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La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

L’articolo La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%) proviene da Il Riformista.

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Siete nudi e applaudite?

La Rai lottizzata dalla politica fa schifo. La repressione del diritto di espressione di un artista fa schifo, soprattutto quando non ci si prende nemmeno la responsabilità di farlo alla luce del sole ma si usano parole oblique come “contesto”, come “sistema” e come “opportunità” senza nemmeno avere il coraggio di dire “noi preferiremmo non esporci”. Almeno sarebbe stato coraggioso da parte della Rai, almeno quello, almeno riconoscere che in Rai il primo grande talento E mica solo in Rai, anche in certi ambienti, in certe aziende, in certe fabbriche perfino nel mondo editoriale e teatrale, posso confermarvi.

Però questo centrosinistra che applaude Fedez senza accorgersi che è stato smutandato anche lui un po’ mi lascia perplesso. Posso scriverlo o si offende qualcuno? Perché sulla legge Zan sono molti che per non disturbare il proprio elettorato moderato (nel centrosinistra ci sono vagonate di politici convinti di avere vagonate di voti moderati) hanno preso la strada della tiepidezza senza mai dirci esattamente come la pensino. E accade per tutti le leggi che questi reputano “divisive” (e nel corso degli anni è diventato perfino divisiva la Liberazione, tanto per dire quanto sia pericoloso questo giochetto) che quelli che dovrebbero combattere i bigotti, gli omofobi, i razzisti in realtà non riescono a essere più che tiepidi.

È la politica che dovrebbe assumersi la responsabilità di un servizio televisivo pubblico che sia libero, è la politica che dovrebbe avere la responsabilità di condannare la marcia e intollerabile campagna omofoba che circola contro gli oppositori della legge Zan, è la politica che dovrebbe fare diventare “pop” gli argomenti di Fedez. Se Fedez non è un semplice testimonial ma diventa addirittura un apripista significa che qualcuno quella strada non l’ha segnata e avrebbe dovuto farlo, no?

Applaudire senza accorgersi di essere tra gli scoperchiati è piuttosto comodo e facile. Siete nudi e applaudite? Dai, su, rivestitevi e fate il vostro dovere. In Parlamento e fuori.

Buona domenica.

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La sparizione del salario minimo

Solo lo scorso 16 marzo la Commissione Lavoro del Senato approvava la direttiva Ue volta a garantire l’adozione del salario minimo legale ai lavoratori degli Stati membri. Il testo impone l’individuazione di soglie minime di salario che possono essere introdotte per legge (salario minimo legale) o attraverso la contrattazione collettiva prevalente, come sottolineato anche dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando.

Il salario minimo (su cui Partito democratico e Movimento 5 Stelle hanno depositato diversi disegni di legge negli ultimi anni) è proprio scomparso nella versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza inviata alla Commissione europea nonostante fosse presente nel testo entrato in Consiglio dei ministri.

Nella bozza che circolava pochi giorni fa si parlava di una «rete universale di protezione dei lavoratori» e del «salario minimo legale», oltre alla garanzia di una retribuzione «proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» per tutti i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale. Perfetto: è sparito tutto il paragrafo. Non si tratta di correzioni, di aggiustamenti, no, è sparito tutto.

La cancellazione difficilmente può arrivare dall’Europa vista la direttiva che è stata approvata solo un mese fa in Commissione Lavoro e viste le parole durante il proprio discorso allo Stato dell’Unione 2020, che von der Leyen aveva a riguardo, dicendo che «il dumping salariale danneggia i lavoratori e gli imprenditori onesti, mette a repentaglio la concorrenza sul mercato del lavoro – aveva aggiunto – per questo faremo una proposta per un salario minimo in tutti gli Stati dell’Unione. Tutti devono avere accesso ai salari minimi o attraverso la contrattazione collettiva o con salari mini statutari, è arrivato il momento che il lavoro venga pagato nel modo equo».

Qualcuno prova a teorizzare che la cancellazione in extremis potrebbe essere il risultato degli incontri con le parti sociali nella fase finali della stesura, ipotizzando che un eventuale salario minimo possa indebolire le trattative sindacali poiché alcune aziende potrebbero così semplicemente accontentarsi di essere a norma di legge. Peccato che sia da tempo sotto gli occhi di tutti la moltiplicazione di accordi sottoscritti da soggetti non del tutto rappresentativi che hanno contribuito alla corsa al ribasso per certe categorie. Del resto il problema dei contratti pirata (soprattutto nelle zone più depresse del Paese) è sempre poco dibattuto nonostante abbiano affiancato spesso il lavoro nero.

L’ex ministra del lavoro Catalfo disse: «Il salario minimo è da sempre un obiettivo mio e di tutto il Movimento 5 Stelle. Una risposta essenziale per contrastare il cosiddetto dumping salariale, riequilibrare il sistema di concorrenza interna fra le imprese e ridare dignità e futuro ai “working poor” (i lavoratori poveri) e alle loro famiglie. Una risposta che la crisi innescata dalla pandemia ha reso ancora più urgente e necessaria e sulla quale, come Italia, dobbiamo investire con determinazione nel nostro progetto di rilancio».

E quindi? E ora? Il Pd e il M5s che dicono?

Buon giovedì.

(nella foto il ministro del Lavoro Andrea Orlando)

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Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ma la soddisfazione del repulisti è breve

Siamo ancora in quel momento in cui l’eliminazione delle pedine precedenti viene considerata una vittoria, dove ad esempio le dimissioni forzate di Domenico Arcuri bastano per fare esultare elettori e per infervorare capi di partito che si appuntano la medaglia il merito della cacciata (su Arcuri sono Renzi e Salvini, curioso nevvero?) e dove “basta non vedere più certe facce” per sentirsi già meglio, secondo alcuni. Il governo Draghi è all’inizio della sua opera, sentimentalmente è ancora acerbo e il profumo della vendetta continua a spirare. Però alcuni fatti incontestabili si scorgono.

Innanzitutto in meno di una settimana Mario Draghi ha cambiato le persone apicali a cui è affidata la missione contro la pandemia. Non è una scelta di poco conto, soprattutto in un Paese che piuttosto avrebbe mediato, spacchettato e mischiato le competenze per tenere in bilico assetti nuovi e quelli passati. Di questo gli va dato atto: si è preso la responsabilità di imprimere una svolta (per ora almeno sui nomi e poi naturalmente anche sulle dinamiche) della distribuzione del vaccino e della gestione dell’emergenza. Ieri ha preteso le dimissioni del commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri, prima aveva sostituito il capo della Protezione civile Angelo Borrelli richiamando Francesco Curcio e al coordinamento dei servizi segreti ha messo il capo della polizia Franco Gabrielli, al posto del diplomatico Piero Benassi.

Qualcuno in queste ore ci dice che la dipartita di Arcuri (che per ora cade perfettamente in piedi visto che è e rimane a capo di Invitalia) sarebbe “una vittoria della destra”: falso. Arcuri è, forse sì, uomo molto stretto a Giuseppe Conte ma le osservazioni sul suo operato sono arrivate da più parti. È l’Arcuri che ha fallito su tutta la linea con l’app Immuni, è l’Arcuri dei banchi a rotelle tra l’altro arrivati persino troppo tardi, è l’Arcuri delle costose e inutili primule come centri vaccinali, è l’Arcuri sempre tronfio in conferenza stampa che non rispondeva ai giornalisti o se rispondeva lo faceva con una querela, è l’Arcuri soprattutto che c’entra con l’inchiesta della procura di Roma per traffico di influenze illecito nell’acquisto di 1,25 miliardi di euro in mascherine cinesi intermediato da un giornalista Rai in aspettativa, Mauro Benotti, che ha ottenuto 12 milioni di euro per la mediazione che ha avuto 1282 contatti con Arcuri tra gennaio e maggio 2020. Insomma Arcuri ha molto da spiegare e molto da farsi perdonare e anche su queste pagine ne abbiamo scritto spesso.

Ieri sui social girava una card di pessimo gusto di PiùEuropa (quelli che dovrebbero essere seri) che diceva “ciao #Arcuri” con la scritta “Liberisti da divano te salutant”. Salviniani e renziani hanno esultato sbracciandosi. Siamo ancora nel tempo del rancore. E intanto ci ritroviamo pezzi di esercito a gestire la pandemia, con l’aria di un’idea militarizzante che ricorda tanto ciò che fa Bolsonaro in Brasile. E a nessuno viene il dubbio che per quel compito ci sarebbe, proprio per sua natura, ad esempio anche la Protezione civile. Ma quando finirà la voglia di rottamazione, finalmente, osserveremo e giudicheremo i risultati.

Buon martedì.

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La mattanza non percepita

Provate a immaginare cosa scriverebbero certi giornali se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia…

Provate a immaginare se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia. Ogni 5 giorni esce una notizia sulle pagine di cronaca contro questa violenza che, sono sicuro lo scriverebbero così, “mette in pericolo il nostro Paese”. Oppure immaginate un’etnia, preferibilmente nera ché funziona meglio, che ogni 5 giorni uccida una donna, una “nostra” donna come scriverebbero sicuramente certi giornali e provate a prevedere cosa direbbe la politica, certa politica. Oppure immaginate di mettere certe morti tutte in fila, una dopo l’altra. Così:

11 gennaio: Sharon ha 18 mesi e vive a Cabiate, in provincia di Como. Muore per una stufa che le cade addosso in casa. La Procura di Como scopre che la bimba però era stata maltrattata e violentata e ha disposto l’arresto del compagno della madre, Gabrile Robert Marincat, che ora si trova in carcere. La madre nutriva dei sospetti.

16 gennaio: Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito nel tardo pomeriggio all’interno della propria abitazione a Concordia Sagittaria in provincia di Venezia. L’uomo l’ha colpita più volte con un coltello al termine di un litigio. I tre figli hanno assistito alla scena.

24 gennaio: Roberta Siragusa. Il corpo della diciassettenne al momento del rinvenimento si presentava parzialmente carbonizzato e nudo nella parte alta, con i pantaloni abbassati, il volto tumefatto, il cranio ferito e parte dei capelli rasati (da stabilire se di proposito o a causa delle bruciature).‍ Per recuperare i resti della ragazza sono dovuti intervenire sul posto i Vigili del fuoco. È stato arrestato Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato della vittima. I due litigavano spesso: un mese prima la vittima aveva un occhio tumefatto.

29 gennaio: Teodora Casasanta, 39 anni e il figlio Ludovico di 5 anni sono stati uccisi dal marito e padre Alexandro Vito Riccio a Carmagnola. Il gesto sarebbe stato premeditato, poiché sul posto è stato ritrovato un biglietto su cui il trentanovenne avrebbe espresso l’intenzione di togliere la vita alla coniuge e al bambino. Lei aveva espresso la volontà di separarsi. L’esame autoptico ha rilevato circa 15 fendenti sul corpo della moglie e 8 su quello del figlio. L’aggressore avrebbe prima accoltellato le vittime nel letto, poi si sarebbe accanito su di loro pestandoli con diversi oggetti presenti in casa, tra cui il televisore.‍

1 febbraio: Sonia Di Maggio, 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita da un individuo: era Salvatore Carfora, 39 anni, ex compagno della giovane. Armato di coltello, ha sferrato numerosi fendenti alla ventinovenne. Il fidanzato ha tentato di difenderla, ma nulla ha potuto contro la furia dell’aggressore. Sonia si è accasciata al suolo in un lago di sangue. Vani i tentativi dei sanitari giunti sul posto che hanno provato a rianimarla, ma le lesioni erano troppo gravi.

7 febbraio: Piera Napoli, cantante di 32 anni e madre di tre figli, è stata uccisa la mattina del 7 febbraio 2021 all’interno dell’abitazione in cui risiedeva a Palermo, nel quartiere Cruillas. Il marito della donna, Salvatore Baglione, 37 anni, dipendente di una ditta che trasporta carni, intorno alle ore 13.00 si è costituito dai Carabinieri alla caserma dell’Uditore per confessare il delitto. Circa un mese prima la donna aveva richiesto l’intervento della Polizia dopo un’ennesima lite in casa con il coniuge, ma alla fine non se l’era sentita di sporgere denuncia.

7 febbraio: Luljeta Heshta, 47 anni, è una donna originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia e regolare sul territorio, morta nel pomeriggio del 7 febbraio 2021 all’ospedale Humanitas di Rozzano in provincia di Milano. È stato arrestato il convivente della donna. Il gesto sarebbe stato compiuto a causa della presenza di un presunto amante nella vita della donna. La stessa nei giorni precedenti avrebbe lasciato l’abitazione che condivideva con il compagno per separarsi da lui.

12 febbraio: Lidia Peschechera, 49 anni, è stata trovata morta durante il pomeriggio del 17 febbraio 2021 all’interno della sua abitazione in zona Ticinello a Pavia. In carcere c’è il suo ex convivente Alessio Nigro. Il ventottenne, senza fissa dimora, si definiva un clochard e aveva problemi legati alla dipendenza dall’alcol. La donna si era offerta di aiutarlo, ospitandolo anche in casa, ma l’individuo non aveva fornito segnali di ripresa, anzi, in un’occasione lei aveva anche dovuto chiamare la Polizia per sedare una lite, al termine della quale non se l’era sentita di denunciare. Successivamente però la stessa aveva intimato al giovane l’intenzione di volerlo mandare fuori dall’abitazione a causa dei suoi comportamenti violenti, sfociati poi nell’omicidio.

19 febbraio: Genova. Clara Ceccarelli, 69 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Renato Scapusi, 59 anni. Si parla di circa 100 coltellate. La donna è stata uccisa al termine del proprio turno di lavoro. All’inizio del 2020 si erano lasciati e da quel frangente sarebbero iniziate una lunga serie di aggressioni e persecuzioni messe in atto dall’uomo. La donna da giorni si era pagata il funerale e aveva provveduto a organizzare l’assistenza per il padre anziano e il figlio disabile. Sapeva di morire.

Ieri, 22 febbraio: Deborah Saltori, 42 anni, è stata uccisa in località Maso Saracini a Cortesano, frazione della città di Trento. La vittima sarebbe stata colpita con un’accetta dall’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, in una zona di campagna dove lui stava lavorando. Ad allertare i soccorsi sarebbe stato un passante che, durante il pomeriggio, ha notato i corpi esanimi dei due ex coniugi, riversi al suolo (l’uomo avrebbe infatti tentato di togliersi la vita). Secondo le prime ricostruzioni, Cattoni era già stato ammonito due volte dal questore della città per violenza domestica, anche verso la sua precedente compagna. Lo stesso era sottoposto agli arresti domiciliari a casa dei genitori nel comune di Terre d’Adige (Trento) perché, nel corso degli ultimi anni, era ricorso più volte a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della vittima.

Sempre ieri, 22 febbraio: Rossella Placati, 51 anni, è stata trovata morta e sanguinante nel suo appartamento di Bondeno, Ferrara. Per ora non ci son arresti ma il suo compagno si è presentato in caserma raccontando di una discussione avvenuta la sera precedente e di essersi allontanato.

Questo è il punto in cui siamo.

Buon martedì.

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Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica

La prima conseguenza della crisi di governo del Conte bis si annusa nell’aria, si legge sui giornali e circola tra i social: la destra, ringalluzzita dai problemi del governo, si spinge addirittura dove non ha mai osato e Silvio Berlusconi, quello stesso Berlusconi che negli ultimi anni galleggiava nella sua inconsistenza politica e tra i problemi dati dai suoi processi, improvvisamente si ridesta e diventa addirittura papabile per la presidenza della Repubblica.

Un disastroso capolavoro, non c’è che dire, se non fosse che il rischio è molto più concreto di quello che sembra. Matteo Salvini, interpellato sull’argomento a Non è l’Arena su La7, risponde: “Berlusconi candidato a presidente della Repubblica? Se mi chiede il mio parere personale, le dico di sì: secondo me può ambire al Quirinale“.

Con un anno di anticipo il leader leghista avanza la candidatura del leader di Forza Italia al Colle e in mente ha un piano perfetto: togliersi l’impiccio del Cavaliere decaduto in un centrodestra in cui tutti vogliono essere leader, assicurarsi una presidenza della Repubblica rassicurante e amica e spingere Silvio a non cedere a nessuna tentazione di governi di unità nazionale insistendo su nuove elezioni.

Avrebbe potuto essere solo una boutade (una delle tante) del leader leghista, se non fosse che la palla è stata presa subito al balzo dal deputato di Forza Italia Gianfranco Rotondi, che è corso a dichiarare: “Berlusconi è stato il fondatore della Seconda Repubblica, del bipolarismo, del centrodestra”. “In questo momento – ha continuato Rotondi – il centrodestra è maggioranza elettorale nei sondaggi e nel ‘sentiment‘ del Paese. L’elezione di Berlusconi al Quirinale sarebbe naturale, legittima e pacificatrice. Sarebbe, sarà”.

Così l’ex datore di lavoro del mafioso Mangano, l’amico intimo del condannato Marcello Dell’Utri che per conto di Berlusconi faceva da tramite con Cosa Nostra, un condannato in via definitiva per frode fiscale, l’imputato nel processo Ruby ter, l’indagato dalla procura di Firenze come presunto mandante occulto della stragi mafiose del 1993 di Milano, Roma e Firenze, quest’uomo oggi si ritrova tra i papabili presidenti della Repubblica.

Lega e Forza Italia si dicono già d’accordo, Giorgia Meloni per ora osserva e tace in attesa di prendersi la leadership del centrodestra. E nell’Italia del 2021 si discute di qualcosa che sarebbe stato osceno anche solo ipotizzare fino a qualche mese fa. Un altro piccolo capolavoro, sicuro.

Leggi anche:  1. La malattia morale e politica di chi invoca il ritorno di Berlusconi (di Marco Revelli) / 2. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Anche la crisi è in crisi

Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora è solo una leggera foschia che però vedrete che si risolverà con qualche “mediazione” e quando la politica si fa magheggio le mediazioni di solito sono qualche posto al sole per qualcuno dei malpancisti che così si ristora un po’ e si mette calmo per il prossimo periodo.

La crisi di governo del governo italiano è una notizia che sbiadisce negli organi d’informazione, che vagheggia blanda tra gli addetti del settore e che irretisce quelli che si ritrovano ad affrontare malattia e incertezza. E siccome nel pieno di una pandemia l’incertezza è un elemento purtroppo popolarissimo questa crisi di governo, qua fuori, un po’ fa cadere le braccia per l’impopolare momento in cui si è voluta fare cadere, come se servisse altro per rimarcare la distanza tra i cittadini e i palazzi romani, come se non bastasse già questo senso di straniamento che percorre un Paese appeso al vaccino e al ritorno di una normalità che ci siamo già dimenticati che non fosse un granché.

Le voci dai corridoi del Parlamento dicono che nelle ultime ore stiano crescendo di molto le possibilità che tutto si risolva con un rimpasto. In sostanza si sarebbero passati giorni e giorni a dire “non ci interessano le poltrone” e invece cambiano le poltrone. Poi, beh, ci sarà qualche aggiustamento di tiro nel programma perché non è che si possa fare proprio sporca sporca. Sono in calo le quotazioni di una crisi pilotata, con Conte che chiede la fiducia alle Camere con un nuovo esecutivo. Bassissime le possibilità di un ritorno alle urne: l’attaccamento alla poltrona (e daje con le poltrone) di partiti che si vedrebbero le truppe dimezzate e che addirittura rischierebbero di sparire dal Parlamento sono un collante micidiale. Si sposteranno i ministri, qualcuno saluterà mesto e ovviamente un ministero importante si sta scaldando per la truppa di Italia Viva. Sì, sì, loro, quelli che non volevano poltrone (e tre).

Conte vorrebbe evitare di dover ritornare in Parlamento a chiedere la fiducia per la paura di qualche sgambetto. Fallito anche il tentativo di trovare “responsabili” in giro che gli permettessero di scrollarsi di dosso Renzi. Sulle percentuali di una sua possibile lista tra l’altro le sensazioni sono molto eterogenee, meglio non rischiare. Renzi, in caso di elezioni, sparirebbe con i numeri di oggi. E quindi figurati. Il M5S ne uscirebbe più che dimezzato, quindi niente. Perfino Giorgia Meloni preferisce aspettare il giusto tempo per continuare a erodere Salvini.

E così si sta, come d’autunno le foglie. Pronti anche ad affidarsi a un “governo di unità nazionale” (ovvero un “dentro quasi tutti”) pur di non andare al voto. Poi ci sarebbe da riflettere sul pericoloso can can sollevato nel bel mezzo della pandemia e nella fase cruciale dell’organizzazione della campagna vaccinale. Ci sarebbe da discutere del senso di responsabilità di chi ventila lo sfascio perché incapace di trattare su un tavolo squisitamente politico. Ma qui torniamo sempre ai soliti comportamenti dei soliti personaggi.

E guardando qui fuori, quello che accade nel Paese, potrebbe sembrare uno spreco di energie. Ma a qualcuno lì al governo no, a qualcuno è parsa un’ottima idea. Finché anche la crisi di governo non è entrata in crisi.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Berlusconi, ancora, torna

Piccoli segnali di un riavvicinamento che continua a essere nell’aria: il provvedimento salva Mediaset è un emendamento confezionato su misura per l’azienda di Silvio Berlusconi, proprio come ai bei (brutti) tempi in cui l’azienda del leader di Forza Italia e il suo destino giudiziario erano il centro di tutta l’attività politica. L’ha firmata la senatrice del Pd Valeria Valente e poi quando è scoppiata la vicenda (poco, a dire la verità) il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli (badate bene, uno di quei grillini che Berlusconi lo vedevano come fumo negli occhi) ha dovuto ammettere di avere scritto lui la norma, anche se ha scaricato parte della “colpa” sul ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri. In sostanza lo scopo è quello di neutralizzare i voti di Vivendi, la holding azionista di Mediaset, per non disturbare la strategia aziendale della famiglia Berlusconi. Ben fatto.

Lui, Silvio, gioca a fare il moderato (e gli viene facile, di fianco a Meloni e Salvini) e punta all’empatia come ai vecchi tempi. Se notate nessuno ci dice che potrebbe essere “utile”, vorrebbero farci credere che sia diventato “inoffensivo” come se questo bastasse a cancellare tutti i disastri contro la democrazia che ci ha lasciato nei suoi anni di attivismo politico. È un moto basato su una sorta di “perdono” e che serve soprattutto ad avere i senatori che permettano di essere tranquilli con i numeri e aprire la trattativa sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Che nel bel mezzo dei morti, dei danni di certo populismo, della fame che attanaglia le persone, dell’incertezza, dei soldi che mancano per arrivare a fine mese, dei lavoratori che faticano a poter immaginare il proprio futuro, del paternalismo a quintali che ci viene riversato ogni giorno, si giochi per riavviarsi a Berlusconi curando gli interessi della sua azienda è qualcosa che avrebbe fatto strepitare gli strepitanti a lungo. Solo che in questo caso gli strepitanti sono suoi alleati e quindi si rimettono a cuccia mentre gli altri sono al governo. E Berlusconi, ancora, ritorna.

Buon lunedì.

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