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Carnaio

Terra Matta recensisce Carnaio

(articolo originale qui)

di Aurora
Lo Porto

Di migranti e migrazioni: racconti attraverso diversi generi letterari.

Carnaio di Giulio Cavalli, romanzo distopico.

DF è un paese senza collocazione geografica ma, forse perché tendiamo a vedere ciò che conosciamo bene, per me ha l’odore della Sicilia, del Mediterraneo.
Un giorno uguale a tutti gli altri giorni, in questo paese di pescatori uguale a tutti gli altri paesi di pescatori, Giovanni Ventimiglia trova un corpo incagliato nel porticciolo, l’ordinarietà da quel momento sarà solo un ricordo per gli abitanti di DF.

«“Questo non è un cadavere del nostro mondo, signor
commissario.” Sembrò a tutti una frase rotonda, perfetta.»

Da subito, il cadavere è etichettato non come qualcuno che è stato, che ha vissuto, che ha avuto un passato e avrebbe potuto avere un futuro, è un qualcosa di estraneo, non del nostro mondo.
Al primo cadavere ne seguono molti e molti altri, iniziano ad arrivare a ondate, ondate che la stessa scrittura di Giulio Cavalli dipinge con la sua prosa fluente e l’avarizia di punteggiatura, il racconto stesso ci arriva a ondate. E sono ondate che colpiscono e mettono a disagio, disturbano e intimoriscono quasi, per il loro realismo assurdo.

La narrazione si sussegue attraverso le testimonianze dei cittadini di DF, i quali fondano una sorta di impero di carne e sangue su questi corpi perfettamente identici tra loro, particolare che li rende sempre più “massa” e meno “individui”. La chiusura della città, l’indipendenza, la censura, non è altro se non il racconto della morte dell’empatia, della solidarietà, dell’umanità stessa.

«Chi non si adatta diventa straniero. Chi è straniero diventa un impiccio, anche se un’ora prima era tua moglie, tuo fratello, tua figlia.»

Carnaio è un libro che colpisce e in parte demoralizza, un libro che torna, come un’onda, ogni volta che si sente parlare di migranti e migrazioni, ogni volta che qualcuno pronuncia una frase populista e meschina, ogni volta che sulla pelle dei migranti si fa campagna elettorale, e proprio per questo è un libro che merita di essere letto. 

‘Volevo Essere Jo March’ recensisce Carnaio

(fonte)

Un’isola di un paese non specificato, il ritrovamento da parte di un pescatore di un cadavere in mare e da parte di una signora con cane di un altro sulla spiaggia, poi i cadaveri diventano un mucchio e persino lo scafato medico locale non regge lo spettacolo. Carnaio di Giulio Cavalli (Fandango) è un romanzo distopico che prima ci mostra lo sconcerto di una popolazione di fronte ai morti (tutti ragazzi neri tra i venti e i venticinque anni, tutti alti e muscolosi), poi la difficoltà a gestire la situazione (si succedono onde che depositano cadaveri su cadaveri) e infine la trovata: lo sfruttamento dei corpi. L’isola dichiara la propria autonomia da un governo centrale che non si è fatto carico del problema e il materiale umano che abbonda lo utilizza nelle concerie, macellerie, come carburante… Le poche voci di dissenso vengono soffocate con la violenza e il paese depresso dalla scarsezza di lavoro conosce un’enorme prosperità. Non finisce bene. Il merito di Cavalli consiste nel riuscire a dar corpo ai suoi personaggi che non sono solo, il pescatore, il sindaco, il giornalista ma persone con i loro problemi e le loro meschinità. Truce e di grande attualità.

“laletteraturaenoi” recensisce Carnaio

(fonte)

Carnaio di Giulio Cavalli (2018, Fandango). DF è un paese sulla costa, che vive di pesca, piccoli ristoranti, qualche turista, pettegolezzi e poco altro. Un pescatore, di rientro da una notte di lavoro alquanto infruttuosa, rinviene il cadavere di un giovane scuro di pelle e forte di corporatura e, pur consapevole che questo gli costerà anche i pochi guadagni al mercato e il malcontento della moglie, denuncia il ritrovamento alla polizia, che accoglie la notizia con fastidio e impazienza, più che con autentica preoccupazione. La faccenda inizia a destare scalpore quando un secondo cadavere – identico per età, fattezze, provenienza apparente – viene ritrovato riverso sulla spiaggia dalla pluridivorziata e chiacchieratissima vamp del luogo: il caso rimbalza alla TV locale, dove un abbronzato azzimato sedicente giornalista lo rilancia, avido di uno scoop. Ma i riflettori si accendono davvero solo quando, durante una camminata, il medico condotto, abituato da sempre alle vicende ordinarie di nascite e morti di DF, scopre che una intera insenatura è stata ricoperta da cadaveri: a strati, si sono ammassati i corpi senza vita di giovani uomini incredibilmente tutti simili fra loro. Nonostante le insistenti richieste d’aiuto da parte del sindaco e dei maggiorenti locali, parroco incluso, in una replica grottesca di dinamiche politiche cui la cronaca ci ha drammaticamente abituato, nessun provvedimento “dall’alto” interviene a fronteggiare il problema – innanzi tutto cinicamente pratico – dello smaltimento dei cadaveri, mentre la burocrazia impone in modo intransigente la conservazione di essi. Il diapason della esasperazione, che è anche il punto di rottura (o lo sconcertante punto di svolta) della storia, si raggiunge quando, dopo ulteriori ritrovamenti, DF viene interamente sommerso (strade, giardini, usci delle case) da un’ondata di cadaveri. Di fronte alla indifferenza del Governo, e al ripetersi cronico delle ondate, DF decide allora di autodeterminarsi e, sganciandosi anche istituzionalmente dal potere centrale, trasforma quella che è una calamità in una risorsa, il dramma in profitto, diventando, in brevissimo tempo, una piccola potenza economica: una ricchezza mai vista che finirà per distruggerla. Estremo, provocatorio, sconcertante, questo romanzo si impone all’attenzione di chi – coraggiosamente e dolorosamente affrontando le imposture grandi e piccole dei nostri giorni e di sempre – si interroghi con urgenza sui nuovi doveri e sul significato di essi per la coscienza, così come voleva il Gran Lombardo (di Sicilia).

Una mia intervista su #Carnaio e su questo mefitico vento per Il Libraio

(fonte)

Carnaio, edito da Fandango, è il terzo romanzo di Giulio Cavalli e segue Mio padre in una scatola di scarpe (Rizzoli, 2015) e Santamamma (Fandango, 2017). Un libro che racconta di alcune delle nostre ossessioni, dalla paura dell’immigrazione alla sicurezza a tutti i costi anche a quello di perdere spazi di libertà.

Di alcuni di questi temi abbiamo parlato con Giulio Cavalli nell’intervista che ci ha rilasciato in occasione della sua inclusione nella cinquina del Premio Campiello.

Qual è il personaggio cui è più legato nel libro e per quale ragione?

Ho cercato di rimanere equidistante da tutti i miei personaggi, mi interessava un libro disinfettato dall’inquinamento del dibattito politico e che fosse una pura narrazione a disposizione delle diverse temperature emotive dei miei lettori. Da lettore, e non da scrittore, se ne dovessi scegliere uno ex post propenderei per il pescatore Giovanni Ventimiglia perché è la rappresentazione di tutti quelli che non hanno gli strumenti sociali, culturali e economici per contrastare il pensiero comune e i benpensanti quando malpensano. Noi siamo pieni di Giovanni Ventimiglia che vengono con troppa facilità messi nei cassetti dei vili e invece sono semplicemente incagliati.

A pagina 113 scrive «un amico di quelli che vogliono difendere l’umanità con il culo degli altri dicevano stizziti i cittadini di DF che lo osservavano da lontano come si sta a distanza dalle persone che non ci assomigliano e da cui non vogliamo farci intaccare». Intaccare da cosa? E soprattutto: difendere l’umanità è ancora davvero possibile oggi?

Il primo trucco per non sentire il peso di dover difendere qualcuno è trasformarlo in altro rispetto a noi. Se le dannazioni altrui non sporcano il nostro tappeto e se i media ne diluiscono i dolori abbiamo imparato a osservare il tutto come se fosse una fiction del dolore che ci richiede solo un po’ di indignazione e di pietà, giusto per il tempo che dura. È un tempo in cui ci terrorizza avere paura e quindi alla fine delle paure siamo diventati schiavi. Così ci rinchiudiamo in spazi sempre più ristretti e ci occupiamo solo delle persone più vicine in nome di un federalismo delle responsabilità che non è nient’altro che un egoismo sdoganato completamente.

Difendere l’umanità però è possibile e continua ad accadere in tutte le parti del mondo. Certo, è terribilmente fuori moda ma basterà capire che nel gorgo potremmo finirci anche noi per segnare un’inversione di tendenza.

Premio Campiello 2019 – Intervista a Giulio Cavalli

Che bellezza Lilly Carboni quando dice di se stessa «abito a DF da sempre ma sono una donna di mondo, ho girato l’Italia, l’Europa, sono una viaggiatrice infaticabile, non ho mai ceduto alla tentazione di rinchiudermi nel mio minuscolo cortile, ho visitato i migliori ristoranti fotografati sui giornali, ho camminato sulle spiagge che usano nei film e in città tutti sanno che il mio gusto si è formato grazie a un’esperienza internazionale». L’apertura mentale grazie a esperienze senza una geografia limitata e la concretezza nel cortile di casa a volte vanno in conflitto. Come farle abbracciare nella contemporaneità?

Il viaggio è la soluzione. Il viaggio fisico (con la voglia di farsene contaminare) e il sapere sono i migliori vaccini per curarci e per prendere coscienza dei limiti della nostra visuale. In fondo è anche la grande missione della letteratura: scardinare le nostre sicurezze. Come scriveva Mark Twain non dobbiamo avere paura di ciò che non conosciamo ma dobbiamo temere ciò che crediamo vero e invece non lo è.

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Intensificare il controllo di DF diventa sempre più urgente ma questo consegue una limitazione delle libertà in un gioco infinito fra lecito e non lecito, nonostante le opinioni di chi vive fuori dal microsistema. Al netto della simbologia, che nutre tuttavia l’immaginario, siamo dentro una Italia DF secondo lei negli ultimi tempi? Stiamo perdendo pezzi di libertà barattandoli in nome della sicurezza oppure sono soltanto fantasmi di una certa sinistra?

Le eventuali analogie con il libro le lascio ai lettori. Registro comunque che la sicurezza in Italia sia una clava sventolata per erodere i diritti e i due decreti che ne portano il nome sono l’esempio più significativo. È difficile comprendere che ripristinare i diritti è un esercizio molto più difficile di quello che sembra, una volta persi.

Quale messaggio vuole portare con le ondate ricorsive di cadaveri? Le va di scomporre il lato narrativo per farci capire livelli di lettura che magari ci sono sfuggiti?

Mi serviva spingere al limite la trasformazione della vita umana in oggetto da potere/dovere utilizzare da parte degli abitanti. Un mare che non ha più pesci e che vomita cadaveri è un mare che certifica che da quelli si debba trarne profitto. E la ripetizione della morte è il trucco che spesso si usa per svuotarne il significato.

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DF a un certo punto dichiara l’indipendenza dall’Italia. Il divide et impera sembra andare di moda anche oggi, si pensi alla spinta nordica delle autonomie regionali, in conflitto con le grandi istituzioni come l’Europa.  In Italia rischiamo fra qualche anno separazioni territoriali come DF?

La ricerca compulsiva del sovranismo e la manipolazione del senso di Patria non porta nient’altro che una chiusura sempre più fortificata e sempre più ristretta, fino all’esclusione dal resto del mondo. Al di là di quello che succederà in Europa direi che l’idea dei muri in cui chiudersi dentro stia già funzionando in termini elettorali.

Da chi vorrebbe che fosse letto il suo libro e per quale motivo?

Da chi ama la letteratura, innanzitutto. E da chi crede che le parole abbiano ancora la forza di porre domande.

Come si sta preparando o si preparerà per la serata finale del Premio Campiello?

Abbiamo concluso il tour, è stata un’esperienza positiva che mi ha permesso di stringere rapporti con i miei colleghi di cinquina. Non ho particolari tremori per la serata finale: quello che dovevo fare l’ho messo nelle pagine. Tutto qui.

Un “carnaio” cui si finisce per abituarsi (la recensione di Francesco De Palma)

(fonte)

Un romanzo surreale, grottesco, crudo, inquietante. E che rimanda all’attualità. E’ “Carnaio”, di Giulio Cavalli.

Una città sulla costa, DF, è travolta da ondate di morti, tutti uomini, tutti giovani, tutti di pelle più scura. Migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia. Metafora potente delle migrazioni di questi anni, l’emergenza finisce per stimolare la creatività degli abitanti della cittadina, che impareranno a sfruttare nei modi più vari i corpi che il mare continua a riversare sulla costa e poi sulla barriera fatta costruire dal sindaco, per farne occasione di guadagno e di apparente prosperità. Almeno fino all’epilogo finale, che ovviamente è meglio non rivelare. 

A svilupparsi pagina dopo pagina, però, non è solo la creatività umana. Pian piano si assiste a un racconto corale che registra una deriva di umanità. Che il lettore troverà senz’altro familiare, e che passa dalle prediche assolutorie del parroco – “Quando la bontà diventa un idolo si cade nell’isteria. Gesù ci chiede di amarci, ama te stesso, dice il sacro comandamento, quella è la nostra natura” -, all’inaridimento dei cuori, alla crudeltà crescente: “Speravo che qualcuno fermasse questa discesa verso il baratro, confidavo che il mondo non avrebbe permesso che la città in cui vivo con mia figlia si trasformasse in una miniera d’odio”, dice una delle protagoniste, una delle poche a dissociarsi dal cattivismo imperante.

“Carnaio” è uno schiaffo. Uno schiaffo a chi, avanzando lungo una trama volutamente esasperata, esagerata, irreale, confida nel fatto che vicende del genere sono troppo oltre il possibile. E’ uno schiaffo perché, come leggiamo, “camminando camminando, ci si fa l’abitudine. Perché ci si abitua a tutto”.

Francesco De Palma

«Carnaio: quei cadaveri venuti dal mare»:la recensione di Anja Boato

(fonte)

Un corpo riverso sulla nuda terra, portato a riva dalla corrente, scuro di pelle, ringrinzito dall’acqua, irrigidito dalla morte, privo di identità. È l’emblema dell’immaginario contemporaneo: uno degli uomini perduti nel Mediterraneo, simbolo di una tragedia umana e insieme cuore di un discorso politico sempre più acceso, che divide il Nord del mondo sulla scia di due ideologie. Quali problemi vengono prima, i nostri o i loro?

Carnaio parte da quest’immagine. Un uomo scuro di pelle portato dal mare, una casualità quasi curiosa che spezza la monotona quotidianità degli abitanti di una piccola e anonima cittadina italiana, DF. Poi però ne arriva subito un altro, e un altro ancora, e alla fine quei corpi tutti uguali diventano una piaga sociale impossibile da gestire. Un’onda anomala di cadaveri.

È panico, DF ha bisogno di aiuto, ma nessuno riesce a trovare una soluzione: da Roma arrivano direttive irrealistiche, viene chiesto al sindaco di non spostare i corpi, lasciarli dove sono. E non ci si rende conto che quei morti infestano le strade, le case dei concittadini, le fogne. Non c’è tempo né modo di trattare il problema con il dovuto rispetto, l’unica soluzione è sgomberare il più rapidamente possibile le strade. Con gli spazzaneve, se necessario.

Nella disputa ideologica su chi viene prima, tra i problemi nostri e i problemi loro, Cavalli si pone dalla parte del “noi” estremizzando questa posizione in una storia grottesca, fantastica e terribilmente realistica. Gli abitanti di DF sono normali cittadini che desiderano risolvere un problema per loro concreto e urgente nel modo più rapido possibile. È irrilevante che quei cadaveri una tempo fossero appartenuti a degli esseri umani. Tanto vale maciullarne le membra, immagazzinarli in grossi capannoni, costruire un muro che li tenga lontani, fare tutto ciò che è possibile per garantire il benessere ai propri concittadini. Non è cattiveria, ma mancanza d’alternative.

Carnaio è un romanzo folle e lucidissimo, che mette in scena un crescendo di atrocità (quasi) sempre paradossalmente giustificabili. L’opera è costruita in un’inarrestabile climax ascendente: si comincia dalla reazione alla tragedia, in cui una piccola cittadina viene lasciata a se stessa da uno Stato sordo ai problemi concreti dei suoi abitanti. La cittadina allora decide di autogestirsi, e lo fa nell’unico modo possibile.

Eliminato il problema urgente – i morti fisicamente naufragati a DF – bisogna pensare a come evitare i problemi futuri. Ed ecco arrivare il muro. Questo però ormai non è più sufficiente, perché la cittadina è finita nel mirino “buonista” dell’Europa scandalizzata, e quindi l’unica soluzione è tentare di diventarne indipendenti, sopravvivere da soli sfruttando i propri punti di forza. Quei corpi, suggerisce un ingegnere, possono essere utilizzati anche per incrementare l’economia e rendere DF una nazione potente.
Intuire a priori il livello massimo di atrocità a cui conduce questo percorso richiederebbe un improbabile sforzo di fantasia. Ogni capitolo è un passo in più verso il baratro, fino a quando la situazione non sfugge definitivamente di mano e Carnaio si riduce alla grottesca parabola di uno Stato Totalitario.

La prima e l’ultima parte del romanzo sono narrati in terza persona, con uno stile grezzo, fatto di frasi infinitamente lunghe, talvolta ripetitive, piene di digressioni che ricalcano l’andamento incerto della mente umana. La seconda parte invece è narrata dal punto di vista di diversi personaggi, nella forma di pensieri espressi in prima persona, interviste e lettere, con una pluralità di toni e tratti stilistici che si adeguano alla diversità caratteriale dei singoli narratori. Diverse voci corrispondono a diversi ritmi, vari gradi di raffinatezza della scrittura e differenti reazioni alla tragedia di DF. Accettazione, sostegno, paura, abnegazione, sospetto, orgoglio, rabbia.

Al lettore non rimane che un continuo, viscerale senso di dubbio, su chi abbia ragione e chi torto, sul valore della morale e la sua inutilità pratica, sull’ipocrisia di chi pensa a loro prima che a noi e sull’egocentrismo disumanizzante di chi mette il noi prima del loro al punto da dimenticarsi che loro sono (o sono stati) persone. Cos’è più importante, un’ondata di venticinquemila cadaveri sconosciuti venuti dal nulla, o i quattordici concittadini che sono morti schiacciati dalla massa di carcasse?
Non fingete di sapere la risposta.

Anja Boato

“Carnaio (leggetelo subito)”: la recensione di Raffaele Viglianti

(il post originale è qui)

Carnaio di Giulio Cavalli è un libro tanto piu assurdo, formalmente irreale, onirico quanto più invece capace come nessun altro romanzo uscito di questi tempi, credo, di interpretare l’evoluzione, anzi l’abisso verso il quale si rischia di precipitare oggi e nell’immediato futuro nel nostro paese, nel nostro continente, nell’intero globo.
Lungi dal voler esprimere qualsiasi tipo di critica prettamente letteraria, non ne sarei capace nemmeno se mi ci mettessi con impegno, di Giulio colpisce la prosa, quei periodi lunghi, lunghissimi, righe e righe e righe scritte senza mettere un punto, a testimoniare l’urgenza di raccontare, precipitevolissimevolmente, quello che hanno in testa i personaggi. Uno stream of consciousness dei tempi nostri, l’emergenza di lasciar fluire il non detto, il non espresso, il bello e l’orrendo che c’è dentro ognuno di noi.
E poi la trama, geniale. Non starò qui a raccontarvi nulla, leggetelo e basta.
Sarete colpiti ogni volta da come, pagina dopo pagina, si raggiunga sempre di più l’abisso, il nero più nero, anche dove sembrava che il buio totale fosse già diventata patrimonio comune. E lascia attoniti la banalità con la quale si sprofonda, quella banalità del male che parla a ciascuno di noi, che ci riguarda più di quanto non vogliamo ammettere a noi stessi. Giulio ci illustra alla perfezione i meccanismi che stiamo imparando a conoscere in questo tempo, quello che appariva assurdo fino ad un minuto prima non lo è più un minuto dopo, tutto diventa accettabile, in una escalation che lascia sempre più attoniti, in nome della paura, in nome della rivalsa su chi si ti ha sputato in faccia, sulla vita, su chi si è sempre sentito moralmente superiore, sulla religione, in nome del profitto, in nome della mistificazione, in nome del diritto supremo all’autodeterminazione, in nome della supremazia del saper fare sul far sapere. Queste le caratteristiche dei personaggi che Giulio dipinge uno ad uno, e sono talmente reali da far paura perché fanno gli stessi ragionamenti che fanno potenzialmente il nostro vicino di scrivania in ufficio, il salumiere, il medico, il poliziotto, il sindaco, il prossimo nostro. Giulio ci mette in guardia anche su come può finire tutto in tempi rapidissimi (e in tempi rapidissimi il libro finisce, puff, in un capitolo tra i più brevi, come a collegare l’esito letterario della sua storia con la fine della materia cartacea, non so se la cosa sia voluta), quando gli anticorpi che hai voluto mettere in circolo per difenderti da quelli finiscono per distruggere tutto.
E a quel punto, solo a quel punto, torna la quiete.
Grazie, Giulio Cavalli.