Vai al contenuto

capitalismo

Una metafora calcistica

Immaginate un mondo dove inevitabilmente ci si sfida. Ci si sfida perché è parte del gioco, in fondo si gioca soprattutto e vincere o perdere dipende dalla forma, da ciò che si ha a disposizione, dalla fortuna e inevitabilmente dal talento ma soprattutto dai soldi. Però ci sono regole chiare e le regole stabiliscono che chi ha bravura ma anche chi ha fantasia possa raggiungere traguardi che non erano preventivati, nemmeno immaginati e alla fine accade che anche gli sfavoriti vincano. A volte vincono una partita, a volte vincono addirittura il campionato.

Quelli invece che dovrebbero vincere per censo si arrabbiano tantissimo, strillano, se la prendono con i giudici e parlano di ingiustizia. Loro, quelli che di solito sono proprio i detentori delle redini della giustizia sociale. Però in fondo ci si affeziona mica solo per le vittorie e così si rimane fedeli alla propria idea, ci si mette dentro a una roba semplice perfino un po’ di valori. E in fondo tutte le volte che si sente un po’ di profumo di poesia è proprio quando Davide batte Golia.

Immaginate poi che in un mondo così, improvvisamente i ricchi vogliano diventare ancora più ricchi, non ci stiano a dividere con quegli altri nemmeno gli spiccioli e allora provano a pensare a un nuovo mondo in cui si entri per il merito di essere ricchi e di essere buoni amici nei circoli dei ricchi che contano, ciò che conta è essere nella cerchia giusta, nel giro giusto. Immaginate anche che la propria credibilità non venga valutata dal proprio spessore ma dalla propria popolarità. La popolarità come fine, addirittura prima della vittoria. E quella popolarità non è qualcosa che ha a che fare con il cuore, ovviamente, ma viene misurata con i soldi. Il nuovo mondo di quelli che non vogliono spartire niente con gli altri tra l’altro è un mondo magico in cui l’autopreservazione è garantita per censo, mica per risultati.

Di solito quando i ricchi vogliono stringere i cordoni della borsa per ingrassare il proprio circolino la chiamano “inevitabile modernità”, dicono che è il progresso e si inventano che il mondo è cambiato, che non ci sono più i palloni cuciti a mano o che non ci sono più i telefoni a gettoni. Quindi se l’idea non ti piace è colpa tua che sei incapace di stare al passo con i tempi o perfino invidioso.

Sei squadre di calcio inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham), tre spagnole (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid) e tre italiane (Juventus, Inter e Milan) hanno annunciato l’intenzione di farsi il loro campionato. Tutti ne discutono.

Eppure è una metafora così potente che andrebbe letta con attenzione, mica solo per il calcio. Alcuni lo chiamavano capitalismo ma poi il pensiero comune ha detto che è una parola così stantia, capitalismo.

Buon martedì.

 

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

I rider di Uber Eats erano schiavizzati: la compagnia commissariata per caporalato

L’inchiesta su Uber Italy che vede coinvolte 10 persone per caporalato tra cui la manager di Uber Gloria Bresciani è la perfetta fotografia di un momento storico, al di là poi della rilevanza giudiziaria: sistematizzare le disperazioni per poterle spolpare fino all’ultimo centesimo appoggiandosi sulle povertà e nascondendosi dietro l’algoritmo di una piattaforma è il comandamento degli sfruttatori del 2020, gli schiavi non sono più solo nei campi con le schiene spezzate ma macinano chilometri sotto il sole o sotto la pioggia per la miseria di una lavoro sottopagato a cottimo come nelle peggiori storie di secoli fa.

È uno schiavismo scintillante, quello del delivery che ci porta comodamente i cibi a domicilio, che una certa narrazione è riuscito addirittura a rivenderci come una conquista. Solo che nel vocabolario impolverato dei diritti ormai sembra essersi smarrito il senso che una “conquista” lo è se porta vantaggi a tutti e invece qui ci troviamo di fronte a lavoratori, ancora una volta, stretti nella morsa di azienda e clienti.

Tra gli indagati anche Danilo Donnini e Giuseppe e Leonardo Moltini, amministratori della Flash Road City Srl e della Frc Sr, che andavano a cercare carne da macello da fare salire in bicicletta nelle sacche più in difficoltà delle storture politiche: i “pericolosi” immigrati in attesa di protezione umanitaria, quegli stessi che vengono già mangiati da certa propaganda politica, tornavano utilissimi per diventare manovalanza. Sono perfetti, se ci pensate, per un certo tipo di capitalismo: si ritrovano in una posizione di debolezza per reclamare diritti e hanno troppa fame per rinunciare a un lavoro.

Si legge nelle carte del pm di Milano Paolo Storari che gli indagati “approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo dimoranti nei centri di accoglienza straordinaria, pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale” e li destinavano al lavoro per il gruppo Uber “in condizioni di sfruttamento”. Pagamenti a cottimo per 3 euro a consegna, indipendentemente dalle distanze da percorrere e dalla fascia oraria, mance dei clienti che venivano sottratte, punizioni arbitrarie: “Abbiamo creato un sistema per disperati, ma i panni sporchi si lavano in casa”, diceva intercettata al telefono la manager di Uber. Consapevoli di essere degli schiavisti e sicuri di poter ambire all’impunità. Forse sarebbe il caso di imparare presto i nuovi riferimenti per riconoscere le nuove schiavitù. In fretta.

Leggi anche: Rider sfruttati, Uber Italia commissariata dal tribunale

L’articolo proviene da TPI.it qui

“Addio Benetton. Il governo ha vinto. E anche l’Italia”: Giarrusso (M5S) a TPI

Dino Giarrusso è europarlamentare del Movimento 5 Stelle ma sempre molto attento alle dinamiche nazionali che riguardano il governo Conte. Si dice soddisfatto per l’accordo trovato su Autostrade e fiducioso per la tenuta del governo in futuro.
Onorevole Giarrusso, come valuta l’accordo con i Benetton preso dal governo?
Lo valuto molto positivamente perché per una volta un governo non cede al capitalismo di relazione che secondo me ha inquinato completamente la società italiana negli ultimi decenni, legando grandi capitali a vecchi partiti e sistema dell’informazione. Non era facile estromettere Benetton dal controllo delle Autostrade e questo governo ce l’ha fatta, la ritengo una vittoria per i cittadini.

Qualcuno però fa notare, anche all’interno del Movimento 5 Stelle, che la soluzione sia una revoca dolce e ci vorrà molto tempo prima che la soluzione si realizzi…
Io non la ritengo una revoca dolce. Per la prima volta in Italia chi ha commesso delle gravi mancanze (oltre ad avere fatto morire 43 persone, il crollo di un ponte è in sé una ferita per Genova e per l’Italia) non riceve sconti, cosa che ci è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale quando abbiamo deciso di non far partecipare la società alla ricostruzione del ponte. Poi…
Cosa?
Poi per i cittadini il pedaggio diminuirà significativamente e anche questa la ritengo una vittoria civile, un lavoro ben fatto. Inoltre ci sarà il risarcimento di 3,4 miliardi di euro, quindi chi ha sbagliato pagherà. Tra l’altro l’accettazione di queste condizioni fa sì che non ci siano contenzosi, ciò che in Italia può durare decenni e far permanere la concessione “in attesa di sentenza definitiva”. Abbiamo anche casi di contenziosi finiti economicamente molto male per lo Stato e quindi per le tasche di tutti noi: questa volta non accadrà.

Tutto bene quindi?
La ritengo una soluzione positiva ed anche un buon esempio per il futuro: val la pena sottolineare anche che scendendo sotto il 10% i Benetton non siederanno nemmeno più nel Consiglio di Amministrazione.
Come legge le fibrillazioni di Italia Viva, di alcuni del PD e addiritutra dello stesso M5S?
I mal di pancia di Italia Viva e minima parte del PD li leggo allo stesso modo in cui leggo che Prodi e De Benedetti insieme propongono di fare entrare Berlusconi nel governo: sono i colpi di coda di un sistema che non ha funzionato, non ha fatto il bene degli italiani eppure non vuole cedere per fini di potere. Nostalgie trasversali in tutti i vecchi partiti (tutti, nessuno escluso, purtroppo, compresi quelli che stanno e che stavano al governo con noi) di esponenti che fanno parte del vecchio sistema e che non vogliono cambiarlo. Per questo ci sono tante resistenze, il cambiamento scontenta molti. Nel M5S non ho sentito voci dissonanti sulla vicenda Autostrade.

Come valuta le tenuta di questo governo alla luce dei retroscena sull’ingresso di Forza Italia e i mal di pancia di Renzi?
Penso che questo governo abbia innegabilmente portato un cambiamento. Poi, per carità, può piacere o non piacere ma il cambiamento in Italia è una dinamica molto difficile. Ci sono state molte persone per bene che nei decenni scorsi hanno fatto battaglie anche importanti in formazioni “pulite”, ma purtroppo non hanno portato nessun risultato concreto se non quello della semplice testimonianza: il Movimento ha invece cambiato delle cose concrete -con tutti i nostri limiti – e questo crea problemi a chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Il fatto che molti sedicenti antiberlusconiani – e persino storici nemici di Berlusconi come Prodi e De Benedetti – abbiano rivalutato la figura di Berlusconi “pur di togliere Conte e M5S dal governo” la dice lunga su quanto fastidio diamo al vecchio sistema. Questo valeva durante il contratto di governo con la Lega e vale adesso: abbiamo perseguito i nostri obiettivi e il nostro programma politico (penso alla legge Spazzacorrotti, al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi…) cercando di tenere la barra di governo quanto più vicina al nostro programma.

Intanto il Movimento ha trovato l’accordo sulla Liguria con il Partito Democratico candidando Sansa…
Non mi risultano accordi chiusi. Ciò detto: io penso che il Movimento sia alternativo a tutti gli altri partiti, dunque riguardo eventuali alleanze vanno valutate solo se rispettano i nostri valori. Ci sono regioni come la Sicilia in cui abbiamo sfiorato il 40% e non governiamo. Prima di parlare di accordi bisogna però decidere insieme programma, valori di riferimento e candidato presidente. In Campania, ad esempio, dove c’è De Luca per quel che mi riguarda non c’è nemmeno da discutere. Altrove si può discutere, ma tenendo sempre la barra dritta. Peraltro son cose che poi decideranno i nostri iscritti come abbiamo sempre fatto.
Ma il nome di Sansa la soddisfa?
C’è un tavolo in corso: se gli attivisti liguri e il capo politico stringono un accordo alle nostre condizioni, potremmo mettere fine alla disastrosa gestione Toti.

Leggi anche: 1. Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri / 2. Autostrade: dopo il Cdm vicina l’intesa finale. Niente revoca, ma Atlantia sotto il 10%: entra lo Stato

L’articolo proviene da TPI.it qui

La democrazia secondo Confindustria

Carlo Bonomi si è lanciato perfino in un neologismo: “democrazia negoziale”. Quando mi è capitato di leggerlo ho pensato che la democrazia è democrazia, ed è contendibile per natura altrimenti non lo sarebbe poi ho letto ancora di più e mi sono accorto che sarebbe “una grande alleanza pubblico-privato” in cui “il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale” ma dialoga “incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. È un fighissimo esercizio retorico ma in realtà, grattando grattando, significa che secondo Bonomi Confindustria dovrebbe essere la terza Camera dell’iter parlamentare. I cittadini votano un governo ma il governo deve essere avallato da loro. Forte, eh?

Peccato che proprio sulla rappresentanza di Confindustria ci sarebbe qualcosa da ridire visto che la Confindustria di oggi rappresenta quel bel capitalismo fatto con i soldi degli altri (Eni, Enel, Leonardo, Poste, tanto per citare qualcuno) che ha consigli d’amministrazione decisi dal governo e ha perso parecchia rappresentanza di quel capitalismo privato che ormai dalle nostre parti è diventato una rarità.

Ma non è tutto, no. Confindustria per bocca del suo presidente Bonomi ha criticato (legittimamente) le scelte del governo definendo (legittimamente) assistenzialismo le iniziative prese come i bonus e la cassa integrazione: peccato che proprio Confindustria abbia usato la cassa integrazione per i giornalisti del suo quotidiano Il Sole 24 Ore. Curioso, no?

E poi c’è la ricetta per ripartire, questo è il vero capolavoro: meno regole per gli appalti, più cemento per tutti e soldi alle imprese e possibilmente più possibilità di precarizzare i lavoratori. Sono le stesse ricette di tutti questi stessi anni. Sempre.

Sarebbe bastato dire invece: «caro Conte sappiamo che arriverà una montagna di soldi dall’Europa e vogliamo la nostra fetta». Un po’ crudo, molto più apprezzabile. Senza nemmeno troppo sforzo nell’inventare nuove parole.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Muijica e l’apologia della sobrietà

Da leggere l’intervista a Muijica su Repubblica:

Lei è diventato un ideale politico nel mondo perché ha vissuto e vive come la parte più povera dei suoi concittadini e non come quella più ricca. Pensa di essere una eccezione nella politica di oggi?
“Sicuramente sono stato un’eccezione anche nel mio Paese. Però la mia è soprattutto una filosofia di vita. Il problema è che viviamo in un mondo nel quale si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, maggiordomi, tanti servitori, vacanze extralusso. Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossicodipende, andrebbe curato”.

Diventare sempre più ricchi è una malattia?
“Ho conosciuto dei multimilionari, anche molto anziani. E a molti ho chiesto per quale ragione continuassero a accumulare denaro se tanto poi alla fine avrebbero dovuto lasciarlo qua. La risposta è sempre stata che non potevano farne a meno, come una malattia”.

Si oppone alla globalizzazione?
“No, non è possibile. Sarebbe come essere contrari al fatto che agli uomini cresce la barba. Ma quella che abbiamo conosciuto finora è soltanto la globalizzazione dei mercati. Che ha come conseguenza la concentrazione di ricchezze sempre maggiori in pochissime mani. E questo è molto pericoloso. Genera una crisi di rappresentatività nelle nostre democrazie perché aumenta il numero degli esclusi. Se vivessimo in maniera saggia, i sette miliardi di persone nel mondo potrebbero avere tutto ciò di cui hanno bisogno. Il problema è che continuiamo a pensare come individui, o al massimo come Stati, e non come specie umana”.

Lei è ateo ma condivide molte idee con Papa Francesco, soprattutto la critica della società consumistica e del capitalismo selvaggio.
“La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà”.

Danneggiata la vigna di Vespa. Ora riparte l’economia?

Se davvero Bruno Vespa pensa (ma poi si è scusato o forse no) che il terremoto sia una grande occasione per fare ripartire il PIL non è colpa sua. No. È la naturale involuzione di un capitalismo umano prima ancora che economico: la crescita e la produttività a tutti i costi è il comandamento moderno e alla fine risulta perfino normale che i portatori servili di questo credo finiscano per tradirsi in diretta televisiva. E forse, del resto, non è nemmeno un tradimento consapevole: l’Europa crede nel PIL come metro di misura universale. Il prodotto interno lordo della dignità e della felicità, invece, è solo la curva di una minoranza fastidiosa.

A pensarci bene anche il fatto che Marchionne dia lezioni di etica all’imprenditoria italiana (lui che è vigliaccamente e furbescamente scappato dall’Italia portandosi dietro quel che resta telex Fiat) si inserisce perfettamente in questo percorso. Sono solo i sintomi di una malattia ben più radicata e vasta. E solidale. Ma solidale sul serio. Corporativa ai massimi livelli.

Perché altrimenti si potrebbe pensare che anche il danneggiamento della vigna di Vespa (la notizia è qui) sia semplicemente una piccola occasione per la ripresa dell’economia. O no?

L’allarme di Chomsky

Chomsky“Le democrazie europee sono al collasso totale indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere perché sono decise da banchieri e dirigenti non eletti che stanno seduti a Bruxelles. Questa rotta porta alla distruzione delle democrazie e le conseguenze sono le dittature.”

“Secondo uno studio della Oxfam, l’Ong umanitaria britannica, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza posseduta da 3,5 miliardi di individui. Questo era l’obiettivo del neoliberismo.”

“Ciò che conta oggi è la quantità di ricchezza riversata nelle tasche dei banchieri per arricchirli. Quello che capita alla gente normale ha valore zero. Questo è accaduto anche negli Stati Uniti ma non in modo così spettacolare come in Europa. Il 70% della popolazione non ha nessun modo di incidere sulle politiche adottate dalle amministrazioni.

(Noam Chomsky, citazioni tratte dagli interventi al Festival delle Scienze all’Auditorium Parco della Musica di Roma)

Beck

Persino – «La questione della crisi del capitalismo è onnipresente. Perciò si pone in maniera più pressante, e magari con qualche chance in più, il problema di indicare nuove vie, all´interno e persino in alternativa al capitalismo» (Ulrich Beck)

La sinistra che ha paura a presentarsi come sinistra: l’occasione di SEL

E’ il solito Raffaele Simone, provocatorio e lucido, nell’intervista rilasciata al Clarin. E in fondo è la nostra sfida come Sinistra Ecologia e Libertà (che ‘sinistra’ ce l’ha nel nome mica per niente) di superare la timidezza e l’imbarazzo di una banalizzazione dilagante che ci vorrebbe tutti convergenti al grigio centro o (peggio) sulle post ideologie che nascondono il nulla sottovuoto. Il punto sta sull’idea che si ha di crescita, di sviluppo e di etica pubblica. E la differenza la gioca chi decide di non aspettare l’occasione ma si mette in moto per costruirla. Perché c’è bisogno di sinistra, di ecologia e di libertà.

Il linguista ed esperto di filosofia del linguaggio e della cultura ha scosso il suo paese con Il mostro mite, nel quale, partendo dalla scomparsa della sinistra tradizionale italiana, espone le cause della scelta del mondo di andare a destra.

Linguista ed esperto di filosofia del linguaggio e della cultura, Raffaele Simone è riuscito a scuotere le coscienze del suo paese con Il mostro mite (Taurus) provocatoriamente sottotitolato Perché l’Occidente non va a sinistra? nel quale, partendo dalla scomparsa della sinistra tradizionale italiana che si è fusa nella democrazia cristiana, espone le cause della svolta a destra del mondo e della trasformazione del capitalismo in una cornice confortevole che avvolge tutto – e per questo è una misura buona e invisibile – da lui definita mostro mite. Parla in castigliano perfetto, con grande dettaglio di finezza, sorprendente quando non si padroneggia la lingua madre.

– Una delle conclusioni del suo libro allude alla “naturalità” del pensiero di destra, contro la condizione “artificiale” del pensiero di sinistra nella misura in cui va contro la tendenza naturale all’egoismo
– Esattamente, è proprio questo.

– Gli evoluzionisti, nonostante tutto, hanno affermato che la generosità, la filantropia e la morale sono naturali, un vantaggio evolutivo nella misura in cui l’uomo è un essere sociale. Nel mondo primitivo le società con regole si impongono sulle altre perchè permettono la crescita demografica e la nascita di occupazione, e così via.
– Sta dicendo esattamente quello che affermo. L’idea che descrivo nel libro, per cosi’ dire drammatizzando un po’ (non è una teoria ma un’allegoria un po’ drammatizzata), è la stessa di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick: quando teoricamente tutto ha avuto inizio, un’epoca cui nessuno ha potuto assistere,  gli uomini primitivi si massacravano tra loro. A un certo punto, per evitare lo sterminio, per così dire, e in conseguenza del diffondersi della paura, sono state create gradualmente delle regole. E applicando questa metafora alla relazione tra sinistra e destra, credo che stare a sinistra sia meno “naturale” che stare a destra perchè la persona di destra dice: “Questo è mio e nessuno deve toccarlo. Nessuno deve discutere cio’ che io voglio fare”. Sono argomenti di tipo “primitivo”, (lo metta) tra virgolette per piacere, sono argomenti ancora non elaborati. Al contrario la sinistra dice: “Tu devi rinunciare a una parte del tuo perchè c’è gente che ne avrà più bisogno di  te”. O meglio: “L’interesse pubblico (che è un concetto molto sofisticato) prevale sull’interesse privato. Quello che tu decidi di fare deve esser mediato dal pensiero dell’interesse degli altri”. E’ un atteggiamento per cui impiego l’immagine della molla in tensione, perchè la tendenza naturale è verso l’egoismo, e dividere quello che si possiede tra persone che neanche si conoscono è contro natura, nel senso che incontra la resistenza della molla.

– Questo si collega all’eterno dibattito, molto vivace tra i gruppi femministi e tra gli educatori, tra cio’ che è naturale e cio’ che è culturale. Naturale sarebbe di destra e culturale di sinistra.
– Si, l’opposizione è questa, appoggiata in questo momento dagli studi degli etologi che lei menzionava, gli studi sul comportamento delle scimmie più evolute e così via. Sappiamo moltissimo dell’umano, molto di più di quello che ne sapeva Rousseau, che a suo tempo simpatizzava con le posizioni della Chiesa, che suppongono che l’uomo sia originariamente buono e che peggiori con il passare del tempo. Istintivamente credo il contrario. E in questo caso è un’immagine per spiegare il fatto che è molto più frequente e facile il passaggio da sinistra a destra a livello individuale che il contrario.

– E oltretutto è simmetrico.
– In che senso?

– Quando uno proviene da posizioni estreme di sinistra finisce in posizioni estreme di destra, e se uno è moderato, finisce con l’avere posizioni moderate. Dallo stalinismo al fascismo, e dalla socialdemocrazia alla democrazia cristiana, per così dire.
– Si, si. In Italia abbiamo molti casi. E’ esattamente così. In Italia il partito socialista si è quasi totalmente spostato sugli standard di Berlusconi senza subire cambiamenti. E la gente realmente socialista continua a chiedersi come abbiano potuto. Secondo la mia interpretazione è la molla: a un certo punto, stanchi di tenerla tesa, decidono di allentarla.

– Arrendersi?
– Esatto.

– Lei, e anche chi ha scritto il prologo, citate la scena di Aprile di Nanni Moretti (1998), nella quale il protagonista rimane davanti al televisore gridando a Massimo D’Alema: “D’Alema, dì qualcosa di sinistra!”. Moretti aveva già proposto una satira carnevalesca sul disfacimento del comunismo italiano, Palombella rossa (1993), trasformato in una partita di pallanuoto, con un testo esplicito sulla crisi della sinistra.
– In Moretti ci sono molti elementi di questo tipo. Inoltre fu Moretti che diede il via alcuni anni fa ad una manifestazione di protesta contro la gestione attuale della sinistra che si concluse in manifestazioni importanti, il movimento dei Girotondi. Fu lui uno dei promotori. In un dato momento il movimento si sgonfio’ perchè era troppo informale e forse mancavano leader, ma è stato un movimento importante che durò diversi anni.

– Lei è molto pessimista?
– No, no. Ho speranza.

– Si fa fatica a vederlo nel libro.
– Credo sia meglio analizzare i dati in maniera approfondita prima di elaborare una risposta.

– Non crede che la perdita dei principi o delle idee forti della sinistra che Lei denuncia si siano prodotte parallelamente nella destra, che il tradizionalismo o le espressioni più reazionarie in campo morale siano retrocesse?
– Per questo parlo di neodestra, è una destra diversa rispetto alla precedente. Non sono fascisti, hanno solo interessi materiali.

– Lei enumera le mete non raggiunte dalla sinistra in Europa negli ultimi 150 anni. Afferma che “non si è prodotto un progresso costante nell’istruzione e nella cultura”… Le statistiche sul progresso umano delle Nazioni Unite dicono un’altra cosa, che gli indici di alfebetizzazione non hanno smesso di crescere.
– Non abbiamo raggiunto l’obiettivo.

– Però lei sostiene che non ci sono progressi. Successivamente aggiunge che “non si è prodotta nessuna rivalorizzazione dell’attività intellettuale e creativa”. Non le posso fornire dati, però l’impressione è che sia il contrario, che il lavoro creativo non sia mai stato  tanto remunerato come di questi tempi.
– Però non sto parlando della modernità e del risultato nel tempo attuale della tradizione precedente di sinistra.

– Dice anche che non si è raggiunta “la diffusione generalizzata di una mentalità minimamente razionale e laica”. Questo ha avuto alti e bassi.
– Varie fasi, si. Quello attuale è un momento difficile in Spagna, Italia e Francia. Voi avete un futuro di controriforme durissimo.

– Però continuo: “Nemmeno si è raggiunta una coscienza civica solidale e di uno spirito di pace collettivo”. Ci sono esempi di progresso morale molto evidenti: nel 2003 per la prima volta c’è stata una mobilitazione sociale globale e di massa contro una guerra che ancora non era cominciata e che avrebbe avuto luogo a centinaia di chiometri di distanza. Non ci sono precedenti.
– Quello che volevo dire è che non sono tutti risultati di tipo socialista. Sono risultati di una coscienza nuova, post moderna, più o meno, nella quale la cultura giovanile gioca un ruolo fondamentale non necessariamente di tipo socialista. Significa che le grandi illusioni del socialismo possono essere state parzialmente realizzate però non totalmente. Per esempio, l’uguaglianza è un tema in grave crisi ed è uno dei tratti principali della sinistra. La disuguaglianza  trionfa praticamente in tutto il mondo ed era uno dei tratti principali della modernità. C’è un’altra lista nel libro, le date storiche, i grandi momenti non raggiunti dalla sinistra…

– Però ciò che lei denuncia della sinistra non accade anche alla destra? Vale dire la de-ideologizzazione? 
– Ma alla destra non interessa allo stesso modo, perchè essere di destra suppone che i fenomeni, i processi, alla fine vadano avanti da soli.

– Quindi la neodestra è apolitica?
Diciamo che non ha interesse a modificare i processi, e in questo senso, lo spiego nel libro, la sinistra ha finito per adottare lo stesso atteggiamento della destra, perchè ha abbracciato quello che io definisco “l’infinita tolleranza verso il sociale”, che significa che non conta quello che succede ma l’importante è che fluisca tranquillamente. In questo senso il tema dell’immigrazione clandestina è centrale. Nessun paese d’Europa ha elaborato un modo o un progetto per governare questo fenomeno che è immenso e che modifica l’aspetto del mondo in pochi anni. Altro tema che mi sembra molto rilevante, altro tema mancante della sinistra, è la rivoluzione digitale, che è considerata come un’ innovazione tecnologica pura e semplice mentre in realtà è un cambio di mentalità.

– Uno dei motori tradizionali della sinistra è l’idea di progresso, anche se originariamente non è marxista ma propria dell’Illuminismo.
– Si, l’idea che l’umanità è in moto, che cammina in modo ascendente.

– La sinistra l’ha abbandonata?
– Perchè lo dice?

– Perchè i messaggi che lancia, anche se legittimi, sono conservatori: salvaguardiamo l’ambiente, i diritti sociali, il benessere… cioè un atteggiamento difensivo, come se la sinistra, che è la sovrana del futuro, ora avesse, per così dire, paura del futuro.
– Esattamente. La sinistra ha perfino paura a presentarsi come sinistra. Sono d’accordo con lei, il posto del progresso è stato occupato dalla crescita, il mito attuale è quello della crescita, e credo che sia un altro mito pericolosissimo della neodestra. Io sono abbastanza favorevole alla decrescita, se non alla Latouche in un altro modo più dolce, però la mia idea è che la crescita sia un errore gravissimo. E’ un altro pezzo del mondo che va distrutto.

– Non si parla nemmeno molto del fatto  che l’evoluzione demografica è preoccupante
– Si, è un problema, ovviamente. In Italia se ne parla poco. E’ un tema importantissimo perchè il mondo fatto a misura di un determinato numero di abitanti, che non si può superare. Però è evidente che ci scontriamo di nuovo con il mito della crescita. Perchè il futuro deve essere necessariamente di crescita e non di stabilizzazione o redistribuzione. Per concludere, le dirò che la sinistra ha assunto i miti della destra, liberali o neoliberali senza rendersi conto di quello che stava facendo.

– Lei parla molto della perfida alleanza tra la socialdemocrazia italiana e la democrazia cristiana. Condividono un substrato filosofico non minoritario: l’esigenza di uguaglianza, la solidarietà, la compassione. Probabilmente non è un’alleanza contronatura.
– No, non lo è in assoluto. Hanno due elementi in comune, oltre allo spirito della Chiesa che è stato attribuito alla sinistra per anni. E’ l’elemento fondante dello statalismo, cioè lo Stato occupa il centro della vita della società, e inoltre, per lo meno in Italia, anche se credo che in Europa le cose vadano più o meno allo stesso modo, lo spirito dell’assistenzialismo, ovvero che lo Stato dev’essere obbligato ad assistere le persone che versano in gravi condizioni. Questi due elementi unificano le due componenti, in questo senso non è un’alleanza contro natura. Contro natura è il carattere chimicamente infelice di tale fusione, che si rivela a proposito di temi incandescenti, come per esempio quelli bioetici. Però quello che mi impressiona di più è che il termine stesso di socialismo in Italia sia scomparso completamente. Il suo amico Walter Veltroni dichiarò a qualcuno che lo accusava di inserire uno spirito socialista nel programma dell’appena nato Partito Democratico: “Ma per favore, non c’è niente di socialista”, come se fosse un’accusa, un’insinuazione offensiva.
E questo mi sembra un tradimento grave, un tradimento storico, perchè c’è gente che continua a credere nei principi del socialismo, come me, e non credo di essere il solo.

– Un’altra caratteristica che avvicina il socialismo e la democrazia cristiana è la visione paternalistica della società, forse addirittura accondiscendente.
– Credo di si, perchè nonostante la loro preoccupazione per così dire di democrazia democratica, sia gli uni che gli altri continuano ad avere fortissime gerarchie, praticamente una sfera di intoccabili. In Italia, ma anche in altri paesi, c’è una durissima polemica contro i costi della casta. Lo spirito democratico non è così incisivo da eliminare lo spirito di casta.

– Tra le forme aberranti della politica attuale, sia di destra che di sinistra, c’è il populismo. Sembra che la democrazia digitale punti a quello.
– E’ dovuto alla mediatizzazione del mondo. E’ qualcosa che accade in tutto il mondo, perchè i media permettono a chiunque di arrivare al singolo individuo e di indurlo a pensare che il potente è come lui. E che ha gli stessi bisogni, gusti, costumi, lo stesso linguaggio…

 Il movimento 15-M [cioè degli indignados, dal “15 maggio”, giorno del 2011 in cui è sorta la protesta, NdT] è sicuramente più un sintomo che un fenomeno…
– Si, è più un sintomo che un risultato.

– …è un indice del fatto che esiste una sinistra, però anche una disaffezione per i partiti di sinistra.
– Sono fenomeni in ebollizione, però l’ebollizione nella politica è una cosa diversa delle proposte e dall’elaborazione dei programmi. Nel momento in cui ci mettiamo a elaborare idee e programmi e progetti, dobbiamo creare una struttura, che è il contrario dello spirito che si manifesta nel fenomeno degli indignati. Inoltre gli indignati incorporano un’idea che storicamente si è dimostrata non falsa, ma impossibile, quella della democrazia diretta.

– Indesiderabile?
– Per me è indesiderabile, pericolosissima. Però sempre presente come illusione, come speranza, in un momento determinato della vita. Per questo motivo i partiti di sinistra non lo capitalizzano [il movimento degli indignados, NdT]. In ogni caso mi sembra che i politici dovrebbero riflettere con attenzione e in modo puntuale su questo fenomeno perchè implica l’espressione di un’inquietudine, un punto di saturazione nel quale non ci siamo mai ritrovati prima.

– Li si accusa di non avere un discorso articolato, però in ogni caso è molto più articolato rispetto a  quello del maggio del ‘68, che oltre ad avere slogan molto meno sofisticati come “sotto i ciottoli c’è la sabbia”, a poco a poco ha influito anche su tutto il pensiero della sinistra dei tre decenni successivi. 
– E’ vero, però se si ricorda misero alle corde lo stato francese. In Francia ci fu davvero il timore di un colpo di stato. Inoltre c’era un sentimento di gioia di vivere che negli indignati non è presente. E’ qui che appare la mediatizzazione e la cultura digitale. Ci sono vari elementi molto diversi. Nel momento in cui un movimento si concretizza in forma di proposta si è già convertito in partito. La differenza fondamentale è la perseveranza. Nella misura in cui il movimento dura, avrà i suoi capi e responsabili. Nel momento in cui li crea e si rende conto che alcuni capi sono necessari per la sopravvivenza, si sarà trasformato in partito. Il movimento come pura forma di ebollizione è solo un sintomo di inquietudine, niente di più.

– Non crede che riveli l’esistenza di una maggioranza sociale di sinistra non articolata?
– Non so se di sinistra, ma sicuramente esprime una saturazione. Non so se è solo di sinistra, perchè c’è una grande base proletaria nei movimenti della destra storica. Il fascismo nacque sulla spinta delle  classi più svantaggiate.