamorosi di Rosy Canale e dell’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole mi sembra – a naso – davvero di trovarci di fronte ad un’altra storiaccia.

Al centro delle indagini sono finiti i Pon-Sicurezza cioè il Programma Operativo Nazionale finanziato dalla Comunità Europea per contrastare gli ostacoli allo sviluppo del nostro Mezzogiorno. Pare che la F.A.I. (Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura), che raggruppa una cinquantina di associazioni antiracket e facente capo a Tano Grasso abbia ottenuto finanziamenti per7 milioni di euro. Una cifra – secondo le indagini – è sproporzionata in considerazione delle tante realtà operanti in Italia e che si occupano da anni di lotta al racket e all’usura. Il sospetto è che l’iter per l’assegnazione di questa pioggia di denaro pubblico non sia stata molto trasparente. La Corte dei Conti di Napoli insomma sospetta un illecito amministrativo che avrebbe provocato un danno erariale. Gli accertamenti sono stati avviati grazie all’esposto della “Lega per la Legalità” ed “S.O.S. Impresa” dove in una lettera denunciavano la “mercificazione” dell’attività contro il pizzo, l’esistenza di una “casta dell’antiracket” e, addirittura, alcuni casi di nomine ‘politiche’ ai vertici di associazioni antimafia diventate a parere dei firmatari della missiva mera merce di scambio, in una logica di premi e promesse elettorali. C’è un ampio spazio dove Tano Grasso saprà documentare e chiarire la posizione del Fai. Ma desta qualche perplessità – sinceramente – la nascita di una newsletter quindicinale “Lineadiretta” dove il Fai ha stanziato per la copertura di dodici mesi di pubblicazione la somma di centomila euro. L’unica certezza è che i giudici della Corte dei Conti di Napoli sapranno scrivere una parola di verità a tutela dei tanti che lottano in silenzio la camorra.

 

Racket, denunce e credibilità di Stato

La credibilità di uno Stato che combatte l’illegalità si pesa sulla protezione e la vicinanza per tutte quelle persone che alzano la testa e trovano il coraggio di denunciare. In un Paese normale sarebbero i monumenti al coraggio e alla lotta da esportare con orgoglio piuttosto delle parate e delle bandiere e dovrebbero essere i libri di testo per la materia della responsabilità. Noi ce li dimentichiamo troppo spesso questi “eroi” così fortissimamente normali che mi rendono orgoglioso di essere loro concittadino. Penso a Pino Masciari, Ignazio Cutrò, Valeria Grasso e tutti quelli che colpevolmente non conosco. Per questo nel primo giorno dell’anno sarebbe da capire se la credibilità di Stato ha l testa alta e il pugno fermo di fronte alla sparizione di Francesco Dipalo, scomparso da qualche giorno. Una famiglia che alza la voce contro il racket dovrebbe avere il natale che bussa alla porta tutte le mattine di tutti i giorni dell’anno. E uno Stato che la segue passo passo.

ALTAMURA, SI CERCA L’IMPRENDITORE ANTIRACKET SCOMPARSO A NATALE

fonte: www.narcomafie.it

Non si hanno più notizie di lui dal giorno di Natale. Francesco Dipalo, 47 anni, titolare di un’azienda di idrosanitari vicino a Matera, ha fatto perdere le tracce di sé: a dare l’allarme la moglie, Laura Lorusso, la quale si appella alla cittadinanza: «Se qualcuno ha delle notizie si metta subito in contatto con le forze dell’ordine».

L’imprenditore di Altamura era stato vittima – dal 2001 al 2003 – del racket delle estorsioni, che aveva coraggiosamente denunciato garantendo alla giustizia coloro che gli imponevano il pizzo. Da allora però la vita di Francesco Dipalo e della sua famiglia è stata stravolta: vittime di atti intimidatori presso la propria abitazione e la propria azienda, sono stati inseriti nel Programma Speciale di Protezione. Una vita difficile, blindata, passata in solitudine, in clandestinità; Dipalo aveva lamentato la scarsa presenza dello Stato, spiegando di sentirsi vittima «non solo del racket delle estorsioni ma anche di un sistema che non tutela chi denuncia i propri aguzzini». Per protesta l’uomo, nel dicembre 2008, si allontanò da Altamura senza avvisare nemmeno la propria moglie, per fare ritorno a casa dopo cinque giorni. Un episodio dunque che potrebbe costituire un precedente rispetto a quanto sta accadendo in questi giorni: l’imprenditore risulta di nuovo scomparso e gli inquirenti non abbandonano la pista della fuga volontaria, come appunto avvenuto in passato. Le indagini sono coordinate dalla pm Desiré Digeronimo della Dda della Procura di Bari in sinergia con il reparto investigativo dei Carabinieri di Bari. Proprio alla Procura pugliese Francesco Dipalo aveva indirizzato una lettera scritta la vigilia di Natale, il giorno prima della sua scomparsa.

La vicenda dell’imprenditore di Altamura riporta all’analoga situazione vissuta da Pino Masciari, l’imprenditore edile che ha avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori di Serra San Bruno e che per questo ha vissuto 14 anni di odissea: insieme alla moglie e ai figli ha abitato in località segrete, senza il sostegno dello Stato che avrebbe voluto sentire, con la paura di essere scovato e ucciso. Come avvenne per Libero Grassi e Vincenzo Grasso, che pagarono con la vita il loro coraggio per aver denunciato chi li opprimeva con il pizzo. Il primo fu ucciso a Palermo il 29 agosto 1989 mentre il secondo, commerciante di Locri, trovò la morte il 20 marzo dello stesso anno.

Pesantissimo il grido della moglie di Francesco Dipalo: «Se dovesse succedergli qualcosa voglio che la gente capisca che denunciare non serve, è meglio non farlo. Quello che ti fa lo Stato è peggio di quel che fanno i delinquenti». Parole dettate dalla disperazione e dalla rabbia, che stridono con quanto, per esempio, ha sempre dichiarato Pino Masciari: «Se tornassi indietro, rifarei tutto. Perché solo denunciando queste persone si ritorna liberi». Nella forza della denuncia credevano anche Libero Grassi e Vincenzo Grasso, ci credono le persone che hanno costituito il comitato “Addiopizzo”, ci ha creduto lo stesso Francesco Dipalo quando denunciò i propri estorsori. Il Procuratore Aggiunto della Procura di Milano Ilda Boccassini, commentando l’evolversi dell’indagine “Il Crimine” ha sottolineato l’importanza della denuncia: «Ci siamo resi conto – ha commentato – che non pervengono denunce da parte dei commercianti, degli imprenditori, delle persone che sono nel mirino degli estorsori; è un fatto sintomatico di cui prendiamo atto, è impensabile debellare i fenomeni di racket e usura se le loro vittime non trovano il coraggio di rivolgersi alle autorità preposte per accusare i propri aguzzini».