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carlo cosco

Il buonismo tardivo per Lea Garofalo

Riporto le parole di Marisa, sorella di Lea Garofalo:

«Mi chiedo se si sia fatto poco a livello istituzionale, me lo chiedo perché mi tormenta il pensiero che tutto questo si sarebbe potuto evitare. Quando c’è stato il suo tentato rapimento, Lea ha denunciato. Quando le hanno chiesto chi poteva essere stato, lei ha fatto il nome di Cosco. Quando ha dovuto testimoniare contro suo fratello e contro il padre di sua figlia, lei ha testimoniato, perché – come ha avuto modo di scrivere – voleva una vita libera e un futuro migliore per sé e sua figlia. Ma per fare qualcosa hanno aspettato che morisse. La chiamavano collaboratrice di giustizia invece di testimone, facendo così in modo che si sentisse marchiata. Voleva far cambiare il cognome alla figlia e non c’è riuscita. Quando le spostavano da un posto all’altro, perché nei pressi della loro abitazione notavano presenze particolari, cadeva nello sconforto e si chiedeva come avessero fatto a sapere dove abitavano. Neanche io lo sapevo. Allora i suoi timori aumentavano e non si fidava nemmeno della scorta. Lei non è stata zitta. Ha continuato a denunciare, sempre e nonostante tutto».

(da La figura rimane, di Doriana Righini in Contro Versa, autrici varie, sabbiarossaED, Reggio Calabria 2013)

Domani a Milano per Lea

Denise, la figlia di Lea Garofalo ci chiede di essere in tanti.

E non si può davvero mancare perché l’insegnamento che ci lascia Lea Garofalo, Denise e la condanna per Carlo Cosco e i suoi sodali è una lezione da non dimenticare.

Ore 10.30, Piazza Beccaria, Milano. Il funerale di Lea.

resizer.jsp

Lea Garofalo: la sentenza d’appello

Assolto Giuseppe Cosco. Ergastoli per Sabatino, Curcio, Vito e Carlo Cosco. Condannato a 25 anni Venturino.

Attenuanti generiche a Venturino. Isolamento diurno per 1 anno a Carlo Cosco e 8 mesi a Vito Cosco.

Lea Garofalo e Carlo Cosco pentito “solo per limitare il danno”

Avevo già espresso i mie dubbi (conoscendo il soggetto e la storia) sul pentimento di Carlo Cosco. La pensa così anche il sostituto pg Marcello Tatangelo:

Tre ergastoli, una pena a 27 anni per il collaboratore di giustizia e due assoluzione. Sono le richieste, ai giudici della corte d’Assise d’appello di Milano, per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese uccisa a Milano il 24 novembre 2009 e il cui corpo venne bruciato. In primo grado erano stati inflitti sei ergastoli. Oggi però il sostituto pg Marcello Tatangelo, nel corso della sua lunga requisitoria, ha dovuto riqualificare le responsabilità degli imputati, anche alla luce delle dichiarazioni del pentito Carmine Venturino, che nel luglio scorso, dopo il processo di primo grado, ha iniziato a collaborare facendo anche ritrovare i resti del corpo della donna.

In particolare l’accusa ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Carlo Cosco e per suo fratello Vito, che avrebbero ucciso la donna al termine “di un piano criminoso andato avanti per anni”. Chiesta la conferma dell’ergastolo anche per Rosario Curcio, che avrebbe aiutato Venturino a far sparire e bruciare il cadavere. A nessuno dei tre, secondo l’accusa, devono essere concesse le attenuanti generiche. Attenuanti, invece, che il sostituto pg ha chiesto per Venturino. Il magistrato però ha sostenuto che a lui non può essere concessa “l’attenuante speciale che prevede un fortissimo sconto di pena per i collaboratori di giustizia”, anche perché questo, secondo l’accusa, non è un omicidio di ‘ndrangheta. Secondo l’accusa Carlo Cosco, dopo anni di silenzio “ha confessato” nelle scorse udienze “solo per limitare il danno”, ossia per escludere lapremeditazione e un “piano omicidiario coltivato per anni” parlando di un “raptus d’impeto”, “nutriva un odio profondo verso di lei che l’aveva abbandonato e soffriva del disonore tipico degli ambienti criminali mafiosi”. Cosco temeva che la donna non le facesse più vedere la figlia Denise, 21 anni, che con le sue dichiarazioni ha dato un impulso forte alle indagini, ha testimonianto ed è parte civile contro il padre. La ragazza non ha accettato le scuse del padre, che si era rivolto a lei in una delle scorse udienze. “Cosco – ha spiegato, infatti, l’avvocato della giovane, intervenendo come parte civile – ci viene a parlare di un fatto d’impeto e poi chiede scusa a una ragazza che oggi sta cercando di rialzarsi”. Il ritrovamento, grazie a un pentito, dei resti del corpo poi, ha concluso il legale, è stato “per Denise un grande regalo”.

L’accusa infine ha chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per l’altro fratello di Carlo, Giuseppe, e Massimo Sabatino, scagionati nelle dichiarazioni del pentito. “Non sono affatto certo – ha spiegato Tatangelo – che Giuseppe Cosco e Massimo Sabatino siano estranei all’omicidio, ma il dubbio ce l’ho e la mia coscienza di magistrato mi impone di chiedere che siano assolti”.

“Non abbiamo mai contestato l’aggravante mafiosa, malgrado le sollecitazioni della stampa e della parte civile – ha chiarito il pg – perché siamo convinti che in questo omicidio c’è una compresenza di fattori come il dolore di Cosco di essere stato abbandonato, il disonore, l’odio profondo che nutriva per questa donna sin dalla fine degli anni ’90”. Il processo proseguirà giovedì con gli interventi delle parti civili e delle difese e la sentenza potrebbe arrivare il 21 maggio.

(via)

Così abbiamo ucciso Lea: la versione di Venturino

carmine-venturinoI ragazzi di Stampo Antimafioso stanno seguendo con certosina diligenza il processo d’appello sulla morte di Lea Garofalo. E andrebbero ringraziati cento volte per quello che stanno facendo: sono le “vedette” che che regalano occhi e orecchie ad una città (Milano) che negli anni è diventata professionista del non vedere e non sentire. La ricostruzione di Carmine Venturino (che, va ricordato, si professa “innamorato” della figlia di Denise, la figlia di Lea) squarcia una velo sul massacro organizzato. E parla (ancora una volta) di quella parola che aleggia fin dall’inizio del processo: ‘ndrangheta:

Separato da un paravento bianco da coloro che «per tre anni sono stati – così come li ha definiti – la mia famiglia», Carmine Venturino, collaboratore di giustizia dal 31 luglio 2012, si è trovato nel secondo giorno di udienza del processo di secondo grado per la morte di Lea Garofalo a dover confermare le dichiarazioni fatte nei mesi scorsi al pubblico ministero e ad autoaccusarsi del concorso all’omicidio della madre della ragazza che lui stesso dice di amare.

Lo scorso 10 aprile dichiara dunque questo davanti alla corte d’Assise del Tribunale di Milano: «È     una scelta d’amore per Denise perché deve sapere come sono andate le cose sull’omicidio di sua madre». Con queste parole Carmine Venturino, nato a Crotone nel 1987 da una famiglia di incensurati, inizia la ricostruzione di tutte le fasi di organizzazione dell’omicidio di Lea Garofalo; dal progetto sventato a Campobasso nel maggio del 2009 fino al giorno, il 24 novembre 2009, in cui la donna viene rapita, torturata e uccisa. Strangolata con un nastro floreale delle tende dell’appartamento di Via Fioravanti, il cadavere messo in uno scatolone e alla fine trasportata in un garage. Lì l’ordine di Carlo Cosco: «La dovete carbonizzare».

Poche parole quelle dell’ex compagno della donna ma soprattutto poche domande, afferma Venturino: «Non si fanno domande nella ‘ndrangheta, significherebbe poca serietà; l’unico commento di Carlo Cosco è stato ‘la bastarda se n’era accorta’». Il collaboratore poi prosegue il suo agghiacciante racconto sulla distruzione del cadavere di Lea Garofalo: «Apriamo lo scatolone e rovesciamo il corpo a testa in giù nella benzina; si intravedevano solo le scarpe. Poi abbiamo buttato la benzina ma il cadavere bruciava lentamente, così mentre il corpo bruciava venivano spaccate le ossa con un badile. Ciò che rimaneva l’abbiamo messo in una borsa e coperto da una lamiera».

Continua poi la sua ricostruzione, raccontando alla corte il recupero degli abiti sporchi di sangue di Carlo Cosco, nascosti vicino al cimitero monumentale e recuperati da Rosario Curcio perché “erano firmati”. Dettagli che, sommati alle altre dichiarazioni, lasciano intravedere lo scenario ‘ndranghetista dentro il quale si è consumato il terribile omicidio: «Lui doveva ammazzare la compagna per le regole della ‘ndrangheta; io non sono un affiliato, sono un contrasto onorato, ho preso parte a questo disegno criminoso perché facevo parte della famiglia, in quanto spacciavo per loro e quindi dovevo loro dei soldi; non potevo dire di no; a Pagliarelle non si muove una foglia che i Cosco non voglia».

E sulla dichiarazione spontanea rilasciata da Carlo Cosco il 9 aprile, alla fine della prima udienza, Carmine Venturino dichiara: «Secondo Carlo Cosco si doveva dovevano uccidere anche Denise; nel processo di primo grado c’è stato un episodio in cui l’avvocato ha mostrato delle fotografie rimaste appoggiate sul banco della difesa e Carlo Cosco quando le ha viste ha detto, ‘ancora davanti a me la metti questa puttana’». (l’articolo è qui)

Ah, ovviamente Carlo Cosco nega.

Lea Garofalo, Carlo Cosco in Aula: l’ho uccisa così (e non ci crede quasi nessuno)

DUE PUGNI. ”Non l’ho strangolata, dopo che le ho dato due pugni aveva gia’ perso conoscenza, quando ha picchiato la testa per terra secondo me era gia’ morta e ha iniziato a perdere sangue”.

LA SCUSA. “Era verso le sette e qualcosa io, Venturino e Lea siamo saliti, abbiamo visto la stanza del letto e abbiamo parlato del bagno che era tutto vecchio, da rifare. Man mano che parlavamo sono successe delle parole (testuale, ndr). ‘Non ti faccio piu’ vedere Denise. Sei sempre uno str…, hai la testa che avevi prima, dicevi che la casa non ce l’avevi e invece ce l’hai’, mi ha detto lei. ‘Ma la casa non e’ mia’, ho risposto e lei mi ha detto che non se ne voleva andare piu’ e non mi avrebbe piu’ fatto vedere Denise”.

DOPO L’OMICIDIO… ”sono andato a casa a rilassarmi un po’, ero ancora tutto agitato, poi sono andato in via Montello, ricordo che c’era la partita… C’era mio fratello Sergio, gli ho detto e’ successo questo, cosi’ e cosi’, l’ho uccisa. Vedete come dovete fare per fare sparire il corpo. Lui mi ha detto: vai a consegnarti. Io non sono andato a consegnarmi perche’ non volevo perdere mia figlia Denise”.

LA SCOPERTA. ”Se organizzavo l’omicidio come dice la procura io adesso non sarei qui”.

(fonte AGI)

Carlo Cosco che voleva bene alla figlia e la voleva ammazzare

Carlo-CoscoCarlo Cosco, dopo avere ammazzato la moglie Lea Garofalo (ex testimone di giustizia, la conoscono tutti quelli che seguono questo piccolo blog) qualche giorno fa si è immolato in una patetica richiesta di perdono alla figlia Denise. Ci si chiedeva, appunto, se fosse una vera illuminazione o una bieca strategia processuale, soprattutto conoscendo l’inumanità del soggetto e le diverse “piazzate” durante il processo di primo grado.

Oggi Carmine Venturino (condannato anche lui all’ergastolo ed ex fidanzato di Denise al soldo della cosca) in Aula ha dichiarato:

“Dovevamo ammazzare anche Denise secondo Carlo Cosco”

Ora mi mancano le parole per descrivere un assassino bugiardo, falso, violento, criminale e così arrogante. La parola “padre” si mette una mano sugli occhi per la vergogna, vicino a Carlo Cosco.

Carlo Cosco, Lea Garofalo, il perdono e le strategie

CarloCoscoCarlo Cosco, assassino della moglie Lea Garofalo e padre della coraggiosa Denise, chiede scusa alla figlia rendendo dichiarazioni spontanee alla prima udienza del processo d’appello dopo essere stato condannato all’ergastolo in primo grado.

«Io adoro mia figlia, merito il suo odio perchè ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono»

Ha dichiarato davanti al Giudice, aggiungendo:

 «Mi assumo la responsabilità dell’omicidio, merito l’odio di mia figlia»

Un Carlo Cosco molto diverso da quello che spadroneggiava in aula negando e minacciando, e che dichiarava che Lea Garofalo probabilmente era semplicemente “andata all’estero” (questa era la tesi dell’avvocato della difesa, per dire). Che sia un pentimento o una strategia processuale sarà da vedere: la folgorazione in corso è comunque tardiva sui tempi della vita di Lea Garofalo.