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A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

“Addio Benetton. Il governo ha vinto. E anche l’Italia”: Giarrusso (M5S) a TPI

Dino Giarrusso è europarlamentare del Movimento 5 Stelle ma sempre molto attento alle dinamiche nazionali che riguardano il governo Conte. Si dice soddisfatto per l’accordo trovato su Autostrade e fiducioso per la tenuta del governo in futuro.
Onorevole Giarrusso, come valuta l’accordo con i Benetton preso dal governo?
Lo valuto molto positivamente perché per una volta un governo non cede al capitalismo di relazione che secondo me ha inquinato completamente la società italiana negli ultimi decenni, legando grandi capitali a vecchi partiti e sistema dell’informazione. Non era facile estromettere Benetton dal controllo delle Autostrade e questo governo ce l’ha fatta, la ritengo una vittoria per i cittadini.

Qualcuno però fa notare, anche all’interno del Movimento 5 Stelle, che la soluzione sia una revoca dolce e ci vorrà molto tempo prima che la soluzione si realizzi…
Io non la ritengo una revoca dolce. Per la prima volta in Italia chi ha commesso delle gravi mancanze (oltre ad avere fatto morire 43 persone, il crollo di un ponte è in sé una ferita per Genova e per l’Italia) non riceve sconti, cosa che ci è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale quando abbiamo deciso di non far partecipare la società alla ricostruzione del ponte. Poi…
Cosa?
Poi per i cittadini il pedaggio diminuirà significativamente e anche questa la ritengo una vittoria civile, un lavoro ben fatto. Inoltre ci sarà il risarcimento di 3,4 miliardi di euro, quindi chi ha sbagliato pagherà. Tra l’altro l’accettazione di queste condizioni fa sì che non ci siano contenzosi, ciò che in Italia può durare decenni e far permanere la concessione “in attesa di sentenza definitiva”. Abbiamo anche casi di contenziosi finiti economicamente molto male per lo Stato e quindi per le tasche di tutti noi: questa volta non accadrà.

Tutto bene quindi?
La ritengo una soluzione positiva ed anche un buon esempio per il futuro: val la pena sottolineare anche che scendendo sotto il 10% i Benetton non siederanno nemmeno più nel Consiglio di Amministrazione.
Come legge le fibrillazioni di Italia Viva, di alcuni del PD e addiritutra dello stesso M5S?
I mal di pancia di Italia Viva e minima parte del PD li leggo allo stesso modo in cui leggo che Prodi e De Benedetti insieme propongono di fare entrare Berlusconi nel governo: sono i colpi di coda di un sistema che non ha funzionato, non ha fatto il bene degli italiani eppure non vuole cedere per fini di potere. Nostalgie trasversali in tutti i vecchi partiti (tutti, nessuno escluso, purtroppo, compresi quelli che stanno e che stavano al governo con noi) di esponenti che fanno parte del vecchio sistema e che non vogliono cambiarlo. Per questo ci sono tante resistenze, il cambiamento scontenta molti. Nel M5S non ho sentito voci dissonanti sulla vicenda Autostrade.

Come valuta le tenuta di questo governo alla luce dei retroscena sull’ingresso di Forza Italia e i mal di pancia di Renzi?
Penso che questo governo abbia innegabilmente portato un cambiamento. Poi, per carità, può piacere o non piacere ma il cambiamento in Italia è una dinamica molto difficile. Ci sono state molte persone per bene che nei decenni scorsi hanno fatto battaglie anche importanti in formazioni “pulite”, ma purtroppo non hanno portato nessun risultato concreto se non quello della semplice testimonianza: il Movimento ha invece cambiato delle cose concrete -con tutti i nostri limiti – e questo crea problemi a chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Il fatto che molti sedicenti antiberlusconiani – e persino storici nemici di Berlusconi come Prodi e De Benedetti – abbiano rivalutato la figura di Berlusconi “pur di togliere Conte e M5S dal governo” la dice lunga su quanto fastidio diamo al vecchio sistema. Questo valeva durante il contratto di governo con la Lega e vale adesso: abbiamo perseguito i nostri obiettivi e il nostro programma politico (penso alla legge Spazzacorrotti, al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi…) cercando di tenere la barra di governo quanto più vicina al nostro programma.

Intanto il Movimento ha trovato l’accordo sulla Liguria con il Partito Democratico candidando Sansa…
Non mi risultano accordi chiusi. Ciò detto: io penso che il Movimento sia alternativo a tutti gli altri partiti, dunque riguardo eventuali alleanze vanno valutate solo se rispettano i nostri valori. Ci sono regioni come la Sicilia in cui abbiamo sfiorato il 40% e non governiamo. Prima di parlare di accordi bisogna però decidere insieme programma, valori di riferimento e candidato presidente. In Campania, ad esempio, dove c’è De Luca per quel che mi riguarda non c’è nemmeno da discutere. Altrove si può discutere, ma tenendo sempre la barra dritta. Peraltro son cose che poi decideranno i nostri iscritti come abbiamo sempre fatto.
Ma il nome di Sansa la soddisfa?
C’è un tavolo in corso: se gli attivisti liguri e il capo politico stringono un accordo alle nostre condizioni, potremmo mettere fine alla disastrosa gestione Toti.

Leggi anche: 1. Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri / 2. Autostrade: dopo il Cdm vicina l’intesa finale. Niente revoca, ma Atlantia sotto il 10%: entra lo Stato

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Le macerie della pandemia nel mondo sono i bambini

Scusate se mi permetto di non seguire la polemica di qualche presidentessa di regione che cerca di lucrare su qualche decina di migranti, mi pare davvero troppo spendere qualche riga per una regione con un sistema sanitario completamente devastato dalla politica che si preoccupa di degli arrivi via mare mentre invoca a piene mani e senza controlli quelli via terra, ma ieri è uscito un rapporto di Save The Children che merita attenzione perché parla di un argomento che sfugge da qualsiasi discussione dei cosiddetti grandi del mondo e che rende perfettamente l’impatto della pandemia nel futuro un po’ più largo della visione del nostro semplice quartiere.

Dice il rapporto ‘Save our education – Salvate la nostra educazione’ che a oggi nel mondo sono 1,2 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole e che la crisi provocata dal Covid-19 potrebbe costringere almeno 9,7 milioni di bambini a lasciare la scuola per sempre entro la fine di quest’anno, mentre milioni di altri bambini avranno gravi ritardi nell’apprendimento.

L’indice prende in considerazione in particolare tre parametri: il tasso di abbandono scolastico precedente all’emergenza, le diseguaglianze di genere e di reddito tra i bambini che lasciavano la scuola e il numero di anni di frequenza scolastica. L’analisi di questo indice mette in evidenza come in 12 paesi – Niger, Mali, Ciad, Liberia, Afghanistan, Guinea, Mauritania, Yemen, Nigeria, Pakistan, Senegal e Costa d’Avorio – il rischio di incremento di abbandono scolastico sia estremamente elevato. Anche in questo caso sono le donne quelle che rischiano di subire di più: sono 9 milioni le bambine in età di scuola primaria che rischiano di non mettere mai piede in una classe, a fronte di 3 milioni di bambini.

Ha detto Inger Ashing, ceo di Save the Children: «Circa 10 milioni di bambini potrebbero non tornare mai a scuola: si tratta di un’emergenza educativa senza precedenti. Proprio per questo i governi devono investire urgentemente nell’apprendimento, mentre al contrario siamo a rischio di impareggiabili tagli di bilancio, che vedranno esplodere le disparità esistenti tra ricchi e poveri e tra ragazzi e ragazze. Sappiamo che i bambini più poveri ed emarginati che erano già i più a rischio hanno il danno maggiore, senza accesso all’apprendimento a distanza o qualsiasi altro tipo di istruzione, per metà dell’anno accademico».

È qualcosa di spaventosamente mostruoso, una di quelle situazione di cui non ci occupiamo perché ci appare così grande rispetto ai nostri piccoli problemi locali e che poi invece torna qui, sulle nostre coste. No?

Buon martedì.

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Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

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Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi

Avete bisogno di una grande opera strategica con cui stupire i cittadini e il mondo, utile per dare l’idea di una grande ripartenza e per aprire una nuova epoca post-Covid? Volete cambiare il Paese con un atto coraggioso e significativamente utile per tutti i cittadini, davvero tutti, e volete costruire un’opera mastodontica che venga osservata e venerata dalle generazioni future? Eccola: è la scuola.

Se c’è qualcosa su cui l’Italia può e deve investire subito (siamo già in ritardo) è quella scuola a cui “servono decine di migliaia di locali in tutta Italia e calcolando che, secondo quanto riferito dal ministro, gli studenti che faranno lezione fuori dalle aule sono il 15%, circa 1 milione e 200mila, resteranno fuori 40mila classi” (lo dice il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli).

Volete mettere in sicurezza la scuola? Allora, sempre come dice Giannelli, “sarebbe anche auspicabile fare i test ai docenti con supplenze lunghe e ad un campione statisticamente significativo di alunni, che in tutto sono 8 milioni e mezzo”, possibilmente “il prima possibile e visto che le lezioni dovrebbero cominciare intorno alla data del 14 settembre, sarebbe preferibile saperlo prima di riprendere. Abbiamo visto che tra i bambini e i ragazzi si trovano più alte percentuali di asintomatici e quindi possono essere veicoli del contagio”.

E poi sarebbe il caso, ma per davvero, di rileggere i dati dell’Agcom nella sua relazione annuale che racconta come la didattica a distanza abbia esacerbato “in tutta la loro gravità le disuguaglianze sociali preesistenti” che “rischiano di compromettere il lento processo di digitalizzazione” in atto in Italia. Sarebbe il caso di aprire una riflessione sul fatto che il 25% degli studenti italiani non dispone di connessioni abbastanza stabili e veloci per seguire le lezioni a distanze e che il 10% dei ragazzi non aveva un mezzo (che fosse un pc, un tablet o un laptop) adeguato e che tutte queste difficoltà “rappresentano un ostacolo importante e una condizione inaccettabile nel caso dell’accesso a servizi essenziali come l’istruzione”. Il 10% dei ragazzi non avevano nessun mezzo per partecipare alle lezioni. 1 su 10. C’è da investire sulle strutture fisiche e sulle infrastrutture digitali. C’è da fare tantissimo. Volete essere ricordati come quelli che hanno reso l’Italia un po’ più uguale? Abbiate il coraggio di fare quello che non è mai stato fatto negli ultimi anni: investite sulla scuola.

Leggi anche: 1. Decreto Scuola, dall’esame di maturità al concorso per l’assunzione dei precari: cosa prevede il testo; 2. Azzolina a TPI: “Nelle scuole 70 milioni di euro per comprare i tablet ai ragazzi che non li hanno”/3. Scuola, i docenti precari a TPI: “La Azzolina ha bandito un concorso-truffa che moltiplica il precariato. E che ci mette in pericolo” /4. Alla scuola serve il concorso, non le “grandi infornate” (di L. Telese)

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Gli eroi sono stanchi

«Dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid, mi trovo a piangere lacrime di rabbia», ci scrive un’infermiera in una lettera-denuncia

Ricevo e pubblico la lettera di un’infermiera. C’è dentro tutto: questo tempo, quello passato e un suggerimento per il futuro.

Oggi vorrei parlarvi di quegli eroi di cui molte persone si sono riempite la bocca qualche mese fa: gli infermieri ai tempi del Covid-19.

Ho odiato il termine eroi dal primo momento in cui è stato utilizzato, perché non abbiamo fatto niente di straordinario, è il nostro lavoro. Eroico è più che altro il modo in cui l’abbiamo fatto, cioè sbattuti dai piani alti in prima linea (altro termine molto usato, ma che non amo) senza formazione e – soprattutto – senza risorse sufficienti, sia in termini di materiale che di personale. Abbiamo dovuto far fronte ad una situazione in continua evoluzione e senza l’appoggio dei superiori, avendo un coordinatore che si è eclissato misteriosamente il giorno in cui il reparto è stato adibito ai pazienti Covid.

Ma questo è il passato e speriamo che rimanga tale. Non voglio ripetere le condizioni in cui abbiamo lavorato perché ne hanno già parlato tanti altri prima di me.

Ma come stanno gli eroi oggi? Perché nessuno ne parla più, come volevasi dimostrare.

Qualcuno penserà che abbiamo tirato un sospiro di sollievo, che abbiamo ricominciato a respirare. Nì. Sicuramente siamo felici di non vedere più gente morire ogni giorno e sentirci totalmente impotenti davanti a tanto dolore e solitudine.

Ma nessuno, dall’alto, ha pensato minimamente che abbiamo bisogno di rallentare. Veniamo da un periodo di alto stress e in tutta risposta ci sono stati intensificati i turni, arrivando a 7 giorni consecutivi di lavoro, più notti consecutive, poco riposo. Ci siamo visti totalmente modificati i turni il 29 del mese per il 1° del mese dopo.

Perché per loro (quelli che io chiamo piani alti, i potenti, quelli che non hanno un contatto col paziente) non siamo persone, siamo solo numeri di matricola usati per coprire i buchi sul foglio dei turni. Non abbiamo famiglie, impegni, passioni al di fuori del lavoro. Dobbiamo essere pronti in ogni momento a rispondere alla chiamata dell’azienda. Cene con gli amici, week end al mare, visite mediche dei figli. Non esiste niente di certo per noi.

In più, nel mio reparto il lavoro si sta facendo sempre più difficile e intenso, perché il nostro coordinatore, che ha da poco ripreso a venire in reparto, è presente solo 15 ore a settimana, quindi per le restanti 153 ore passiamo buona parte del turno a dover risolvere problemi burocratici che non ci competono, sottraendo tempo necessario all’assistenza dei pazienti.

Se un collega si ammala, il responsabile che deve occuparsi di sostituirlo fa metodicamente spallucce, quindi dobbiamo telefonare a una marea di reparti facendoci dare i numeri di colleghi che sono a casa di riposo e pregarli di venire a darci il cambio. Altrimenti, si fa doppio turno. 12 ore e passa la paura.

Personalmente, dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid (causata dalla mancanza di dpi), mi trovo a piangere lacrime di rabbia. Non abbiamo sofferto abbastanza? Ho la gastrite da stress, alti livelli di glicemia, ormoni ballerini, non dormo bene e ci sono giorni in cui la stanchezza mi fa a malapena reggere in piedi. Sono esausta, incazzata, delusa.

Ho sempre amato il mio lavoro, ora vado in reparto con la nausea. Vorrei abbandonare tutto e fare altro, ma al momento non me lo posso permettere. Mi hanno fatto odiare un lavoro che ho sempre fatto con passione, responsabilità e competenza.

E tutto ciò, dalla disorganizzazione del reparto, l’aumentato carico di lavoro, fino all’esaurimento psicofisico del personale (pardon, dei numeri di matricola) va a discapito del paziente. E ciò mi fa davvero male. Perché vorrei fare sempre del mio meglio, ma in certi momenti è dura avere un sorriso per gli altri quando non ne hai più nemmeno per te. È difficile fare bene le cose quando nello stesso tempo di sempre devi farne il doppio. Sacrifici, solo sacrifici.

E questa è solo la situazione nel mio piccolo reparto. L’argomento potrebbe andare avanti parlando di contratto nazionale, di ferie non godute, stipendi bassi, mobilità bloccate, competenze non riconosciute, eccetera.

Gli eroi sono stanchi. Gli eroi non erano quelli del Covid, siamo sempre stati eroi, se lo volete sapere. Solo che ve ne siete resi conto solo poco tempo fa (e forse ve ne siete anche già dimenticati).

Siamo stanchi.

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Quei migranti che il Governo e l’Europa considerano carne da macello. Proprio come Salvini

Fuori da quelle navi dovrebbero attaccarci un cartello, avere il coraggio di farlo davvero, e scriverci su “carne da maneggiare con cura”. Le persone che continuano a essere alla deriva in questo Mediterraneo così tristemente uguale a se stesso non sono persone come tutti gli altri, non sono gente con un passato e con un presente o chissà perfino un futuro, quelle persone sono carne che non è buona nemmeno da mangiare ma che torna utilissima per il carpaccio della retorica politica e per essere lanciata a fette contro l’avversario di partito.

Se arrivano in Italia, come accade da 12 giorni alla Ocean Viking con a bordo 180 persone, allora sono carne pronta per essere addentata da Salvini e dai suoi amici per raccontare la solita invasione che non c’è e che non c’è mai stata, il tutto condito anche con il terrore del Covid che intanto viaggia per tutto il Veneto nella tasca di un dirigente d’azienda che ha giocato a fare il super eroe. Ma sono carne da macello anche per i partiti di governo, per quelli che vigliaccamente hanno paura di essere considerati troppo buoni, per quelli che invece i migranti li vorrebbero usare come fa certa destra ma non possono per equilibri di governo. E sono carne da macello anche per il presidente del Consiglio, che non riesce a trovare nessuna opportunità fotografica per potersi permettere di parlarne.

Sono carne da maneggiare con cura anche per la ministra Lamorgese, quella che ha usato la ferocia invisibile sui social per contrastare il feroce che è dappertutto sui social: stessi temi, stessi modi, stesso punto di vista ma atteggiamenti diversi che vorrebbero essere rivenduti come una qualità. Che qualità vacua, invece. Sono carne da maneggiare con cura anche i 52 migranti che sono a bordo del mercantile Talia che ha avuto l’ardore di ritardare la consegna del carico per salvare le persone, pensa un po’.

Quella foto di un macchinista che sorregge sulle braccia uno scheletrico profugo molle come un orologio di Dalì è il manifesto dell’Europa che tace e acconsente, che continua a fare i conti per i soldi da sparpagliare in giro ma che non ne vuole sapere di quella carne che arriva dal mare, quella carne che, disdetta, scappa ai carnefici libici che pure paghiamo così tanto e così bene. Non sono più persone, non sono più nemmeno numeri: sono carne da conservare perché non diventi rancida e non puzzi troppo alzando lo sdegno e sono carne a cui trovare un angolo dentro il congelatore senza spostare troppo tutto il resto.

Leggi anche: 1. Salvini e i suoi poliziotti: ma mio figlio ha il coraggio delle sue idee (di Selvaggia Lucarelli) / 2. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 3. Stabilimenti balneari, il Parlamento si inventa il “condono”: concessioni a prezzi irrisori e senza gare

4. Meloni a TPI: “Mentre gli italiani muoioni di fame, il governo pensa a regolarizzare i clandestini” / 5. In Italia crolla la vendita di mascherine: “Calo di due terzi, mentre i contagi aumentano” / 6. Camici per medici forniti da ditta della moglie di Fontana: Procura indaga per turbativa d’asta

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Bisognerebbe avere avuto fame

È una questione di cui sembra non occuparsi nessuno eppure è uno dei mali endemici di questo tempo: l’incapacità di provare empatia permette il proliferare del razzismo, del bigottismo, del perbenismo, del cattivismo e di molti altri -ismi che continuano a infestare il nostro presente.

Così viene facile portare avanti il modello dell’italiano medio che si infastidisce per il povero o per l’affamato e che crede addirittura di difendere il proprio Paese. Il problema non è solo l’odio per gli stranieri, no, non è solo quello: a molti fa schifo la povertà, l’indigenza, ne hanno un terrore atavico e la allontanano perché sono terrorizzati solo dall’idea di incrociarla per strada. Come i bambini che strizzano gli occhi per scappare da un momento che faticano a sopportare questi non vogliono vedere, non vogliono sapere e così riescono addirittura a trovare maleducato e sconveniente avere fame, essere schiavi e essere poveri.

È tutta mancanza di esperienza e di empatia. È una società che ancora si illude di poter essere nata tra i “non poveri” e di non rischiare mai di finirci. Eppure sarebbe così diversa la politica, il giornalismo, la socialità, lo stare insieme se riuscissimo a immaginare cosa significhi avere avuto fame, non avere i soldi per pensare al giorno successivo, non avere un futuro di sicurezza e di libertà.

Qualcuno potrebbe pensare che dovremmo viverlo per potercene rendere conto eppure augurare una carestia per poter diventare un popolo migliore non sembra una via fattibile e nemmeno troppo responsabile.

E quindi come si empatizza? Studiando, studiando, studiando, leggendo, rimanendo curiosi, vedendo gli altri, ascoltando gli altri, smettendo di vedere il mondo dalla nostra unica personale lente d’osservazione. E sarebbe bello che qualcuno, anche della classe dirigente, avesse il coraggio di dirlo forte e chiaro, piuttosto che cincischiare per continuare a lisciare i perbenisti.

Buon giovedì.

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Hanno paura perfino della solidarietà

A Pescara il centrodestra ha respinto una mozione che esprimeva solidarietà alle vittime di un’aggressione omofoba e invitava il Comune a costituirsi parte civile nel processo

A Pescara un venticinquenne molisano la notte tra il 25 e il 26 giugno stava camminando sul lungomare insieme al suo fidanzato, un ventiduenne del posto. Ha incrociato un gruppo di ragazzi (tra cui una ragazza) che hanno cominciato a insultarlo (con insulti ovviamente omofobi) e poi hanno finito per pestarlo. In sette contro uno perché non tutti gli stronzi sono omofobi ma tutti gli omofobi sono stronzi. Il ragazzo è finito in ospedale con la mascella fratturata e ovviamente la notizia ha scosso la città. La colpa dei due ragazzi era quella di tenersi per mano.

La notizia di per sé potrebbe sembrare solo l’ennesima notizia di aggressione omofobi ma c’è un altro particolare che conviene raccontare: nel consiglio comunale di Pescara le opposizioni presentano una mozione per dimostrare solidarietà al ragazzo e per chiedere che il Comune si presenti come parte civile nel processo. Dovrebbe essere normale che una città ci tenga a non essere identificata in un gruppetto di vigliacchi che hanno svergognato un’intera comunità.

E invece niente. Indovinate chi ha votato contro?

Antonelli Marcello – Lega
Carota Maria Rita – Lega
Croce Claudio – Forza Italia
D’Incecco Vincenzo – Lega
Di Pasquale Alessio – Forza Italia
Foschi Armando – Lega
Montopolino Maria Luigia – Lega
Orta Cristian – Lega
Rapposelli Fabrizio – Fratelli d’Italia
Renzetti Roberto – Forza Italia
Salvati Andrea – Lega

La mozione ovviamente è stata bocciata. Loro sono così: hanno una paura fottuta della solidarietà perché li mette con le spalle al muro sulle proprie posizioni. Con il giochetto del dire che bisogna esprimere solidarietà a tutti riescono a non esprimere solidarietà a nessuno. Del resto dalle parti del centrodestra non hanno ancora capito che i diritti sono spesso quelli degli altri. Finché un giorno non capiterà che gli altri saranno qualcuno di loro, di quelli privilegiati e comodi e allora vedrete che gran gazzarra.

Buon mercoledì.

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E se la smettessimo con i fallocrati?

Per lo psichiatra Raffaele Morelli «se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi». È ora che opinioni del genere non abbiano più spazio sui media

Della storia probabilmente avete già letto e sentito parlare comunque vale la pena ripeterla per bene: lo psichiatra Raffaele Morelli è uno di quelli che imperversano un po’ dappertutto, sui giornali e per radio e per televisioni, a spiegarci cosa sia l’amore e cosa siamo noi. Niente di male se non fosse che le sue tesi (o addirittura ipotesi) ogni tanto possono non piacere ai suoi ascoltatori.

In particolare Morelli ha spiegato che «se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi», secondo il vecchio schema per cui le donne esistono solo in funzione degli uomini e per cui le donne debbano continuamente cercare nell’approvazione degli uomini la propria realizzazione. Per carità, niente di nuovo sotto al sole e niente di terribilmente più grave del tanto maschilismo e del tanto patriarcato che siamo abituati a vedere.

Il fatto è che le donne, forse Morelli non lo sa, ascoltano e decidono di dire la loro così accade che il celebre psichiatra (celebre per esposizione mediatica) venga incalzato da Michela Murgia, ospite della trasmissione Tg Zero di Radio Capital e dopo averci detto che le bambine devono giocare con le bambole per conservare la loro “radice femminile” (frase che potrebbe dire un maschilista ignorante medio, senza bisogno di nessuna laurea) si è incazzato con Michela Murgia (guarda caso, una donna) con un bel «zitta e ascolta!» prima di interrompere la telefonata!

Uno psichiatra che perde le staffe fa già ridere così, come intristisce un clown che non riesce a fare ridere, ma la riflessione più ampia è che non si capisce come questa gente finisca in televisione, questi che non hanno un pensiero più alto di uno scambio di battute da bar, e continuino a essere intervistati in ogni dove.

Ora, in tutto questo, ciò che esce osservato e raccontato a tutti è ciò a cui Morelli tiene più di tutti: il suo piccolo ego. Chissà che non abbia bisogno di un buon psicologo, un po’ più moderno di lui, per provare a elaborare la sua fallocrazia.

Buon venerdì.

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