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Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

Non sono scettici come vorrebbero definirsi, quello sono altro e sono sale della democrazia: questi sono negazionisti veri e propri, gente che propone tesi contrarie a quelle della comunità scientifica con il solo gusto di andare controcorrente, non hanno nemmeno idee proprie: prendono quelle che secondo loro vanno “per la maggiore” e le invertono, stupidamente, rivendicando le proprie tesi come legittimate dalla ribellione senza nemmeno prendersi la briga di portare prove a sostegno. Provate a ascoltarlo un negazionista: vi dirà di non credere ai virologi che vanno in televisione (perché sono tutti pagati dai famosi “poteri forti” che lui combatte su Facebook, dice) ma in realtà vorrebbe applicare alla scienza un metodo non scientifico, vorrebbe essere pilota di Formula 1 senza patente.

Ma la piazza di oggi a Roma intanto ha già dato alcune risposte: oggi il vicesegretario di Forza Nuova Giuliano Castellino insieme ai suoi amici camerati hanno addirittura presentato il loro “governo di salvezza nazionale” che dovrebbe tirarci fuori dalla pandemia: Carlo Taormina, nominato ministro della Giustizia, l’ex avanguardia Nazionale Vincenzo Nardulli (Sport e tifosi) (condannato in primo grado, insieme a Castellino, a cinque anni e sei mesi per aggressione), e alla Difesa per non farsi mancare niente Leonardo Cabras, il coordinatore di Fn per l’Italia centrale, quello che oltre a negare il Covid ci aveva anche raccontato che nei campi di concentramento nazisti c’erano i cinema e le piscine. Eccolo lo spessore politico e culturale.

Del resto sono i nuovi sovranisti, quelli che ci dicono che vorrebbero difendere la Patria ma hanno come unica patria l’Io, il farsi i fatti propri, tutti turbospinti (come direbbe l’altro complottista, il filosofo Diego Fusaro) a un individualismo legittimato e addirittura doveroso. Vorrebbero essere dubbiosi e invece sono solo ignoranti individualisti che reclamano la “dittatura sanitaria” e sono innamorati persi dei dittatori. Usano la paura per racimolare un po’ di consenso e in mancanza di argomenti si gingillano nel negare gli argomenti degli altri. Sono quelli che hanno paura di essere spiati e lo scrivono sui social, sono quelli che ancora non ci hanno spiegato cosa ci guadagnerebbe un governo nel mettere in ginocchio la propria stessa economia.

E sono pericolosi, moltissimo, perché se uno vuole essere scemo non c’è nessun problema ma se danneggia gli altri allora diventa un pericolo anche per gli altri. Anche per quelli che stanno facendo sacrifici.

Leggi anche: No Mask e sovranisti scendono in piazza a Roma: la diretta della manifestazione | DIRETTA

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Sucidi in carcere: 20 volte in più della popolazione libera, ma la politica fa finta di niente…

L’ultimo è di qualche giorno fa: un ragazzo ventiduenne suicida nel carcere di Brescia in una vicenda da chiarire in molti suoi particolari. Il giovane era caduto in un forte stato depressivo dopo avere denunciato le violenze sessuali subite da un imprenditore che gli offriva capi d’abbigliamento in cambio di prestazioni sessuali. La Procura di Brescia proprio in questi giorni stava chiudendo le indagini ma il giovane si è tolto la vita nella sua cella.

Ma i suicidi in carcere continuano a essere una tragedia silenziosa che si ripete con feroce regolarità. Il 2 ottobre scorso si è tolto la vita Carlo Romano, detenuto a Rebibbia da sei mesi: aveva 27 anni e conclamati problemi psichici che l’avevano già spinto a tentare il suicidio e per questo era passato alla sorveglianza a vista che gli era stata revocata proprio il giorno precedente. La Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni sottolinea che si tratta dell’ennesimo caso di una persona «che forse poteva essere curata all’esterno». Lo scorso 28 settembre è toccato a un uomo di origini albanesi che era in attesa di giudizio nel carcere di Bologna, il compagno che condivideva la camera con lui non si sarebbe accorto di nulla. Solo il giorno precedente, il 27 settembre, nel carcere di Castrovillari (CS) un detenuto marocchino ha approfittato del cambio turno della polizia penitenziaria per impiccarsi con un lenzuolo. Nella notte tra il 29 e il 30 agosto si è impiccato nella sua cella, dove si trovava solo, Omar Araschid, di origini marocchine, era recluso nell’area dei “sex offenders” e avrebbe nuovamente guadagnato la libertà nel 2021.

Il 27 agosto nel carcere di Pescara il 63enne Dante Di Silvestre aveva ricevuto da due giorni il diniego di lavorare fuori dal carcere dal magistrato dell’Ufficio di sorveglianza, per lui è stato un colpo durissimo, ha messo da parte gli effetti personali e un biglietto per la moglie e approfittando del regime di semilibertà che gli era stato riconosciuto per il suo comportamento esemplare, nel cortile del carcere ha utilizzato una corda che usava per il lavoro e si è impiccato a una sbarra. Di Silvestre era in carcere dopo la sentenza definitiva a 11 anni, con i benefici di legge aveva già scontato quasi metà della pena e aveva ottenuto la semilibertà. Poi, ancora: a Milano un 42enne algerino era stato fermato per tentato furto, era in una stanza da solo in Questura in attesa di fotosegnalamento. Si è tolto la maglietta, l’ha legata alle grate della finestrella della stanza vuota e l’ha stretta al collo. Quando gli agenti l’hanno trovato era già troppo tardi. Il 20 agosto si è impiccato al carcere Pagliarelli di Palermo Roberto Faraci, 45 anni, entrato in prigione da pochi giorni, anche lui sfruttando il fatto si essere stato lasciato solo.

È una moria di storia e di persone impressionante, che si ripete con cadenza mostruosa. Il 19 agosto un suicidio nel carcere di Lecce, il 17 Giuseppe Randazzo a Caltagirone, il 12 agosto sempre al Pagliarelli di Palermo (dove sono avvenuti ben 3 suicidi nel solo mese di agosto) si è impiccato (il solito drammatico cliché) Emanuele Riggio. Il 30 luglio nel carcere di Fermo si è suicidato un 23enne, di cui dalle cronache non si riesce nemmeno a risalire al nome. Aveva 23 anni anche Giovanni Cirillo che si è ammazzato il 26 luglio a Salerno e ne aveva 24 invece il detenuto che si è ammazzato a Como nello stesso carcere dove un mese prima in un’altra sezione si è tolto la vita, impiccandosi con la corda della tuta da ginnastica, un detenuto tunisino di 33 anni. In quell’occasione erano stati i compagni di cella, di ritorno dopo il periodo trascorso all’aria, a trovare il corpo senza vita. La conta dal 17 gennaio di quest’anno (quando si verificò il primo suicidio nel carcere di Monza) a oggi è incivile: 45 suicidi dall’inizio dell’anno, tutti per impiccamento tranne 4 casi di suicidi per asfissia provocata da gas. A questi numeri si aggiungono 27 casi di morti da accertare, tutt’ora al vaglio degli inquirenti.

Secondo il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, sarebbero 1100 i tentativi di suicidio ogni anno evitati dagli agenti. Il Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie in carcere, adottato il 21 luglio del 2017, non ha rallentato la catena di suicidi: 52 nel 2017, 67 nel 2018, 53 nel 2019. La frequenza dei suicidi in carcere è di 20 volte superiore alla norma, mentre quella tra gli agenti penitenziari è 3 volte superiore alla norma e risulta anche la più elevata tra tutte le Forze dell’Ordine. Secondo il sito ristretti.it «è facile concludere che i detenuti si uccidono a centinaia (e tentano di uccidersi a migliaia) in primo luogo perché percepiscono di non essere più portatori di alcun diritto: privati della dignità e della decenza, trascorrono la propria pena immersi in un “nulla” senza fine».

Ma la notizia fatica sempre ad arrivare ai giornali e fatica infilarsi nel dibattito pubblico. Rimangono le brevi di cronaca date ogni tanto su qualche sito locale: la politica fa spallucce (se addirittura non invoca ancora meno diritti) e l’opinione pubblica è colpevolmente distratta. «Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri – sosteneva Voltaire – poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione»: qui la situazione è sempre nera, nerissima ma i palazzi sembrano non accorgersene.

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Lo smemorato del Sussidistan

Eccolo qui, ancora, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che come un falco rotto si lancia sul sistema Italia impartendo la sua lezione di politica dall’alto della sua (modesta) esperienza imprenditoriale e con i suoi soliti toni di guerriglia contro il Paese sociale. La sua ultima impresa, il suo ultimo bullismo lessicale è tutto nella parola «Sussidistan» con cui ha bollato l’Italia colpevole, a suo dire, di occuparsi troppo dei poveri e troppo poco delle imprese. «Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto Bonomi all’assemblea annuale degli industriali, riprendendo tra l’altro il termine già usato dall’economista del partito di Italia viva e trasformando un discorso serissimo e fondamentale per il futuro del Paese in uno slogan da macchiette.

Però ci vuole davvero un bel coraggio e tanta miopia per sostenere che il denaro a pioggia sia distribuito solo nella «logica del dividendo elettorale» nell’Italia in cui gli industriali hanno dimostrato di sapere battere cassa come forse da nessun’altra parte, tanto che al ministero dello Sviluppo economico c’è addirittura un’intera task force (un’altra, l’ennesima) dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese.

Forse bisognerebbe ricordare a Bonomi che già nel Dopoguerra fu lo Stato, attraverso le banche pubbliche, la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri a iniettare denaro nell’industria nazionale. Qualcuno potrebbe ricordare cosa accadde negli anni Novanta quando tutti i cittadini pagavano mutui con interessi a doppia cifra e lo Stato firmava il famoso “tasso Fiat” al 7% per aiutare l’azienda automobilistica italiana, quella che non ha avuto molti scrupoli poi a chiudere i suoi impianti italiani e delocalizzare con tanta agilità spostando tutto l’asse verso gli Stati Uniti.

Oppure si potrebbe tornare sul cronico tasto dolente di Alitalia che è stata privatizzata ma non è mai stata realmente privata nella distribuzione delle sue perdite che sono ricadute e continuano a ricadere nelle tasche dei contribuenti. Oppure si potrebbe ricordare i miliardi di euro che ogni anno arrivano come contributi indiretti o come sgravi fiscali all’industria del cemento che formalmente vanno a favore dei cittadini sotto i fantasiosi nomi di sismabonus, ristrutturazioni, rifacimento terrazze e soprattutto come bonus facciate ma che di fatto servono ad alimentare un settore in crisi profonda anche di idee che senza aiuti di Stato sarebbe fermo al palo. Dice il segretario Cgil Maurizio Landini in un’intervista a La Stampa che «il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici. Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne».

Il tema vero di questa epoca politica è che è in corso un attacco sconsiderato ai poveri e alla povertà (non certo per sconfiggerla con redditi decenti), che si camuffa come critica politica al Reddito di cittadinanza e a Quota 100 ma che sostanzialmente punta a spostare i soldi del prossimo Recovery fund sulle imprese che non vogliono perdere la propria occasione di sedersi al tavolo e di dividersi una bella fetta della torta. L’avevamo già scritto qualche numero fa proprio su queste pagine (vedi Left del 26 giugno, La democrazia secondo Confindustria, ndr): Confindustria ha lanciato Bonomi nell’agone politico con l’evidente obiettivo di succhiare più soldi possibili dai (molti) soldi che arriveranno dall’Europa. Solo questo. Tutto qui. E il trucco di non distinguere i piani del rilancio industriale da quelli della lotta alle povertà è astutamente utilizzato per confondere le acque.

Infine il prode Bonomi si lancia anche nella sconclusionata proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti in nome di una “semplificazione” che non si capisce esattamente cosa porterebbe: in un Paese dove l’evasione fiscale costa 107 miliardi all’anno (metà del Recovery fund) e con la scandalosa statistica che ci dice che il 93% dell’Irpef è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati la proposta suona come un sottilissimo invito a investire in quelle stesse modalità che da anni azzoppano le casse pubbliche con l’enorme “fantasia fiscale” di una certa parte dell’imprenditoria italiana.

Un fatto però suona chiaro e cristallino: nel Paese dei capitalisti senza capitali che fanno imprenditoria con i soldi degli altri (o con i soldi pubblici) Carlo Bonomi si presenta con tutti i ghingheri che servono per apparire il perfetto protettore di un certo padronato che ha nel vocabolario del futuro solo una parola: soldi, soldi, soldi.

L’editoriale è tratto da Left del 9-15 ottobre 2020

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Italia, anno 2020: “Cari culattoni con l’AIDS”. La lettera omofoba anonima a due ristoratori

Accade a Torino. Gaetano e Stefano sono i titolari della pizzeria 150 di via Nizza 29 e al mattino nel plico della posta ritirata trovano una lettera. Strano, non è epoca di lettere questa. Dentro ci trovano una missiva scritta a macchina che dice testualmente così: “È un peccato che non vogliate riaprire a pranzo in un momento in cui tutti hanno voglia di riaprire e ricominciare, ma considerando che ho saputo che siete due noti culattoni  penso che il male maggiore ce l’abbiate in corpo, l’aids, per cui siamo noi clienti ad aver paura a venire da voi”. La lettera ovviamente non è firmata: gli omofobi di ogni specie e grado sono molto spesso anche vigliacchi, offendono anonimamente oppure alzano le mani in gruppo, è la cronaca di questi anni a raccontarcelo.

Gaetano e Stefano però non ci stanno e decidono di rendere pubblica la lettera dal loro profilo Facebook e di rispondere per le rime: “Ci siamo sforzati – scrivono Gaetano e Stefano – di trovare un nesso tra la mancata riapertura del negozio a pranzo e la nostra vita privata , dopo qualche ora siamo giunti alla conclusione che probabilmente avresti bisogno di uno psichiatra , fai tesoro dei consigli che ti diamo. In genere, abituati da sempre a vivere la nostra vita liberi e felici caro il nostro frustrato e probabilmente anche insignificante nella vita, abbiamo serie difficoltà a considerare le tue parole offensive, non ci hai messo neanche la faccia!!!! Ti nascondi dietro una letterina ina ina, perché mancando di palle, non sei in grado di sostenere ciò che pensi, già questo ci dice abbastanza di te, tra l’altro, mentre noi si vive felici e contenti, tu spendi tempo per metterti li a scrivere a macchina, imbustare, uscire di casa fino alla posta, spendere dei soldi per un francobollo, per cosa poi?”.

Sfugge in effetti la logica che possa spingere un vile omofobo nel perdere tutto quel tempo per offendere qualcuno, prendersi addirittura la briga di confezionare una lettera solo per poter esercitare un po’ di omofobia. Accade però anche altro: la notizia di quel gesto vigliacco viaggia sui social e Gaetano e Stefano vengono travolti dalla solidarietà di tanti che promettono di passare presto da loro a mangiarsi una pizza. È la solidarietà che trasforma un gesto indegno rovesciandolo in vicinanza. E così il piccolo oliatore scribacchino ora si sorbisce anche la tortura di essere stato un ottimo veicolo pubblicitario. Ben fatto, campione!

Leggi anche: Il linguaggio di certi giornali sul caso di Caivano rivela l’arretratezza italiana sull’omotransfobia (di G. Cavalli)

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Morto di pacchia. A 15 anni

Abou aveva 15 anni. Portava addosso sulla pelle le cicatrici delle torture subite in Libia. Era denutrito. Era disidratato. L’Open Arms l’aveva salvato nel Canale di Sicilia. È una storia ordinaria delle disperazioni in mezzo al Mediterraneo. Il 18 settembre viene trasbordato insieme ai suoi compagni nella nave “Allegra” per la quarantena. Racconta la sua tutrice assegnata dal tribunale dei minori, Alessandra Puccio, che il ragazzo non parlasse già più, fortemente debilitato: «Solo il 28 un medico se n’è accorto, ma era già troppo tardi. E da quel momento è stato un precipitarsi di eventi, fino alla sua morte, avvenuta oggi all’ospedale Ingrassia», racconta a Repubblica.

Il 28 settembre lo visitano, lo rivisitano anche il giorno successivo e il 30 settembre finalmente viene ricoverato in ospedale. È disidratato, non collabora, non parla. Il giorno dopo entra in coma, viene trasferito dal Cervello di Palermo all’Ingrassia. Il 5 ottobre Abou muore. Ora si muove la Procura per accertare eventuali responsabilità e omissioni di soccorso. C’è da capire come possa un quindicenne torturato rimanere su una nave in quelle condizioni e se gli siano state offerte tutte le cure necessarie.

Qualche giorno fa Matteo Salvini ospite della pessima trasmissione di Mario Giordano parlò dei migranti che vengono parcheggiati nelle navi quarantena usando queste esatte parole: «Giordano, ti stanno guardando da una delle 4 navi da crociera, i tremila immigrati clandestini che sono sbarcati e hanno vinto il biglietto premio di 4 navi da crociera a spese degli italiani è una cosa che mi fa imbestialire». Abou quindi probabilmente è morto “di crociera”, oppure è morto di pacchia.

Abou non aveva i genitori, è uno dei tanti minori non accompagnati che arriva sulle nostre coste. Abou è morto in un luogo in cui si riteneva al sicuro. Abou è morto nel giorno in cui il governo dichiarava di avere superato i decreti sicurezza, stando sempre sulla linea criminogena di chi salva le vite in mare. Sarebbe da raccontare a tutti la storia di Abou, per fare cadere una volta per tutte questa feroce narrazione che continua a trattare le disperazioni come se fossero un gioco.

Buon mercoledì.

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Trump e lo show del Covid da cui uscire vincitore

L’ultimo in ordine di tempo è Donald Trump ma gli esempi si sprecano. Il presidente USA è risultato positivo al Coronavirus e la sua situazione continua a preoccupare i medici. Alcuni media USA rilanciano addirittura la notizia che il presidente avrebbe saputo di essere positivo fin dallo scorso giovedì, addirittura prima di apparire sul canale Fox ma non avrebbe rivelato nulla limitandosi solo a confermare la positività di alcune persone vicino a lui. Ma non è questo il punto: ieri Trump ha lasciato il Walter Reed Military Medical Center di Bethseda per un piccolo giro con il suo suv presidenziale salutando i suoi sostenitori richiamati con un messaggio su Twitter. Anche questo non stupisce: chi ha negato per mesi la pericolosità del virus (addirittura come nel caso di Trump mettendo in dubbio le statistiche sui decessi) e chi per mesi si è vantato di non indossare la mascherina (nel suo confronto televisivo con il democratico Biden Trump non ha esitato a prenderlo in giro proprio perché indossava sempre la mascherina) ha bisogno di un po’ di bullismo mediatico per rinverdire la propria immagine di uomo forte.

Fa niente che il suo show abbia messo rischio la vita di altre persone, questo sembra contare poco. Il dottor James Philips, assistant professor alla Georgetown University, chief of Disaster Medicine al dipartimento di Medicina di emergenza e analista della Cnn che frequenta anche il Walter Reed, è stato netto: «Ogni singola persona che si trovava nel veicolo durante il giro presidenziale completamente inutile ora deve essere messa in quarantena per 14 giorni. Potrebbero ammalarsi. Possono morire. Per una sceneggiata politica. Gli è stato ordinato da Trump che dovevano mettere a rischio le loro vite per una sceneggiata. Questa è follia». Ma il punto interessante è un altro: anche Trump, come molti dei leader politici che si sono ritrovati ad avere esperienza diretta della malattia, ha romanticizzato il suo contagio dicendo di avere imparato molto sul Covid, «è stata una vera scuola», ha detto in un video, ringraziando medici, infermieri e il personale sanitario. Accade sempre così: si nega un pericolo, ci si cade dentro, ci si affida alla scienza e alle regole che prima si sono sempre contestate e infine ci si riallinea velocemente per la paura di morire.

E qui si apre una disdicevole abitudine di quest’era: governanti e pezzi della classe dirigente che imparano la lezione solo se gli cade addosso personalmente, come se i numeri, le notizie, i fatti e le testimonianze non abbiano nessun effetto sulla loro consapevolezza, incapaci di essere riflessivi e empatici su quello che gli accade intorno a meno che non avvenga nel proprio ristretto cortile. E sono quegli stessi governanti che dovrebbero occuparsi delle situazioni più estreme, capaci di sentire tutti i cittadini come propri e capaci di solidarizzare anche e soprattutto con le condizioni lontane da loro. Sono gli stessi governanti (e pezzi di classe dirigente) che faticano a trovare il vocabolario delle povertà, delle disperazioni, dei soprusi e del calpestamento dei diritti dalla loro torre dorata dove vivono una realtà anestetizzata. Ma siamo davvero sicuri che abbiamo bisogno di politici che trasformino le proprie disgrazie in un reality da cui uscire vincitori come se lo scenario di un’intera nazione possa dipendere dagli accadimenti privati? Siamo consapevoli che esistono capi di Stato che hanno a disposizione una schiera di professionisti e di esperti e invece riducono tutto solo al proprio sentire?

Perché a questo punto allora viene il dubbio che potremmo sperare di avere scelte lungimiranti solo passando per l’esperienza diretta, allora dovremo aspettare che i nostri leader del mondo diventino poveri per riuscire a conoscere le povertà, vengano arrestati per rendersi conto della terribile situazione giudiziaria e carceraria, salgano su un gommone per provare l’ebbrezza di una migrazione disperata e così via all’infinito in un tour sentimentale che possa formarli per riuscire a governare. Sarebbe una disgrazia e una partita persa. Quindi attendiamo con fiducia e urgenza di avere leader con visioni larghe e inclusive, davvero, e riconosciamo una volta per tutte che la personalizzazione della realtà è forse il più sfortunato vizio che possiamo ritrovare in un personaggio politico. Stacchiamoci dallo show e pretendiamo governanti educati alla complessità. Ci farà bene a tutti, indipendentemente dalla parte politica. In fretta.

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Casellati dice che sullo stato d’emergenza Covid qualcuno nasconde la verità. Ma allora faccia i nomi

Hai voglia poi a debellare i negazionisti, a smentire punto su punto tutti i cospirazionisti e ad avere a che fare con i complottisti, se in un Paese come l’Italia la seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, riesce addirittura a rilasciare un’intervista su uno dei principali quotidiani del Paese come il Corriere della Sera e dire tranquilla tranquilla: “Sulla proroga dello stato di emergenza, prima di tutto occorre avere informazioni corrette, senza nascondere i risultati del Comitato tecnico. Se non abbiamo accesso alle informazioni, non possiamo dire nulla. Abbiamo bisogno di verità. Gli italiani sono stanchi di oscillare tra incertezze e paure, in una confusione continua di dati che impedisce tra l’altro di programmare il lavoro”.

Ed è una frase che lascia più che perplessi perché non è chiaro dalle parole della presidente chi starebbe “occultando” la verità e chi, se non lei, che si ritrova ad avere una delle più importanti cariche dello Stato e la più importante del Parlamento, dovrebbe garantire quella “corretta informazione” che proprio lei invoca.

La pubblicizzazione dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico è un tema parlamentare ed è un tema politico che va affrontato a viso aperto senza bisbiglii che nulla hanno a che vedere con la responsabilità e l’etica politica. La presidente Casellati crede che qualcuno nasconda delle informazioni? Benissimo: lo dica chiaramente senza giocare di sponda e vedrà che molti si muoveranno per verificare le sue accuse, noi giornalisti per primi.

Il “clima di incertezza” di cui parla è l’inevitabile inquietudine di fronte ai numeri del contagio che salgono e di fronte a uno scenario che per tutto il mondo è praticamente sconosciuto. Adombrare ipotesi che a parlamentari e ai cittadini vengano nascoste informazioni corrette significa svilire di fatto proprio lo stesso Parlamento di cui Casellati è classe dirigente.

Crede che ci sia una regia per imporre uno stato d’emergenza non giustificato? Benissimo, lo dica a chiare lettere senza girarci troppo intorno e ci dia gli elementi oscuri che il Parlamento deve chiarire. Queste mezze frasi di mezza propaganda sono veleni che servono solo a intossicare il dibattito senza nessun elemento aggiuntivo.

“Due parole d’ordine che ci dovranno accompagnare nei prossimi mesi: responsabilità e coraggio”, dice la presidente del Senato nella sua intervista. E allora lo chiediamo noi a lei: abbia responsabilità e coraggio nelle sue esternazioni. Perché le oscillazioni “tra incertezze e paure in una confusione continua di dati” (sono parole sue) nascono da interviste come questa. Ci dica, presidente.

Vaccino antinfluenzale: firma la petizione di TPI su Change.org

Leggi anche: 1. Governo e Regioni promuovano una vaccinazione antinfluenzale di massa: la campagna di TPI / 2. Covid, Cartabellotta: “Di questo passo, a Natale 1.000 in terapia intensiva e 12mila in ospedale” | VIDEO / 3. Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza (di G. Cavalli)

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Fino a ieri ha sbeffeggiato il Coronavirus ora Trump (positivo) si affida alla scienza

Non è nemmeno stato capace di twittare l’informazione esatta: il presidente USA Trump annuncia di essere risultato positivo al Covid-19 e non al Coronavirus, non riuscendo a distinguere il virus dalla malattia che sviluppa. Ma non stupisce, certo, no. Del resto è lo stesso Trump che ha sbeffeggiato (come molti altri suoi colleghi leader mondiali, spesso di una certa parte politica) il Coronavirus fin dall’inizio, annunciando al mondo che c’era troppo allarmismo e che non avrebbe certo indossato la mascherina.

È lo stesso Trump che era riuscito a farsi rimuovere un post da Facebook e Twitter scrivendo che aveva “sentito” (ha scritto proprio così, come quelli che parlano di voci che circolano al bar) che i bambini fossero immuni. Falso, ovviamente. È lo stesso Trump, ve lo ricordate, che durante una conferenza stampa consigliava ai medici iniezioni di disinfettanti e candeggina sui malati di Covid-19. Alcuni suoi sfegatati supporter lo presero addirittura alla lettera e vennero ricoverati.

Sono forti questi negazionisti a capo dei Paesi più potenti del mondo: passano dal negare al virus al suggerire cure (per un virus che non dovrebbe esistere) e infine si ammalano. Ma non è tutto, no. Trump è riuscito anche a condividere sui suoi social un tweet in cui si sosteneva che i Centers for Disease Control and Prevention avevano “tranquillamente aggiornato il numero dei morti di Covid, ammettendo che solo il 6% delle vittime riportate – circa 9000 – sono decedute davvero per il Covid”. Il resto “aveva 2-3 altre gravi malattie”. L’informazione arrivava direttamente da un seguace delle teorie cospirazioniste QAnon, gli stessi che raccontano di un network internazionali di satanisti pedofili (tra cui Hillary Clinton e Obama, tanto per capire il livello della ridicolaggine) che insieme a reti di “poteri forti” (eccallà) starerebbero agendo contro il presidente USA.

Poi si passa all’idrossiclorochina che proprio Trump ha dichiarato essere una cura valida per la prevenzione: “ne prendo una al giorno da una settimana e mezzo, cosa c’è da perdere?”, aveva dichiarato il presidente. Niente, nemmeno questo. Poi c’è stato l’annuncio di un vaccino entro la fine dell’anno (smentito da tutti) e proprio qualche giorno fa durante il dibattito televisivo Trump ha scanzonato il suo rivale Biden sull’uso della mascherina: “Ho qui la mascherina. La metto quando serve. Mica come Biden, che la usa sempre”. Probabilmente era già infetto. Intanto negli USA si registrano più di 7 milioni di casi e 208mila morti. E si è ammalato anche lui. Ben fatto, Donald. Ora, come sempre, si affiderà alla scienza che ha deriso fino a ieri.

Leggi anche: 1. Il presidente Usa Donald Trump e la first lady Melania positivi al Covid-19: “Siamo in quarantena, ce la faremo”; // 2. Chi è Hope Hicks, la consigliera di Trump che potrebbe aver contagiato la coppia presidenziale; // 3. Trump positivo al Covid, da Pence a Biden chi è esposto al contagio; //4. Slogan rimasticati, insulti e un arbitro debole: il match senza il colpo del KO tra Trump e Biden (di Giampiero Gramaglia); // 5Ecco perché queste saranno le elezioni più importanti della storia americana (di Iacopo Luzi, inviato TPI a Washington)

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Troppo Covid? Licenziato

Un dipendente di un supermercato nel lodigiano a febbraio si è ammalato e da allora ha avuto continue ricadute. Il 18 settembre riceve la lettera di licenziamento per aver superato i 180 giorni di malattia permessi da contratto. Ma il decreto Cura Italia esclude i casi di Covid

Mentre si è scatenata la caccia dei furbi del reddito di cittadinanza, opera utilissima per sparare nel mucchio contro le povertà che in questo Paese continuano a essere viste come una colpa da condannare e mica un problema sociale da risolvere continuano a rimanere taciute le pratiche dei furbetti dell’imprenditoria italiana che in tempo di Covid continua ad approfittarne per fare ciò che non potrebbe fare, in nome dell’emergenza. Lucrare sulla pandemia è un atto di cui si continua a parlare poco, troppo poco.

Una storia arriva da Casalpusterlengo, nel lodigiano, proprio a pochi chilometri da Codogno, zona rossa da cui è cominciato tutto. Lui si chiama Fabrizio Franchini, ha 60 anni e da 33 anni lavora dietro al bancone dei freschi di un supermercato, uno di quelli che ci inonda di pubblicità che raccontano i clienti come una grande famiglia. Il 21 febbraio l’Italia piomba nell’incubo Covid e Fabrizio Franchini racconta che ancora pochi clienti usavano la mascherina e i guanti, eravamo nel periodo in cui mancava ancora la consapevolezza. Otto giorni dopo il paziente 1 Fabrizio si ammala: tosse, febbre dolori e poi la fatica a respirare.

Fabrizio chiama l’ambulanza, passano 24 ore, poi corre al Pronto Soccorso di Crema, si sottopone al tampone e infine il risultato: Covid. Inizia il percorso di molti malati: ospedale, poi isolamento a casa, tutto in attesa del tampone finalmente negativo. Arriviamo ad aprile: finalmente il tampone è negativo ma i malesseri continuano, ancora controlli, gli dicono di mettersi in contatto con il medico del lavoro. Intanto, proprio a causa del Covid, Fabrizio finisce ancora ricoverato in ospedale: miocardite acuta. Gli viene prolungata la malattia fino al 12 ottobre ma lo scorso 18 settembre gli arriva una lettera dal suo datore di lavoro: licenziato. A La Stampa dice: «Sono devastato. Questo è un incubo in cui ho trascinato la mia famiglia. Per altri sei anni devo pagare il mutuo. Mia moglie lavora in una mensa scolastica e speriamo che non chiudano anche quella». L’azienda dice che Fabrizio abbia superato i 180 giorni di malattia permessi da contratto: che probabilmente si sia ammalato proprio sul luogo di lavoro e che il decreto Cura Italia dica chiaramente che il Covid non possa essere conteggiato nel periodo di comporto sembra non interessare.

C’è un altro aspetto interessante nella vicenda: da tempo il datore di lavoro “spingeva” Fabrizio a una pensione anticipata perché il suo era un contratto “pesante”. Lui aveva sempre rifiutato. Il Covid c’è riuscito. E la sua è solo una delle tante storie dei furbetti che hanno lucrato su licenziamenti, su cassa integrazione e sulla pandemia come occasione per snellire con poco rispetto dei diritti. Eppure è un tema enorme, qualcosa che meriterebbe anche una certa attenzione da certa politica. Oppure viene troppo comodo, come sempre, prendersela con i furbetti da pochi spicci. È più comodo, funziona.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il Comune di Vercelli nega la solidarietà a Patrick Zaki: l’assurda logica del “prima gli italiani”

Accade a Vercelli. I consiglieri comunali Alberto Fragapane, Manuela Naso, Michele Cressano, Maura Forte, Carlo Nulli Rosso (Partito Democratico) e Alfonso Giorgio (Vercelli per Maura Forte) hanno proposto un ordine del giorno per chiedere la scarcerazione di Patrick Zaki, il ragazzo di 27 anni che dal 7 febbraio si trova in carcere in Egitto e che non ha ancora potuto nemmeno accedere alla prima udienza del suo processo (fissata ora per il 7 ottobre, secondo le ultime informazioni dei suoi legali). Zaki è in carcere per alcuni suoi post su Facebook additati come “propaganda sovversiva” e da tempo la comunità internazionale sta chiedendo la sua liberazione in quel’Egitto che continua indegnamente a portare le macchie dell’omicidio di Giulio Regeni. Patrick Zaki studiava a Bologna e per questo molti comuni italiani stanno simbolicamente esprimendo la propria solidarietà.

La maggioranza del consiglio comunale di Vercelli (Lega, Fratelli dItalia e Forza Italia) e il sindaco Andrea Corsaro hanno deciso di bocciare l’ordine del giorno giustificando il loro voto contrario con il fatto che vi siano casi analoghi di persone italiane a cui pensare e in consiglio comunale hanno citato il caso dei 18 pescatori siciliani ormai segregati da due settimane a Bengasi, prigionieri delle milizie di Khalifa Haftar, in Libia.

Siamo alle solite: il “prima gli italiani” diventa il motivo valido per risparmiare la solidarietà a qualcuno in giro per il mondo secondo la solita retorica per cui c’è sempre “altro” a cui pensare, sempre “altro” di cui occuparsi e così alla fine si finisce per non prendere posizioni scomode e per svicolare dalle proprie responsabilità.

Potrebbe sapere, il sindaco di Vercelli Andrea Corsaro, che la solidarietà non si consuma, non finisce e non scade. Forse sarebbe il caso di dirsi che proprio la solidarietà è uno di quegli ingredienti su cui è consigliato eccedere, che sia per un giovane egiziano o per i poveri pescatori italiani (di cui il governo si sta occupando da giorni). Ci si chiede allora perché non presentarne due di ordini del giorno, che potessero comprendere anche le persone indicate dalla maggioranza. Ma loro sono così, sempre: agiscono per sottrazione perché solo negando i diritti riescono a parlarne e a distinguersi. Così si finisce che con l’urlo “prima gli italiani” si riesce a non occuparsi di niente e di nessuno. Quando la libertà smette di essere universale diventa un bieco interesse di bottega da sventolare per propaganda. Ancora una volta, come sempre.

Leggi anche: 1. Studente arrestato in Egitto, testimonianza esclusiva dal Cairo: “Vi racconto il vero motivo per cui hanno incarcerato il mio amico Patrick”; 2. “Torturato per ore, Al Sisi lo faccia tornare in Italia”: la collega dello studente arrestato in Egitto a TPI; 3. ESCLUSIVA TPI: ecco le accuse contro Patrick George Zaki, lo studente arrestato oggi in Egitto

4.Libertà per Patrick Zaki, il ragazzo fermato al Cairo (illustrazione di Gianluca Costantini); 5.Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta)

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