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carcere

Siamo tutti Sallusti?

Prima di rispondere sarebbe il caso di leggere Chiara Lalli e il suo articolo per Il Mucchio:

Perché qui la questione non è essere contrari all’aborto (opinione) ma avere raccontato il falso, avere descritto la ragazzina come vittima di crudeli carnefici e i genitori in combutta con il giudice per costringerla ad abortire, anzi per stapparle il figlio dai visceri. Sulla diffamazione si potrebbe discutere a lungo: vogliamo considerarlo reato senza vittima, siamo pronti a prenderci tutte le conseguenze? Siamo sicuri che non ci sia una vittima e come potremmo difenderci se qualcuno scrive su un giornale che siamo dei serial killer? Che pensare dell’incitazione all’odio razziale o dell’omofobia? In Italia il primo è reato come crimine d’odio, sulla seconda siamo terribilmente evasivi. Si potrebbe – e dovrebbe – discutere sul tipo di pena e sull’inopportunità del punire l’intemperanza del linguaggio, anche se le critiche si basano su fatti veri. Il carcere non può che apparire spropositato e insensato – ma anche giocare a fare i martiri dopo avere rifiutato qualsiasi rimedio lo è. Prima di decidere cosa pensare è consigliabile leggere almeno Sallusti secondo me di Federica Sgaggio, 23 settembre 2012 eLibertà di diffamazione di Michael Braun, 27 settembre 2012, Internazionale. Così siamo pronti per l’ultima puntata, cioè il cosiddetto SalvaSallusti. È lo stesso Sallusti a commentare il 13 novembre sul suo profilo “Mi sento meno solo. Con la legge approvata dal Senato a San Vittore finiremo in tanti”.

Formigoneide: il carcerato e il sottosegretario sospetto.

Il listino di Formigoni continua a colpire anche nella parabola finale: il “sottosegretario” Francesco Magnano (cognome onomatopeico, non c’è che dire) visita di tutta fretta il carcerato Nicoli Cristiani. E non avrebbe potuto farlo. Leggere la notizia è già uno spasso:

Quale fosse, per ora non si sa. Ma certo all’inizio del 2012, per andare a trovare a tutti i costi nel carcere di San Vittore un detenuto in custodia cautelare, doveva essere davvero impellente e forte la motivazione dell’allora «sottosegretario del presidente Formigoni all’Attrattività» nella penultima giunta di Regione Lombardia, Francesco Magnano, «il geometra» di Berlusconi a Macherio. Tanto forte da farsi passare come un collaboratore del Pdl Massimo Buscemi, che, in quanto consigliere regionale, al pari dei parlamentari era invece legittimato a entrare in carcere.

Il resto qui.

La pena utile

Parole come aria fresca. Finalmente. Quasi da paese civile. Le parole, per ora.

È, piuttosto, la capacità di rinnovarsi in relazione al modo di vedere il detenuto: non più come «peso morto» da tenere rinchiuso e guardare a vista 24 ore al giorno, non più come «zavorra inutile» per la società, ma piuttosto come risorsa. Risorsa che può e deve diventare concreta in tutti i casi – e non sono tutti i detenuti, ma non sono nemmeno pochi – si riesca a mettere a frutto le capacità e la buona volontà che molti detenuti non hanno perduto definitivamente. Sta all’ Amministrazione farle emergere per rendere le persone che scontano la pena del carcere utili per la società. Questo e niente altro, lo ripeto, significa rendere la pena utile per il condannato stesso. Come ottenere questo risultato, difficile, ma non impossibile rispetto a un notevole numero di detenuti? Non vi è altro modo che il richiamo alla responsabilità. Far crescere il senso di responsabilità, nella convinzione che non vi è altra strada per preparare il rientro nella società. È una visione comoda e rassicurante, ma del tutto arcaica quella che vede il detenuto come soggetto meramente passivo di interventi che piovono dall’ alto. Occorre certamente dirigerlo, reggerlo, orientarlo: ma alla fine tocca a lui assumere il peso del proprio destino attraverso la sua volontà di riscatto, se questa volontà è abbastanza seria e forte. Chi mai potrebbe farlo al suo posto? In questo percorso di crescita il lavoro è uno strumento potente ed insostituibile. Il lavoro crea relazioni sociali costruttive. Produce benessere a sé e agli altri. Fa crescere l’ autostima. Non è un caso che la Costituzione ponga il lavoro a pietra fondante. Vi è una stretta relazione tra lavoro e dignità sociale. In astratto ogni persona ha una dignità. In concreto la dignità può andare perduta e senza il lavoro questa perdita è facile che avvenga. Ecco perché iniziative come la «Giornata della Restituzione» sono positive. Non è ancora il risultato di dare al detenuto un lavoro, risultato che purtroppo manca spesso anche fuori dal carcere. Ma quella iniziativa ha dato a settanta detenuti la possibilità di offrire alcune ore di fatica per rendere un servizio alla città e riconoscere in tal modo di essere ancora parte costruttiva della società.

(Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento amministrazione penintenziaria Ministero della Giustizia)

Vizi (e detenuti) privati

Ultimamente avevano privatizzato i reati. Il berlusconismo ci aveva fatto credere che in fondo fosse solo legittima difesa. Ora Monti ha liberalizzato anche le carceri: le imprese le costruiranno e le gestiranno con lo Stato. In teoria potrebbe essere un’idea contro il sovraffollamento. In realtà rischia perfino di peggiorare la vita dei detenuti. I nostri penitenziari ospitano, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre 68mila persone: 40mila in più della capienza regolamentare. Il personale é sottodimensionato e non riesce a garantire la decenza del servizio. A pochi chilometri da Mantova un edificio penitenziario quasi ultimato è stato abbandonato e colonizzato da animali e vagabondi. Se il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  ( come scriveva Fëdor Dostoevskij) forse sarebbe il caso di farsi carico (in pubblico più che in privato) della vergogna.

Il gusto dolce dell’umanità e delle prigioni

«Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare». Sono le parole con cui Vittorio Taviani ha ritirato l’orso d’oro del 62 Festival del cinema di Berlino riferendosi alla situazione delle carceri italiane. Ha ringraziato: «Voglio fare alcuni dei loro nomi: a loro infatti va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci sono nella solitudine delle loro celle. E quindi dico grazie a Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Francesco e Fabione». E come tutte le frasi profondamente umane mi hanno illuminato il lunedì e acceso il sorriso. Perché restare umani sarà l’inizio della rivoluzione di questo Paese.

Morire di carcere

Gli ultimi dati penitenziari confermano la Lombardia quale Regione d’Italia con la più alta presenza di detenuti ed una situazione complessiva allarmante. Alla data del 31 luglio scorso erano infatti detenute nei 19 penitenziari lombardi 9.343 persone a fronte dei 5.652 posti letto regolamentari. Nel corso dell’anno 2010, in Lombardia, ben 105 detenuti hanno tentato il suicidio, 523 hanno compiuto atti di autolesionismo e 259 hanno posto in essere ferimenti. Cinque detenuti sono morti suicidi e 14 per cause naturali. Questo ultimo anno abbiamo visitato le carceri lombarde raccontando la disumanità della situazione. E continueremo a farlo. E continueremo a dirlo. Perché non vogliamo essere complici.

Visite nelle carceri lombarde: Opera

Durante la campagna elettorale ho affermato più volte che avrei guardato con attenzione a tutte le situazioni di difficoltà e, tra queste, ovviamente rientra anche quella carceraria.

È per questo motivo che ho deciso di condurre visite ispettive in ogni carcere lombardo.

Devo ammettere che spesso non è semplice essere obiettivi e lucidi nell’analisi delle case di reclusione, soprattutto per persone che, come me, si ritrovano a intravedere, al di là delle sbarre, associati delle famiglie mafiose che vogliono eliminarle.

Il carcere di Opera è per la sua stessa struttura un ambiente asettico e anonimo. All’interno i colori si spengono quando lo sguardo incrocia le sbarre.

Ho percorso i corridoi, ho visto le celle, i passeggi dove i detenuti usufruiscono delle ore di aria, le mense, i laboratori e gli ambulatori. Ho visto facce, uomini dietro le sbarre e uomini con la divisa che vivono con estrema difficoltà la lontananza da casa, il lavoro recluso e una paga irrisoria.

Mentre osservavo tutto questo mi sono chiesto dove potessero posizionarsi gli slogan sulla sicurezza di questo governo, in quale recondito luogo della dignità dovesse inserirsi la vittoria di una struttura penitenziaria che riesce a far coabitare in una cella (di grandezza circa 3×2,5) “solo due detenuti”. Mi sono chiesto quale concetto di sicurezza abbiano coloro che ritengono necessaria l’apertura di nuove carceri come unica soluzione al sovraffollamento delle stesse.

Il problema sicurezza è strettamente legato alla situazione carceraria, che senza un reale apporto per il reinserimento dell’individuo è assolutamente inutile oltre che incostituzionale (art.27 Cost.). Il lavoro all’interno del carcere di Opera è ben strutturato, ma non è sufficiente. Sono necessari più laboratori, psicologi, educatori e agenti.

Eppure il governo della sicurezza non ha aumentato i fondi per le strutture ed il personale penitenziario. Ad Opera, inoltre, la struttura sanitaria interna a breve non sarà più in funzione per un passaggio di competenza alla Regione, che sicuramente dilungherà i tempi delle visite ed aumenterà i costi.

Non si può ritenere che le spese per i detenuti e per le case di reclusione siano inutili. Un uomo in carcere deve poter mantenere sempre la sua dignità e deve poter accedere a tutti gli strumenti che gli possano servire per il reinserimento nella società. Una politica che non si interessa di queste problematiche è una politica criminale, punitiva e medioevale, che non merita rispetto in un paese costituzionalmente orientato.

C’è un particolare che mi ha colpito molto in questa visita. Ad Opera sono reclusi colpevoli di ogni tipo di reato contro la persona e contro il patrimonio. Eppure una domanda mi è balzata alla mente: ma tutti i “colletti bianchi” che si situano in quella zona grigia della criminalità organizzata dove sono? Come mai c’è una categoria di colpevoli che riesce sempre a sfuggire alle maglie della reclusione? Forse tutte le riforme legislative di questi ultimi anni hanno avuto lo scopo di punire spacciatori, immigrati e ladruncoli e hanno perso di vista corruttori e frodatori? Sono convinto che non possa essere così perché, altrimenti, saremmo al cospetto di un governo schizofrenico.

Talvolta sento urlare allo scandalo per le condizioni in cui vivono i reclusi sotto regime di 41 bis. Oggi li ho visti nelle loro celle. Non mi sembra che possano essere considerati detenuti uguali agli altri e non ritengo che vivano in una situazione disagiata e terribile. Spero solo che tutto questo vocio non porti alla distruzione di questo regime speciale, che è stato ampliato dopo la strage di Capaci. Sebbene nessuno possa essere privato della dignità personale, ritengo doveroso che lo Stato utilizzi un trattamento carcerario differente per chi volutamente ha calpestato non solo la dignità di molte persone, ma ha vissuto in una società parallela guidata da regole proprie, che non ha mai riconosciuto le istituzioni se non quando le ha usate per patti, affari e compromessi.

Vi terrò aggiornati sulle prossime visite sperando di potervi illustrare situazioni sempre adeguate al rispetto dei diritti umani.

Il rispetto finito in carcere: diario di un giorno a San Vittore

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij)

Martedì 11 maggio insieme ai miei compagni del Gruppo Consiliare Gabriele Sola, Francesco Patitucci e Stefano Zamponi sono stato in “visita” al carcere di San Vittore di Milano. Me lo ero ripromesso in modo ancora più forte dopo il recente suicidio di un detenuto a Como. Rientra nei diritti (o meglio doveri) di un consigliere regionale potere (o meglio dovere) entrare in qualsiasi carcere della regione per compiere un’ispezione sulle condizioni ambientali di lavoratori e ospiti. Un doveroso privilegio da praticare con regolarità e senza spese a piè di lista.

Entrare in un carcere con in tasca il diritto della visita breve è un distacco che non basta per non lasciarci dentro un pezzo di testa che ti rimbalza per i giorni successivi. A San Vittore ci sono circa 1400 detenuti: il doppio di quelli che ci dovrebbero stare, ma si sa gli uomini come tutti i branchi sono capaci di stringersi se è l’unico modo di starci. Celle tre metri per tre: un fazzoletto di pavimento che all’ikea si arreda con un mazzetto di 10 euro. Dentro i tre metri per tre qui a San Vittore ci vivono in sei. Con i letti aggrappati che arrivano ad un soffio dal soffitto. Ci accolgono con sommersa gratitudine e la buona educazione del nodo in gola. Gli agenti della Polizia Penitenziaria hanno le chiavi che ti aspetti per aprire castelli e parlano dei colleghi e dei detenuti. Ogni tanto gli scappa un “noi”. Come un recinto di guardie e ladri che si mettono insieme almeno per salvarsi. Se i detenuti sono doppi di quello che dovrebbe, le guardie circa la metà. A San Vittore i numeri non tornano mai: eppure la vivibilità è fatta di numeri, spazi e fondi. Qui lo sanno bene che il bluff non funziona.

In una cella con un ventilatore tenuto insieme dal nastro da pacchi, un ospite con il piglio esperto del residente si stacca dal fornello a tre passi dalla turca e dice indicando l’agente “se fate stare bene loro, loro possono fare stare bene noi”. L’emergenza sa costruire solo estremi: alleanze impensabili o odi profondi. Mi arrivano in testa Stefano Cucchi e a tutti gli altri che non si sono nemmeno meritati di essere stati nominati. Penso all’agente di Polizia Penitenziaria aggredito pochi giorni fa nel carcere di Opera. Questa è una guerra senza vincitori né vinti dove perde solo la responsabilità.

Nei prossimi giorni insieme ad alcune associazioni stilerò un programma per visitare tutte le carceri della regione. Stabilendo insieme le priorità per una relazione più completa possibile.

Intanto stanno finendo i nuovi servizi igienici: il lavoro ce lo mettono i detenuti lavoratori, i materiali, le porte, i sanitari e gli arredi l’Italia dei Valori. E’ poco ma è qualcosa. Almeno per provare a tenere anche il rispetto sotto osservazione.