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carlo cosco

Una strada per Lea Garofalo

post_30887Una bella notizia da Rossano (CS), perché le cose cambiano se siamo disposti a cambiare:

Una strada per Lea Garofalo, la testimone di giustizia che ha pagato con la vita la sua ribellione alla ‘ndrangheta. La notizia arriva da Rossano, portata dal vicesindaco Guglielmo Caputo sabato sera nel corso della presentazione del libro “Il coraggio di dire no. Lea Garofalo la donna che sfidò la ‘ndrangheta” (Falco Editore) del giornalista molisano Paolo De Chiara.
“Penso che Lea sta cambiando qualcosa – spiega Marisa Garofalo, sorella di Lea – questa sera abbiamo avuto la bella notizia che il comune di Rossano si prenderà l’impegno di ricordare Lea con l’intitolazione di una via. L’altro giorno sono stata a Lamezia dove ho incontrato il ministro Barca ed è stato presentato un progetto “Miur” in cui si parla Lea e di legalità. Ho preso l’impegno di dare voce a mia sorella, una voce che probabilmente non ha mai avuto e quelle poche volte che l’ha avuta nessuno l’ha mai ascoltata. Ho preso l’impegno con il mio avvocato di istituire una fondazione che aiutasse i testimoni di giustizia in difficoltà, perché ora Denise non deve stare sola”.
E proprio la ventunenne Denise, figlia di Lea Garofalo, presto cambierà cognome attraverso un’istanza presso il tribunale civile: “Si trattava di una volontà di mia sorella – spiega Marisa Garofalo – era lei che voleva cambiare il cognome alla figlia visto che il tribunale ha tolto anche la patria potestà al padre. Denise userà il cognome di mia sorella, si chiamerà Garofalo, anche perché lei non vuole portare questo cognome, il padre le ha distrutto la vita”.
Il ringraziamento della sorella di Lea Garofalo va al comune di Rossano Calabro e soprattutto «a quei giornalisti come Paolo De Chiara si occupano di ‘ndrangheta, che si occupano di mafia e sono quelli più a rischio. Parecchi giornalisti in passato sono stati uccisi dalla mafia, subiscono violenze, subiscono minacce e molto spesso anche loro sono costretti a stare sotto scorta come Giulio Cavalli che ha curato l’introduzione di questo libro, è stato minacciato al processo di Lea Garofalo dai Cosco».

da Strill.it

Cosa c’entra Lea Garofalo con la lista di La Russa in Lombardia

lea-garofalo-carlo-coscoTra i candidati per le regionali in Lombardia della lista “Fratelli d’Italia” (quella della Meloni e di Crosetto, del PDL etico, per intendersi) c’è Maira Cacucci.

Maira era l’avvocato dei Cosco nel processo per l’omicidio di Lea Garofalo. Maira è quella che in Aula disse:

“Una (possibilità) potrebbe essere quella della partenza di Lea Garofalo. D’altro canto, aveva manifestato più volte l’intenzione di andarsene. Ma è una teoria che non ha alcun supporto. Sullo stesso piano, invece, sono la tesi del pm, che accusa i sei imputati, e la possibilità che Lea Garofalo sia stata sì uccisa ma da altri, magari da quel fratello che era capace di tutto e dal quale lei si sentiva vessata. Entrambe queste tesi sono suffragate solo da indizi, non c’è alcuna prova”. Un accenno anche alla Costituzione: “In quel testo così importante per la nostra società si sancisce la non colpevolezza di un individuo fino a che si arriva oltre ogni ragionevole dubbio”.

Carlo Cosco è quel simpatico omicida che in Aula mi salutò così. il corpo di Lea è stato ritrovato non molto tempo fa. I Cosco sono stati condannati.

Il coraggio di Lea

IL CORAGGIO DI DIRE NO
Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta

di Paolo De Chiara (Falco Editore)
con Prefazione di Enrico FIERRO
con Introduzione di Giulio CAVALLI

[…] la storia di Lea Garofalo, di questo ci parla. Di una vita violenta vissuta in un clima di perenne e quotidiana violenza. Un’esistenza dove la tenerezza, l’affetto, la comprensione non hanno mai trovato spazio. Forse, ma questo lo si avverte leggendo il libro e soffermandosi a riflettere sulle pagine più dense, alla fine della sua vicenda umana. Lea aveva capito che una vita violenta non è più vita e per questo aveva chiesto aiuto. Allo Stato, a questa cosa incomprensibile e troppo lontana per una ragazza di Calabria, allo Stato come unica entità cui aggrapparsi in quel momento. Perché quando rompi con la famiglia, quando vuoi venirne fuori, diventi una infame, una cosa lorda, la vergogna per il padre, i fratelli, il marito. E la vergogna si lava con il sangue. (dalla Prefazione di Enrico Fierro)

Un corpo per Lea

Forse ritrovato il corpo di Lea Garofalo.

In certe storie è un conforto imbattersi almeno nelle macerie dei propri affetti e questo dà la dimensione della tragedia.

Mi piace pensare che per Denise sia un sollievo, anche se breve. E che per Carlo Cosco e gli altri sia un incubo davanti agli occhi che rimanga il più a lungo possibile.

 

L’odio di Carlo Cosco, i suoi “fratelli”, Lea Garofalo e l’orgogliosa Denise

Depositate le motivazioni del processo per l’uccisione di Lea Garofalo. Ci torneremo. Sicuro. Intanto il bel pezzo scritto da Giovanna Trinchella per Il Fatto Quotidiano. E le parole che scolpiscono una colte per tutte il vergognoso spessore criminale di Cosco e i suoi fratelli:

L’unica cosa certa è che Lea Garofalo è stata uccisa per “odio”. Massacrata da “criminali di mestiere e per scelta di vita”. Il suo corpo, dissolto in cinquanta litri di acido, non è mai stato trovato ma quella “donna fragile, sofferente, infelice” è morta assassinata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. I giudici della I corte d’Assise di Milano, che il 30 marzo scorso hanno mandato in galera per sempre sei uomini tra cui l’ex compagno della vittima Carlo Cosco, non hanno potuto concedere nessuna attenuante a chi, come scrive la presidente Anna Introni nelle motivazioni della sentenza, ha dimostrato solo “disprezzo della vita e dei più nobili sentimenti famigliari”.

E’ stato un processo difficile quello contro “imputati imperterriti e imperturbabili”, silenti tranne quando hanno scelto di parlare per dire “menzogne”. E’ più che un percorso giudiziario il film della vita di questa donna, che iniziò una collaborazione da testimone di giustizia solo per dare una chance di vita migliore alla figlia Denise, assomiglia a un romanzo. Una vita difficile ricostruita dai giudici con parole che entrano raramente in atti giudiziari: “Lea, orfana di padre dall’età di nove mesi, sin dalla prima infanzia respira e vive in un ambiente socio famigliare caratterizzato da povertà culturale, con elevati profili di illegalità patologici ed improntato a valori educativi deviati, la nonna le insegna che il sangue si lava con il sangue tanto da compiacersi dell’onore mostrato dall’altro suo figlio che aveva cercato di vendicare la morte del fratello con il sangue divenendo irrilevante che lo stesso fosse rimasto ucciso nell’ambito delle vendette incrociate”.

Ed è per questa vita complicata che il pm di Milano Maurizio Tatangelo, ad apertura del processo, disse: “A questo processo vi appassionerete, è una vicenda umana tragica”. Perché non solo c’è un uomo che uccide la’ex compagna con l’aiuto dei parenti, ma una figlia che si costituisce parte civile contro il padre, l’assassino di sua madre: “La testimonianza di Denise Cosco, come già visto e come si vedrà soprattutto in seguito, è assai preziosa, Denise è il teste chiave – scrive il giudice Introini – e le sue dichiarazioni si pongono quali momenti fondamentale per la ricostruzione di alcuni eventi, di parecchi episodi, di tutto quanto successo che ha visto protagonisti i suoi genitori. La sofferenza di Denise unitamente ad altri nobili sentimenti manifestati nel corso delle sue deposizioni, quali il coraggio, il senso della conoscenza, della verità esimono dal commentare le sue dichiarazioni se non nei limiti in cui ciò risulti strettamente necessario per l’accertamento della verità (finalità cui deve tendere il processo penale)”.

Per il pubblico ministero, che aveva chiesto e ha ottenuto l’ergastolo per gli imputati, “quella di Lea Garofalo è stata una morte annunciata, da anni”. Forse da quando la donna, nel 1996, dopo l’arresto di Carlo Cosco, lo lascia. Di sicuro dal 2002 quando Lea, sfuggendo alla “mentalità mafiosa” in cui era cresciuta, decide di svelare tutto quello che sa di omicidi ed estorsioni. Fino al 2009 Lea e Denise fanno parte di un programma di protezione e vagano per l’Italia in una sorta di via Crucis. Ma in aprile del 2009 Lea, che aveva solo 37 anni, smette i panni della testimone, forse perché sente il fiato sul collo di Cosco (che ha saputo dove si trova da un carabiniere), e dopo tredici anni cerca un contatto con lui. Cosco però, affiliato a una cosca della ’ndrangheta di Crotone “chiede l’autorizzazione a due capi-cosca per uccidere la Garofalo”, vuole la sua “vendetta”. Il movente di quest’uomo , cui non veniva fatta vedere la figlia quando era detenuto, è tutto in questa riflessione: non solo “lo straziante dolore di un genitore che a causa delle scelte dell’altro non vede più la figlia, non sono solo sentimenti di rabbia, di odio, di vendetta che provano quei genitori ai quali per le scelte dell’altro genitore vengono privati della quotidianità dei figli, vengono privati della gioia di vederli crescere, è qualcosa di più è il disonore, l’umiliazione provata per essere stato lasciato da Lea nel momento del suo arresto e per non vedere più la figlia per una decisione unilaterale della moglie”.

Tra gli “impeterriti e imperturbabili” imputati – Carlo Cosco appunto, i fratelli Giuseppe e Vito, Rosario Curcio, Massimo Sabatino – c’è anche Carmine Venturino “al servizio stabile dei Cosco” che “non si è sottratto neppure all’ignobile compito di affiancare Denise ed intrattenere con la stessa una relazione sentimentale”. La “rara efferatezza”, la “fredda determinazione” di tutti non hanno risparmiato Lea e forse non avrebbero risparmiato Denise che consapevole delle responsabilità della sua famiglia per oltre un anno, e fino agli arresti degli assassini, ha dovuto vivere in una prigione di silenzio e paura: “Ho fatto finta di niente – aveva detto in aula la ragazzina nascosta dietro un paravento – come ho fatto finta di niente tutto l’anno successivo. Cosa dovevo fare? La stessa fine di mia madre?”. Lea, che con la figlia voleva scappare in Australia, scomparve fra il 24 e 25 novembre 2009; le telecamere del comune di Milano ripresero all’Arco della Pace di Milano i suoi ultimi istanti in vita. Alle 18,37 salì sull’auto guidata da Carlo Cosco. Fu portata in un appartamento, poi in un magazzino, interrogata, torturata. Tra il 26 e il 28 novembre fu dissolta nell’acido. Denise, difesa dall’avvocato Enza Rando, ora vive sotto protezione, (lontana da nonna e zia materne, anch’esse parti civili nel processo), ma “orgogliosa testimone di giustizia”.

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Il solstizio d’estate è in viale Montello, a Milano, dietro al sorriso di Lea e Denise

MILANO – Blitz delle forze dell’ordine giovedì mattina in viale Montello 6, lo stabile tristemente noto come il «fortino delle cosche». Dopo quarant’anni, finalmente è stata espugnata la più longeva roccaforte di spaccio e racket di Milano, creata dalla famiglia Cosco, coinvolta nel caso di Lea Garofalo, la donna sciolta nell’acido. Strada chiusa al traffico, impiegati una settantina di uomini delle forze dell’ordine tra polizia e carabinieri per liberare l’edificio. (il Corriere ne parla qui)

Chi passa di qui lo sa bene, su Lea Garofalo e il clan Cosco ci abbiamo lasciato una pezzo di lavoro e di cuore (qui tutti i post). E sulla loro ingombrante presenza in viale Montello un pezzo di Milano aveva già preteso una soluzione senza mediazioni. Per questo è una buona notizia. Ed è il solstizio d’estate più bello che potessimo augurarci in questo sole milanese.

Le minacce, i Cosco e Lea Garofalo: il dito e la luna

Voglio spendere un secondo per ringraziarvi tutti. Per la vicinanza di Nichi, Giuliano, Chiara, Stefano, Pippo, Sonia e tutti gli altri rappresentanti delle istituzioni. Ora raccogliamo le idee e ripartiamo con il nostro lavoro cercando sempre di essere seri e con impegno ordinario. Ci fermiamo per raccogliere i pezzi perché questi ultimi mesi sono stati i più difficili di questi anni anomali. Non guardiamo il dito: il processo Garofalo è stato coltivato dai tanti giovani della Milano migliore. Godiamoci la luna. Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato un evento pubblico grazie a molti giovani. Per ora, quello che mi sentivo in dovere di dire l’ha scritto bene Il Fatto Quotidiano nell’intervista che incollo qui. Buone giornate.

Le minacce dai Cosco prima degli ergastoli Cavalli: “La città non può più tollerare”

I fratelli accusati di aver ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo poco prima del verdetto hanno gridato allo scrittore e attore: “Perché scrivi che siamo mafiosi? Sei un cornuto e un infame”. Lui risponde: “Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato a un evento pubblico grazie a molti giovani”

“In gioco non c’è la solidarietà a me, ma capire che una città  può farsi carico di un processo. Questo è successo in questo processo grazie ad alcuni giovani e di questo dobbiamo ringraziarli. Dall’altra parte c’è un atteggiamento di impunità che questa città non può più tollerare”. Le minacce e gli insulti ricevuti da Carlo Cosco, pochi minuti prima che questi fosse condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna, non intaccano neanche un po’ il pensiero di Giulio Cavalli. L’attore, scrittore e consigliere regionale di Sinistra e Libertà in Lombardia, ieri si è presentato in tribunale a Milano per ascoltare il verdetto. Oltre a lui il presidente di “Libera”, don Luigi Ciotti e del sociologo Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia e che da trent’anni denuncia la presenza dei clan al nord. Ma anche i giovani ai quali si riferisce Cavalli: i ragazzi di Libera che hanno spesso seguito le udienze del processo e gli studenti universitari di Dalla Chiesa.

Cosco e gli altri 5 imputati (poi tutti condannati all’ergastolo) lo hanno riconosciuto attraverso le sbarre delle gabbie dove erano chiusi in attesa del verdetto che li ha ritenuti colpevoli di aver torturato, ucciso e sciolto nell’acido una donna di 35 anni, Lea Garofalo, perché collaborava con la giustizia. In particolare è stato proprio Carlo Cosco, ex compagno della Garofalo, a realizzare che fosse Cavalli. Così ha rotto il silenzio del tribunale: “Perché scrivi sui libri che siamo mafiosi?” ha gridato. Poi la risposta, data però da uno dei fratelli di Cosco, pure lui a processo e pure lui condannato: “Scrivi perché sei un cornuto e un infame”. ”Io non l’avevo nemmeno capito cosa stava gridando – racconta Cavalli – Me l’ha detto la scorta. Ha urlato anche a Nando, anche se senza minacce”. “Mi ha colpito – continua – che sia stato proprio Cosco a fare una cosa del genere, perché è sempre stato il “gestore” della cella, ha sempre ricoperto questa funzione di capo, anche nella postura. Lo ha fatto anche ieri, tra l’altro cinque minuti prima di essere condannato all’egastolo”.

Quindi, lasciando perdere la solidarietà, “l’aspetto da sottolineare è l’atteggiamento di impunità di queste persone – spiega – che pensano, con un’aula piena di forze dell’ordine e quasi davanti a in giudice, di fare una cosa del genere. A livello personale, poi, ho scritto di Cosco, ma ho scritto anche di molti altri. In effetti ho trovato curioso che mi abbia riconosciuto subito, ma può essere legato al fatto che sono stato il promotore della borsa di studio per Denise”.

Denise Cosco è la figlia di Carlo Cosco e Lea Garofalo: nel processo concluso ieri si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro. Regione Lombardia sosterrà le spese per gli studi di Denise dopo l’approvazione della mozione approvata in consiglio dopo essere stata presentata proprio da Cavalli.

A lui oggi sono arrivate le parole di sostegno di Nichi Vendola, il leader del suo partito: “Caro Giulio, stiano tranquilli i vigliacchi che dopo aver ucciso in modo bestiale e sciolta nell’acido Lea Garofalo, ora se la prendono con te minacciandoti ed insultandoti pesantemente”. “Lo devono sapere chiaramente questi vigliacchi che non sei solo – prosegue Vendola – Le persone oneste, del Nord e del Sud che in questi anni hanno lottato e lottano contro le mafie, sono una moltitudine immensa. Che nessuno di questi vigliacchi si permetta di alzare la voce o un solo dito. Sono certo che le istituzioni del nostro Paese impediranno ulteriori minacce nei tuoi confronti. Nella lotta alla criminalità organizzata e alle mafie lo Stato non può abbassare la guardia: nelle settimane scorseGiovanni Tizian, ieri Giulio Cavalli, e insieme a loro tanti altri giornalisti minacciati quotidianamente. Non possiamo permettere questo stato di cose. Ci auguriamo che dal ministero dell’Interno e dall’intero governo venga un impulso maggiore. A Giulio l’abbraccio piu’ fraterno di tutti i compagni e le compagne di Sinistra Ecologia Libertà”. Al consigliere e scrittore anche il messaggio dei blogger di enricoberlinguer.it: “Siamo tutti cornuti e infami”.

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia definisce l’accaduto “vile e vergognoso”. “A Giulio – continua – la mia solidarietà per un attacco di stampo mafioso da parte di chi sa che, a Milano, la violenza criminale è stata sconfitta e che, nè adesso nè in futuro, potrà avere spazio alcuno e per questo è ancora più bramosa di vendetta nei confronti di chi tutti i giorni combatte la criminalità. Giulio non ha mai smesso di denunciare le infiltrazioni mafiose anche al Nord”. “Attacco mafioso violento e inqualificabile” dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. “Le minacce contro di lui – aggiunge – sono vergognose e devono essere stigmatizzate con forza da tutti”.

Cavalli incassa il sostegno, ma riporta al nodo vero della questione: “Sul processo Cosco è stato fatto un lavoro straordinario dei giovani e di Libera grazie al quale un processo che altrimenti sarebbe stato celebrato come per un fatto privato sia diventato un evento pubblico, di un’intera città. Di questo dobbiamo ringraziare questi giovani”.

Lea Garofalo sciolta nei sedili della nuova Metro

Nella classifica dei morti ammazzati da ricordare e da raccontare Lea Garofalo scivola veloce verso le posizioni di coda. L’omicidio della testimone di giustizia (conclusosi con il cadavere sciolto nell’acido il 25 novembre scorso nel quartiere monzese di San Fruttuoso) ha tutti i crismi per accendere compiti minuti di silenzio e piazze a lutto ma ha un solo, insuperabile, neo: è avvenuto qui giù al Nord, dove i morti ammazzati sono un livello d’allarme che è sempre meglio scavalcare perché altrimenti si sporca il grembiulino di questa Lombardia scolaretta disciplinata dell’antimafia per educande.

Eppure sono stati in molti a pensare (per l’ennesima volta) che quel cadavere di donna sbriciolato dentro l’acido sia capitato per caso nelle civilissime e padanissime periferie brianzole per un’orda di sudisti che a Milano è venuta con un tocca e fuggi prima di ritornare nel peloso sud. Sembra che sia sfuggito a molti che l’omicidio di Lea Garofalo è fallito a Campobasso ed è stato possibile con un furgone acceso nel centro di Milano. Come se Milano rispondesse meglio alle condizioni ambientali (e indifferenti) per consumare in pieno centro sequestri di persona di testimoni di giustizia. Questa è la prima brutta la notizia.

La seconda è stata scritta da Roberto Galullo qualche giorno fa ed è uno schiaffo ancora peggiore:  i carnefici di Lea Garofalo sono milanesi più dei milanesi, inseriti nel tessuto sociale, economico e imprenditoriale fino a mettere le mani (callose e sporche di sangue) negli appalti pubblici.

11 dicembre 2009, ore 18.39. Il cellulare di “Uorco” chiama un uomo straniero avisando che si trovava “di sopra, dove esce il cemento”. “Uorco” è il nome in codice di Vito Cosco detto Sergio che telefona passeggiando sul cemento del cantiere della linea 5 della metropolitana milanese. Per la precisione cantiere di Viale Zara. Vito Cosco è il fratello di Carlo. Carlo Cosco: mandante, secondo gli inquirenti, dell’omicidio di Lea Garofalo. Il pentito Salvatore Sorrentino il 30 aprile di quest’anno aveva dichiarato “Sergio e Giuseppe Cosco organizzavano anche il lavoro degli scavi della quinta linea della metropolitana milanese tramite i loro mezzi di movimentazione terra, probabilmente in ambito di subappalto”. Gli stessi Cosco che gestiscono (a Milano) gli affitti abusivi dell case popolari in via Montello e in Corso Como. Tutto questo mentre i fratelli si permettono di non comparire in nessun registro delle imprese. Unica segnalazione: un’attività di commercio all’ingrosso di materiali di costruzione intestata a Carlo. Sede legale in via Montello 6. A Milano.

Un assassinio becero tutto lombardo, milanese di casa. E nemmeno un minuto di silenzio, un secondo di riflessione dalla città da bere. “E’ Cosa loro”. Dicono. Come Letizia Moratti ci insegna.