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Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

In un Paese normale almeno avrebbe la dignità di rimanere defilato. Alberto Zangrillo, il primario di rianimazione e anestesia del San Raffaele di Milano, continua a imperversare nelle trasmissioni televisive (in cui va per dire che troppi suoi colleghi sono in televisione) e sui giornali: non è bastata la catena di brutte figure che ha inanellato in questi ultimi mesi per consigliargli un po’ di pudore. Non è bastata la sua affermazione mostruosa su un virus “clinicamente morto” e che invece è tornato a imperversare e non è bastata la figuraccia rimediata con Silvio Berlusconi che lui descriveva in “ottima salute” mentre il Cavaliere poco dopo avrebbe raccontato a tutto il Paese le sue “enormi difficoltà”.

Niente, niente di tutto questo. Anzi Zangrillo ora addirittura si supera e esce in prima pagina su Libero (e dove, sennò?) per dare voti agli altri medici. Lui, Zangrillo, che giudica l’operato degli altri. Roba da fantascienza. “Il Sars-Cov2 ha messo in linea di produzione una serie di scienziati privi dei necessari parametri per essere definiti e riconosciuti come tali”, risponde Zangrillo alla domanda di Pietro Senaldi sull’esposizione pubblica di medici in questo ultimo periodo. Zangrillo, che probabilmente pensa di essere un tuttologo, si lancia anche a dare consigli alla stampa, ci dice che “non tornerà l’emergenza di marzo”, ritiene “pericolosi” i tamponi fatti per prevenzione (sarà per questo che il suo ospedale li vende privatamente e dietro un lauto compenso come servizio privato) e ci tiene a precisare che molti dei volti che ascoltiamo non sono virologi: “Guardi che Remuzzi, Gattinoni, Richeldi, Bassetti, Lorini, Ippolito e il sottoscritto non sono virologi”, dice al giornalista. Ce ne eravamo accorti, Zangrillo, ce ne eravamo accorti.

Poi difende i membri del Comitato Tecnico-Scientifico: “Mantengo un rapporto di stima e amicizia con molti membri del CTS. Conosco il valore del lavoro silenzioso a supporto del legislatore. Certe inopportune grida di allarmismo estremo non provengono da lì”. Insomma, Zangrillo ci dice che ci sono troppi medici poco affidabili sui media e sparge giudizi senza nemmeno un briciolo di autocritica e lo fa al suo solito: schiacciando l’occhio ai minimizzatori e pronunciando proprio le parole che servono e che tornano utili a una certa politica. È il solito Zangrillo, quello che ha sempre la frase giusta per sovraesporsi e per esprimere giudizi che spesso hanno poco a che vedere con la sua professione. E Libero, ovviamente ce lo propone in prima pagina. Avanti così.

Leggi anche: 1. “Il Covid era in Italia già a settembre 2019”: la scoperta dell’istituto tumori di Milano / 2. Sanità Calabria, Gino Strada: “Contatti con il Governo. Disponibile, ma chiedo garanzie” / 3. Esclusivo TPI – Calabria, la denuncia dell’ex primario: “Abbiamo un laboratorio per processare i tamponi, ma nessuno ci risponde”

4. Come sarà distribuito il vaccino anti-Covid in Italia? La bozza del piano del Ministero / 5. Sapevate che chi gioca a golf può muoversi liberamente in Italia nonostante il lockdown? / 6. Sassoli: “L’Europa deve cancellare i debiti contratti per il Covid. Il Mes? Così non lo prenderà nessuno”

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La vergogna del San Raffaele di Milano: con centinaia di morti al giorno sminuisce la pandemia

Accadono cose di cui sfugge il senso, di cui non si coglie il nesso e che raccontano perfettamente la guerra tra uomini di scienza che si gioca sui metodi di narrazione piuttosto che sui dati scientifici. Sarebbe poco male, una battaglia interna che sicuramente poco appassiona se non fosse che da mesi, sotto questi duelli tra virologi e professionisti, ci sta un Paese che inevitabilmente costruisce le proprie tesi e le proprie paure proprio sulle parole di quelli che improvvisamente sono diventati divulgatori scientifici. E la divulgazione scientifica è una cosa sera, terribilmente seria, importante quasi quanto un nuovo vaccino o una nuova cura.

Per questo sarebbe curioso chiedere a qualcuno del Gruppo San Donato e dell’università Vita-Salute San Raffaele il senso del loro comunicato stampa in cui prendono le distanze da un tweet del medico Roberto Burioni, che sembra non dire nulla di particolare. Partiamo dall’inizio. Burioni twitta: “Alcuni dicono che i pronto soccorso sono affollati da persone in preda al panico, e può essere vero. Ma quelle centinaia di persone che finiscono ogni giorno al cimitero a causa di Covid-19, sono spinte dal panico? Basta bugie. Basta bugie. Basta Bugie”.

L’intento appare perfino scontato: mentre abbiamo passato mesi a sentire esimi virologi che ci dicevano che il virus fosse “clinicamente morto” oppure che fosse una semplice influenza (in capo a tutti proprio quel professor Zangrillo del San Raffaele di Milano per cui Burioni lavora) forse sarebbe il caso di rendersi conto che la sottovalutazione del virus (e la conseguente morbidezza sull’attenzione che occorre tenere per non fomentare l’epidemia) è un rischio reale e enorme.

Il Gruppo San Donato risponde con un comunicato in cui dice: “Pur riconoscendo l’autonomia di espressione, il Gruppo San Donato e l’università Vita-Salute San Raffaele lo invitano a considerazioni più rispettose della verità e del lavoro altrui”. Ora: i Pronto Soccorso sono affollati, lo dicono i numeri e basta una veloce ricerca su internet per valutare il livello di stress. Si affollano anche i ricoveri ordinari e straordinari. Si incrementa, purtroppo, anche il numero dei decessi quotidiani.

Quindi quali sarebbero le “considerazioni” poco “rispettose della verità” esattamente? Qual è il punto che ha fatto saltare i nervi all’azienda tanto da costringerli a prendere carta e penna? Non è una domanda da poco perché un cittadino qualsiasi, un osservatore esterno, rimane incastrato proprio su questo punto. E sarebbe importante saperlo, no?

Leggi anche: Il San Raffaele smentisce Burioni che dice che ogni giorno ci sono centinaia di morti: “Considerazioni infondate, non conosce situazione”

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Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori

Povera Calabria. Povera terra che ostinatamente prova a sopravvivere a una classe dirigente che si occupa soprattutto di essere diligente con i propri padroni piuttosto che con i propri compiti, una terra in cui spesso ciò che è Stato si rivela essere un ostacolo per incompetenza, per tradimento di valori e per servilismo. La Calabria in questi giorni occupa le pagine dei giornali per l’incredibile sequela di figuracce che arrivano da un piano importante, l’ufficio del “commissario straordinario” alla Sanità che dovrebbe essere, per nome e per ruolo, la figura di garanzia in un momento buio che attraversa il mondo.

E invece prima c’è la pessima commedia del generale Saverio Cotticelli, quello che scopre durante un’intervista di essere lui a dover preparare il piano anti-Covid che in Calabria continua a mancare e che poi giusto per peggiorare la sua situazione si inventa un’ospitata da Massimo Giletti per farci sapere che “non era lui”, che forse era “stato drogato” e che non si riconosceva nelle sue stesse azioni. Qui siamo a livelli di insaputismo che supera ogni fantasia.

Poi arriva Giuseppe Zuccatelli, il Governo corre (male) ai ripari e decide di nominare un manager sanitario che in Calabria non ha certo collezionato grandi successi (durante la prima ondata lo scandalo della Rosa di Villa Torano è finita in un’inchiesta ancora in corso) e che sembra avere come merito quello di un’appartenenza politica spiccatissima nelle fila di Leu, con cui si è candidato riuscendo a prendere più o meno i voti di un rappresentante di classe.

È bastato grattare un po’ la superficie per scoprire il nuovo commissario calabrese esprimere fantasiose teorie su mascherine che non servono, sul virus che si prende solo baciandosi per almeno 15 minuti e altre bischerate che l’hanno fatto scaricare persino dal suo compagno di partito Nicola Fratoianni.

Ora gira l’idea di Gino Strada. Ma attenzione: come sub commissario. In sostanza si torna sul nome di chi per il M5S era un papabile presidente della Repubblica e che poi è diventato uno degli amici dei “taxi del mare”. E cosa vorrebbero fare di lui? Nominarlo alle dipendenze di Zuccatelli per lavarsi la faccia e ripulire un po’ tutta questa lordura. E la cosa fa un certo senso: credere che una personalità come Gino Strada possa fare da secondo a Zuccatelli significa avere un’idea distorta del merito e un’impenitente attaccamento ai propri errori. Quindi siamo sicuri che nessuno potrebbe avanzare una proposta così offensiva. Vero? Sì?

Leggi anche: 1. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 2. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 3. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 4. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

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Tamponi privati, tamponi pubblici

Dalla Lombardia arriva una testimonianza sulla gestione della sanità e sulla difficoltà a fare i tamponi. Nel servizio pubblico, ovviamente

Mi scrive Mattia:

«Ti voglio raccontare due storie che sono strettamente connesse e che hanno a che fare con l’epidemia da coronavirus. Sono due storie che parlano di me e della mia famiglia e della gestione a dir poco folle e criminale di Regione Lombardia. La prima parte della storia riguarda la questione tamponi: mi sono contagiato, in famiglia, andando a prendere una pizza da una zia asintomatica, e ho contagiato mia mamma. Si sono contagiati, con me anche mio fratello e il mio compagno, fortunatamente tutti con sintomi lievi. E qui mi fermo, perché questa malattia ci ha spinto e ci spinge a pensare che le priorità del dolore non siano mai abbastanza: mi sento fortunato e lo sono stato, penso a chi invece non ce l’ha fatta ed è morto con i polmoni di pietra e ringrazio il destino. Ma questo non toglie la paura. E tuttavia, facendo i conti con i sensi di colpa, ho dovuto anche fare i conti con una “sanità” che non accetta più tamponi a chi non ha la febbre. Il mio medico ha dovuto mentire dicendo che fossimo ancora febbricitanti per ottenere un tampone. Inoltre, come se non bastasse, i tempi per ottenere un risultato si stanno aggirando ad oggi sui dieci giorni di attesa. E tu mi dirai “Sono tempi tecnici”, e io ti rispondo che hai ragione. Ma il problema è che i giorni di isolamento partono da quando si sa l’esito del tampone e al lavoro non ci si può tornare e si sta in attesa anche se nel frattempo si sta già facendo la quarantena. Inoltre, se il secondo tampone fosse di nuovo positivo, la Regione non ha tempo, modo, risorse di farne un terzo, quindi ti assegna ventuno giorni di quarantena e tanti saluti. Tutto questo ovviamente se si va nel pubblico, perché il privato funziona. Ma almeno si avesse la decenza allora di dire che la nostra “sanità” è all’americana, sarebbe meno ipocrita e più credibile. Dire “Signori, i “ricchi”, come in America li curiamo”, i “poveri” quando abbiamo tempo. Che poi parlarne di cosa vuol dire “ricchi”: so di gente che ha speso i soldi da parte per un tampone a 120 euro senza quasi sintomi ma per una legittima voglia di sapere. E a questa prima storia si aggiunge quella che più mi fa male: mio nonno si chiama Lucio, ha ottantanove anni e da febbraio ATS non gli concede le analisi del sangue. “Qui si fanno i tamponi” e oggi per la seconda volta lo hanno rimandato a casa. Inutile dire che mio nonno di quelle analisi ha bisogno e quindi ovviamente provvederemo a mandarlo in altri centri anche a pagamento, anche dandogli una mano con la pensione da muratore che ha e con la quale paga affitto e medicine. Ecco, ti scrivo perché c’è di sicuro una parte di rabbia, ma c’è anche tanta delusione e sconforto. E volevo condividerlo con te».

È una testimonianza singola ma che la possibilità di fare i tamponi sia diventata in molte zone una condizione che appartiene solo alla sanità privata qualche domanda forse ce la dovrebbe porre. No? Per il resto c’è poco da aggiungere. È tutto nella lettera.

Buon martedì.

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L’ultimo stadio del populismo: il risultato non ci piace? Ci inventiamo brogli e cancelliamo la democrazia

Il bamboccione, il vero bamboccione, è quel ragazzo attempato che guida una superpotenza mondiale e ieri è riuscito nella mirabile impresa di svolgere la peggiore conferenza stampa di questi ultimi anni in una cosiddetta democrazia. Il ragionamento di Trump, come tutti i ragionamenti semplici di chi è incapace di affrontare la complessità, è basico e feroce, come quello dei bamboccioni, e si srotola tutto nel ritenere il potere un proprietà privata che contiene tutto: presidenza, favor di popolo e persino la democrazia e tutti i suoi meccanismi.

I nuovi populisti, che ci auguriamo vengano spazzati via presto se basta un Biden per spodestarli, sono dalla parte del popolo solo se il popolo è dalla loro parte poiché si riempiono la parola della parola “patria”, ma l’unica patria che riconoscono sono loro stessi, perfino i propri elettori sono semplicemente un ingrediente fastidioso e detestabile che serve solo per raggiungere lo scopo. E così Trump che ci parla di “brogli alle elezioni” senza uno straccio di prova e che legge come voti utili solo i voti che riguardano se stesso sono l’ultimo stadio del populismo che ci ha infettato tutti, da parecchi anni, e che passa dalle più disparate e screanzate teorie che permettono di restare a galla (o di illudersi di restare a galla come nel caso di Trump) senza nemmeno assumersi l’onere della prova.

Trump sta disfacendo la credibilità degli Usa nel mondo senza nessun senso di responsabilità nei confronti dell’onore del suo Paese, quell’onore di cui si è riempito la bocca per tutti questi anni fingendo di parlare di Usa quando in fondo era solo una proiezione della propria identità. E siccome sono personaggi fragili, fragilissimi, riescono a misurarsi solo con la ricchezza e con il potere che hanno conquistato senza mai riuscire a fare i conti con un’eventuale sconfitta.

Un presidente Usa che viene perfino censurato dagli algoritmi social per le sue strampalate teorie senza né capo né coda è un bamboccione che ha già perso, è quello che grida dall’ultimo banco per farsi notare, è quello che dice “la palla è mia ora non si gioca più”, solo che lo fa nelle vesti di presidente di una superpotenza mondiale. Trump ha a disposizione tutti i mezzi per verificare e per raccontarci la regolarità delle elezioni: lo faccia, indaghi, porti i numeri, presenti i fatti. Ma no, non accadrà perché questi sono solo la loro narrazione, in sostanza non esistono e quando la narrazione si incaglia sanno solo svoltolare. Come bamboccioni.

Leggi anche: 1. Il golpe mediatico (con fanfara) di Trump / 2. Altro che trionfo di Biden. Ancora una volta sondaggi e opinionisti hanno toppato alla grande / 3. “Il voto in Usa ci dice che Trump non è un fenomeno passeggero”

ELEZIONI USA 2020: I REPORTAGE DI PIETRO GUASTAMACCHIA PER TPI DAGLI USA

  1. Viaggio nel Bronx: “Io, repubblicano italo-irlandese, voglio sconfiggere Ocasio-Cortez e il suo socialismo”
  2. “La polizia ci spara addosso, l’America capitalista ci sfrutta. Ora noi neri spacchiamo tutto”: reportage da Philadelphia
  3. Elezioni Usa, viaggio in Pennsylvania: “Qui ci si gioca tutto. Se Biden vince, sarà presidente”

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Fontana bifronte

Prima ribadisce che il lockdown è competenza del governo. Poi si lamenta della zona rossa istituita da Palazzo Chigi. È molto confuso, il presidente della Regione Lombardia

Fontana guida la schiera di presidenti di Regione che se la prendono con il governo per le misure adottate, considerate troppo severe. Bello fare il presidente di Regione in Italia se si è di un colore politico diverso rispetto al governo: si urla per giorni “non decidono! non decidono!” e poi quando decidono ci si lamenta che hanno deciso. Tanto a loro cosa interessa, gli basta fare un po’ di caciara, c’è sempre un potere superiore su cui scaricare le responsabilità.

Fontana dice che va tutto bene.

Fontana dice che va bene anche se ormai il tracciamento è completamente saltato.

Fontana dice che va bene anche se in Lombardia il dato dei positivi sulla base dei tamponi eseguiti è pari al 26,6%. In aumento costante.

Fontana dice che va bene anche se ci sono 1.075 letti di Terapia intensiva, il tasso di occupazione è del 40%. La soglia di criticità è identificata al 30%. Il tasso di occupazione dei posti letto per i ricoveri ordinari è al 37%, al limite della soglia critica fissata al 40%.

Fontana diceva che bisognava chiudere, e che la competenza di farlo spetta al governo, e adesso dice che tutto va bene.

Fontana ha scritto una lettera a medici e infermieri in cui scrive: «Mi rivolgo a voi, un nemico invisibile è tornato a condizionare le nostre vite, ad esercitare pressioni sui nostri ospedali. […] Oggi dobbiamo lavorare insieme e rapidamente per piegare la curva epidemiologica e più di ieri siamo nelle vostre mani». «A voi – continua Fontana -, cui noi rimettiamo la difesa della vita, faccio appello per continuare questa lotta».

Fontana ieri ai giornalisti: «Non riusciremo per ora a chiedere alcun allentamento delle misure decise dal Dpcm».

È molto confuso, Fontana. Esattamente Fontana come la pensa?

Buon venerdì.

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Altro che trionfo di Biden. Ancora una volta sondaggi e opinionisti hanno toppato alla grande

È ancora una volta la sconfitta della bolla. Le elezioni Usa non hanno ancora un risultato finale, ci vorrà tempo per contare tutti i voti per posta, ma l’onda blu che per mesi molti media si sono prodigati a descrivere non è sicuramente arrivata, chiunque risulti vincitore. Ed è l’ennesima lezione di un certo modo di vedere la politica, soprattutto quella degli altri, con gli occhi e con gli algoritmi di chi ci sta intorno, come se tutte le bizzarre uscite di Trump, quelle che anche molti giornali qui da noi hanno riportato con tanto clamore, fossero davvero delle irresponsabili fanfare e invece non avessero una solida base elettorale a cui parlare, da convincere, da sostenere e da cui essere sostenuti.

Accade nella politica ma accade così un po’ dappertutto: forse anche per il funzionamento stesso dei social siamo portati a convincerci che ciò che riteniamo assolutamente ragionevole sia un senso comune accettato e condiviso, ci convinciamo che la gravità che noi osserviamo in certi ragionamenti e in certi atteggiamenti sia un pensiero popolare e consideriamo gli avversari politici semplicemente una minoranza che verrà smentita dai numeri e dagli eventi.

E invece non solo non è così ma negli Usa, basta dare un’occhiata ai social, già ci sono quelli che raccontano di tentativi da parte dei democratici di manipolare le elezioni, Trump (dopo avere negato che l’avrebbe fatto) si è già dichiarato vincitore paventando già possibili brogli, l’enorme vantaggio che certi sondaggi davano a Biden è una favola che si è schiantata con questi primi risultati. Ed è una lezione politica ma è anche una lezione di giornalismo e di atteggiamento sociale: la sicumera non porta mai bene in politica, è un terreno scivoloso in cui si sono incagliati grandi firme e quello che non piace a noi (così come quello che ci piace moltissimo) non è per forza la linea di pensiero generale. Queste elezioni Usa ce lo dicono ancora una volta, comunque finirà.

E se è vero che i candidati hanno tra i propri doveri di propaganda quello di apparire certi del proprio risultato, non si capisce perché i media debbano stare al loro gioco. Ora si contano i voti, uno dopo l’altro, quelli decisivi, ma la storia che arriva dalle elezioni presidenziali americane è già molto diversa rispetto alla narrazione che avevamo ascoltato fin qui. Chissà se qualcuno, una volta tanto, confesserà di essersi fatto prendere un po’ troppo la mano.

Leggi anche: 1. Elezioni Usa. La diretta con i risultati / 2. Usa 2020 on the road: viaggio nell’America al voto

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La stagione dei No

La schizofrenia dei messaggi in questa emergenza pandemia è causata anche dalla peggiore opposizione possibile, quella che sul no basa la propria retorica

La pandemia, tra i suoi mille malanni, si porta dietro anche la lente di ingrandimento sulla schizofrenia di una classe dirigente che non riesce a confrontarsi elaborando una proposta. Non è una roba da poco perché la schizofrenia dei messaggi è causata sicuramente da un certo lassivo comportamento da certe stanze di palazzo Chigi (quelle che fanno uscire le anticipazioni per vedere l’effetto che fa) ma anche dalla peggiore opposizione possibile, quella che sul no basa la propria retorica.

Basta solo qualche esempio per rendersene conto?

Scuole aperte? Quelli dicono che le scuole sono pericolose e che non manderanno a scuola i propri figli.

Scuole chiuse? Quelli, sempre gli stessi, dicono che chiudere le scuole è una sconfitta.

Ristoranti aperti? Quelli dicono che bisogna evitare i contagi.

Ristoranti chiusi? Quelli, sempre gli stessi, dicono che i ristoratori sono allo stremo.

Teatri aperti? Quelli dicono che la cultura non è indispensabile e si deve fermare.

Teatri chiusi? Quelli, guardate che sono sempre gli stessi, dicono che il mondo della cultura muore.

Decide il governo? Quelli gridano alla dittatura.

Il governo fa decidere alle regioni? Quelli stessi della dittatura dicono che il governo non vuole prendersi le sue responsabilità.

Diminuiscono i contagi? Il virus non esiste più.

Aumentano i contagi? Il virus è stato sottovalutato, dicono quelli per cui non esisteva più.

Il governo non coinvolge le opposizioni? Ecco, non ci chiedono mai, dicono.

Il governo coinvolge le opposizioni? Troppo tardi, dicono.

È lo spessore della politica a cui assistiamo. Ogni giorno, tutti i giorni. Mentre sale la paura e mentre servirebbero decisioni convinte e tempestive. E, sia chiaro, questo senza nulla togliere alle responsabilità del governo. Ma così diventa davvero tutto difficile. Tutto.

Buon lunedì.

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La folle tesi di Salvini su Lamorgese “colpevole” per l’attentato di Nizza

Ecco che tornano a grandi falcate gli sciacalli, Salvini e Meloni, che vanno a braccetto su ciò che è accaduto a Nizza. Salvini ovviamente svetta e chiede le dimissioni della ministra Lamorgese perché, a suo dire, sarebbe colpevole del fatto che l’assassino di Nizza sarebbe sbarcato a Lampedusa e sarebbe stato identificato a Bari e poi non rimpatriato. La banalizzazione ovviamente in qualche modo funziona e così è tutto un rimbalzare di questa nuova trovata per cui addirittura l’ex ministro dell’Interno, senza nemmeno un briciolo di imbarazzo, si ritrova a chiedere scusa alla Francia gettando fango sul suo Paese (quello che da patriota vorrebbe difendere) per un’accusa che ha dell’incredibile.

Ora proviamo a ribaltare il giochetto, che tanto viene facile facile: Matteo Salvini dunque, da ministro dell’Interno, è colpevole del minimo storico di rimpatri con la Tunisia (lui che li aveva promessi e non è stato nemmeno capace di fare meglio dei ministri precedenti) e quindi anche dell’omicidio di don Malgesini, visto che il prete è stato ucciso da un uomo non rimpatriato proprio sotto l’epoca Salvini? Oppure, sempre continuando sulla falsariga del giochetto retorico di Salvini: Anis Amri, autore della strage al mercatino di Natale a Berlino nel 2016, sbarcò nel 2011 e venne trattenuto in Italia con Berlusconi presidente del consiglio e Maroni ministro agli Interni, quindi sarebbe colpa loro, evidentemente?

Il tema è sempre lo stesso: banalizzare questioni complesse per un po’ di propaganda è l’unico esercizio retorico che riesce a questa destra che è la peggiore destra di sempre. E ci sono pure quelli che abboccano e riescono a esultare per l’acutezza dell’osservazione dei due sovranisti. Ah: ovviamente Salvini ci ha messo dentro anche il suo processo, è riuscito perfino a fare anche questo, poiché per lui il mondo si riduce a se stesso, i suoi (pochi) pensieri e i suoi problemi. Tutto così, sempre così.

Leggi anche: 1. La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori / 2. Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

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Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti

Sono due gli agenti della casa circondariale di Rebibbia sospesi dal loro incarico, una sovrintendente e un assistente capo coordinatore in servizio all’istituto che ora sono accusati di falso ideologico e abuso di autorità. La presunta vittima è una detenuta con problemi psichiatrici. I fatti risalgono alla notte dello scorso 21 luglio: la donna è stata trascinata con forza perché aveva rotto un termosifone, dopo avere chiesto una sigaretta e avendo ottenuto un rifiuto, e per questo sarebbe stata portata in un’altra stanza priva di telecamere di sorveglianza. Il tutto sarete avvenuto con la presenza di ben 5 agenti donne e un agente di sesso maschile che avrebbero poi redatto un verbale di servizio in cui era riportata una presunta aggressione da parte della detenuta nei confronti degli agenti che in realtà non sarebbe mai accaduta.

«Non risulta che la detenuta stesse tenendo un comportamento aggressivo che abbia reso necessario l’intervento di un agente di sesso maschile, né dai filmati risultano situazioni che rendessero necessario l’uso della forza per lo spostamento della detenuta, come sostenuto dagli indagati nell’interrogatorio» scrive nell’ordinanza la gip Mara Mattioli, che descrive anche i fatti successivi: «Il trascinamento di peso della detenuta, nuda e sull’acqua fredda, non è stato posto in essere per salvaguardare l’incolumità della stessa (avendo la detenuta già da un po’ cessato le intemperanze) apparendo invece chiaramente motivato da stizza e rabbia per i danni causati dalla donna». Nel video agli atti anzi la donna detenuta è evidentemente in imbarazzo proprio per la presenza di un uomo e cerca di coprirsi le parti intime. Scrive la gip: «L’agente entra nella stanza n.3 e ne esce tenendo ferma la nuca della detenuta che in quel momento appare collaborativa ed è completamente nuda, la accompagna all’interno della stanza n.1 resa nuovamente agibile».

Una circostanza che per l’eccezionale presenza di personale di sesso maschile non autorizzato doveva diversamente essere riportato agli atti. «Inoltre la telecamera esterna alle ore 2.01 del 22/7/2020 riprende nuovamente l’agente entrare nella stanza n.1 ove è rimasta la detenuta ed uscirne circa 24 secondi dopo. Di questo accesso non vi è traccia nei verbali né dai filmati si capisce sulla base di quale necessità un agente di sesso maschile sia intervenuto da solo presso la cella della detenuta (peraltro ancora completamente nuda)». Secondo quanto riportato dalla vittima nel suo interrogatorio sarebbe rimasta sola con l’agente uomo nella stanza mentre era minacciata di non rivelare quei fatti a nessuno altrimenti le violenze si sarebbero ripetute. Da qui la condanna di falso ideologico e di abuso di autorità che hanno portato anche alla sospensione del servizio: “personalità del tutto spregiudicate” che avrebbero potuto reiterare le violenze e che avrebbero potuto inquinare le prove. Secondo fonti interne al carcere, infatti, gli accusati non era la prima volta che eccedevano in violenze e risulterebbero diverse segnalazioni e condanne disciplinari nel loro curriculum.

Per il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia «pur rimanendo ovviamente garantisti la loro sospensione è un segnale importante perché in molti casi di abusi, quando non vengono coperti con omertà, il personale resta normalmente in servizio e in molti casi restano in servizio nello stesso istituto se non addirittura nelle stesse sezioni». Per questo, dice Anastasia, «l’intervento del Dap è particolarmente apprezzabile perché è risultato abbastanza urgente, mentre spesso si aspetta l’esito del procedimento penale, quindi molti anni dopo, prima di intervenire e allontanare gli eventuali colpevoli»· Mentre ora le indagini faranno il suo corso e accerteranno eventuali responsabilità però resta da registrare un dato, che è sempre lo stesso: nelle carceri italiani continuano a consumarsi violenze che difficilmente riescono a rompere il muro di omertà che si crea tra agenti penitenziari. In questo caso i video delle telecamere di sorveglianza hanno potuto almeno appurare che non ci sia stata nessuna presumibile aggressione, motivazione molto spesso usata per proteggere la facciata di eventuali violenze, ma solo il lavoro delle indagini ha permesso di scoprire che il verbale redatto sull’accaduto non corrispondesse alla realtà dei fatti.

Poi c’è la questione, la solita annosa di cui spesso scriviamo anche sule pagine di questo giornale, di detenuti che non sono nelle condizioni psichiche di poter sicuramente stare in una cella: la donna vittima della violenza nel carcere di Rebibbia è descritta da tutti, anche dagli inquirenti, come una persona con gravi disturbi psichici. Ma siamo davvero sicuri che una situazione del genere non sia anche creata dalla mancanza di misure alternative al carcere che dovrebbero permettere a lei di scontare la propria pena con un metodo alternativo che comprenda anche le giuste cure (oltre alla propria dignità) e che non debba mettere operatori penitenziari (anche senza le giuste competenze) in condizioni così difficili? Il 4% dei detenuti è affetto da disturbi psichici contro l’1% della popolazione generale.

La depressione colpisce il 10% dei reclusi mentre il 65% convive con disturbi della personalità. Un detenuto su 4 assume regolarmente psicofarmaci. Tutto questo mentre una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso agosto mette nero su bianco che è ora possibile concedere, alla persona affetta da gravi problematiche psichiatriche, la misura della detenzione domiciliare. La donna di questa terribile storia ancora prima che non essere maltrattata non doveva stare a Rebibbia.

L’articolo Trascinarono nuda una malata psichica, sospesi due agenti proviene da Il Riformista.

Fonte